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Autore: DarknessIBecame    16/09/2011    4 recensioni
"Strizzò forte gli occhi, chiudendo i pugni a tal punto che le nocche persero colore. Sleeping. Per la prima volta Rachel si sentì mancare il fiato durante un acuto. Hello. Ancora. Yesterday. L’ultima parola uscì spaccata dal suo petto, le braccia strette attorno alla pancia per non lasciare che anche il suo corpo si spezzasse. Era ancora lì, quello era già un primo passo."
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hello

Playground school bell rings again. Quasi risvegliandosi da una sorta di trance, Rachel chiuse il più silenziosamente possibile l’armadietto, stringendo la presa sui libri ed incamminandosi a testa bassa verso l’ennesima lezione. Da un angolo del corridoio Will la guardava con espressione dolente, aspettando pazientemente che la ragazza entrasse in aula per uscire infine dal suo nascondiglio. Il suo sguardo incontrò quello di Emma, dall’altra parte del corridoio, ed un cenno d’assenso sigillò quel breve momento d’intesa.

Rain clouds come to play again. –Hey, Berry, rientra. Ti prenderai una polmonite se rimani lì fuori!- Santana portò una mano a schermare la fronte, strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura della diva del Glee sotto la fitta coltre di pioggia. Perché la tizia doveva comportarsi sempre da strana? Fosse stato un altro giorno magari non l’avrebbe fatto, ma la Cheerio si ritrovò a correre sotto l’acquazzone, raggiungendo in fretta l’altra e cominciando a scuoterla per le spalle.
-Santana? Che ci fai qui fuori? Sei zuppa, ti prenderai qualcosa.- Rachel aveva parlato con tono tranquillo, neanche sorpreso, come se non fosse stata lei ad essere rimasta lì fuori senza ombrello per dieci minuti. Lo sguardo che si alzò sul viso dell’ispanica fu l’unica cosa che la trattenne dallo schiaffeggiarla su due piedi.

Has no one told you she’s not breathing? Sputò fuori l’aria, cercando di ricordare per quale motive stesse trattenendo il respire. Oh, giusto.
-Piccola stella…avremmo voluto non lo venissi a sapere così, ma non ci hai dato il…-le parole di Papà Berry si fecero vuote ed afone. Le sue orecchie non erano più capaci di ascoltare, almeno non in quella stanza. Rachel accarezzò le lenzuola pulite del letto che tante volte aveva diviso con la sua adorata cuginetta, in mente solo il suono dei macchinari attaccati al suo corpo ed il suo debole respiro. O meglio, la mancanza di questo.

Hello, I’m your mind, giving you someone to talk to. Hello.
–Ciao Trilly.-
-Ciao Bimba Sperdu…- non poté terminare la frase. Scosse lievemente il capo, passando attentamente la spazzola tra i capelli, fissando il riflesso che lo specchio sembrava sbatterle in faccia. Erano i gesti automatici che la facevano andare avanti, ed ora la sua mente aveva rievocato quella voce dolce, a tratti infantile che aveva accompagnato tutte le sue mattine, quell’estate. Una voce che era sicura l’avrebbe ancora accolta all’arrivo, se le condizioni di Zoeh non fossero peggiorate negli ultimi giorni. Un altro gesto automatico era fermarsi al Tempio, prima delle lezioni. Se avesse sperato abbastanza, il coma sarebbe stato a breve solo un brutto ricordo. Magari.

If I smile and don’t believe. Negare. Negare l’evidenza era la soluzione migliore. Sapevano tutti che qualcosa stava bollendo sotto la superficie, ne riconoscevano i segni. Ma tutti preferivano fare ore orecchie da mercante e bendarsi gli occhi, pur di non ammettere che i sorrisi di Rachel erano sempre più falsi. Persino Quinn l’aveva capito. Dopo un mese di scuola la Berry non aveva ancora preteso un assolo, a dirla tutta non aveva neanche cantato con loro. Ogni scusa era buona per lasciare l’aula di canto e Schuester sembrava non trovare strano il comportamento. La biondina aveva ben pensato di approfittare della situazione per far capire all’altra che doveva farsi ancora più invisibile. Sparire dalla sua vita. Da tempo non comprava una granita, e già sentiva la soddisfazione scorrergli nelle vene. Adocchiò la mora al suo armadietto, quel sorriso distante per un attimo la fece tentennare. Scosse la chioma e si fece avanti, facendo finta di inciampare così che la bibita colpisse in volto Rachel.
-Oh, scusa, non ti avevo vista. E’ facile inciampare su un nanetto da giardino.- sorrise maligna, pregustando già il primo di molti singhiozzi. Si raggelò quando vide l’altra voltarsi, ad occhi aperti, quel finto sorriso lontano plastificato sul volto coperto dal ghiaccio. Qualcosa la spinse a trascinare Rachel in bagno e ripulirla in silenzio, terrore negli occhi nel constatare che quel sorriso assente ancora non se n’era andato.

Soon I know I’ll wake from this dream. Scuotendo delicatamente il capo, si accorse che Sam le stave battendo insistentemente il ginocchio contro la gamba. Lo guardò, imbambolata, immagini di aperta campagna e bambine felici stampate dietro agli occhi. Lui le passò un bigliettino sottobanco che lei, riluttante, accettò.

Rach, i tuoi vestiti stanno perdendo…b-er-riosità.

Confusa, guardò in basso, trovando una gonna marrone ed una maglia nera. Calze nere, scarpe nere. Fece spallucce al ragazzo e tornò ad osservare il muro dietro al professore, ragionando sul fatto che ormai anche il vestirsi non era un problema. Ogni mattina permetteva ad occhi e mani di scivolare sui vestiti, ancora in dormiveglia, lasciando al subconscio il compito di scegliere per lei. Ora sentiva che presto si sarebbe dovuta svegliare.

Don’t try to fix me, I’m not broken. –Noah, è tutto apposto. Davvero.- diventava sempre più difficile ripetere questa frase, soprattutto perché Puck era il più insistente, persino più di Kurt e Blaine.
-Ti prego Rachel. Dimmi chi ti ha fatto…QUESTO. Ti prometto che andrà tutto bene. Farò in modo di aggiustare tutto. Per te.- quello sguardo smarrito, più di tutti gli strambi comportamenti dell’ultimo periodo lo stavano mandando fuori di testa. Nessuno gli aveva saputo spiegare dove fosse finita la ragazza durante l’estate, ma era così che l’aveva trovata ad inizio anno scolastico. Quella situazione faceva schifo.
-Non c’è niente di rotto, Noah. Nulla da aggiustare.- la osservò allontanarsi a passo veloce, diretta verso la sua macchina. La vita faceva schifo, si, e sperava non andasse ancora peggio.

Hello, I’m the lie living for you so you can hide. Don’t cry. No. Non era ancora ora di piangere. Anche lei si rendeva conto di stare ingannando tutti. Ma non se stessa. Sapeva bene ciò che stava succedendo e come si sentiva. Aveva scelto di barricarsi dietro una bugia di sé, nascondendo dolore, disperazione, rabbia, a volte anche la completa mancanza di emozioni dietro un candido velo di facciata. Ingranata la marcia al pilota automatico, era libera di non doversi preoccupare di altro o altri, al di fuori di Zoeh. Le lacrime poteva risparmiarle per dopo, in quel momento non erano ben accette.

Suddenly I know I’m not sleeping.
Hello, I’m still here,
All that’s left of yesterday.

Rachel non si era fatta vedere al Glee. Dopo due mesi faticavano ancora nel non sentirne la voce, per cui corsero a perdifiato fino all’Auditorium, quando la riconobbero. Le prime frasi di “Hello” risuonavano contro le pareti, scuotendoli fin nel profondo. Alla fine del primo verso loro avevano le lacrime agli occhi. Lei no. Stava suonando il pianoforte con facilità, mentre le parole sembravano uscire con difficoltà dalla bocca. I respiri mozzati non le impedivano comunque di risultare perfetta nell’intonazione. Il vestito nero le cadeva addosso stropicciato, gli occhi segnati le davano un’aria sbattuta. Dovettero bloccarsi nell’avanzare, l’asprezza della seconda strofa sembrava averli fatti sbattere contro un muro di gomma. Quando le dita cominciarono a tremare, Santana si fece velocemente avanti e prima che Rahcel potesse accorgersene, si ritrovò al centro del palco, la mora intenta a suonare al suo posto. Strizzò forte gli occhi, chiudendo i pugni a tal punto che le nocche persero colore. Sleeping.  Per la prima volta Rachel si sentì mancare il fiato durante un acuto. Hello. Ancora. Yesterday. L’ultima parola uscì spaccata dal suo petto, le braccia strette attorno alla pancia per non lasciare che anche il suo corpo si spezzasse. Era ancora lì, quello era già un primo passo.

   
 
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