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Autore: Angorian    11/09/2011    2 recensioni
Capire Chibiusa fu semplice come respirare.
Innamorarmi di lei, l’unica conseguenza possibile.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Helios/Pegasus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta serie
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La solitudine del sole

 
 

“Ogni cosa di te,
affligge il mio invidiare.
La tua anima
Non puo’ odiare niente”.
Muse, Starlight

 
 

Il tempo è un meccanismo complesso.
Per gli umani il tempo è lineare, una freccia scoccata che prima o poi raggiungerà un obiettivo, una fine,  una meta. Gli uomini vivono degli istanti che gli sono donati, preziosi della loro irripetibilità.
Ma per quelli come me, il tempo è indefinito. E’ una ruota ardente che gira di ritmi infiniti, divorando se stessa, rinascendo in sé. Brucia come fuoco e divampa, ma non lascia cicatrici sulla mia pelle di gesso.
Il mio tempo è ora, com’è stato un secolo fa e come sarà tra mille anni. Il mio tempo è infinito, il mio tempo è sempre. Il mio tempo è nulla.
 
- Sono bella, Helios? -
 
Posso dividere il tempo in frammenti, farne stelle nel mio firmamento privato, riviverli in eterno. La mia vita è polvere, fredda sabbia che scivola dentro un’ampolla di vetro, svuotandone un’altra con cadenza costante. Poi, una mano tornerà a capovolgerla.
Un moto infinito di granelli dorati.
 
- Sei bellissima -.
 
Per mille e mille vite ho custodito specchi fragili, porte di vetro verso mondi interiori, sacri. Ho accarezzato con dita distratte le anime di uomini e donne di ogni età ed epoca, ho vissuto in essi emozioni e vite e incubi. Mi sono immerso nell’umanità, desiderando che penetrasse la mia scorza immota. Desiderando un sogno che illuminasse le mie notti stanche.
 
- Dimmelo ancora -.
- Sei bellissima, Nehellenia -.

 
Era entrata nella mia esistenza con passo leggero, bussando ai cancelli di Elysion con la grazia del suo viso angelico, delle sue mani morbide e affusolate. Richiedendo la mia attenzione, la mia completa adorazione.
 
- Eppure, prima ero ancora più bella -.
- Mi è difficile crederlo -.
Arricciò le sue labbra di voluttuosa ciliegia, disegnando distratta con le dita bianche arabeschi immaginari sul suo ventre nudo.
- Davvero. Prima che vedessi lei, prima che mi rubassero il mio sogno, ero ancora più bella -.
Lo disse con la voce di un’infanta capricciosa, lasciando vagare gli occhi scuri sullo specchio antico che sovrastava il baldacchino, e che regalava il riflesso delle sue membra pallide, in contrasto con le lunghe onde dei capelli d’ossidiana.



Amava guardarsi, peccando della più golosa vanità. Conosceva ogni dettaglio del suo corpo, così come lo restituiva lo specchio.  E da esso mi sorrideva, sapendo che anch’io non riuscivo a distogliere lo sguardo.
 
- I sogni non possono essere rubati -.
Lo mormorai, sapendo che non mi avrebbe ascoltato. Rapita da se stessa, dalla curva morbida tra i suoi seni.
- Io sognavo di essere adorata. Di essere la più bella. E lo ero, prima che arrivasse lei - .
Non le chiesi chi fosse la donna. Io stesso avevo visto la Principessa della Luna, nei sogni di un principe mortale.
- E’ per questo che voglio il Cristallo d’Oro - Continuò.

 
Mi lasciai cullare dal suo corpo per molto tempo. Diceva che fossimo predestinati, che la nostra bellezza ci avrebbe salvati dai dolori del mondo. Eravamo belli, lo saremmo stati per sempre. Nient’altro importava. Soltanto la sua ossessione per la bella principessa cresceva con la follia che si era insediata dietro ai suoi occhi bruni.
Per un po’ credetti alle sue parole, alla sua convinzione che fossimo creature superiori.  Molti umani sognavano la bellezza, la desideravano.
C’era bellezza nei miei tratti. Forse trovare un sogno non era poi così importante. 
Avevo già quello che mi serviva per essere felice.
 
 
- La mia palla, la mia palla! - .
 
Poi, accadde.
 
- Luna P! -.
 
Avevo sempre preferito i sogni dei bambini. Più luminosi, più fantasiosi. Passeggiare nei loro mondi mi aveva sempre incuriosito. Lì la bellezza assumeva forme diverse.
 
Una bambina dai buffi codini camminava per le strade deserte di un parcogiochi abbandonato.  La seguii, incuriosito.
- Hai perso qualcosa, piccola? -.
I suoi occhi si posarono su di me, privi di paura, con una delicata traccia di curiosità.
- La mia palla. Non riesco più a trovarla -.
Mi inginocchiai sull’acciottolato polveroso per guardarla dritta negli occhi, e le porsi la mano.
- Se vuoi ti aiuto a cercarla -.
La sua espressione era così seria e decisa che mi sfuggì un sorriso, mentre prendeva la mia mano e annuiva con forza.
Mi camminò accanto in silenzio, tirando la manica della mia veste ogni volta che imboccavo la strada sbagliata.
- No, no, non puo’ essere lì -.

 
Lasciavo che mi mostrasse il suo mondo, un luogo silenzioso e malinconico. Giostre colorate e lucenti dei riflessi del sole restavano immobili in quel parco privo di vita, abbandonato a se stesso. Non entravo mai più volte nel sogno di una sola persona; ce n’erano così tanti da vedere, così tanti specchi da visitare, coscienze da poter sfiorare.
Ma tornai da quella bambina nonostante mi fossi ripromesso di non farlo, perché la sua solitudine era gemella della mia, perché i suoi occhi seri mi attraevano come una falena alla ricerca di luce.
 
Ci fermavamo sempre sulla soglia di un tendone da circo rosso e viola, in cui lei si rifiutava di entrare.
- C’è qualcosa che ti spaventa, lì dentro? -.
La bambina scuoteva la testa, per poi nascondere il viso contro i miei vestiti.
- E’ lei che mi ha rubato la palla -.
Alzai lo sguardo sul tendone, sull’entrata scura e ombrosa.
- Vuoi che vada a riprenderla? -.

 
Lasciavo sempre più spesso Nehellenia da sola, inghiottita dal suo odio e dal suo rancore per una donna che non sapeva neppure della sua esistenza. Spinto dalla curiosità ero entrato nei sogni della Principessa della Luna, ed erano sogni d’amore e gioia, che Nehellenia non avrebbe mai potuto comprendere, perduta nel vortice tormentoso del suo amore per se stessa.
Cominciò a chiedermi sempre più spesso dove nascondessi il Cristallo d’oro, a supplicarmi di cederglielo. Alternava la sua dolcezza all’ira, cercando un modo per convincermi a donargli il Cristallo.
Nehellenia viveva nell’odio, e in esso bruciava.
 
- Lo faresti davvero? -.
La bambina mi guardava con occhi imploranti.
Le accarezzai la guancia rotonda e rosea.
- Te la riporterò -.

 
Rivivo quel giorno ogni volta che chiudo gli occhi. Sogno e realtà si sono mescolati nella mia mente, e il mondo di quella bambina dal viso serio e i codini buffi divenne il mio rifugio, un angolo remoto dove poter trovare qualcuno che davvero mi comprendesse.
Se non fossi entrato in quel tendone, se non avessi deciso di sciogliere il nodo dell’incubo di quella bambina, non avrei mai trovato lei.
 
L’interno del tendone era fresco e ombroso, e come il resto del parco giochi, completamente deserto. Solo un cigolio spezzava il silenzio.
Una donna si dondolava su un’altalena per trapezisti, abbracciando con una mano una grossa palla a forma di muso di gatto.
- Chi sei? -.
La sua voce aveva un timbro dolce, nonostante il suo tono fosse aspro, sulla difensiva.
- Mi chiamo Helios -Risposi.
Si lasciò cadere dalla sua altalena, cadendo con grazia di fronte a me.
- Non ti ho mai visto, qu i- .
Senza pudore lasciai che i miei occhi si beassero di lei, della sua figura snella e delicata. Per qualche istante mi sembrò la Principessa della Luna che tanto ossessionava Nehellenia, ma presto capii che non poteva essere lei; i loro colori erano diversi, e il viso della ragazza che mi stava di fronte era più affilato, i suoi occhi meno ingenui.
- Sono venuto a cercare una palla -.
Il mio sguardo cadde su quella che teneva stretta fra le braccia.
I suoi occhi si strinsero.
- Luna P? Lei è mia -.
Il suo tono mi ricordò terribilmente la bambina che avevo lasciato da sola, la creatura buffa e deliziosa che attendeva il mio ritorno. E capii.
Priva delle rotondità infantili, dai capelli più lunghi, ma era sempre lei: gli occhi seri e la  sua espressione decisa non mi sarebbero potuti sfuggire a lungo.
- Come ti chiami? -.
- Usagi. Ma tutti mi chiamano Chibiusa -.

 
 
Capire Chibiusa fu semplice come respirare.
Innamorarmi di lei, l’unica conseguenza possibile.
Era un’anima complessa, divisa tra l’innocenza e la paura, delle responsabilità, della solitudine. Mi parlava di sua madre, dei compiti che un giorno le sarebbero stati assegnati, di una vita che non aveva potuto scegliere.
La Chibiusa bambina vagava sola in un mondo di adulti che la escludeva, e la Chibiusa adulta cercava il conforto dell’infanzia in quel giocattolo che era stato suo unico compagno.
Lasciai che il suo modo di vedere le cose mi riempisse, e mi immersi nei suoi pensieri.
Ogni notte fuggivo in un suo sogno, e che fosse bambina o donna non aveva importanza, perché era lei, perché sapere che aveva bisogno di me mi dava uno scopo, che non fosse solo custodire in silenzio sogni altrui.
Scoprii ben presto che un nuovo specchio era comparso nel giardino di Elysion.
Il mio sogno di una vita con lei.
 
 
- Il Cristallo, Helios. Dammelo, e ti risparmierò la vita -.
 
 
E il tempo, che mi era sembrato infinito, non lo fu più. Il germe della follia che si era instillato in Nehellenia prese il sopravvento su di lei, rischiando di distruggere ogni cosa, di rompere fragili equilibri che avevo il compito di sorvegliare. Se lei avesse preso il Cristallo d’Oro, se avesse ucciso la Principessa della Luna, non ci sarebbe più stato un mondo in cui il mio sogno si sarebbe potuto avverare. Nessun sogno in cui incontrare Chibiusa, in cui vedere il suo sorriso sbocciare per me soltanto.
 
- Sei perduta, Nehellenia. Ed io non posso più aiutarti -.
 
Costrinse il mio corpo in una prigione di lacci, ed io fuggii nell’unico luogo in cui mi fossi mai sentito a casa.
 
- Ciao, Helios! Mi aiuti a cercare la mia palla?-
Sorrisi.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Note:Torno da un lungo silezio con questa breve shot su Helios, un personaggio che fin da piccola ho imparato ad adorare. Non ha un vero senso, non saprei neppure dove collocarla nella storia; prendetela per quello che è: un tentativo di riprendere la penna in mano.
 
   
 
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