Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Ricorda la storia  |      
Autore: Euterpe_12    12/09/2011    5 recensioni
[Dedicata a Serenity Moon, per la sua amicizia, simpatia e per essere così speciale]
"Ichigo mi aveva rubato l’anima. Si era infilata in quell’angolo di cuore invaricabile, addirittura per me stesso. Si era impossessata della chiave e aveva deciso, capricciosa, che non me l’avrebbe mai restituita." [RyouXIchigo]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Senza Cielo

Questa è una one-shot che segna un po’ un “traguardo” della mia vita. Oggi ho scoperto di essere stata ammessa alla facoltà di psicologia e desidero festeggiare con voi pubblicando, appunto, questa fic. E’ romantica ma anche un po’ sofferente… come a mio solito!

Buona lettura! Euterpe_12

 

Senza Cielo

 

“Tutte le scosse che sento non sono soltanto dei brividi… sono emozioni che gridano in fondo ai ricordi abbandonati qui…” [Raf-“Senza cielo”]

 

 

“Così avete deciso di andarvene…” Ichigo si sedette accanto a me fuori dal Caffè Mew Mew, l’aria di fine agosto che ci solleticava la pelle. Fissava davanti a sé dopo che, cinque minuti prima, avevo pregato Keiichirou di dare la notizia alle ragazze.

Odiavo gli addii e quella volta, in particolare, non faceva eccezione.

“Sì” risposi allora con quella mia solita calma.

Ichigo aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia poi aveva racchiuso il mento tra le manine. In quella posizione sembrava più bambina dei suoi sedici anni.

“Sono trascorsi tre anni dal Mew Progect… perché proprio ora?” domandò così, probabilmente con un quisito che aveva da quando il mio amico aveva annunciato la nostra partenza per gli Stati Uniti.

Sospirai.

“Certe volte arriva il momento di lasciare andare il passato… e procedere verso il futuro…” dissi semplicemente tralasciando il fatto che in Giappone non c’era più posto per me. Da quando si era concluso il Mew Progect pareva che tutti avessero trovato una loro collocazione; un punto fermo, un’oasi di felicità. La mia oasi, purtroppo, era stata occupata e a quanto pareva non aveva alcuna intenzione di lasciarmi il posto per abbeverarmi. Guardai Ichigo negli occhi. Avrei voluto dissetarmi con il suo amore, far vantare il mio cuore del suo incondizionato affetto. Ma nonostante tutto questo lei non apprezzava i miei sentimenti. Ovvio, io non ero mai stato un genio a dimostrarli, ma anche uno sciocco si sarebbe reso conto dei miei sentimenti maledettamente palesi. Forse era per questo che le altre non mi avrebbero fatto domande per giustificare la mia partenza.

Con mia grande sorpresa però la vidi con gli occhi lucidi. Singhiozzava appena mentre le sue sciocche codine venivano cullate da un venticello leggero. S’asciugò una lacrima, poi prese fiato.

“E qui non avete un futuro? Shirogane-kun, non voglio che tu te ne vada!” esclamò poi trattenendo l’ennesimo singhiozzo.

Ichigo…” sussurrai guardandola. Non avevo altre parole. Come spiegarle che l’unico modo per farmi restare era ottenere, finalmente, il suo amore? Non ero così egoista e nemmeno così sognatore da permettermi di dirle qualsiasi cosa. Mi limitai a mantenere il mio silenzio e trattenni il desiderio di stringerla a me e confessarle ogni mio più piccolo segreto.

Se ne era poi andata via correndo, le lacrime che scivolavano lungo le guance. Mi alzai in piedi più che convinto che, tanto, il suo amato Aoyama l’avrebbe consolata. Mi dissi che tutto quel dolore che mi aveva manifestato in maniera così evidente doveva essere dovuto per lo più al Caffè Mew Mew: con la mia partenza e quella di Keiichirou il locale avrebbe chiuso e addio ai pomeriggi trascorsi a servire i clienti tra risate, battute e scherzi. Sì, non poteva che essere questo il motivo di tutta quella tristezza. Entrai nel locale. Per fortuna Ichigo era una persona che si consolava facilmente, complici quella sua innata ed inesauribile voglia di vivere e la sua simpatia che contagiava chiunque le stesse intorno.

Il giorno della partenza mi ero svegliato con un’insolita malinconia. Mi sentivo un perdente, il giovane ragazzo che aveva deciso di rinunciare al proprio amore  senza lottare. Ma avevo voglia di dare un sapore nuovo alla mia vita: lasciare quel Giappone che sapeva di fragole e di agrumi, per catapultarmi nei ricordi del passato. Quello che dovevo fare l’avevo fatto. Keiichirou si fece trovare sulla soglia della cucina, mentre stringevo la mia valigia.

“Ne sei sicuro?” esordì con la sua aria complice. Keiichirou viveva per la nostra amicizia: quando gli avevo comunicato il mio desiderio di andar via per la prima volta l’avevo visto aggrottare la fronte e dichiarare solo una piccola, minuscola frase: “sai che io faccio tutto quel che mi chiedi; ma prima di scappare parlale”. Aveva capito tutto, ovviamente. Il pasticcere era l’unica persona in grado di leggermi nell’animo e capire come stavo solo dal suono dei miei passi. Ma io ero stanco di soffrire perché, di sofferenza, la mia vita ne era già abbastanza  inondata. Così mi ero limitato ad annuire uscendo fuori, respirando l’aria fresca della mattina.

Lasciare Tokyo era come abbandonare un pezzo di me stesso e gettarlo in mare. Sentivo che sarei affogato nei ricordi e che mai avrei dimenticato la sensazione della luce calda della città quando mi svegliavo la mattina presto oppure il gusto eccezionale del pesce appena pescato. Avrei dimenticato, piano piano, quella lingua così musicale. Leggere il giornale con le ultime notizie seduto nel grande salone del caffè. Dirigere un locale e avere a che fare con cinque incredibili ragazze. Mi sarebbe mancato il trillo della sveglia che mi avvisava che bisognava lavorare. Aspettare il sorriso di Ichigo sulla soglia del Caffè o il suono della sua voce che mi avvisava che il cuore, presto, si sarebbe stretto nel petto.

Ichigo mi aveva rubato l’anima. Si era infilata in quell’angolo di cuore invaricabile, addirittura per me stesso. Si era impossessata della chiave e aveva deciso, capricciosa, che non me l’avrebbe mai restituita.

Così avevo vegetato in collera con me stesso, convinto che non ci sarebbe mai potuta essere altra cura che non fosse fuggire.

 Ero salito in auto, avevo acceso il motore e mi ero guardato intorno.

Cosa facevi, Ichigo?

Quali mani ti stringevano, quali labbra desideravi baciare?

Con un sospiro infilai la chiave, pronto a fare un ultimo giro prima di partire.

Mi sarei nutrito ancora una volta di quella città, l’avrei respirata, guardata, amata. Ne avrei rivissuto ogni ricordo conservato nella testa e nel cuore, convinto che mai nessun altro luogo sarebbe stato testimone di un amore così grande. Scossi il capo: Ryou Shirogane, da quando eri diventato così sdolcinato? Potevo dire data e ora dell’avvenimento, ma mi risparmiai quell’ennesima figura da idiota con me stesso.

Non girai la chiave poiché sentii qualcuno salire in auto e chiudere la portiera. Non mi voltai.

“Anche tu vuoi fare un giro?” domandai, convinto di parlare con Keiichirou. Con mia grande sorpresa, però, udii una voce femminile.

“Come preferisci”.

Mi voltai. Gli occhi spalancati, la figura di Ichigo seduta accanto a me. I capelli sciolti sulle spalle, in dosso un vestitino bianco leggero leggero come richiedeva la stagione. Ma ciò che mi stupì più di qualsiasi particolare fu il volto corrucciato ma senza le lacrime che lo rigavano invadenti. Tenni la mano sulla chiave appesa all’auto come un ebete, attendendo una sua mossa.

Ichigo…” sussurrai. Guardava di fronte a sé, come se fosse impegnata in un’attenta riflessione. Sorrise. Ma non uno dei suoi soliti abbaglianti sorrisi, ma uno schiudersi di labbra più cupo, inespressivo. Somigliava maledettamente ad uno dei miei, di sorrisi.

“Ho sempre creduto che gli aerei portassero la gente dove voleva andare… una specie di grande navicella che permette alle persone di realizzare i loro sogni, riabbracciare le persone a loro care o, ancora, raggiungere posti desiderati, sognati, ambiti ” sorrise di nuovo, questa volta mostrando il suo fare da bambina. Ma continuava a guardare davanti a sé, senza degnarmi di uno sguardo. “Poi Keiichirou l’altro giorno mi ha sventolato sotto il naso i vostri biglietti aerei. Shirogane-kun, ho smesso di credere a questa favola che mi raccontavo da anni”.

Abbassò lo sguardo, mentre alcune ciocche scarlatte le incorniciavano il viso.

Era maledettamente bella.

Il sole delle undici le illuminava gli occhi tristi, le labbra imbronciate, l’espressione atterrita. E io rimanevo là immobile, senza fare o dire qualcosa di minimamente intelligente.

Ichigo…” ripetei come un emerito idiota, osservando rapito quella figura esile e che bramavo da anni. Possibile che uno scriciolo di donna mi costringesse alla fuga? Io, che avevo salvato la Terra e la razza umana da una catastrofe? Strinsi gli occhi a quel pensiero, mentre la sentivo sospirare.

“Ora gli aerei hanno perso tutta la loro magia” fece un altro sorriso sempre più triste “Penso, anzi, che vi porteranno via da me e li odio per questo”. La vidi stringere un pugno.

“Perché mi stai dicendo questo?” finalmente riuscii a proferir parola. Come se avesse partecipato ad un monologo tutto suo, Ichigo alzò lo sguardo sorpreso su di me, come se fossi un fantasma. Arrossì. Adorabile, sensuale, bella.

“Per dirti che non voglio che te ne vai…” sussurrò, atterrita. Strinsi un pugno, sbigottito dall’incredibile ingenuità ma al contempo dalla grande dose di egoismo che quella giovane riusciva a manifestare in una sola frase. Strinsi poi il volante, sicuro che se fossi stato alla guida, in quelle condizioni, avrei sicuramente provocato un incidente.

“Dammi un motivo per restare…” sussurrai, pronto a giocarmi l’ultima carta. Avevo concesso al mio cuore di sperare per un ultimo attimo che mi sarebbe costato, ovviamente, una buona dose di sofferenza quando, per l’ennesima volta, sarei rimasto deluso da lei. Da Ichigo che non sapeva leggermi nello sguardo e non voleva capire quanto l’amassi sin nel midollo.

La vidi aprire la bocca per parlare, poi lasciare la frase a mezz’aria, un gemito uscì lento, inesorabile. “Arrivederci, Ichigo. Stammi bene”.

Accesi l’auto e il rombo del motore si confuse con i singhiozzi che lenti uscivano dalla sua bocca. La sentii uscire dall’abitacolo e correre via dal giardino del Caffè. Non la guardai: non volevo che l’ultima immagine della rossina fossero le sue lacrime. Preferii imprimere nella memoria il suo viso un po’ imbronciato, illuminato dal sole caldo delle undici. Un ricordo ben più bello e simbolico, seppur altrettanto malinconico.

E ora sono qua. La bella San Francisco mi guarda spavalda dal basso, mostrandomi sfacciata le sue luci, i suoi grattacieli, le sue storie. Tanti frammenti di vita che si scontrano, si fondono e giocano tra loro costruendo vicende fatte di tutto e di niente, di cose dette e non dette.

Quante cose mi sono tenuto per me senza dirtele, Ichigo?

Inizio a contarle sulle dita ma mi stanco subito: la lista sarebbe troppo lunga per andare avanti.

Sono sempre stato convinto che la mia intelligenza mi avrebbe aiutato quando avrei sofferto dentro al cuore. Che il cervello avrebbe sovrastato in abbondanza quell’inutile organo che batteva nella parte sinistra del petto, governandolo a proprio piacimento.

Bhè, ero stato uno sciocco a crederlo.

Termino il mio Martini mentre sento in lontananza alcuni fuochi d’artificio. Deve essere una ricorrenza particolare. Le auto si accumulano su una collina qua accanto, i proprietari, probabilmente, non vogliono perdersi lo spettacolo. Data l’altezza del grattacielo in cui abito credo che si possano vedere i fuochi luminosi ma non alzo lo sguardo: niente mi incuriosisce, nulla può far destare il mio interesse. Keiichirou è uscito. E’ andato a dare un’occhiata ad un bar che gli piacerebbe comprare per tirare su un’attività simile a quella del Caffè Mew Mew. Chiudo gli occhi, convinto che anche se sono fuggito, ora solo più domande mi affollano la mente: se Ichigo sta bene, se ha bisogno di me o, al contrario, se il mio ricordo si è già affievolito nella sua mente. Mi alzo abbandonando il grande terrazzo. Io e Keiichirou ci siamo trasferiti in un lussuoso attico nel quartiere più rinnomato della città, fatto di luci e di rumori in qualsiasi ora del giorno e della notte. Un luogo fatto di tante storie alle quali, però, non riesco a partecipare attivamente. E’ come se stessi osservando passivamente la mia vita scorrere, inutile a me stesso e agli altri. Mi siedo davanti al pc, dicendomi che da quando sono partito, un mese fa, non ho ancora controllato la posta elettronica. Non attendo una serie di e-mail: Minto, Zakuro e Retasu le ho sentite telefonicamente e mi hanno detto di stare tutte bene, anche se manchiamo tanto a tutte loro.

Sapeste quanto mancate a me, ragazze.

La pagina di Yahoo mi si apre davanti agli occhi mentre digito Id e password. Senza essere troppo sorpreso noto solo della pubblicità e l’aggiornamento di un sito di libri al quale mi sono iscritto tempo fa. Scorro la pagina cestinando la maggior parte dell’e-mails senza neanche leggerle. Noto però che il messaggio più recente ha un mittente a me conosciuto.

Ichigo…” sussurro mentre il messaggio si presenta spavaldo davanti ai miei occhi. Guardo l’orologio: le 23.14, mentre l’e-mail è stata inviata alle 23.11.

Segno del destino?

Incuriosito, forse per la prima volta nella mia vita, apro di fretta l’e-mail aspettandomi di tutto meno la lettera lunga ed articolata che mi si presenta davanti. Prendo un lungo sorso d’aria prima di iniziare a leggerla.

“Ciao Shirogane-kun,

Non potevo farcela. E’ dal giorno della tua partenza che rifletto senza sosta sulla domanda che mi hai fatto e ripenso mille e mille volte a me mentre rimango zitta e non ho idea di cosa rispondere. Mi hai chiesto freddamente, come a tuo solito, di dirti un motivo valido per restare in Giappone. Per non prendere quell’aereo e salutare un luogo dove, ammettilo, hai fatto la cosa più sconvolgente che un ragazzo possa fare: salvare il mondo. Cavoli Shirogane, alle volte ci penso: noi abbiamo dato una seconda possibilità al genere umano, abbiamo salvato persone innocenti e combattuto senza sosta per un anno intero. E più ci penso più in mente salta il tuo nome perché tu, dopo aver sacrificato tanto nella tua vita, sei stato in grado di mettere su tutto questo.

Il mondo ti deve la vita? Direi di sì. E tu sei talmente ottuso che nemmeno te ne rendi conto. Non so il motivo per cui, dopo aver fatto una cosa così straordinaria, tu viva continuamente con quel muso lungo, le mani in tasca e l’espressione di chi non glie ne frega niente di ciò che gli accade intorno. Ti ho guardato tanto e mi sono chiesta troppe volte cosa frullasse nella tua mente così geniale, ma non riuscivo mai a capirlo.

Ti chiederai perché ti sto dicendo tutto questo ma ti dico soltanto che se ti avessi avuto davanti o se ci fossimo parlati al telefono probabilmente non avrei spiccicato mezza parola. E’ la distanza che mi rassicura ma al contempo mi spaventa: ciò che sto per dirti è talmente grande ed immenso che ne ho una gran paura e forse solo quest’oceano che ci divide mi dà la convinzione che se chiuderai con indifferenza questa pagina, allora, non succederà assolutamente niente.

Vedi, ho capito tutto quando te ne sei andato. Quando non passavo più il mio tempo al Caffè, attendendo qualche tua battuta sarcastica o qualche tuo sproloquio che per me non aveva alcun senso. Ci ho riflettuto a fondo, ho pensato a te, a me, a noi. Ho pensato a quanto mi mancavano i tuoi occhi, sì finalmente l’ho detto, che mi ricordano tanto il cielo. Un cielo limpido e sereno, quello che colora le giornate più belle della nostra vita. Quel cielo che si incastra tra i ricordi e non hai voglia di cancellarlo perché ci sta così bene tra un ricordo e l’altro che ti sembra un peccato buttarlo via. Sorrido mentre ti scrivo ma devo confessarti che da quando sei andato via è come se quel cielo si fosse improvvisamente spento, lasciando il posto ad una notte buia.

Mi sento… come dire? Senza cielo.

Mi manchi Shirogane-kun e non come potresti mancare ad una semplice amica. Mi manchi come mancheresti ad una ragazza che ha appena capito di essersi innamorata di te e che non può fare un bel niente per farti tornare se non aprirti il suo cuore.

Che fai ora?

Ti immagino mentre ridi sguaiatamente di questa piccola adolescente che capisce sempre troppo tardi quello che prova. Oppure sei basito e, spero, stai riflettendo seriamente sull’opzione di tornare qui, da me.

Prendili come idioti vaneggiamenti o come la riflessione sofferta, difficile e ardua di una ragazza che ti vorrebbe vicino, per sempre. Per questo ho lasciato Aoyama-kun: non avrebbe avuto senso restare con lui pensando a te.

Ti aspetterò, anche se sei libero di lasciarmi perdere, egoista e “tarda” quale sono.

Con amore,

Ichigo

I miei occhi scorrono continuamente per gli ultimi righi della pagina: sono basito, ma al contempo estremamente felice. Ho paura che sia solo un sogno. Vorrei precipitarmi sul cellulare e telefonarle, cessare quel silenzio tra di noi e dirle che sì, è una sciocca, ma io la amo proprio per questo. Sento le chiavi nella serratura. Keiichirou entra fischiettando poi si dirige verso il salone. Mi trova ancora seduto davanti al pc, la bocca socchiusa e un’espressione stupita in viso.

“Finalmente ti ha inviato quell’e-mail?” domanda il mio amico. Lo sguardo si sposta prima su di lui, poi sullo schermo del pc, poi di nuovo su di lui.

“Tu…” sussurro sempre più stupito.

“Mi ha telefonato qualche giorno fa in preda alla disperazione. Non sapeva cosa fare e così le ho suggerito di scriverti una lettera se non aveva il coraggio di dirti tutto a voce. Direi che mi ha ascoltato!” Keiichirou si siede di fronte a me sul divano. Trattengo l’istinto omicida ma continuo a rimanere inchiodato su quella sedia, indeciso sul da farsi. La verità è che vorrei davvero prendere quell’aereo e approdare a Tokyo in cinque minuti.

“Io…” sussurro.

“Cosa aspetti? Va a preparare la borsa, che io ti prenoto il volo su internet” fa un sorriso leggero poi mi alzo in piedi. Ha giusto il tempo di abbracciarmi forte e sussurrare un “Finalmente” tra i miei capelli.

E poi corro. Keiichirou è stato un genio: ha trovato un volo che sarebbe partito tra due ore e, fortunatamente, aveva un posto libero. Ovviamente ho preparato tutto alla velocità della luce. Zaino in spalla e un giubbotto addosso sono pronto a prendere il mio aereo.

Solo qualche ora ci separa, Ichigo.

Quando sono sull’aereo guardo il mondo da lassù. Mi piacerebbe essere stato più combattivo in questa battaglia d’amore, non aver combinato tutto questo pastrocchio e aver preso in mano solo carta e penna e aver scritto tutto ciò che il mio cuore provava, lasciando che fosse lui a dettare ogni singola parola. Purtroppo non ero stato io quello più coraggioso: in compenso Ichigo, da brava guerriera, aveva preso in mano il proprio cuore e ci aveva conversato ammettendo i propri sentimenti.

Quando arrivo, Tokyo è sotto la pioggia. Le biciclette si fermano agli angoli delle strade, le automobili sollevano grosse pozzanghere d’acqua e i bambini corrono con i loro stivali colorati. Sento la gente parlare quella lingua che tanto mi è mancata, la stessa lingua che ho letto quando ho scoperto che la ragazza che amo con tutto me stesso mi ricambia. Prendo un taxi e arrivo finalmente davanti a casa di Ichigo. Ho ore di aereo alle spalle, i capelli tutti bagnati ma non sono stanco:  è come se i muscoli avessero fatto un patto con il cuore e avessero stabilito che prima avrei sfiorato le labbra di Ichigo, poi avrei concesso loro il riposo meritato. Ammetto, però, che quando arrivo davanti alla porta di casa sua ho il fiatone. Non so se suonare il campanello o chiamarla. E’ il tardo pomeriggio e forse è uscita o chissà cosa sta combinando. Decido di mandarle un sms. Rifletto a lungo su cosa scriverle, poi mi decido, un po’ matto ma tanto innamorato.

“Sono venuto a portarti il cielo”

Decido di scriverle, inviando subito il messaggio. Non ricevo risposta. Vedo una testolina rossa sbucare dalla sua camera, poi un sorriso ampio occupare quel visino dai lineamenti sottili. Passano pochi secondi prima che io veda Ichigo sulla soglia di casa sua, una tuta semplice in dosso e le ciabatte rosa. Non resisto. Infilo una mano tra i suoi capelli per poi attirarla a me, in un bacio che sa d’amore, di futuro. Sorride con me sotto la pioggia mentre credo che alcune lacrime si confondano con acqua che cade dal cielo.

“Ti amo, Ichigo” le dico spazientito: quella piccola verità mi è rimasta incastrata tra le labbra per troppo tempo perché fossi in grado di trattenerla ancora per tanto. S’asciuga una lacrima, poi poggia le sue mani sul mio viso. Mi guarda dritto negli occhi, sorridendo. E quello sembra il sorriso più bello che io abbia mai visto.

“Ti amo, Ryou”.” 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Euterpe_12