Riflessi
‘Piove…’
Adorava la pioggia. Le dava
un senso di benessere, di sicurezza. Appoggiò la guancia al vetro della
finestra, per poter osservare le gocce cadere nell’ asfalto
grigio, la gente che cercava un riparo, troppo preoccupata per la nuova messa
in piega o la giacca da mezzo milione. Osservava file di venditori ambulanti
raccattare la loro roba in fretta e furia e andarsene, un vecchietto ubriaco
che saltellava nell’erba bagnata. Mischiato al rombo dei tuoni sentiva il
pulsare di uno stereo, che faceva quasi tremare le fragili pareti di legno del
suo appartamento. Probabilmente il suo nuovo vicino che
voleva farsi notare. Ascoltò alcune note di quella melodia. Un’altra di quelle canzonette commerciali copiate da chissà chi.
Finalmente l’
occhio le cadde sullo specchio che aveva di fronte, il grande specchio
che aveva in bagno.
Ma chi era la persona riflessa laggiù?
‘Non io…’
Aveva talmente pensato e
ripensato a quello che era successo che ne aveva la
nausea. Eppure non poteva farne a meno.
‘Perché?’
Aveva letto da qualche parte
che questa era la domanda più antica del mondo, e la più difficile a cui
rispondere.
‘Perché Inuyasha?’
Ancora una volta le immagini
di quel tranquillo pomeriggio di domenica cominciarono a torturarla.
La rabbia…
La paura…
Il sangue…
E ancora una volta non poté
fare a meno di chiedersi: ‘Perché?’
E di chi è la colpa?
‘Mia?’
Le dicevano ‘non essere
stupida…’
‘Del destino?’
Le dicevano
‘il destino non esiste…’
‘Dio?’
Le dicevano ‘non
bestemmiare…’
Fissò il lungo coltello da
cucina che stringeva in pugno. Beffardo, le rimandava il suo riflesso indietro.
Accarezzò la lama con l’indice dell’altra mano. Con un lieve sussulto vide
uscire delle gocce rosse.
Eppure sarebbe bastato così poco per essere felice.
Un piccolo movimento del
polso sull’altro e tutto sarebbe finito.
Un piccolo movimento del
polso e non si sarebbe più dovuta preoccupare di niente.
Pensò alla sofferenza che
poteva dare alle persone che le volevano bene.
Sua madre…
‘Scomparsa anni fa.’
Suo padre…
‘Mai conosciuto.’
I suoi amici…
‘Mi capiranno.’
Alzò il gomito per colpire il
suo minuto polso nel punto migliore. Nessuna frase eroica, nessuno
stupido pensiero sul suo testamento, sul suo funerale, nessun ultimo desiderio.
Solo un ricordo, che risaliva alla sera prima. Era a
casa di Sango.
“Cosa…
come…” La ragazza non trovava le parole. Solo lacrime. “Vorrei morire…”
“Devi vivere.” Sango era più forte di lei.
Ottimista. Carismatica. La invidiava.
“Perché?”
Ancora una volta, la domanda non cambiava. Sango non seppe rispondere, si limitò ad abbracciarla e a stringerla a
sé, per fargli forza, per infondergli coraggio, voglia di andare avanti.
Inutilmente.
Guardò un
ultima volta la sua immagine che la spiava dallo specchio, che brandiva
la morte. Sembrava volesse suggerirle qualcosa.
‘Io voglio vivere.’
‘Perché?’
‘Voglio sapere come va a finire.’
Lasciò cadere il coltello
rumorosamente a terra, e corse fuori, volò sulla rampa
di scale di quell’orrendo palazzo, a piedi nudi
sull’asfalto bagnato. E urlò. Urlò con quanto fiato
aveva in gola.
“Io voglio vivere!” Sorrise,
era felice.
“Ragazzina che avresti
qualche spicciolo?” Un vecchio ubriaco coperto di stracci le barcollava vicino.