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Autore: Daequan    13/09/2011    3 recensioni
Raramente la croce che portiamo ha lo stesso peso per ciascuno di noi.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta un uomo molto giovane e sempre sorridente che andava per la sua strada. Egli ogni mattina si alzava, scendeva al pianoterra, salutava la mamma e, indossata una tuta e delle scarpe comode, camminava e camminava, così, perché lo trovava benefico e rilassante.

Ma ogni volta che questo giovane tornava a casa ecco che iniziava per lui una giornata d'inferno: la madre si lamentava perché il marito l'aveva abbandonata, il fratellino piccolo chiamava "papà!" e prendeva a piangere, quando usciva per lavorare i colleghi gli confidavano le proprie disgrazie, e chi stava divorziando, e chi cercava marito, e chi voleva l'amore e persino chi voleva solo morire.

Lui che doveva fare? Sorrideva e ascoltava, e una volta ascoltato pensava e, con lo sguardo attento e le labbra strette, rispondeva come poteva. Ogni volta i suoi interlocutori gli scaricavano addosso tutta la loro amarezza, lui sorrideva e pensava, ascoltava e rispondeva; ecco che loro si sollevavano e lo ringraziavano e lui, finalmente, era felice.

Non sapeva essere felice in una stanza con anche un solo viso triste.

Così gli toccava prendersi cura di chiunque per prendersi cura di sé, e quel sorriso a fine serata era più forzato che mai.

Era stanco di stare così: se nulla lo avesse preoccupato, avrebbe comunque dovuto tinger la propria spensieratezza nell'angoscia altrui. E pensare che in realtà le sue preoccupazioni le aveva eccome! Solo, ecco, non le dava a vedere.

Egli sorrideva.

 

Poi, gli ultimi giorni, aveva dovuto sopportarne davvero tante: in paese tutto era sottosopra per un brutto episodio che aveva funestato il clima generale. Era successo che una giovane aveva litigato coi genitori in modo molto brusco ed era scappata di casa; questo aveva portato i parenti tutti a piangere pubblicamente le proprie disgrazie, e i genitori stessi si prodigavano in grandi, grandissime lacrime.

"Poveri noi", dicevano quelli, "abbandonati dalla nostra unica figlia, la gioia dei nostri occhi, ormai nell'età della vecchiaia! Che dispiacere!", e tutti li compativano e strabuzzavano gli occhi a sentire tanta crudeltà d'una sola giovane.

Lui, per ventura, quella giovane la conosceva fin troppo bene, perché era la sua sola amica: l'unica che lo ascoltasse quando non riusciva neppure a sorridere. E perciò la ragazza fuggita aveva cercato rifugio proprio dall'"unica persona di cui potersi fidare", l'amico vero, il porto sicuro.

Ma certo, sempre e soltanto lui!

Svegliato da un tuonante scampanellio di cellulare, aveva letto un messaggio ed era corso alla porta di casa in piena notte: lei era già lì. E, non ditelo in paese!, non aveva in sé la malvagità di chi abbandona dei bisognosi, ma la paura del bisognoso stesso che cerca rifugio. Era, a dirla tutta, pesta come non mai, e chissà come era riuscita a scappare dalla furia del padre.

Lui, naturalmente, sapeva già della natura violenta del padre, ve ne stupite?, tramite precedenti confidenze, e sapeva che prima o poi le avrebbe dovuto fare il favore di nasconderla. 

Fortunatamente la madre era troppo impegnata a lamentarsi con lui, e il fratellino dormiva con lei al piano di sotto: una volta salite le scale, si entrava davvero nel solo suo reame!

Che, ironia della sorte, si esprimeva come tale per la prima volta in un atto che sembrava quasi un asilo politico.

Così alternava la vita infernale di tutti i giorni alle necessità e all'immensa paura della sua migliore amica.

Non ce la faceva più.

 

Quando si rese conto di aver perso anche il sorriso andò dal vecchio saggio, che lo accolse nella sua casetta solitaria appena fuori dal paese e gli disse:

"Che c'è che non va, figliolo?"

"C'è che tutti si sfogano con me, ho mille problemi e mi sorbisco anche quelli altrui! Non ce la faccio più! Perché devo subire tutto io, solo e soltanto io?"

"Eh eh, è un problema di facile soluzione, caro mio! Ma devi esser paziente!"

"Paziente? Io sono più che paziente! E' questo il problema: tutti si approfittano del fatto che non nego a nessuno il mio ascolto e la mia disponibilità!"

"Lo capisco, figliolo! Vieni, ti spiego come fare!"

 

Si ritrovò a seguire il saggio fuori da casa, verso il recinto degli asini.

 

"Prendi questi asini e portali a valle: devono consegnarmi del sale, ma non hanno mezzi per trasportarlo qui!"

 

Il giovane, naturalmente, era frastornato: anche il saggio si approfittava di lui? Tuttavia non si negò e scese a valle con gli asini.

In mezz'ora fu giù a farsi dare il sale da dei grandi uomini che aveva visto solo qualche volta. Si era presentato e si erano fidati, dandogli il malloppo. E nemmeno gli avevano confidato i loro problemi! Che pace!

Tuttavia ebbe difficoltà a caricare il peso sugli animali: provò parti uguali, ma dopo pochi metri alcuni collassavano. Così toglieva ad essi un po' di peso e lo metteva su altri, ma collassavano anche quelli!

Dovette provare e riprovare, finché trovò il modo: alcuni degli asini erano più forti, altri più deboli. Ma certo, bastava pensarci! Caricò alcuni di un grande peso, e gli dispiacque vedere le loro smorfie. Ma solo loro potevano farcela, e difatti, tra una smorfia e l'altra, riuscivano a sorreggere il sale messogli sulla schiena.

Tornò dal saggio e gli chiese:

 

"A cosa mi è servito tutto ciò?"

"Hai notato che non tutti gli animali reggono lo stesso peso?"

"Certo, l'ho notato!"

"Vedo: hai messo pesi molto grandi ad alcuni!"

"Non avrei dovuto? Credevo fosse la sola soluzione!"

"Lo è, lo è, non angustiarti! Chi ha la schiena più forte, qui?"

 

La domanda lo sorprese, e dovette riguardare gli asini con attenzione.

 

"Se non mi dici chi ha la schiena più forte tornerai anche domani, sai? Eh eh eh!"

"Quell'asino là in fondo, ha il peso più grande!"

 

Il vecchio gli sorrise.

 

"Hai sbagliato. Non è la sua, la schiena più forte che c'è qui. Però mi compiaccio: hai trovato il metodo. Riconoscere la schiena più forte dal peso più grande. Bravo. Torna domani alla stessa ora! Eh eh eh!"

 

Il giovane era atterrito: cosa aveva sbagliato?

Dovette tornare il giorno dopo, ed era anche peggio: non aveva tratto calma nemmeno dalla camminata, la sua migliore amica piangeva perché lui non sapeva come nasconderla ancora a lungo, i genitori di lei facevano pubblici pianti e il paese era in subbuglio, tanto che avevano chiamato la polizia a cercare la scomparsa.

Riprese gli asini e fece la stessa tratta del giorno prima, ma la cosa lo rilassò un po': era un momento di silenzio, e gli asini non avrebbero certo inteso interromperlo!

Arrivò giù a valle, prese il sale e ricominciò il pasticcio: come dosare il peso?

Tentò una volta e un asino collassò: distribuì un poco del suo peso sugli altri e collassarono in due. Rimescolò i pesi e collassarono in quattro.

Dopo vari tentativi riuscì a non far collassare nessuno e partì verso la salita di ritorno: alcuni animali erano stremati dal peso.

Ma riuscirono ad arrivare a fine corsa.

Il saggio prese il sale, che a quanto pare conservava in enormi quantità, e gli chiese:

 

"Allora, qual è la schiena più forte qui?"

"Quella dell'asino qui davanti!"

"Ah ah, no! Torna doman!"

 

Tornò il giorno dopo. Le sirene della polizia si sentivano fino alla casa del saggio, e non aveva nemmeno fatto la camminata quotidiana. Era stanco e confuso, e per di più la madre saliva al suo piano, il suo reame, sempre più spesso per "lavare i panni". Era probabilmente una scusa per andare lì a parlargli, e la cosa lo inteneriva, ma dove nascondere l'amica?

Così avevano dormito nello stesso letto come non facevano da tanto tempo, perché almeno nella sua stanza la madre non sarebbe entrata senza il suo permesso.

Non aveva chiuso occhio, stordito dalla situazione: lui a pancia in su con le braccia larghe, lei appoggiata sul suo petto che gli accarezzava la pancia come fosse un gatto.

Cosa provava per quella che credeva la sua migliore amica?

 

Prese gli asini senza cerimonie e gli venne voglia di pensare un po', perché la distribuzione del peso sugli asini lo induceva a riflettere.

In fondo tutti hanno il proprio peso da portare. Metaforico, sì, ma fino ad un certo punto. Perché allora a lui toccava il più pesante?

Guardò, per simpatia, gli occhi dell'asino che aveva il carico più grosso. Chiedevano pietà.

Ma lui non poteva dargli pietà, perché sapeva che non ne aveva bisogno. Quell'animale poteva reggere quel peso, che ci credesse o no, che ne soffrisse o no. Altri, semplicemente, non potevano.

Queste cose lo occupavano nella mente quando tornò dal saggio e si sentì porre la canonica domanda:

 

"Qual è la schiena più forte qui?"

"Non lo so. Non lo so proprio."

"...torna domani, sei sempre più vicino alla soluzione."

 

Non sapere rendeva la soluzione più vicina? Forse, si chiedeva, non era un asino, anzi non era di sicuro uno degli animali del saggio, la schiena più forte!

Ma chi era?

 

Tornò il giorno dopo. La polizia gli era entrata in casa e fortunatamente non aveva perquisito nulla: così non aveva trovato lei. Egli aveva paura di perderla, perché sapeva cosa accadeva in quella casa, nonostante i pianti dei genitori nelle piazze. Ma soprattutto sapeva, da quella notte, cosa provava per lei. L'aveva capito quando era stato risvegliato dal suo sorriso, dalla sua voce dolce e cantilenante, da un bacio sulla guancia.

E l'aveva capito, certo, dall'abbraccio di lei, che lo aveva avvolto e scaldato tutta la notte.

Poi era ricominciato l'inferno: mille cose a cui pensare e mille persone che gli confidavano le loro peripezie chiedendogli aiuto, conforto, attenzione.

Era arrivato dal saggio con l'intenzione di dirgli quel che pensava. Voleva dirgli che era stanco e che gli dispiaceva, ma era l'ultima volta che andava lì, perché non aveva tratto alcun giovamento dalla frequentazione con lui e i suoi asini.

Ovviamente il saggio non sentì mai queste riflessioni perché lui non ebbe cuore di presentargliele né se la sentì di lasciarlo solo coi suoi asini e il suo sale.

Portò gli asini a valle, prese il sale e si meravigliò di sé stesso: ormai sapeva dosare perfettamente il carico.

Ma solo a salita quasi completata, mentre rimuginava, capì tutto.

E capì tutto guardando gli occhi dell'asino col carico più pesante che imploravano quella pietà che lui già sapeva non essere necessaria.

Quei grandi occhi erano i suoi.

 

"Qual è la schiena più forte qui, figliolo?"

"La mia."

 

Il saggio lo guardò con un grande lampo di gioia.

Ma tacque, e tacque anche lui.

Assaporarono quel momento, quella nuova informazione.

 

"Ora, figliolo, hai capito perché porti il peso più grande di tutti, vero?"

   
 
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