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Autore: Stukas are Coming    16/09/2011    5 recensioni
Un Tom molto diverso dal solito, un Tom cattivo. Una vita squallida senza felicità porta a diventare... Persone con hobby alquanto macabri.
L' idea per questa storia me l' ha data una mia carissima amica, avevo già pensato ad un racconto simile ma lei mi ha definitivamente "aiutato" a scriverla. Danke, Alice :3
Spero vi piaccia, a me l' idea di un Tom tatuato e bullo -anzi, qualcosa di diverso- mi piace molto.
Il luogo non è ben definito, ero indecisa tra Amburgo, Genova o Londra per l' ambientazione. Se vedete che non lo dico, è per questo motivo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La solita, maledetta uguaglianza di ogni singolo giorno mi da alla testa. Dire che mi sento una specie di schiavo è dir poco. Ma con la situazione nella quale vivo non anelo ad altro. Certo, vorrei un' esistenza migliore, ma so che non è possibile.

Il mio "lavoro" se così si può chiamare, è lavorare in squallidi teatri o club e fare di tutto: dal cameriere -traducendo: portare superalcolici ai miserabili sacchi di pulci che costituiscono la clientela- all' attore. Bella questa, eh si, io attore. Il fatto è che devo tentare di racimolare quel che trovo, altrimenti ciao ciao. Talvolta mi domando se ero felice da piccolo... Immagino di si, i bambini sono sempre contenti, non sanno quanto è velenoso il mondo in cui vivono. Vorrei tornare ad avere quattro anni, sereno, con l' unica occupazione di giocare o correre o ridere.

In vita mia ho rubato cinque o sei volte, minacciato di morte con un coltello tre, pestato un' infinità, sniffato coca diciassette, spinelli ho perso il conto. Dicono che se non avessi la pelle così chiara sarei un perfetto gansta da film, di quei neri nei ghetti che fanno sempre innumerevoli ruberie e robe del genere. Ho origini tedesche, ma a quanto pare un gansta lo sono lo stesso, anche se per me non è vero.

Mio padre non so chi sia e mia madre è un' alcolizzata -un giorno entrai in casa salutandola e lei mi lanciò addosso una bottiglia piena di whisky invitandomi caldamente ad andare a farmi fottere, perchè pensava fossi un poliziotto. Il risultato è stato un taglio sul braccio tremendo a causa di una scheggia volata per aria dalla bottiglia. Mamma mi vuole bene, si vede. Entrare in questa topaia che è l' appartamento dove viviamo è deprimente quanto un' incudine che ti piomba sulla testa.

Anni fa (ne ho diciotto) quando ancora ero un ragazzo “buono” sussurravano che ero bellissimo; lo ripetono anche oggi, lo so ma non me ne importa molto. Sono altissimo e molto magro, pelle pallida: insomma, tipico nordico.

Vado ad una scuola di quelle per idioti -un' altra di quelle frasi che provano gusto a dirmi ogni volta-, piena di gente fannullona o delinquentelli; secondo me io sono intelligente, ma nessuno me lo dice mai.

A causa di questa bellezza le ragazze mi vengono dietro a grappoli e diciamo che non disprezzo la loro compagnia, soprattutto di notte. Sostengono che ho “una ficata di stile”.

I miei capelli sarebbero biondi ma li ho tinti di nero, legati in moltissimi cornrows; ho un piercing al labbro inferiore e i lobi dilatati a 18 millimetri. Inoltre -il pezzo forte, a sentire le tipe nella scuola-, ho una varietà di tatuaggi.

Il più apprezzato è una scritta che parte da una spalla, copre quasi tutto il petto e finisce sull' altra. “Game over”, recita in grandi lettere, e alle estremità ci sono due rondini che trattengono nel becco una un lucchetto, e la seconda una chiave. E' molto complesso e per farlo ci sono volute due sedute dal tatuatore. Ha fatto un male boia, avevo le lacrime agli occhi.

L' altro è sull' avambraccio sinistro e rappresenta una donna bendata che è la Fortuna, un lusso che non ho quasi mai avuto il piacere di conoscere.

Il terzo copre le spalle sulla schiena, “Respect” in lettere liberty. Il quarto è sulla parte superiore del braccio destro e ci sono davvero affezionato, recita “One day I'll fly away”. Sul fianco sinistro c'è un dragone lungo all' incirca sedici centimetri, mentre sulla tibia destra dei ghirigori in nero. L' ultimo è “still dreamin'” a livello più o meno della cintura, ma si vede poco perchè sta sempre sotto al bordo dei boxer.

Acchiappo la felpa dallo schienale della sedia dove l' ho posata, me la metto e apro la porta dalla vernice scrostata del teatrucolo dove ho lavorato oggi dopo avere preso la busta bianca con dentro i soldi lasciata in un comodino per me; fuori l' aria è fredda e dopo poco il fiato inizia a diventare una serie di nuvolette. Sono stato un idiota, ho indossato solo una maglietta di cotone.

Il mio stile è da rapper (motivo in più per venire considerato un gansta), porto maglie, felpe e jeans enormi. Tuttavia lo faccio non per moda o per immagine, ma perchè mi sento meglio così. Camminando la gente mi evita o mi guarda con timore; mi accendo una sigaretta e proseguo nell' autunno che sta volgendo in inverno.

Casa nostra è in periferia, essendo sera tarda non ci penso nemmeno ad aspettare un bus perchè morirei nell' attesa: credere che un autobus possa arrivare in orario è già di per sé un pensiero da psicopatici, figurarsi ora.

Apro e chiudo i pugni per riscaldare un po' le dita che iniziano a perdere sensibilità e accelero il passo, desideroso solo di mettermi a dormire. Oggi è stato particolarmente faticoso, ho dovuto sostituire il lavoro di tre operai assenti causa malattia, brutti merdosi, così ora ho delle schegge sotto la pelle perchè in quel buco mancano perfino un paio di guanti; non posso smettere di fare le manciate di lavoretti che seguo ora, e temo che non ci siano altre occupazioni per uno come me.

Passando accanto ad un bar entro un secondo a prendermi una birra, facendo piombare la sala nel silenzio pseudo-indifferente. So che faccio paura, sembro (ma, in effetti, forse lo sono) un delinquente di quelli pericolosi. Esco comunque senza fare danno alcuno e riprendo la mia camminata solitaria.

Ad un certo punto sento il cellulare vibrare, sono arrivati due messaggi. Lo estraggo dalla tasca larga quanto un transatlantico e apro la schermata: uno è di Clara, la “mia ragazza”. Anche lei non uno stinco di santo... Sembra che la sua massima aspirazione sia essere perennemente ubriaca o fatta, ma almeno mi ama-certo più di mia madre, eppure dovrebbe essere il contrario.

Bevo un sorso di birra e attraverso, non facendo caso all' auto che da' una frenata e ai successivi insulti urlati da dietro il finestrino, udibili alla perfezione.

L' altro sms è di un mio amico che fa parte del gruppo di ragazzi poco raccomandabili con cui esco; è con loro che una notte spaccai il vetro di una gioielleria per rubare qualcosa, ma poi l' antifurto partì a raffica e dovemmo lasciare perdere. Il tizio mi domanda se voglio farmi un giro assieme agli altri domani e rispondo con un si.

La mia vita non mi piace, vorrei essere come i diciottenni normali, vorrei vivere in una bella casa e avere l' amore di una famiglia vera, vorrei avere un fratello per avere una spalla a cui sostenermi ma purtroppo sono nato figlio unico. Cioè, unico per mia madre con l' uomo con cui mi generò... Sono certo di avere una carrellata di fratellastri in giro.

Vorrei anche essere bravo a scuola, andare in un istituto con compagni in gamba e non una stamberga dove chiunque ci entri è targato come senza cervello.

Quando vivi nella mia situazione da sempre però, alla fine ci fai il callo e non si può dire che ne sei felice, ma sopporti molto bene, ecco. Qualche volta mi piace fare le cazzate che facciamo con i miei “amici”. E' eccitante.

Accendo un' altra sigaretta e occhieggio la scritta minacciosa come una ramanzina paterna: IL FUMO UCCIDE. Poco male, morirò ben prima di potere schiattare per quei pochi centimetri di fogliette tritate. Diciamo... Trent' anni ? Si, ci sta, forse prima.

Dopo dieci minuti arrivo finalmente al vetusto portone dell' alveare in cemento dove abbiamo la nostra cella. Tiro fuori le chiavi, ne infilo una nella toppa che scricchiola tristemente e spingo la porta, trattenendola per la maniglia. Due o tre millenni fa aveva un marchingegno che rallentava i movimenti, dunque non poteva sbattere, ma s' è rotto da tempi immemorabili e un giorno, senza pensare a questo particolare, non la fermai e lei sbatté contro lo spigolo con tanta forza da incrinarsi il vetro inferiore.

Niente ascensore, qui si bada alla linea, eh. Non ci si può nemmeno fare tentare da una rilassante salita senza dover fare le scale: non c'è proprio.

Siamo al quinto piano, scalo velocemente i gradini dai bordi arrotondati e scelgo la seconda chiave per l' uscio dell' appartamento. Stavolta devo dare una spallata al legno perchè si dev' essere incastrato un sassolino vicino al cardine e ruota male.

Il solito odore stantio mi accoglie e a tentoni accendo la penosa lampadina a risparmio elettrico dell' ingresso; finisco la birra, l' appoggio vicino ai fornelli, spengo la luce e vado in bagno dove estraggo le tre scheggette dal palmo della mano.

<< Mamma ? >>

Dico ad alta voce, sicuro di non ricevere risposta.

<< Sei un rompicoglioni >>

Biascica invece una voce dalla camera matrimoniale. Mi affaccio e la vedo sotto le coperte, con l' immancabile whisky accanto.

<< Ciao ma'. Ho guadagnato cinquanta euro, sai ? >>

<< Voglio dell' acqua. >>

<< Mi hai sentito ? >>

<< Muovi il culo, sei inutile, inutile ! Ti avrei dovuto solo ingoiare, cazzo >>

Grida, poi s' addormenta.

<< Ti voglio bene anch' io >>

Commento, e chiudo la porta.

Mi spoglio e mi butto a letto, messaggio per un po' con Clara e infine scivolo nel sonno, un' amarezza pesante nel cuore.

Si potrebbe cambiare ? Diventare migliori, diventare come vorrei essere ?

Lascia perdere, ora dormi

Bofonchia una vocina da qualche parte nella mia testa, e annuendo da solo seguo il suo consiglio.

   
 
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