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Autore: xNewYorker__    11/09/2011    0 recensioni
«Tra tutte le persone di questo mondo, perché a lui?» Chiese Booth, dando un peso assurdo a tutte quelle lacrime riversate sulla camicia. «Conosco i rischi del mio lavoro, ma non pensavo arrivassero a tanto.» Brennan lo guardò. «Pensi che l'abbiano guardato in faccia? Svegliati, Booth!»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Parker
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
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I passi di Jack si facevano sempre più veloci, sembrava quasi lasciare una scia di fumo dietro di sé, mentre attraversava quel corridoio e si fermava bruscamente all’incrocio tra altri due corridoi, i quali l’avrebbero condotto a due reparti completamente diversi. Cercò di ricordare da dove era arrivato l’urlo, ma si voltò disperato verso Cam, che come lui s’era fermata lì per riprendere fiato, affannata. «Hai visto qualcosa?» La donna, nonostante non riuscisse quasi più a muoversi, fece cenno di no con la testa, mentre a lui si raggelò il sangue nelle vene. Vide dei piedi al terminare di un altro incrocio di corridoi poco distanti dal punto in cui s’erano fermati a riprendere fiato. Riprese la corsa disperata, sbattendo talvolta al muro senza accorgersi degli spigoli vari, troppo concentrato. A scoppio ritardato, Cam lo seguì, provocando coi tacchi un rumore che mise ancora di più in allarme il probabile rapitore, o quel che era, di Angela, i cui passi si sentirono riecheggiare verso l’ascensore. Jack si lanciò in avanti, andando a sbattere rovinosamente il petto a terra, ma riuscì ad afferrare per le gambe l’uomo, che riconobbe come un tizio biondo alto grossomodo un metro e ottanta, per quanto le sue analisi, dal punto in cui si trovava, potevano essere precise. Prima che potesse dire qualcosa, l’uomo e Angela erano già nell’ascensore. Le sue mani rimasero chiuse dentro in un vano tentativo di tenere le porte aperte e accedervi. Tremò di dolore, mentre le lacrime iniziarono a scendere, a causa di un dolore più grande. Non osava immaginare cosa sarebbe successo alla sua amata, non voleva neppure provare ad immaginarlo, voleva solo salvarla. Il suo capo gli stava dietro, ma non se n’era accorto. Si voltò, lasciandosi scivolare lungo la porta principale dell’ascensore, di un verde macchiato da anni di ruggine. Finì a sedersi a terra, con il viso tra le gambe, aderenti al petto. Non aveva la forza di parlare, né di muoversi. Avrebbe semplicemente aspettato che qualcuno venisse in suo soccorso. E no, non si stava preoccupando per le mani, non si stava abbandonando al dolore alle dita, semplicemente decise di lasciare che tutto gli scivolasse addosso per una frazione d’attimo breve quanto un battito del cuore che stava per uscirgli dal petto con un frastuono incredibile, prima di scoppiare come petardi a Capodanno. Intorno a lui solo silenzio e un alone di solitudine grande quanto una capsula in grado d’avvolgerlo per il resto della vita. Sentì dei passi in quella che più o meno era lontananza, qualche corridoio indietro. Non se ne curò affatto, non gli importava, si era persino dimenticato della presenza dei suoi colleghi lì.
Solo quando sentì il respiro di Brennan avvicinarsi decise di sollevare il capo, mostrando il resto delle silenziose lacrime che gli avevano percorso le guance mentre era chinato. Sentì la sua mano sulla spalla, e rimase comunque in silenzio. «Faremo il possibile» furono le uniche tre parole che poté sentire mentre fuoriuscivano dalle labbra dell’antropologa, che aveva condiviso le sofferenze dell’agente e del resto delle persone che conosceva. Considerava Hodgins come uno della famiglia che non aveva mai davvero avuto, avrebbe fatto qualunque cosa per aiutarlo. Infondo, Angela era la sorella che non aveva. Evitò di mostrarsi in lacrime anche lei, l’aria di sofferenza che si respirava si poteva tagliare a fettine, tanto era consistente. Iniziò a bloccare il respiro d’entrambi, mentre la dottoressa Saroyan rimaneva in piedi di fronte a loro, naturalmente non lamentandosi di non essere minimente calcolata. Avrebbe senz’altro aiutato anche lei nelle ricerche di Angela. «LE SCALE!» Brennan urlò queste parole sollevandosi con la spinta dei palmi delle mani sul freddo pavimento del corridoio. Scosse Hodgins per la spalla, aiutandolo ad alzarsi, quasi sollevandogli di peso il braccio. In un primo momento l’entomologo non capì a cosa stesse puntando. Si limitò a guardarla perplesso, mentre lei s’avviava in una piccola corsetta verso le scale antincendio proprio dietro all’entrata dell’ascensore. La seguì, sostenuto moralmente dalla Saroyan che camminava accanto a lui come se stesse seguendo una marcia funebre.
La dottoressa si fermò a metà scala, agitando le braccia e facendo segnali piuttosto strani che i due non compresero. «Muovetevi!» Esclamò quindi, avendo deciso che le parole sarebbero state molto più efficaci. Forse, se avessero corso abbastanza velocemente, sarebbero riusciti a fare qualcosa, o magari a controllare che ci fossero delle videocamere che avessero ripreso la scena. Il pensiero di Brennan andava comunque ad Angela, ed era determinata ad acciuffare quell’uomo prima che uscisse dall’ospedale. Rifletté, e solo un minuto dopo, mentre la corsa si faceva più accelerata e pesante per lei, si ricordò di trovarsi in un ospedale. Il personale avrebbe dovuto fermare chiunque potesse sembrare strano o sospetto. Beh, ad ogni modo preferì continuare la sua corsa, molto più sicura di poter contare su sé stessa che su gente con cui non aveva fortunatamente ancora mai avuto a che fare. Non avrebbe voluto iniziare al momento a conoscere del personale che giudicava a priori del tutto incompetente. Si fermò appena fu sul retro dell’ospedale, dove le scale antincendio terminavano.
Mentalmente calcolò una decina di secondi per prevedere l’arrivo alle sue spalle della Saroyan e di Hodgins. Allo scadere dei dieci secondi la sua corsa riprese verso lo spiazzale, pieno di erbacce d’ogni genere corrispondenti ai punti in cui i muri s’intersecavano con il terreno d’un colore sul bruno. S’arrestò solamente quando vide l’uomo insieme ad Angela che tentava con scarsi risultati di superare una barriera all’altezza di un paio di chilometri dal capo della dottoressa. Alla sua sinistra una rampa di scale senza alcuna ringhiera che disegnava una perfetta curva verso il lato opposto appariva come una parte d’un edificio decisamente decadente. Non le importò, l’unica cosa da lei calcolata al momento fu nuovamente un arco temporale, l’arco temporale durante il quale avrebbe dovuto riuscire a risalire quegli scalini per poi fiondarsi sull’uomo, bloccandolo alle spalle prima che potesse fuggire scavalcando la barriera di fronte a sé.
Non avrebbe urlato nulla e sarebbe stata il più silenziosa possibile, il tutto sarebbe dovuto avvenire nell’arco di cinque secondi scarsi, o non avrebbe mai acciuffato il fuggiasco. Questi pensieri non durarono più di un decimo di secondo, perché fu già al terminare delle scale esattamente tre secondi cronometrati dall’aggeggio posizionato all’interno della tasca sinistra dei suoi pantaloni, che era stato impostato proprio all’inizio del piano per una maggiore precisione, nonostante non fosse solita fidarsi degli oggetti elettronici, bensì molto più del suo stesso cervello. Camminò diagonalmente dirigendosi verso il centro di un nuovo spiazzale, il quale si trovava al “piano” iniziato alla fine delle scale. Si lanciò esattamente come aveva fatto Jack prima di rompersi le dita delle mani all’interno dell’ascensore. Ecco che il rumore dei passi dei colleghi andò pian piano scemando, fino a smettere d’esistere. Non sentì più nulla se non il rumore del battere di piedi sopra la barriera lignea di fronte all’uomo che si trovava davanti, il quale fortunatamente non l’aveva notata. Era stata silenziosa e cauta, il più possibile, e in quel momento credette che sarebbe riuscita a compiere qualunque impresa. S’accorse però di star traendo conclusioni affrettate. “Smetti di pensare e agisci” era quello che Booth le ripeteva più spesso. Eccola quindi mentre le sue gambe furono in un duro attrito con la sabbia che riempiva la piattaforma, ma fortunatamente con le braccia riuscì a circondare le ginocchia del fuggitivo, stringendo le dita per evitare di mollare la presa, prima di finire a terra anche col busto con i movimenti leggermente più difficili da compiere. Passò non più di un istante tra quando si ritrovò in terra e quando si rialzò con un movimento rapido e un balzo in avanti. Angela era legata ad un palo all’estrema sinistra della piattaforma, un rettangolo orizzontale dalla fine della scala antincendio che la Brennan aveva usato come passaggio rapido e sicuro, per assicurarsi di non essere bloccata da nessuno durante la sua missione. Notò l’amica lanciarle un’occhiata colma di gratitudine immensa, mentre le labbra coperte da un bavaglio le tremavano d’impazienza e di preoccupazione, ed era visibile persino dalla distanza alla quale la donna si trovava, anche se naturalmente il suo sguardo non aveva il tempo di posarsi sul volto dell’amica, particolarmente impegnato a controllare ogni e qualsiasi movimento brusco dell’uomo, che nel frattempo cadde a terra provocando un tonfo perfettamente udibile anche dal piano inferiore. La Brennan lo blocca, portandogli le braccia dietro la schiena e costringendolo a piegarle facendo una certa pressione senz’altro dolorosa per lui. Tira fuori le manette che ha preso a Booth qualche giorno prima e l’ammanetta, mostrando un sorrisetto davvero fiero di quel che ha fatto. Adesso, in perfetto stile Temperance Brennan, le verrebbe davvero, davvero voglia di prenderlo a calci, ma proprio grazie al partner riconosce che non sarebbe la cosa migliore da fare, anche se la prima cosa che viene fuori al termine d’un arresto come quello è sicuramente la rabbia. La trattiene facendo respiri profondi e posando il piede destro sulla schiena dell’arrestato, incrociando poi le braccia al petto e sollevando lo sguardo al cielo con un sospiro stanco come si vede nei film americani degli anni cinquanta, quando il supereroe mette al tappeto il cattivo e lancia un malinconico ma fiero sguardo al cielo rivolto verso il luogo da cui in realtà proviene. E adesso si sente davvero la Wonder Woman di cui ha vestito i panni, una volta, per Halloween, nonostante riconosca di non aver fatto niente di che.
Prima che si ricordi della presenza di Angela passa qualche altro minuto, e se ne rende conto solo per un gemito della stessa, ancora maledettamente legata al palo senza la possibilità di muovere un muscolo. Ma essendo sola non può correre a slegarla, o l’arrestato rischierebbe di riuscire a scappare. Un attimo di silenzio. Un urlo. L’inconfondibile voce di Hodgins fa eco andando ad infrangersi contro il muro per tornare indietro verso lo stesso emissario, il quale sale le scale con una velocità incredibile, fiondandosi a slegare Angela con altrettanta velocità, in modo da poterla subito dopo abbracciare.
Un enorme frastuono proveniente dall’ospedale interruppe i convenevoli, mentre la Brennan continuava a tenere il piede fisso sulla schiena dell’uomo, rischiando di spezzargli la spina dorsale. Smise di guardare al cielo con aria trionfante e si fece aiutare da Hodgins a portare l’uomo all’interno della struttura, dove alcuni uomini della polizia erano pronti a portarlo in centrale. Quando i tre videro il buio al termine del corridoio di fronte a loro, appena sulle scale, a destra dell’ascensore si resero conto che qualcosa davvero non quadrava. «Cam?» Chiese titubante la dottoressa, mentre a passo lento, ma deciso, si avviava verso il buio assottigliando di poco le pupille per vedere il più lontano possibile. «Cam? Sei qui?» Era scomparsa da un po’, in effetti. Una porta si aprì, facendola scattare sull’attenti alla sinistra. L’ennesimo urlo, stavolta decisamente agghiacciante, provenne dal corridoio sul quale la camera di Booth s’affacciava. Corse a perdifiato per raggiungerlo, infischiandosene di quello che poteva esserle successo di fianco. «BOOTH!» Urlò, fiondandosi a spalancare la porta e lanciandosi all’interno della stanza rischiando all’ultimo di perdere l’equilibrio. Fortunatamente non lo perse e fu perfettamente in piedi di fronte al letto. Unico inconveniente? Il letto era…vuoto.
   
 
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