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Autore: LaU_U    13/09/2011    6 recensioni
Un Richard Castle di otto anni impegnato a giocare, scrivere, recitare... dando sfogo alla sua fantasia!
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Martha Rodgers, Richard Castle, Rick Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo del tempo libero'
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«Ciuf ciuuuuuuf! Ciuf ciuuuuuuf!
Il treno andava veloce sui binari e sputava una nuvola di fumo nero dalla sua ciminiera.
Ciuf ciuuuuuuf!
“Oh, no! La locomotiva sta arrivando. Ci ucciderà se non mi liberi.”
“Non ti agitare, bellezza. Quel treno non riuscirà a farti del male perché lo fermerò col mio orologio magico. Potere del raggio laser, VIENI A MEEEEEEEEEE!!!”
Il treno correva sempre più veloce avvicinandosi alla ragazza e al supereroe. Ciuf ciuuuuuuf!
“Non funziona. Non si ferma, Capitan Laser! Ci ucciderà. Mettiti in salvo!”
“Non ti abbandonerò, Marylin. Aumenterò la potenza. Pcium! WEEEEEEE! FERMATI STUPIDO TRENO MALEFICO. ORAAAAAAAA! TI DISTRUGGO!”»
«Richard, ma si può sapere perché urli in questo modo? Sto cercando di studiare una parte.»
La donna entrò d’improvviso nella cameretta del figlio, trovandolo sdraiato a terra a pancia in giù con una Barbie nuda in una mano e un Ken col petto colorato di pennarello verde nell’altra. Attorno a lui era sparso uno stuolo di pupazzetti e giocattoli di tutti i tipi i cui giorni migliori sembravano lontani anni luce; ognuno appariva ammaccato e sporco come fosse uscito da una battaglia epica per il dominio dell’universo.
«Sto salvando il mondo dai treni assassini. Scappa, mamma. Potrebbe essere pericoloso. Ciuf ciuuuuuuf!»
Il bambino rotolò fino a raccogliere la locomotiva e poi corse in direzione della madre, fingendo che il giocattolo avesse vita propria.
«Mettiti in salvo! “Qui ci pensa Capitan Laser!” Sbang! Bom, bom, bom! BOOOOOOM! »
«Rick, fermati!»
Il ragazzino continuò a simulare una lotta fra il Ken dal torso di smeraldo e il mezzo malvagio, accompagnando l’animato scontro con versi e rumori a voce sempre più alta.
«Richard, calmati. Ora BASTA!»
Il grido della donna fece bloccare immediatamente il bambino che restò impietrito per lo spavento e si mise a fissare la madre ad occhi sgranati senza dire nulla. Il nervosismo di Martha svanì, soppiantato dal senso di colpa per aver provocato quella reazione in suo figlio, i cui occhi stavano cominciando a diventare lucidi. La donna sospirò e si sedette sul lettino nella stanza, battendo qualche colpo accanto a sé per invitare Rick a raggiungerla. Lui le si mise di fianco tenendo lo sguardo basso sui giocattoli che aveva in mano e che in quel momento stringeva forte nei palmi.
«A che gioco stavi giocando?» cominciò lei, pacata ed impacciata. Il bimbo rispose alzando le spalle, ma lei insistette desiderosa di farsi perdonare lo scatto di rabbia appena avuto.
«C’è un treno cattivo?»
Un'altra alzata di spalle.
«Ah, ma qui abbiamo il supereroe Capitan Laser, o sbaglio?»
«Sì» rispose Rick a bassa voce, mosso dal piacere di sapere che la madre conosceva il nome del personaggio che aveva inventato lui stesso.
«E quella è la sua fidanzata?» chiese indicando la Barbie denudata e dalla chioma scompigliata.
«Lui non ha una fidanzata sola. Tutte lo amano.»
«Tutte quante? Allora dev’essere proprio bello questo Capitan Laser!»
«È anche forte. E buono. Però a volte la polizia si arrabbia con lui perché distrugge le cose e perché fa rumore. Ma lui è buono anche se picchia, perché lui picchia i cattivi.»
«Certo che è buono. Lo si capisce appena lo si guarda negli occhi che è buono.»
Martha intuì che inconsciamente il figlio stava parlando di se stesso e volle rassicurarlo sul fatto che nonostante fosse un confusionario questo non faceva di lui una brutta persona. Era sempre stato un bambino incredibilmente dolce ed affettuoso, ma, nonostante il suo essere estroverso, talvolta le appariva piuttosto insicuro e bisognoso di conferme.
«Capitan Laser è riuscito a salvare la principessa?»
«Ma che principessa! È una ragazza!»
«Anche le principesse sono ragazze, sai?»
«Sì, ma questa non è ricca. E poi…»
Si interruppe e gonfiò la bocca d’aria, come se questa potesse prendere il posto delle parole e fermarle.
«E poi cosa?» chiese la donna ridacchiando per la faccia buffa del suo interlocutore.
Rick attese qualche secondo e poi sputò l’aria fuori con una piccola pernacchia.
«E poi si sono rotti tutti i suoi vestiti belli. Quindi ora non ne ha più. E le principesse hanno sempre dei vestiti eleganti.»
«Si sono rotti da soli, vero?» chiese Martha, con un velo di sarcasmo e un sorriso. Il bambino alzò nuovamente le spalle guardando dall’altro lato. Era abbastanza ovvio che quella piccola peste aveva partecipato all’operazione di disintegrazione di quei costumi.
«Senti, ora la mamma deve studiare una parte perché domani inizia delle prove importanti, ti ricordi?»
Lui annuì.
«Che ne diresti se invece di giocare inizi a scrivere un’altra delle tue storie?»
Rick mugugnò e poi fece un cenno di assenso con la testa. L’idea non doveva dispiacergli troppo.
«Perfetto! » aggiunse la donna alzandosi e dando un bacio sulla testa del ragazzino. Poi uscì dalla stanza per tornare in camera sua, mentre il bambino andava a recuperare qualche foglio e una matita dalla sua piccola scrivania.
«Ah, Richard!» Martha sbucò sull’uscio. «Lascia stare per una buona volta i mostri fatti di caccole.»
 
 
«”E poi la luna era diventata rossa.”  No. “E poi la luna rossa aveva iniziato...” No. “La luna era…” Aaaaaah! Uffa!»
Il ragazzino scagliò la matita verso il pavimento. Strinse i pugni e i denti con tutte le sue energie facendo vibrare le sue braccia per la tensione. Era arrabbiato. Era infuriato perché non riusciva a trovare le parole adatte a esprimere quel che voleva dire. Sforzò i suoi muscoli fino a quando divenne così paonazzo e stanco che dovette rilassarsi per riprendere fiato. Respirò a bocca aperta fissando il vuoto. Quando si fu calmato andò a recuperare la matita, scoprendo che la punta si era spezzata e aveva lasciato un segno scuro sul parquet nel momento in cui si era infranta su di esso. Sua madre non avrebbe gradito la cosa, quindi Richard si leccò un dito e lo strofinò sulla chiazza per eliminarla. Per suo sollievo vi riuscì subito, anche se notò che si era creato un piccolo solco sulla superficie del pavimento. Forse lei non se ne sarebbe accorta, si disse il bambino. Tornò a sedersi al suo tavolo fissando il foglio pieno di cancellature e frasi scritte e riscritte. L’inizio della storia non era male, a parer suo, ma come poteva proseguirla? Perché era così difficile farlo? Sicuramente la sua mamma avrebbe potuto dargli un consiglio.
 
 
«La situazione non è quella che voi raccontate. Mio nonno come il mio bisnonno ritenevano che le loro terre arrivassero fino alla Palude Bruciata, ciò significa che il Praticello dei Bovi è nostro. Non capisco che cosa vi sia da discutere. E’ perfino irritante!»
Silenzio.
«No, voi state semplicemente scherzando oppure vi state prendendo gioco di me. Che bella sorpresa! Noi possediamo quella terra da quasi trecento anni, e ad un tratto ci vengono a dire che non è nostra! Ivan Vass… Com’è che era il nome di questo russo? Va. Ssi. Li. Evic. Vassilievic, giusto.»
Il rumore di fogli appoggiati da qualche parte e un colpo di tosse per schiarirsi la voce.
«Noi possediamo quella terra da quasi trecento anni, e ad un tratto ci vengono a dire che non è nostra! Ivan Vassilievic, scusate, ma stento perfino a credere alle mie orecchie. Non tengo affatto a questo prato. Misurerà…»
«Mamma?»
La donna si voltò di scatto vedendo la testa del figlio far capolino sulla porta.
«Che c’è, Richard? Ora ho da fare» fu la risposta risoluta. Il bambino aprì la bocca per controbattere, ma la madre si era già voltata per riprendere le sue prove.
«Non tengo affatto a questo prato. Misurerà in tutto cinque dessiatine e varrà, sì e no, trecento rubli; ma l’ingiustizia mi irrita. Dite quel che volete, non posso tollerare ingiustizie…»
 
 
Rick se ne andò sconsolato in cucina, si arrampicò su un alto sgabello e accese il televisore, passando da un canale all’altro senz’alcun interesse. La tv non trasmetteva nessun programma che potesse attirare la sua attenzione; qualche soap opera, telegiornali, documentari, talk show con gente che si urlava contro. Di cartoni animati neanche l’ombra.
Cosa poteva fare per non annoiarsi e per far sì che sua madre fosse contenta? Un disegno? Non era mai stato molto bravo con pastelli e pennarelli. L’ultima volta aveva disegnato per un pomeriggio intero creando un cavallo con due grosse ali bianche che combatteva contro un carro armato e il commento di Martha alla vista dell’opera conclusa fu: “Bello! Ma perché i bracconieri stanno ingabbiando quel povero rinoceronte? Lascialo libero!” Quella sera Richard decise in via definitiva di lasciar perdere una carriera nell’ambito delle arti figurative.
Qual era la cosa che sua madre amava di più? Sicuramente la recitazione! Avrebbe potuto creare uno spettacolo e metterlo in scena per lei. Ne sarebbe stata orgogliosa.
Il bambino saltò giù dallo sgabello e si fiondò nella sua cameretta. La prima cosa da fare era allestire un palcoscenico. Era stato a teatro qualche volta assistendo alle rappresentazioni da dietro le quinte. Innanzitutto era essenziale un telone per separare gli attori dal pubblico. Aprì l’ultimo cassetto di un mobile con sopra stampato Topolino e si mise a rovistare fra le lenzuola alla ricerca di quello più adatto. Doveva essere rosso, sennò non sarebbe sembrato un vero teatro. Mentre il cassetto si svuotava, il pavimento della stanza si riempì di coperte, ma sfortunatamente nessuna di esse era del colore desiderato.
«Come faccio adesso?»
Bloccarsi al primo passo non era un segnale positivo. Martha diceva sempre che uno spettacolo per funzionare deve essere accompagnato dalla buona sorte fin dal provino. Non avere neanche un palco credibile avrebbe bloccato sul nascere quella produzione teatrale di Manhattan.
«Ma certo! Il tappeto!»
Era rosso e sembrava fatto del materiale perfetto. I teli erano così grossi e pesanti, non come le lenzuola di cotone. Una volta Rick era finito fra le spire di uno di essi e pensava che non ne sarebbe mai più venuto fuori. Là in mezzo passava a malapena l’aria per respirare, ma fortunatamente qualcuno aprì il sipario e lo salvò. Tuttavia il salvataggio non fu del tutto efficace, in quanto non gli fece scampare anche le sculacciate della madre, furibonda perché era dovuta correre a recuperarlo sul palco quando lo spettacolo era iniziato.
Raccattato il tappeto, serviva una fune per tenderlo e qualche molletta perché stesse in piedi. Una corda da bucato che attendeva sul pavimento del bagno di essere appesa sarebbe stata perfetta. Richard ritornò nella sua stanza, stese la funicella a terra e vi poggiò sopra il futuro sipario, pinzandolo per bene. Poi si guardò intorno pensando a dove attaccarlo. C’era una lampada da pavimento che forse avrebbe fatto al caso suo. Arrotolò un capo della corda all’asta e andò a recuperare l’altra cima. Non appena cercò di sollevarla vide la luce ondeggiare.
«No! No! No!»
Si fiondò a fermarla prima che il danno fosse irreparabile, il cuore scatenato per lo spavento.
«No, questa cade» realizzò.
Magari il chiodo che reggeva il suo puzzle di Batman sarebbe stato un appiglio migliore. Salì sul suo letto e levò la cornice, poi trascinò la corda con tutte le sue forze. Era molto pesante con sopra quel tappeto, lungo il doppio di lui. Stringendo i denti e tirando con decisione riuscì ad agganciare la fune. Ora gli serviva un secondo gancio. La sua seggiola era troppo leggera, il tavolo troppo instabile, i pupazzi non erano per niente adatti allo scopo; ci provò, ma non riuscivano a reggere neanche accatastati l’uno sull’altro. L’idea della pila di lego fu scartata a sua volta. Lo scintillio della maniglia della finestra fu una vera illuminazione. Richard usò la sedia per arrivare all’altezza giusta e tirò con tutta la forza che aveva in corpo fino ad arrotolare la seconda cima alla maniglia. Scese ad ammirare il suo lavoro: quello sì che era un sipario da teatro!
Un’altra cosa importante per un palco erano le luci, ma quelle non sarebbero state un problema. Sua mamma aveva una grossa torcia che usava per vedere al buio nei momenti in cui saltava la corrente. Poteva metterci una carta crespa davanti per cambiarne la tonalità. Ne aveva alcuni piccoli rimasugli di vari colori quindi li unì con del nastro adesivo e li attaccò alla pila elettrica, verificando che l’esperimento funzionasse. Sul soffitto venne proiettata una macchia multi cromatica che rese il piccolo inventore soddisfatto di se stesso.
Cosa mancava ora? Certo, un testo! Sarebbero bastate delle linee guida, poi il talento recitativo che scorreva nel sangue dei Rodgers - come amava vantare sua madre – avrebbe fatto il resto. Gli venne l’idea di mettere in scena la storia di un bambino orfano che scopriva di essere il figlio di un mago potentissimo e che quindi possedeva lui stesso dei poteri con cui sarebbe riuscito a sconfiggere dei compagni di classe che lo prendevano in giro perché era grasso. C’era l’eroe, c’erano i cattivi, c’era il sovrannaturale e c’era il lieto fine: quella storia era pressoché perfetta. Rick cercò giusto un paio di battute ad effetto per caratterizzare meglio il suo protagonista. Il problema sarebbe stato interpretare tutti i personaggi, ma in fondo sarebbe bastato cambiare posizione sul palco, usare dei pupazzi e fare la voce grossa quando sarebbero giunte le battute del mago.
Gli ultimi accorgimenti furono un paio di mantelli, un cappello a punta reduce dell’ultimo Halloween e un gufo di legno come famiglio magico. Tutto era pronto per andare in scena.
 
 
Martha Rodgers era stesa sul divano a rileggere per l’ennesima volta le battute che avrebbe dovuto recitare il giorno successivo davanti ad un regista che non aveva mai conosciuto, quando sentì un leggero rumore verso la porta. Allungò l’occhio e vide un foglietto di carta passare sotto la fessura e un’ombra nel corridoio allontanarsi. Si chiese cosa avesse architettato suo figlio quella volta. La settimana prima le aveva fatto avere un biglietto nello stesso modo così da scusarsi per averle staccato delle paillettes colorate da un vestito da sera che aveva pronto sul letto per una serata importante. La donna si alzò e prese il pezzo di carta. Sorrise al leggerne le parole.
 

Madam, sei invitata
allo spetacolo di teatro
di Richard Alexander Rodgers.
Questo è il biglieto da dare alla cas-
                                                  sa.

 
 
Martha bussò alla porta della cameretta e un agitato “avanti” la convinse ad entrare.
«È permesso?»
Le persiane erano state socchiuse e nella penombra tutto sembrava sottosopra. L’unica fonte di luce all’interno era una torcia che puntava verso il pavimento creando delle macchie colorate sul parquet. Una corda correva dalla parete accanto il letto di Rick alla maniglia della finestra ed il tappeto del salotto era steso su di essa così da creare una minuscola area triangolare in un angolo della stanza che probabilmente sarebbe stata adibita a palcoscenico. Tutti i pupazzi di suo figlio erano accatastati lungo un muro ed accanto ad essi dei mattoncini per le costruzioni e lenzuola avevano avuto la stessa sorte. La donna prese un profondo respiro per impedirsi di urlare per quell’immensa confusione. Richard le aveva fatto una sorpresa, doveva dimostrarsi aperta e comprensiva e in ogni caso era piuttosto curiosa di scoprire cosa l’aspettava.
«Wow. Ma qui c’è un vero teatro!» disse enfatizzando entusiasmo.
«Benvenuti, signore e signori!» annunciò una voce da dietro il tappeto. «Oggi andrà in scena lo spettacolo di Richard Alexander Rodgers che si chiama “Il mago-papà”. Sedetevi che sta per iniziare. Silenzio in sala.»
Ci fu qualche secondo di quiete durante il quale Martha si accomodò su una seggiolina posta proprio di fronte all’improvvisato sipario, ma poi la spiegazione riprese:
«Ah, è vietato mangiare e fumare e bere. Grazie. Silenzio in sala.»
L’attrice riconobbe delle frasi che suo figlio aveva udito durante la presentazione di un suo show e che dovevano essergli rimaste impresse.
Il tappeto si mosse lasciando intuire che le mani di Rick lo stavano toccando in alcuni punti.
«Oh, no» bisbigliò lui. «E ora che faccio?»
Il ragazzino realizzò in quel momento che il suo sipario non aveva la conformazione adatta a permettere di spalancarlo nel centro: non c’erano due teli da tirare, ma solo uno. Spostarlo tutto da una parte sarebbe stata la soluzione migliore. afferrò un lembo e lo strattonò, ma non ci fu alcuno scorrimento per cui dovette insistere sotto gli occhi divertiti e preoccupati della madre che intravedeva solo le manine del bambino. Tirò e tirò fino a quando le tensioni ripetute intaccarono il già precario appiglio e la fune si staccò dal chiodo sulla parete. Il sipario cadde a terra ai piedi di Rick che lo fissò paralizzato per qualche secondo. “Lo spettacolo deve continuare” diceva sempre Martha, quindi lui non si fece svilire e decise di far finta che nulla fosse accaduto.
«Uffa, non voglio andare a scuola, i miei compagni sono cattivi e mi prendono in giro. E la maestra non mi difende.»
Richard stava camminando in tondo con uno zainetto sulle spalle guardando il pavimento con aria mesta e dicendo le sue battute con la tipica cadenza dei bambini nelle recite scolastiche, per niente naturale. La sua figura era appena visibile data la semi-oscurità della stanza, ma lui non se ne accorse e non se ne curò.
«Ehi, tu, pivello!»
Il bimbo prese il grosso pupazzo di un alligatore e lo mise in scena di fronte a sé, assieme a quello di un orsetto rosa a cui mancava un occhio. Per far capire che non era più il protagonista a parlare pronunciò le battute degli antagonisti con voce roca.
«Guarda, è arrivato il ciccione.»
«Non sono un ciccione!»
«Sì che lo sei. E ora ti diamo degli schiaffi sulla tua pancia gigante.»
«No, lasciatemi stare!»
«Noi siamo più grandi e facciamo quel che vogliamo.»
«No, basta!»
Rick spostò i pupazzi fuori dalla scena e si mise a correre in tondo, come se stesse fuggendo fino a che rallentò e fece come per guardarsi attorno, camminando quatto quatto.
«Oh, no. Mi sono perso nel bosco, come farò a tornare a casa?»
Martha deglutì al sentire la domanda chiudersi in un acuto, ponendo l’accento sull’ultima parola. Non sarebbe stato accettato un fatto del genere da parte di un attore, ma dovette ammettere che quella recitazione forzata rendeva la scena incredibilmente dolce.
«Fa freddo e ho paura» disse sfregandosi le braccia.
«Uh uh. Uh uh.»
«Ma che cos’è questo suono? Sembra il verso di un gufo.»
«Uh uh. Uh uh.»
Il bambino andò a recuperare l’animale di legno che aveva messo da parte. Era molto pesante, ma lo fece ondeggiare in aria come se stesse volando. Sua madre sussultò. Quello era un costoso regalo donatogli da un caro amico che era stato in Siberia anni prima e vedere suo figlio giocarci in quel modo la fece rabbrividire.
«Ciao, gufo! Mi puoi aiutare? Mi sono perso e voglio tornare a casa.»
«Uh uh. Certo, vieni con uh uh me.»
Richard fece volare ancora la scultura camminando un’altra volta in cerchio.
«Uh uh. Qui c’è un uh uh mago potentissimo che può uh uh aiutarti.»
«Grazie, amico gufo! Toc toc» disse Rick battendo ad una porta immaginaria.
«Avanti! » rispose una voce grossa, fatta sempre dallo stesso bambino che immediatamente aprì l’uscio invisibile ed entrò nella misteriosa casa.
«Ciao signor mago. Sono Ric… ehm… sono Luke e mi sono perso. Mi puoi aiutare a tornare a casa?»
Il bimbo fece spuntare in scena un busto coperto di stoffa che sua madre utilizzava per attaccarci dei gioielli. Sulla testa aveva un cappello nero da strega.
«Luke? Sei proprio tu? Non posso crederci. Luke, io sono tuo padre.»
Martha non riuscì a trattenere una risata.
«Ma io non ho un padre!»
«Sì, invece e sono io. Quando eri piccolissimo c’è stata una guerra magica qui nel bosco e allora ho detto alla mamma di portarti via per salvarti, ma poi, quando le battaglie sono finite, non sapevo dove cercarvi ed ero tanto triste. Ma ora sei qui. Abbracciami.»
Richard corse verso mezzo-manichino, rischiando di inciampare nel tappeto che c’era fra i suoi piedi. Gettò poi le braccia al collo del busto facendo cadere il cappello e rimettendoglielo all’istante.
«Papà ci sono dei bambini cattivi a scuola che mi trattano male e io sono triste.»
«Tu sei un mago, Luke. Puoi imparare degli incantesimi per vendicarti, così la smetteranno.»
«Che bella idea!»
Ci fu una parte narrata senza recitazione:
«E così Luke imparò tantissime magie e, grazie a suo padre, riuscì a trovare la strada di casa, ma prima passò a scuola.»
Furono recuperati orsetto e alligatore.
«Ecco il ciccione. Vieni qui che ti tiriamo le mutande.»
Luke puntò l’indice verso gli avversari e fece uno sguardo minaccioso:
«Non mi prenderete più in giro d’ora in poi perché se lo farete io vi farò delle magie.»
«Stai solo scherzando.»
«Ah, sì? Allora ecco la prima: quando tornerete nella vostra cameretta la troverete piena di centinaia di mutande e non potrete neanche camminarci dentro per quante sono.»
«Non ci crediamo.»
«Allora vi faccio un altro incantesimo. Quando dirò “winx winx” cadrete a terra. E ora: WINX WINX!»
Il bambino diede uno spintone ai pupazzi per farli rotolare sul pavimento.
«Ha ragione, è un mago. Scappiamo.»
«Bravi! E non tornate mai più» aggiunse scagliando i peluche dall’altra parte della stanza rischiando di colpire la madre in piena faccia.
Un’altra parte di narrazione concluse la rappresentazione:
«E così i bambini non fecero più i prepotenti e nessuno prendeva più in giro Luke per la sua pancia. Il suo papà e la sua mamma tornarono insieme e vissero per sempre felici e contenti. Fine.»
Richard fece un inchino e Martha lo premiò con un applauso ed elogiandolo per la sua performance.
«Ma che bravo sei stato. Che bella storia!»
Non era difficile notare che erano diversi gli elementi autobiografici che Rick aveva inserito nello spettacolo: i compagni che lo prendevano in giro per il peso, la mancanza di un padre e le fantasie su di lui. Richard aveva preso la sua vita e l’aveva romanzata per creare qualcosa di estremamente fantasioso.
«Sei contenta, mamma?»
«Tanto, amore» rispose lei con tenerezza abbracciandolo stretto e ricevendo in cambio un grosso bacio sulla guancia.
«Non riuscivo a scrivere e allora ho fatto uno spettacolo per te.»
Martha realizzò che forse la recitazione non scorreva davvero nel sangue dei Rodgers, ma il teatro non aveva bisogno solo di attori.
«Hai scritto un’opera teatrale bellissima. Potresti fare lo sceneggiatore!»
«Ma io non ho scritto niente. L’ho fatta sul palco.»
«Le idee di uno scrittore nascono prima nella testa e poi finiscono sulla carta. Tu hai avuto tante idee… originali… forse se le scrivi ne viene fuori un libro.»
Rick era titubante.
«E poi lo vendiamo?»
«Ehm, sì. Poi lo stampiamo, facciamo una rilegatura a lato e lo vendiamo ai vicini.»
La donna ripensò alla storia del mostro di caccole di qualche tempo prima e immaginò la sua vicina anziana e con la puzza sotto il naso – di cui no riusciva mai a ricordarsi il nome – intenta a sfogliare delle pagine che parlavano di moccio e cerume.
«Però deve essere davvero bella!» aggiunse, per trovare un compromesso.
«Va bene! Ora scrivo il libro dello spettacolo! E ci metto anche delle cose nuove!»
«No, mio caro, ora riordini la tua camera.»
«Ma, mamma…»
«Niente ma! Gli artisti sistemano sempre il palco dopo una rappresentazione. Buon lavoro!» concluse afferrando il gufo di legno e il busto per i gioielli e uscendo dalla stanza.
 
Mezz’ora più tardi il bambino aveva concluso il suo andirivieni per la casa per rimettere a posto tutti gli oggetti che aveva utilizzato in scena. Rick chiuse la porta della sua stanza e si mise a scrivere e uscì dalla camera solo quando la storia fu conclusa, due ore dopo. Martha dovette riconoscergli una gran tenacia.
«Mamma, ho finito, leggi!» disse consegnandole un quaderno aperto su una pagina intestata “Il mago-papà”.
«Io ti lascio il mio libro, poi dimmi cosa ne pensi e se va bene pubblicarlo.»
«Richard, non hai messo delle caccole nella storia, vero?»
«No, non c’è neanche una coccolina piccola piccola!» annunciò orgoglioso lasciando la stanza.
La donna cominciò a leggere. C’erano diversi errori di ortografia, ma da un bambino di otto anni non ci si poteva aspettare diversamente. La narrazione era comunque piuttosto interessante, sembrava che Rick avesse dell’intuito nel capire come andava strutturata una storia. Nella prima parte non c’era nemmeno un elemento troppo imbarazzante, in fondo sarebbe stato possibile stampare e vendere quel racconto.
«Ehm, mamma?»
Lo scrittore in erba riapparve.
«Sì? Che c’è?»
«Mi sono scordato che dovevo chiederti una cosa sul mio libro.»
«Che cosa, tesoro?»
«Ma si può dire “vomitare tante mutande”?»



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Ciao!!! Finalmente ho concluso questa one-shot (un po' lunghetta). Forse avrete notato che ci ho infilato dentro DI TUTTO E DI PIU'. Ma in fondo il mondo dei bambini è un bel mix di cose e colori.
Non avevo idee su cosa scrivere, quindi ho fatto ricorso al mio metodo: "ditemi parole a caso". Le parole ottenute dalle ragazze del gruppo Castle Made of EFP Writers sono state: Orologio, penna, armadio, pantalone, infradito, smalto, orecchini, capelli, occhiali, macchina, fiori, giardino, mele, pere, acqua, frigo, paperelle, mi piacciono i treni, Conga, ho visto un dugongo, pufpuf, cassetto, guanto, patatine, crepes (si, ho fame), piccioni, lucertole (Marilena), finestra, stelle, tende, sole, luna, rosso, viola, bulbo, tamagoci, simulazione.
Parecchie di questa sono effettivamente finite nella storia. Anche Marilena, che è diventata la Barbie Marylin ;)
Spero che questa storia vi abbia divertito. Ero indecisa se mettere l'intera rappresentazione teatrale o meno, ma mi hanno consigliato di farlo e quindi eccola qui.
Grazie a lettori e commentatori!
PS: E ricordatevi... "Ooooh ooooh, piccolo Richard! Ooooh ooooh!"

   
 
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