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Autore: KikiWhiteFly    16/09/2011    1 recensioni
“Com'è quel detto... Perché continuo a farmi del male?
Perché è meraviglioso quando smetto di farlo”.
Se respira, il sangue le affluisce nuovamente al cervello – fa male, male, male.
Vivianne se ne sta lì, sulle fredde piastrelle di marmo, a raccogliere i cocci che si è perduta correndo.
A cercare i “se” del suo rapporto con Colin, evita di pensare ai “ma” – puntellano il suo cuore senza alcuno scrupolo.
E, sì, ne è cosciente, a farsi gratuitamente del male non guadagna proprio nulla ma, a conti fatti, è la maniera più dolce di darsi una bella pugnalata – incredibile, anche soffrendo riesce a non perdere il suo inguaribile cinismo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se io, se lui






Com'è quel detto... Perché continuo a farmi del male?

Perché è meraviglioso quando smetto di farlo”.






Vivianne ha sempre odiato le feste così gremite di gente, ha l'impressione di essere osservata da chiunque. Ed è una cosa che non le risulta sopportabile, purtroppo, al contrario delle sue amiche; Natasha e Kimberly, dacché ricorda compagne di classe sin dall'asilo, quella sera hanno osato.

«Viv, sei vestita come stamattina!», la rimbecca Natasha, con un'occhiata di disappunto.

Potrà sembrare alquanto singolare per la sua età ma Vivianne all'alta moda dettata dai suoi coetanei preferisce indossare abiti con i quali si sente a proprio agio, vorrebbe risparmiarsi la magra figura di camminare sui tacchi come una impedita.

Kimberly porta in alto i capelli per la ventesima volta, quella sera, le sue intenzioni sono così discrete e sottili da indurla a pensare che, forse, è davvero di troppo; tuttavia, cerca di dissimulare l'imbarazzo ricorrendo al suo inguaribile cinismo – commentare i presenti per Vivianne è uno sport nazionale, invero –, oltre che a qualche bicchierino.

Tanto per sciogliere il ghiaccio e calmare la tensione, beninteso.


«A proposito!», esordisce Natasha, come se avesse un principio di tachicardia, «Ti devo presentare il mio cuginetto. Vieni qua, Colin...», preme lei, forzando l'intimidito ragazzo.

Nonostante le luci un po' soffuse del locale e la musica sempre più tartassante, Vivianne riesce a distinguere bene la figura del ragazzo di fronte a lei.

E sulle prime Vivianne pensa che somigli ad un tipo sfigato – non tanto esteticamente, quanto per gli atteggiamenti un po' goffi – poi, però, risulta essere addirittura simpatico.

Solitamente la metà delle persone che le presentano Natasha e Kimberly sono strutturalmente diverse; in effetti, risulta essere ancora un mistero come siano amiche sin da piccole, visto il suo insopportabile carattere.

Tuttavia, anche tra di loro si notano le differenze: sia Natasha che Kimberly sono due tipe festaiole, amano la mondanità e non riuscirebbero mai a vivere senza un party al giorno. Lei, invece, benché ami divertirsi di notte considera le feste solo un'occasione come un'altra per conoscere persone per lo più superficiali e, se non tali, quantomeno volgari e squallide.

Vivianne ama la tranquillità della sua camera, del suo fidato portatile, dei suoi libri e del mondo che ruota attorno a tutte queste cose grossomodo da una vita.

Molti la definirebbero un tipo asociale o, per ricorrere a termini più gergali, una nerd: ebbene sì, quella è una definizione che calza a pennello su di lei e, se solo potesse, se la farebbe tatuare in volto.

La musica continua a trapanarle le orecchie, quasi fosse un martello pneumatico che preme sui suoi neuroni senza alcuna pietà – davvero, tutto ciò è davvero troppo per il suo povero fragile udito.

«Esco un attimo, ragazze», avvisa le due amiche che, nel frattempo, si stanno dando alla pazza gioia e si scatenano in pista.

A Vivianne, da un lato, piacerebbe essere come loro: assolutamente folli, prive di agorafobia e senza alcun pensiero; gradirebbe, di tanto in tanto, potersi gettare in pista e scatenare le emozioni in quella maniera.

«Vengo con te», inaspettatamente Colin la segue, si infila i guanti ed il cappotto e le sorride.

Cosa abbia, poi, da sorridere alle due del mattino non lo sa proprio.


Fuori si gela, cacciare le mani fuori dal giubbetto potrebbe essere davvero una mossa suicida; così se ne sta lì, insieme al fantomatico cugino di sesto grado – così ha ipotizzato, perlomeno, viste le evidenti differenze con Natasha –, vicini l'uno all'altro per scaldarsi ma lontani quanto basta per non confondere le distanze.

«Non devi restare qui a farmi compagnia, mi piace stare anche da sola», si difende a spada tratta, notando il tremolio del ragazzo.

«A dir la verità pensavo di andare in macchina per un attimo, non ho dormito molto bene ieri...», poggia una mano guantata sulla testa; in effetti, ad osservarlo sotto la luce al neon, sembra davvero stanco.

«Oh, capisco. Bella vita, eh?».

«No, studio. Non qui, lontano. Ho bisogno di recuperare un po' di ore», Colin sbadiglia, così Vivianne lo accompagna alla macchina.

«Credi che... insomma, ti offenderesti se riposassi un po' con te?», e, sì, detta così potrebbe suonare una proposta indecente vista da occhi estranei.

Colin invece sorride, ancora, sembra che nulla possa turbarlo.

Annuisce con il capo, caccia dalla tasca le chiavi ed apre la macchina. Poi, cordialmente, la invita a sdraiarsi sul sedile posteriore.

E Vivianne non riesce a capire il motivo per il quale sta facendo tutto quello, forse è l'alcol che le è entrato in circolo nelle vene e, probabilmente, le consente di sciogliersi un po'. Non sa e, forse, non vuole neppure sapere.

Un attimo dopo Colin accende l'aria calda, poi si sposta accanto a lei. Così, schiena contro schiena, di nuovo a sfiorarsi senza esagerare.

Pare tutto normale, sembra che si conoscano da una vita.

«E perché non balli?», esordisce d'un tratto.

«Credevo dovessimo dormire», sentenzia arcigna, mordendosi la lingua solo un attimo dopo, «Comunque, per informazione, odio quel tipo di musica. Ma loro la amano ed a me piace stare con loro... un buon compromesso, no? Basta che non mi forzino a fare ciò che non voglio».

Le sembra una spiegazione logica, quel che basta per ottenere un cenno di approvazione da parte di Colin.

«Anticonformista, eh? Non sei una persona facile da condizionare, allora».

Colin proferisce quella frase con un ché di saccente, come se lui sapesse cosa fosse giusto.

«Preferisco ammettere di avere una coscienza personale», ribatte con freddezza.

«Voleva essere un complimento, eh. Sei impulsiva», giudica lui.

«Voleva essere un complimento?».

Colin ride di gusto, a Vivianne sembra che voglia prendersi beffa di lei.

«Cos'hai tanto da ridere?», ribatte, «Se dovessimo morire in questo momento, qui, rideresti ancora?».

Sì, lo riconosce, forse ha un po' esagerato – beh, dopo quell'uscita non si stupisce affatto se la maggior parte delle persone la trovano una ragazza piuttosto cinica e sarcasticamente crudele.

«Credo che la prenderei con filosofia, sì. Sei schietta, sai, Vivianne? Mi piaci».

E, pensa Vivianne, quel tipo è davvero strano – mai quanto lei, beninteso –, ci sono solo due motivazioni: o si trova a contatto con un disadattato senza speranze, oppure con il ragazzo più comprensivo e paziente del mondo.

Effettivamente, non sa quale delle due alternative è peggiore.

In quel “mi piaci”, Vivianne si culla di speranza: sebbene lo ha conosciuto solo la sera stessa, sente di aver appena fatto la conoscenza di una persona diversa dalle altre, un ordinario-straordinario.

Il mondo si divide in tre categorie, grossomodo, date le sue recenti vicissitudini : Vivianne non avrebbe mai creduto nella sua vita che sarebbe arrivata al picco più alto. Il mondo, per una ragazza giovane e dotata di sano cinismo come lei, si divide in “ordinari”, “medio-ordinari” e “ordinari-straordinari”.

Gli ordinari sono, fondamentalmente, lo specchio della società: i lavoratori modello, per fare un esempio, coloro che simulano perfezione ma che, in realtà, sono repressi. Alla fine, dentro di loro dimora il vuoto.

Poi ci sono i “medio-ordinari”, coloro che si realizzano nella vita senza tuttavia crederci veramente; talvolta ci si accontenta anche di questi ultimi, sì, solamente perché il mondo ne è pieno.

E, ultima categoria, sono gli “ordinari-straordinari”, così rari che il mondo non li cerca nemmeno più. La cosa più curiosa è che loro non sanno affatto di esserlo, non trovano questa definizione calzante, si ritengono nella media.

Ne sono rimasti in numero assai limitato, purtroppo.

Vivianne si riprende, scuote per un momento la testa, dopodiché risponde di rimando: «Alcuni direbbero stronza, Colin», obbietta ragionevolmente, ridacchiando tra sé e sé.

«Allora sei una stronza, una grande stronza», Colin lo dice con un ché di affettuoso, lo sa.

Poi si poggia sulla sua schiena con maggior impatto, le pare che le abbia appena augurato la buonanotte.





* * *





Colin, in poco tempo, è diventato uno dei suoi amici più cari.

Cioè, si rende conto solo in quel momento, averlo conosciuto è stata una vera fortuna.

Possono parlare di qualsiasi cosa, di ogni argomento, la conversazione non risulta mai troppo scontata; la cosa più bella, però, è poter confrontarsi senza scannarsi verbalmente e, viste le sue esperienze, ciò è una cosa davvero bellissima. L'unica pecca è che, purtroppo, Colin studia altrove e poterlo incontrare è davvero una rarità.

Quella sera, per l'appunto, si sono finalmente rivisti: Natasha ha organizzato una serata in pub, seguita da un giro in città, pare che ci sia una band che piaccia a tutti.

Così le parole volano nell'aria ed i loro respiri le riempiono continuamente: è bello poter discutere di qualsiasi argomento, non senza una risata di gusto.

Un po', alla fine, Vivianne ha imparato a ridere in quella maniera strana e sgangherata con lui, non è necessario dire qualcosa di divertente.

«Ehi, Viv, vieni ad ordinare la birra alla spina con me?», Kimberly le dà una gomitata che, nel suo linguaggio del corpo, significa che deve dirle qualcosa di importante.

Vivianne si alza, si scusa per un attimo e la segue a ruota.

«Che succede? Quella era la tua gomitata “ti devo parlare”», mette le mani sui fianchi, fissandola con un ché di altezzoso.

«Ma io non ho una gomitata... ah, lasciamo perdere!», esclama nevrotica, «Piuttosto, felice che Colin ti piaccia».

Kimberly strizza l'occhio, dandole un'altra gomitata, stavolta più forte della prima.

«Sei impazzita definitivamente, Kim? A me non piace affatto, lo trovo un buon amico e basta!».

Esclama Vivianne, punta sul vivo.

«Davvero? E da quando hai cominciato a mettere il rossetto?»

«Da quando l'ho trovato nella mia camera, okay?», Vivianne vorrebbe chiudere la conversazione lì, le sembrano delle accuse infondate quelle poste in esame dall'amica.

«Okay. Comunque, giusto perché tu lo sappia, io penso che tu gli piaccia. Ride e scherza solo con te. E, fai come se io non ti avessi detto nulla, ma vi troverei una bella coppia».

Vivianne arrossisce impercettibilmente, il sangue sembra affluirle tutto sulle guance.

Non è possibile, decisamente, che lei abbia confuso l'amicizia con qualcosa che le somigli – vagamente, sì, molto vagamente.

Lei, solitamente attenta a qualsiasi cosa le appaia nel raggio di centocinquanta chilometri – okay, sì, forse è un'esagerazione – non si è accorta della cosa più semplice del mondo.

Improvvisamente, tutto le appare diverso: le serate passate insieme, le risate, i loro dialoghi, gli sguardi, gli abbracci.

Tutto è diverso.


Odia Kimberly, in quel momento, poiché sa che dopo quella confessione le risulterà difficile guardare Colin con gli stessi occhi: le verrà da ridere, sì, entrambi sanno e non vogliono sapere.

È tutto così terribilmente imbarazzante, dal suo punto di vista, le sembra di essere in uno di quei romanzi rosa per teenager – essere arrossita all'improvviso così vistosamente ne è la prova lampante, già.

Quando tornano al tavolo Colin è intento a selezionare la verdura nel suo piatto, Vivianne ha ben pensato di portargli una birra alla spina.

Chissà, forse con un po' di alcol in circolazione riuscirebbero a sciogliersi un po'.

Kimberly le fa nuovamente l'occhiolino e, Vivianne prega tra sé e sé, spera che nessuno abbia notato quello scambio di sguardi fra loro. Sarebbe davvero imbarazzante spiegare quella cosa a tavola, non riesce nemmeno ad ammetterlo a se stessa figurarsi con gli altri.

«Ditemi che dopo avete voglia di un bel giro, ragazzi, mi sta scoppiando lo stomaco».

Natasha irrompe con una battuta, Colin e Vivianne si guardano e, capiscono, non vedono l'ora di passeggiare fianco a fianco.




«Sai, Vivianne, con te mi trovo davvero bene», Colin le sorride apertamente, poggia una mano sulla sua spalla e, almeno così le pare, gli sembra di aver detto la cosa più semplice del mondo.

«Sì, anch'io Colin», risponde di rimando lei, il tono di voce un po' meno brioso.

Lui non se ne accorge, Vivianne l'ha scampata anche quella volta.

«Allora, che mi dici? Cosa ti è successo ultimamente?»

Vivianne sospira, vorrebbe potergli gridare in faccia: “sei tu l'unica cosa che mi è successa, dannato bastardo, solo tu!”, ma lui potrebbe prendere quell'uscita persino per uno scherzo.

Così, con le mani fredde e le labbra un po' tremanti, si limita ad incassare i propri sentimenti ed esordire con una battuta che sicuramente lo farà ridere di gusto.

Basta quello, il resto non conta.

«È sempre bello poterti rivedere, Viv!».

Magari potesse dire la stessa cosa, magari potesse trattarlo come un amico che vede occasionalmente, magari fosse in grado di ridere e scherzare senza pensieri.

La verità, nuda e cruda, è che lei ha bisogno di vederlo sempre e quando non c'è, cerca delle forme che possano assomigliargli, magari non lo sente così lontano.

Magari sono lontani in ogni caso.

«Sì, è vero, è bello potersi incontrare ogni tanto».




*





«È inutile che smani tra te e te, Kim, non è successo proprio nulla».

Vivianne china un po' il capo; in video chiamata su Skype con Kimberly ciò potrebbe risultare difficile da vedere, tuttavia sotto le sue ciglia c'è un principio di lacrima.

«Solo perché lui è timido. Ha paura di rovinare una bella amicizia, tutto lì».

Annuisce con il capo, in effetti il ragionamento ha un senso.

«Ehi, sta salendo Natasha. Ti lascio!», si affretta ad interrompere l'avviso di chiamata, Kim per il momento è l'unica che conosce lo svolgimento dei fatti.

È difficile parlarne a Natasha, non ne sa neppure lei il motivo.

Vivianne sospira, si guarda allo specchio e si rende conto di essere un caso pietoso e disperato: le lacrime si sono moltiplicate ben presto e sono scivolate sino agli zigomi – non vogliono saperne di arrestarsi, dannazione, la sua amica sicuramente si accorgerà di quel repentino cambiamento di umore.

Dunque, riflette, tanto vale rinchiudersi in bagno per un paio di minuti e liquidare Natasha con una scusa qualunque.


«Viv?», chiama lei, bussando alla porta.

Respira, respira energicamente.

«Un attimo, mi rendo presentabile!».

«Non fare la cretina, ti ho visto con i capelli elettrizzati, il trucco sfatto e gli abiti di tua nonna e non mi sono spaventata!», esclama lei, ridacchiando tra sé e sé.

Sì, beh, è domenica e, quasi normalmente, per Vivianne quello è sinonimo di assoluta pigrizia-minimo consumo energetico.

La domenica resta a casa, tutto trascorre così lentamente da dover essere – pigramente – goduto appieno; se lo desiderano sono gli altri a venirla a trovare, lei vegeterà come una vecchia zitella, alle prese con il suo fidato portatile ed un paio di film molto trash da poter guardare in compagnia o da sola.

Quel giorno, però, Vivianne è stata a letto più tempo del previsto, è stata sotto la doccia per un lasso di tempo che le è parso infinito: ha pensato, riflettuto, ha cercato di tracciare confini ed accorciare le distanze; tuttavia, ha capito alla fine, è troppo tardi per cambiare strada.

Vivianne si getta letteralmente contro l'acqua in volto, come se fosse facile affogare ciò che prova. Alla fine prende un asciugamano, esce dalla porta e si passa il panno sulla faccia senza sosta.

«Perdonami, mi devo lavare un attimo – inventa una scusa, sì, ha bisogno di affogare nuovamente sotto il getto della doccia –, fai pure ciò che vuoi nel frattempo. Se vuoi raccontarmi qualcosa, intanto», improvvisa, convinta di aver distratto l'amica.

Vivianne cerca nel cestino della biancheria dei panni puliti, degli abiti decenti, qualcosa che la aiuti a distrarsi. Natasha intanto parla, chiacchiera, ridacchia tra sé e sé – di rimando, anche lei sorride.

Vorrebbe tanto piangere.

«Colin torna tra un mese, a proposito», sospira, «Lo vedessi adesso, Viv! Mi ha raccontato di aver avuto qualche ragazza nel frattempo, pare si stia dando alle storie “amici-nemici con benefici”, è proprio mio cugino!».

Ridacchia nuovamente, a quel punto Vivianne non riesce più a fingere.

Corre velocemente in bagno, si lascia indietro le risate senza inibizioni di Natasha e chiude a chiave la porta. Poi, quasi in maniera nevrotica, afferra l'accappatoio e soffoca un grido con disperazione.

Se respira, il sangue le affluisce nuovamente al cervello – fa male, male, male.

Vivianne se ne sta lì, sulle fredde piastrelle di marmo, a raccogliere i cocci che si è perduta correndo.

A cercare i “se” del suo rapporto con Colin, evita di pensare ai “ma” – puntellano il suo cuore senza alcuno scrupolo.

E, sì, ne è cosciente, a farsi gratuitamente del male non guadagna proprio nulla ma, a conti fatti, è la maniera più dolce di darsi una bella pugnalata – incredibile, anche soffrendo riesce a non perdere il suo inguaribile cinismo.





Voi aspettavate il lieto fine, vero?

No, nessuno slancio amoroso, nessun bacio inaspettato, nessuna serata brava tra Colin e Vivianne. Perché la vita è anche così, sapete, piena di speranze mal riposte ed attimi di illusione.

Non è una favola, non lo sarà mai.

Quello che comunemente viene chiamato “amore” ha bisogno di fermentare adeguatamente: necessita il tempo giusto, il luogo adatto e persino la temperatura ideale per crescere – non è detto che si riesca a portare a compimento quest'opera e, credetemi, non è possibile senza un aiuto in più.

La vita è anche così, purtroppo, terribilmente egoista: quel che si dà non sempre si riceve, spesso si dona senza essere ricambiati.

Vivianne aspetta ancora, è lei, è noi, è voi: è sulle fredde piastrelle di marmo, in bilico tra i “se” ed i “ma” – forse si illude, forse no, ha bisogno solo del tempo giusto e del luogo adatto e, nel frattempo, si rende conto di aver raggiunto la temperatura ideale.

«Io lo amo».







Fine.




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Mi rendo conto che potrebbe sembrare, a primo impatto, la classica storia.

Tuttavia, quel che ho voluto narrare non è stata “la storia” di per sé quanto il fatto che nella vita non tutto va per il verso giusto. Forse un giorno Colin si guarderà intorno, forse Vivianne incontrerà qualcun altro, forse bisogna soffrire.

La citazione iniziale è tratta da “Grey's anatomy”, episodio 01x07.

Spero vi sia piaciuta.


Kì.

   
 
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