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Dopo il naufragio
Vivi era bravo. Quasi più bravo di Seifer. Era silenzioso e sicuro di sé, come un
sicario, e mentre faceva ruotare la tavola in una serie di kickflips ne dimostrava anche la
stessa fluidità di movimento. Hayner staccava gli
occhi da lui solo per puntarli sul tabellone.
La SK-8 era forte.
Piuttosto che ammetterlo ad alta voce si sarebbe mangiato lo skate – ma
il bello dei più intimi pensieri era che nessuno poteva sentirli.
La SK-8 era forte,
sì. Ma gli Hawk Runners
avevano dalla loro parte una consapevolezza e una convinzione in più:
nella vita c’erano cose più importanti che vincere una gara.
Ritrovare se stessi.
Ritrovare una speranza. Ritrovare un amico.
Però, se doveva
essere completamente sincero con se stesso, era vero che vincere non era tutto,
ma non sarebbe neppure dispiaciuto a nessuno!
L’esibizione della
squadra avversaria stava per finire. Hayner non
fischiò ai tricks
di Seifer, Vivi e gli altri, come avrebbe voluto
fare, ma si voltò verso i suoi compagni e stese in fuori il pugno
chiuso.
«Io
prometto» disse soltanto.
Olette mise subito la mano
sulla sua.
«Prometto.»
Pence si mise il casco in
testa e si unì a loro.
«Prometto.»
Si voltarono tutti e tre
a guardare il campione dei falchi.
Il loro amico, la cosa più importante, sorrise e
posò la mano su quella di Pence.
«Fino alla
fine.»
* * *
Sora era orgoglioso. Orgoglioso di poter dire
che quel ragazzino biondo con il casco blu che stava per scendere in pista era
il suo gemello. Era il suo fratellino, quello che da piccolo se ne stava ore e
ore a guardare la pioggia e a disegnare le persone che amava, quello che
piangeva quando si sentiva perso, quello che non voleva essere il fratello di Sora e che soltanto su una tavola
con le rotelle riusciva ad essere se stesso senza schermi.
Quel ragazzino che
salvava gli altri e che era la persona più forte che potesse mai sperare
di conoscere.
«Terra chiama
Sora!»
Si scosse quando la mano
di Kairi s’immerse nel suo pacchetto di
patatine e ne uscì fulminea. Alzò gli occhi in tempo per vederla
masticare il suo bottino con espressione soddisfatta.
«Ehi!»
Allontanò il pacchetto da lei. «Che ti sei messa in testa? Solo
perché adesso sei la mia ragazza, non puoi prenderti certe
libertà!»
«Ah, no?» Kairi allungò di nuovo la mano, sporgendosi su di
lui. «Se no che mi fai?»
Sora rise, le
afferrò il polso e la tirò a sé. «Indovina un
po’...»
«Oh, avete finito
di fare gli sdolcinati, voi due? State diventando davvero imbarazzanti.»
Sora si ritrasse subito
dal viso di Kairi, sentendosi avvampare. Lei si
voltò come una furia verso Selphie.
«Perché non
chiudi semplicemente gli occhi, tesoro?»
Riku e Tidus
scoppiarono a ridere.
«Non posso!»
Selphie arrossì a sua volta. «Altrimenti
come potrei guardare il fratello del tuo ragazzo, eh?!»
Questa volta fu Kairi a scoppiare a ridere; Tidus
quasi si strozzò, mentre lanciava a Selphie
un’occhiata sconcertata.
Sora sorrise e scosse la
testa. Sbirciò l’adolescente taciturno seduto alla sua destra; non
aveva ancora aperto bocca.
In cuor suo, pensava che
a suo fratello avrebbe fatto più piacere ricevere gli sguardi di qualcun altro; ma non lo disse,
perché Selphie era un’amica.
* * *
Axel era teso. Non aveva mai
assistito ad una gara di skateboard – beh, di nessuno sport, a dirla
tutta. Avvertiva una carica adrenalinica di ansia alla bocca dello stomaco, ma
probabilmente non era la gara in sé a provocarla.
Erano passati più
di due mesi dal momento in cui Roxas era salito sullo
skate di Olette. Dopo quel primo giorno in cui lo
aveva accompagnato e osservato a distanza, Axel gli
aveva lasciato affrontare gli allenamenti da solo. Quella era una cosa che
apparteneva a lui e basta; era una faccenda tra Roxas
e la tavola. E lui voleva farcela e poteva
farcela.
Oggi, però, lo
aveva di nuovo voluto con sé a quella gara. E Axel
cominciava a chiedersi quali e quanti progressi avesse compiuto in quei due
mesi, se gli erano bastate due sole settimane per riprendere a camminare.
Le chiacchiere
spensierate di Sora e dei suoi amici non si distinguevano dal brusio degli
altri spettatori: un rumore sommesso, un sottofondo privo di senso logico. Ma
per qualche motivo non riuscì ad escludere allo stesso modo la voce
femminile che all’improvviso gli risuonò accanto.
«C’è
un posto libero qui?»
In piedi sui gradini che
attraversavano le tribune, la ragazzina dai capelli neri sembrava piccolissima
e fuori posto, ma la sua espressione era – se non sorridente –
almeno tranquilla.
Axel la fissò per un
attimo, sorpreso; poi si voltò a guardare i ragazzi che gli sedevano al
fianco.
Sembravano tutti
interessati alla nuova arrivata. Sora scoccò uno sguardo incuriosito ad Axel, ma qualcosa nella sua espressione dovette convincerlo
a concentrarsi subito sulla pista ed a riavviare una conversazione con Kairi e gli altri.
Axel si rivolse di nuovo
alla ragazzina e azzardò un filo di ironia. «Se non ti dispiace
sederti sulle mie ginocchia.»
Lei scosse
impercettibilmente la testa, e sul suo volto passò un altrettanto
impercettibile lampo di sorriso.
Ricambiò, le
porse la mano e l’aiutò a prendere posto. Mentre lei sedeva sul
suo ginocchio – come se volesse occupare meno spazio possibile –
lui lanciò un’altra occhiata a Sora, della serie niente-domande-prego.
«Allora,
dov’è il tuo amico?»
Axel le indicò il
punto da cui gli Hawk Runners
sarebbero sbucati da un momento all’altro. «Là dietro a fare
i conti con se stesso.»
«Deve essere stata
dura, per lui.»
«Sì.»
Abbassò il braccio e la voce. «Tu come stai?»
Non si erano visti
molto, dopo quel giorno al cimitero. Ma qualche volta lei lo aveva cercato al
parco, qualche volta aveva pianto ancora al riparo delle sue felpe più sgualcite.
La ragazza si strinse
nelle spalle. Axel non poteva vedere il suo viso,
soltanto la guancia pallida sfiorata dai capelli.
«Sto. Come
prima.»
Calò il silenzio
brumoso del pubblico attento, rotto solo dalle occasionali urla al microfono
dello speaker della gara. Chissà se Sora lo stava ancora sbirciando; non
poteva esserne certo, dal momento che teneva lo sguardo fisso davanti a
sé, sui volteggi dei quattro pagliacci che aveva visto quella volta al
parco.
Fu di nuovo lei a
parlare per prima.
«Tu cosa fai, di
solito, per non fermarti a pensare?»
«Beh...» Axel sentì le labbra tendersi in un sorriso storto.
«Non moltissimo, in realtà. Il buon vecchio tenente Lockhart mi ha aiutato ad assicurarmi un lavoro.»
Evitò di specificare di chi
era stato il posto in quel negozio di articoli musicali. «In
realtà, il più del tempo lo passo con Roxas.»
Annuì, come se
capisse benissimo tutto ciò che c’era dietro quelle parole, il
bisogno e il conforto e tutto il resto.
«So che lei si
è trasferita.»
«Sì, ha
chiesto di allontanarsi per un po’. Le ricerche di... di Saïx sono passate in mano a qualcun altro.»
«Io non credo che
lo troveranno mai.»
«In realtà neanch’io.»
«Mi piace, Tifa Lockhart. È una donna buona. E anche Aerith.»
«Già.»
Altro silenzio brumoso.
«E tu?» Axel era felice che lei stesse guardando la pista: non
sarebbe stato facile porle quella domanda in viso. «Che farai
adesso?»
La ragazzina parve riflettere;
le sue gambe magre sulla sua ebbero un fremito. Era leggerissima, dava
l’impressione di potersi dissolvere nell’aria da un momento
all’altro.
«Ci trasferiamo di
nuovo» sussurrò. «Forse stavolta non sarà tanto male,
dopotutto.»
Axel non disse nulla.
Sospettava che la sua piccola vecchia amica stesse per aggiungere qualcosa
d’importante.
E infatti,
all’improvviso, lei si voltò a guardarlo.
«In fondo sono
contenta che l’ultima cosa di cui Demyx mi ha
parlato sia stato tu.»
I suoi occhi erano
limpidi, senza più tracce di lacrime. Per la prima volta da che lui
ricordasse, sorrideva.
Un sorriso identico a
quello di suo fratello.
Un sorriso davanti al
quale Axel non poté che abbassare lo sguardo.
Sulla pista, la SK-8 era
sparita. Il tabellone segnava già i nuovi punteggi. Era il turno degli Hawk Runners.
«E ora»
annunciava lo speaker, «vogliate accogliere con un applauso...»
La sentì alzarsi
in piedi; allora sollevò lo sguardo su di lei.
«Abbi cura di te, Axel.»
«Anche tu, Xion.»
«Sì.
Anch’io.» Lo ripeté come se non ci credesse fino in fondo,
ma la sua voce non tremò. Si chinò a baciargli leggera una
guancia. «E saluta Roxas da parte mia.»
«Lo
farò.»
Un attimo dopo, era
sparita come era apparsa.
* * *
«... Hayner!»
Roxas inspirò
profondamente, cercando di calmarsi.
Non era solo adrenalina
quella che gli scombussolava lo stomaco. C’erano tante, tante cose,
troppe.
Una volta aveva sentito
dire che davanti al destino si è portati a riconsiderare tutta la
propria vita. Certo, lui non stava fronteggiando
il destino, ma non poteva fare a meno di rivivere tutto ciò che lo aveva
portato a quel punto.
«... Olette!»
Vide uno skateboard
bianco, rosso e blu chiuso in un armadio. E il giorno in cui aveva riaperto le
ante.
Vide gli occhi dei suoi
genitori, sentì le loro parole. E l’attimo in cui si era svegliato
e aveva capito.
Vide il disegno di una
sedia a rotelle, perso nel vento fuori dalla finestra di una stanza bianca
d’ospedale.
Vide una macchia di
sangue sul proprio fianco.
Vide la scala antincendio
del suo condominio, illuminata dalla luna, portatrice di persone nuove e di
speranze insperate.
«... Pence!»
Poi gli occhi tornarono
al presente, alla stessa tavola bianca, rossa e blu. Sarebbe stata la prima
volta, dopo due anni.
«E... Roxas!»
Il naufragio si era
concluso. Era il momento di risalire la riva e proseguire il viaggio.
Fece mente locale per
l’ultima volta; visualizzò con chiarezza nella mente il fattore
comune, l’elemento alla base di ognuno di quei pezzi della sua vita.
Questo è per te, Axel.
Mise il piede sulla
tavola, prese fiato e slancio, e seguendo Hayner, Olette e Pence uscì alla
luce del sole.
* * *
Sembrava quasi che volasse.
Axel ammirò tutti i
suoi movimenti, ogni singolo guizzo delle sue gambe, ogni minimo dettaglio del
suo talento – e anche se le urla di Sora e dei suoi amici erano
assordanti, gli sembrava che il mondo non esistesse più. Tutto
cominciava e finiva con lui, perché tutto era cominciato e sarebbe
finito con lui.
Fu soltanto quando gli
applausi scroscianti del pubblico decretarono la fine dell’esibizione che
si scosse.
Lui non era un esperto
in materia, ma i punteggi sul tabellone parlavano chiaro. Gli Hawk Runners si erano appena
classificati per la gara successiva.
Gli avevano detto che
era la prima volta che si scontravano direttamente con la SK-8 prima delle
semifinali; chissà, magari il cambiamento avrebbe portato fortuna anche
per l’ultima fase del campionato. E per qualche motivo sentiva che ora il
peggio era passato, che tutto sarebbe andato solamente in meglio.
Un po’ di
ottimismo poteva anche concederselo, no?
La folla cominciò
a disperdersi e Axel si alzò. Lo vedeva
ancora, sul circuito, circondato dai suoi compagni. Non partecipava al giubilo
di Hayner, Pence e Olette: sembrava guardarsi intorno, quasi spaesato, in cerca
di qualcosa o qualcuno.
Axel si allontanò da
Sora.
Cercò di
raggiungerlo, ma la ressa glielo impedì; allora si fermò al
margine della pista, gli occhi fissi sulle schiere di ragazzi che si erano
appena tuffati sui falchi per sollevarli in trionfo.
Anche a quella distanza
lo vide sottrarsi alle mani aperte e agli abbracci pronti, continuare a cercare
con lo sguardo – finché con lo sguardo si fermò su di lui.
Soltanto allora, Roxas sorrise. Felice come mai l’aveva visto.
E questa era la cosa più bella che avesse davvero ammirato su
quella pista.
Il ragazzo si fece
strada tra amici e sconosciuti, diretto verso di lui. Quando la distanza tra di
loro fu dimezzata cominciò a correre.
Axel non si sarebbe
meravigliato troppo se lo avesse visto volare per davvero.
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Dopo la nota triste dello scorso capitolo,
un po’ di sole ci voleva.
Vi aspetto all’epilogo, dove vi
ringrazierò uno per uno, con tutta l’immensa riconoscenza che vi
è dovuta per essere giunti fino alla fine. <3
Aya ~