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Autore: GreenBlaze    17/09/2011    0 recensioni
ATTENZIONE: questa è la fan-fiction "Era destino?" "Macchè, tutta questione di culo!" e io sono solar74. A causa di alcuni problemi tecnici ho dovuto cambiare completamente account e ripubblicare tutte le mie fic in corso, per evitare che venissero eliminate definitivamente, quindi d'ora in poi la fan-fiction verrà aggiornata solo da questo contatto. Detto questo, vi lascio alla storia :)
[i] Whitelea è tornata a casa: dopo aver viaggiato per un anno nella lontana regione di Sinnoh è pronta a ricominciare una nuova vita nella sua nativa Unima, più matura di prima, più donna di prima, più bella di prima. Ad attenderla ci sono i suoi due migliori amici Komor e Belle e in più una nuova sorpresa: il suo più caro amico Black è tornato poco tempo prima dalla regione di Hoenn, più in forma che mai e con una aria da invincibile Pokèmon Master.
Lea non avrebbe potuto desiderare nulla di più per il suo ritorno e, con strabiliante convinzione, inizia la sua nuova vita da semi-adulta nella suo regione. Non sa, però, che lei e Black non sono gli unici ad aver fatto ritorno a casa......
Ferriswheelshipping, con un piccolo accenno di Chessshipping, leggete e commentate :) [/i]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Anime
Capitoli:
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“Accidenti a me e a i miei stupidi ormoni!”
 

Capitolo I
 
“Sorprese al ritorno.”

 

 
 
La pioggia batteva insistentemente sul finestrino, ticchettando fastidiosamente, come se volesse tenere svegli tutti coloro che ne venivano bagnati.
L’aereo sobbalzò leggermente, spinto dal vento mentre la voce dell’hostess annunciava in varie lingue a me sconosciute l’imminente atterraggio. La sua voce squillante si diffuse da un microfono lungo tutto il vano dell’aereo, facendo ridestare di soprassalto i viaggiatori sonnecchianti, tra i quali c’ero anche io.
Addormentarsi era stata un’impresa del tutto impossibile, nonostante avessi provato e riprovato per tutta la durata del viaggio. Il sonno era arrivato, ovviamente, solo agli ultimi dieci minuti ma era impossibile addormentarsi con tutti quei rumori intorno.
Sbuffando, mi girai supina sul sedile e aprii gli occhi per poi richiuderli istantaneamente a causa di caldi raggi solari che iniziavano a filtrare timidamente tra le nubi temporalesche.
Con un gesto secco della mano sinistra, scansai via la coperta dalla vita e dalle gambe, rabbrividendo per l’improvviso cambio di temperatura. Avrei dovuto sapere che quando si viaggia in seconda classe in pieno giugno, i condizionatori degli aerei diventano decisamente impossibili da sopportare.
Feci per stiracchiare le mie gambe indolenzite dalle lunghe ore di volo, ma non appena cercai di sollevare la gamba destra avvertii una lieve pressione, come se avessi qualcosa appoggiato sulle cosce.
Abbassai lo sguardo per scoprire di cosa si trattava e sorrisi.
Effettivamente qualcosa c’era e mi aveva tenuta al caldo per tutto il viaggio: il mio Tepig dormiva amabilmente, appoggiato al mio grembo e emanando un tiepido calore.
Aveva dormito per tutto il tempo e non si era svegliato mai, né quando aveva iniziato a piovere né quando la hostess descriveva ai passeggeri come  allacciare e slacciare le cinture di sicurezza con quella sua voce da soprano.
 Gli accarezzai teneramente la testolina scura, pensando a come avrebbe reagito quando lo avrei svegliato per dirgli che eravamo tornati a casa. Al pensiero della sua immane pigrizia, mi scappò una breve risatina: avevo il compagno di viaggio più dormiglione ma, allo stesso tempo, più coraggioso del mondo e ne andavo decisamente fiera.
“ E’ molto carino.”, mi sentii dire all’improvviso.
Mi  voltai verso il sedile alla mia sinistra, da dove proveniva la voce, e mi ritrovai faccia a faccia con un giovane allenatore dagli occhi grigi e i capelli biondi, che mi fissava con un sorriso a trentasei denti.
“Dico sul serio. È il Tepig più ben cresciuto che io abbia mai visto. I miei complimenti.”, disse ancora, con quell’espressione da ebete stampata in faccia.
“Ehm…..grazie.” , dissi io, senza sapere bene come sarebbe andata a finire quella conversazione.
“Ma non sarà così per molto. Credo che sia prossimo all’evoluzione.” e accarezzai la codina di Tepig.
Lui lo guardo con occhi luminosi per poi tornare a fissare lo sguardo sul mio viso.
“Beh, quel momento arriva per tutti i nostri compagni di viaggio, nella maggior parte dei casi, e noi non possiamo fare nulla per impedirlo. Però, io credo che l’evoluzione di un Pokémon sia una cosa positiva, in fin dei conti, perché quel Pokémon che noi abbiamo adorato e coccolato per tanto tempo diventa qualcosa di diverso, qualcosa di più forte ed è come se noi crescessimo con lui, aldilà delle coccole e della dolcezza.”
Dopo aver detto queste parole, poggiò una mano su di un fagottino grigio che teneva in grembo che io notai solo in quel momento.
Fece scivolare via un lembo di tessuto per mostrare cosa c’era sotto e solo dopo un po’ capii che quello era l’esemplare di Minccino più tenero che avessi mai visto.
Sonnecchiava tranquillamente con la bocca aperte e le orecchie semi afflosciate, le zampette anteriori giunte davanti al petto e la codina che si muoveva, sognando di fare chissà cosa.
“Anche tu sei allenatore, vedo.” dissi raddrizzandomi sul sedile e avvicinando di un poco la testa all’esemplare di Minccino dormiente. Lui, prima di rispondere, sorrise candidamente e guardò il Pokémon che teneva in grembo.
“Sì che lo sono, e Minccino è sempre stato il mio compagno di viaggio prediletto. È stato l’unico disposto a starmi vicino nei momenti di difficoltà, a darmi la forza di rialzarmi quando cadevo. Può sembrare strano ma gli devo molto. Comunque, sono di Austropoli ma ho sempre amato viaggiare e vedere posti nuovi, così, l’anno scorso sono saltato sul primo volo che ho scovato per la regione di Sinnoh e ho iniziato la mia avventura lì. Fino a che la mia famiglia non mi ha imposto di passare a trovarli. E tu invece? Anche tu sei nata a Unima?” mi chiese all’improvviso. La sua domanda mi colse leggermente alla sprovvista ma fui pronta ad offrirgli la classica risposta ambigua sul luogo di nascita, senza specificare con precisione la località. Un modo più cortese per dire “Perche? Cosa vuoi fartene del mio vecchio indirizzo?”
“Sì, sono nata a Unima.” dissi vaga “e un anno fa ho deciso di lasciare temporaneamente la regione per esplorare posti nuovi e vedere nuovi Pokèmon. Anche io adoro viaggiare” e guardai fuori dal finestrino. Le nuvole iniziavano a diradarsi per lasciar spazio al caldo sole pomeridiano di fine agosto. Un piccolo stormo di Pidove volò vicino all’aereo, mentre il paesaggio alberato di Ponentopoli si stagliava di fronte a noi.
Mi avvicinai ancora di più al finestrino, premendo una mano contro il vetro freddo, quasi a voler assorbire tutto il calore che emanava quella città.
Ero a Unima, ero a casa.
Dopo tanto tempo ero di nuovo lì, più matura di prima, più forte di prima.
Una bambina dai lunghi capelli castani e qualche Pokèball nella borsa aveva lasciato quella regione un anno fa ed ora era tornata con il triplo della forza e della conoscenza con cui era partita.
Mi appoggiai allo schienale del sedile in pelle verde e accarezzai il dorso del mio Tepig, mentre la mente vagava verso luoghi sempre più lontani dalle chiacchiere del giovane allenatore biondo e sempre più vicini a ciò che mi aspettava a terra.
“Hai girato Sinnoh, quest’anno?” mi chiese.
Annuii debolmente, gli occhi rivolti verso l’asfalto grigio della pista d’atterraggio, che diventava sempre più vicina ogni secondo che passava. Per qualche strano motivo, sentivo le farfalle allo stomaco, ma scacciai subito quella sensazione, sentendomi stupida. Come potevo essere eccitata nel rivedere il posto in cui ero nata e cresciuta, che era stata la mia casa per tanto tempo e dal quale avevo avuto persino voglia di allontanarmi e tornare dopo tanto tempo?
“Ah, così sei stata a Sinnoh quest’anno. Beh, è molto stano, avremmo dovuto almeno incontrarci; me la sarei ricordata una ragazza come te……..” disse, lasciando la frase in sospeso e aspettando che dicessi qualcosa.
Gli lanciai un’occhiata da sotto la visiera del cappello, ma non lo guardai direttamente. Se lo avessi fatto, probabilmente sarei scoppiata in una fragorosa risata, che avrebbe attirato le attenzioni dei passeggeri e di tutto il personale.
Era chiaro come il sole che ci stava provando, ma, diamine, non conosceva neanche il mio nome! Cinque minuti sono sempre troppo pochi per conoscere una persona.
Comunque,optai per la reazione da ragazza svampita che non ha idea di che cosa stia succedendo e con occhi sognanti rivolti verso le nuvole, risposi  “Già, proprio strano………”
Probabilmente, lui replicò, ma era già diventato l’ultimo dei miei pensieri.
Di sicuro, avrei trovato Komor e Belle ad aspettarmi sulla pista d’atterraggio. Quei due dementi avrebbero aspettato anche per ore sotto la pioggia pur di vedermi scendere direttamente dall’aereo e strapparmi via i bagagli dalle mani. Komor si sarebbe vantato dei successi che aveva avuto a scuola e di come aveva allenato bene i suoi Pokèmon nel periodo in cui ero stata via e mi avrebbe, come al solito, sfidato a lottare. Belle invece non avrebbe smesso un solo attimo di parlare di come stavano crescendo i suoi Pokèmon, del tipo carino che aveva adocchiato a scuola o della puttanella che aveva fatto scandalo girando per i corridoi con una minigonna vaginale.
 Sorrisi al pensiero che li avrei rivisti di nuovo.
Il mio pignolo Komor e la mia svampita Belle.
Di nuovo insieme……..
L’aereo si inclinò rapidamente verso il basso, facendomi sobbalzare.
Iniziava la discesa che portava a terra, a Unima, a casa.
Non fui l’unica ad accorgersi che eravamo in procinto di atterrare: Tepig si riscosse languidamente dal sonno con un forte sbadiglio e un stiracchiata, per poi mettersi a quattro zampe sulle mie ginocchia e aprire gli occhi, scuri come i tronchi degli alberi del Bosco Girandola.
Batté le palpebre e mi fissò, con uno sguardo che diventava via via più vivido. Mi sarei aspettata una reazione molto più turbolenta all’interruzione del suo sonno.
Tirai un sospiro di sollievo mentale e gli sorrisi.
“ Temevo che non ti saresti svegliato più” gli dissi. Lui, per tutta risposta, sbadiglio ancora, scosse la codina ed emise il suo verso. Gli accarezzai la testolina.
“Te ne rendi conto, Tepig? Siamo di nuovo a casa!” e lo sollevai davanti a me, per poi avvicinare il suo musetto al mio volto e stringerlo al petto, ma lui si dimenò per guardare fuori e non appena vide i verdi prati di Unima iniziò a saltellare e ad emettere versi di gioia.
Risi, ma prima che potessi dirgli di smetterla perché stava infastidendo gli altri passeggeri, un tonfo alla parte posteriore dell’aereo e una forte spinta in avanti mi fecero sobbalzare.
Guardai fuori dal finestrino e vidi Ponentopoli che vi scorreva dietro, ma non la stavo guardando più dall’alto.
La voce metallica del pilota emessa da un altoparlante anticipò il mio pensiero. Ci annunciò con un accenno di sollievo nella voce che eravamo appena atterrati all’aeroporto di Ponentopoli, che erano le ore 18 e 30 del pomeriggio e che il cielo era leggermente coperto.
Chiusi gli occhi per un momento, come per rielaborare quelle parole. Una consapevolezza si fece strada pian piano nella mia mente : ero di nuovo a Unima.
Di nuovo lì dopo una anno passato via.
Quante cose erano cambiate? Quante erano rimaste inalterate? E soprattutto, come avrebbero reagito i miei amici nel vedermi di nuovo dopo tanto tempo?
Mentre ci alzavamo per prendere i bagagli negli scomparti sopra le nostre teste, pensai a mia madre, ai suoi morbidi capelli castani che profumavano di mandorla, il suo shampoo preferito e ai suoi dolci occhi azzurri, così simili ai miei. Anche lei era cambiata? Come avrebbe reagito al mio ritorno? Mi voleva ancora bene come quando ero ancora la sua bambina?
Queste ed altre domande senza risposta mi frullavano in testa mentre mi facevo strada a fatica tra spintoni e urti nell’uscire dall’aereo.
L’allenatore di prima era sparito senza lasciare traccia: forze era uscito prima di me oppure era rimasto indietro senza che io me ne accorgessi.
Nonostante le ridicole avance, mi ritrovai a pensare che magari mi sarebbe andato a genio come amico mentre uscivo dall’aereo sotto il cielo roseo di Ponentopoli.
Un mare di gente aspettava ai piedi dell’aereo, incuranti del rumore assordante del motore.
Aguzzai la vista nel tentativo di vedere Komor e Belle ma non ve ne fu alcun bisogno. Un attimo dopo essere scesa dalla scaletta, infatti, me li ritrovai letteralmente addosso, Belle che mi stringeva forte le braccia attorno alla vita e Komor che si limitava a sorridermi non potendo fare altro.
“Non posso crederci, la mia Lea-puffolotta è  tornata a casa! Quanto mi è mancata la mia Lea-puffolotta!!”
“Anche tu mi sei mancata, Belle.” le dissi, affondando il viso nei suoi capelli biondi che emanavano una fragranza alla pesca, per impedirle di affibbiarmi qualche altro ridicolo soprannome. Dopo dieci secondi passati così, però mi resi conto che non riuscivo più a respirare e tentai delicatamente di divincolarmi dal suo abbraccio soffocante, inutilmente.
“Ok, Belle, puoi lasciarmi adesso……..” le dissi tossicchiando e mimando un silenzioso “aiuto” a Komor, che fece semplicemente spallucce con un sorrisino sulle labbra, come a dire “sempre la solita vecchia Belle” e sorrise.
“No, ti prego, non chiedermi di fare una cosa del genere! Se dovessi fissare il tuo volto anche solo per un secondo sono certa che scoppierei a piangere!” e mi strinse ancora più forte.
Sollevai gli occhi al cielo con un sorriso e fui sollevata nel vedere che non era cambiata per niente. Sempre la solita vecchia Belle, appunto.
“Ma tu devi vedermi. E anche io. E poi, se non ti dispiace, vorrei salutare anche Komor.”
Lei mi abbandono in un lampo, con un sospiro e si sistemò i boccoli biondi dietro le spalle e ……..aspetta un attimo……… BOCCOLI??? Da quando in qua Belle aveva i boccoli???
Aveva sempre avuto i capelli corti, tanto da non riuscire neanche a legarli in una coda di cavallo…….
Solo quando si staccò da me potei vedere quanto era cambiata.
Era più dell’ultima volta che l’avevo vista, ma restava sempre di poco più bassa di me e Komor e aveva i capelli molto più lunghi, sciolti sulle spalle in morbide onde e sgombri dai cappelli che era solita usare ma tenuti fermi da un frontino con fiocco sulla testa.
Anche il suo modo di vestire era cambiato: non portava più la sua solita gonna lunga arancione, ma un paio di attillati jeans chiari che le mettevano in risalto le gambe un po’ corte, ma snelle. Indossava una stretta t-shirt blu con un disegno floreale sul davanti, una cintura bianca nei passanti dei pantaloni e un grosso ciondolo dorato a forma di cuore appeso al collo. Vidi che aveva una serratura a scatto: chissà che cosa conteneva.
Poi, la osservai bene in viso: era, come al solito, senza una traccia di trucco (Belle non ne aveva bisogno)e i grandi occhi verdi rilucevano di una luce nuova, diversa da quella che avevo visto l’ultima volta. Ritrovandomi a fissarla ancora, mi resi conto che nonostante fosse cambiata moltissimo, almeno di aspetto, era davvero bella, come non lo era mai stata.
Non potei fare a meno di trattenere il mio stupore: “Accidenti, Belle…….sei così……così…….diversa.”
Lei si gettò dietro le spalle una ciocca di capelli e alzando fieramente il mento, disse: “Beh, era ora che accadesse, no? La vecchia Belle è solo una vecchia ombra del passato; ora, dai il benvenuto alla nuova frizzante Belle!” e fece un breve inchino.
“Come se tu non fossi mai stata frizzante, Belle.” le dissi ridendo, mentre lei si rialzava con un piccolo salto e mi sorrideva.
In tutto quel trambusto mi resi improvvisamente conto di aver dimenticato Komor.
Lui, come se avesse percepito il mio pensiero, si fece subito avanti.
“Ah, finalmente! Grazie per averla risparmiata, Belle!” le disse avvicinandosi a me.
“Oh, scusa tanto, ma sai è la mia migliore amica e non la vedo solo da un ANNO!” gli disse indignata, con le braccia incrociate sotto il seno. In quanto a permalosità, non era cambiata per niente.
“Oh, ma guarda un po’.” Komor attirò la mia attenzione. Avvicinò la sua testa alla mia e disse: “Siamo ancora un po’ bassine, piccola Lea. Ma non ti preoccupare, arriverà il momento di crescere anche per te.” e mi mise una mano sulla testa, facendomi notare quei dieci centimetri di altezza che c’erano tra la mia fronte e la sua.
Scossi violentemente la testa per scrollarla dalla sua mano e lo spinsi leggermente.
“Sei sempre il solito stronzetto precisino, Komor.” e mi gettai fra le sue braccia.
Lui, dal canto suo, ricambiò subito l’abbraccio e iniziò a ridere.
Io, ridacchiando, avvicinai le mie labbra al suo orecchio e gli sussurrai: “…..ma mi sei mancato lo stesso.”
“Anche tu mi sei mancata, Lea.” e affondò il viso nei miei capelli, mentre io respiravo il suo dolce profumo. Rimanemmo così per un po’, fino a che Belle non ci interruppe con un colpetto di tosse e iniziò a battere il piede per terra.
Io e Komor ci staccammo l’uno dall’altra e io guardai Belle con aria interrogativa e annoiata allo stesso tempo. Io e Komor ci conoscevamo praticamente da tutta la vita (precisamente da quando io avevo una settimana e lui un mese), eravamo cresciuti insieme, lui era il fratello maggiore che non avevo mai avuto. Era naturale che volessi abbracciarlo; non capivo perché Belle si stesse comportando in  quel modo.
La vidi fissare Komor con sguardo eloquente e subito capii che avevano qualcosa da dirmi.
“Non stai dimenticando qualcosa, Komor?”. Quella voce carica di eloquenza e quel sopracciglio destro sollevato chiarirono alla perfezione i miei dubbi.
“Cosa??” domandai subito, curiosa, guardando Komor. Lui roteò gli occhi ed emise un lieve sospiro.
“Oh, già, è vero.” rispose con noncuranza.
“Bene, allora andiamo.” disse Belle con voce squillante e, dopo aver ritirato gli ultimi bagagli, mi presero entrambi a braccetto e mi trascinarono fuori dall’aeroporto, facendosi largo a spintoni fra la folla.
Poco prima di uscire avevo fatto rientrare Tepig nella sua Pokèball, per evitare che si perdesse nel trambusto generale.
“Qualcuno sarebbe così gentile da dirmi cosa sta succedendo e dove stiamo andando?” chiesi con un nota di esasperazione nella voce. Guardai Belle e lei mi fece l’occhiolino, accelerando il passo.
“Lo scoprirai fra poco.” mi disse, raggiante. Io deglutii sonoramente, pensando che Belle non mi aveva mai fatto tanta paura come in quel momento.
Dove accidenti volevano portarmi?
Oppure da CHI  volevano portarmi?
Guardai Komor, con la remota speranza di percepire un minimo segno di ciò che mi sarebbe accaduto fuori di lì, ma il suo viso era calmo e impassibile. In poche parole, illeggibile.
Teneva lo sguardo fisso davanti a se e camminava a passo abbastanza svelto ma più lento rispetto al rapido trotterellare di Belle.
Quando fummo fuori, sotto il roseo cielo estivo di Ponentopoli,  chiusi gli occhi e mi riempii i polmoni dell’aria fresca della città, assaporandone l’intenso aroma di erba appena tagliata.
Quando li riaprii, fui colta da una lieta visione: la fresca bellezza di Ponentopoli era strabiliante, con i suoi alberi e le piante che crescevano rigogliosi lì intorno e i fiori dai petali di mille colori che vi crescevano all’interno.
L’allegria per la bella stagione che arrivava era tangibile nell’area: ovunque si udivano le gioiose grida dei bambini che correvano qua e là per i vialetti della piazza e i versi altrettanto gioiosi dei Pokèmon, adornati con ghirlande di fiori come fossero dei mobili.
Non era la prima volta che vedevo una cosa del genere, ma assistervi dopo tanto tempo non poté che farmela trovare incredibilmente buffa!
Stavo fissando divertita un gruppo di bambini che giocavano a rincorrersi attorno ad una fontana, quando un leggero strattone ad entrambe le braccia mi fece capire che eravamo arrivati a destinazione.
Così guardai davanti a me e mi ritrovai di fronte ad un grosso edificio in mattoni e con il caratteristico tetto fucsia, del quale erano dotate tutte le case e gli edifici della città.
Non capendo cosa volesse significare tutto ciò, rivolsi uno sguardo interrogativo ad entrambi, fino a che non mi lasciarono le braccia e si misero davanti a me.
 Belle era raggiante, Komor un po’ meno, ma aveva comunque un’aria abbastanza tranquilla.
“Lea, c’è una sorpresa per te.” mi disse la mia migliore amica con gli occhi che le luccicavano.
Io li guardai ancor senza capire, fino a che non si spostarono, uno a sinistra e l’altra a destra a mo’ di sipario, lasciandomi intravedere una figura che lentamente prendeva il loro posto davanti a me, avvicinandosi dal porticato.
A prima vista, mi sembrò un ragazzo; man mano che veniva alla luce distinguevo sempre meglio i suoi tratti, o meglio, come era vestito: sneakers nere e basse, stretti jeans grigio chiaro che andavano ad esaltare le sue gambe magre ma toniche, una cintura nera con una grossa fibbia argentata, t-shirt scura, tirata da quelli che sembravano essere potenti muscoli pettorali e una giacca di pelle nera.
Mi accorsi di aver prestato molta più attenzione al suo modo di vestire piuttosto che al suo viso; alzai gli occhi per vederlo, un po’ esitante e quando lo feci mi venne un groppo alla gola: corti capelli castani, grandi occhi della stesso colore, carnagione chiara…….un viso che avrei riconosciuto fra mille.
Era lui ma……….NON POTEVA ESSERE LUI!
Erano passati almeno due anni dall’ultima volta che ci eravamo visto e in cuor mio pensavo che non lo avrei rivisto più.
Invece lui era lì, davanti a me, irriconoscibile, fatta eccezione per quel candido e innocente viso da bambino.
Non avrei mai pensato di rivederlo in quel momento…….
Black.

 
 
“Black…..” dissi con voce tremante e fissandolo con occhi strabuzzati dalla sorpresa, sull’orlo delle lacrime.
Lui mi guardò con quei suoi dolcissimi occhi castani e mi sorrise.
“Bentornata Lea, ne è passato di tempo, eh??” mi disse.
Quanto era cambiata la sua voce!
Non gli era bastato allungarsi di altri venti centimetri, no, aveva anche sviluppato un assurdo vocione!
Se qualcuno lo avesse sentito parlare senza vederlo, avrebbe associato la sua voce ad un trentenne piuttosto che ad un ragazzo di diciassette anni.
Avrei potuto trovare in lui altre mille differenze rispetto all’ultima volta che lo avevo visto, ma in quel momento non pensai ad altro che a gettarmi fra le sue braccia.
Lui mi accolse subito, un po’ sorpreso per la mia veemenza. Appoggiò il mento alla mia testa e lo sentii stendere le labbra in un sorriso contro i miei capelli.
“Wow! Non credevo che saresti stata così felice di vedermi” mi disse ridendo.
A questa sua affermazione capii la mia reazione era stata decisamente esagerata: lui era speciale, d’accordo, ma eravamo solo migliori amici. Da come lo avevo abbracciato sembrava quasi che lo volessi scopare. Mi ricomposi immediatamente, mettendomi di fronte a lui.
“Scherzi? Saranno almeno due anni che ci vediamo e tu sei sorpreso perché sono felice di vederti?” gli chiesi ridendo.
Anche Belle rideva, con le guance rosse e una mano sulla bocca, mentre ronzava attorno a Black come una mosca.
Komor, invece, non rideva né guardava: aveva lo sguardo fisso verso il tramonto e sembrava avere la testa altrove.
Non compresi il senso né del suo comportamento né di quello di Belle, ma non ci feci neppure troppo caso, perché ero troppo presa dall’emozione di aver rivisto Black.
Io e lui ci conoscevamo almeno da quando io conoscevo Komor, forse anche da prima.
Le nostre madri sono sempre state pseudo - sorelle per tutta la vita, quindi abbiamo avuto dei contatti sin dalla più tenera età. Facevamo di tutto insieme, dalle torte di fango ai riposini pomeridiani sui futon di casa sua, dalle corse in bicicletta per i viali di Soffiolieve alle sfrenate e fantasiose imitazioni dei nostri miti, i più grandi maestri Pokèmon di tutti i tempi.
Entrambi volevamo diventarlo; era il nostro sogno condiviso e giurammo a noi stessi che lo avremmo realizzato insieme.
Adesso eravamo lì, uno di fronte all’altra, con due sorrisi da ebete stampati in faccia e ancora quel sogno in fase di realizzazione.
In quel momento pensai che avevo ancora molta strada da fare per diventare Pokèmon Master, ma non ero sicura che per lui fosse lo stesso: aveva iniziato il suo viaggio prima di me , aveva più esperienza di me, quindi aveva più probabilità di realizzare il Sogno prima di me.
Dovevo riscattarmi; dovevo fare qualcosa affinché diventassi Pokèmon Master prima di lui…….
Scacciai subito quel pensiero, sentendomi sciocca: lui era lì, mi teneva le mani sulle spalle dopo due anni e io pensavo a quanto fosse bravo rispetto a me??
Persino in quel momento di pura gioia pensai che avevo uno spirito competitivo fin troppo pesante da tollerare, perfino per me stessa.
Ma mi bastò guardare di nuovo Black e la mia competizione se ne andò a farsi friggere.
Ero così felice di vederlo che tutto ciò che mi circondava iniziò a perdere senso, a non diventare più nulla per me.
C’erano soltanto lui e i suoi dolci occhi marroni.
Per un momento, avvertii il desiderio di sottrarmi agli occhi di tutti, anche a quelli di Komor e Belle, per andare via con lui a fare qualche grossa di cui ci saremmo pentiti per tutta la vita ma della quale avremmo riso per l’eternità.
Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò  a me, mi tolse la sacca rossa dalle mani e se la caricò sulla spalla sinistra. Poi mi circondò le spalle con il braccio destro dicendomi semplicemente:
“Bene, adesso andiamo.”
mi condusse via dal grosso edifico sconosciuto e mi portò al grande parcheggio sul retro.
“Andare dove?” gli chiesi, con un tono di voce a metà fra il sorpreso e l’eccitato. Lui mi rivolse un sorriso sghembo.
“Non ero l’unica sorpresa che ti aspettava qui a Unima, Lea. Le sorprese non sono ancora finite.” mi disse sghignazzando. Per un attimo provai uno strano timore al pensiero di cosa mi aspettava e guardai gli altri in cerca di spiegazioni: il viso di Belle era radioso come al solito, ma questo servii a tranquillizzarmi ancor meno; quello di Komor invece sembrava ancora lontano anni luce, oppure semplicemente infastidito da tutta quella situazione.
Lo guardai tristemente: ma cosa gli era preso all’improvviso? Perché si comportava in quel modo? Si sentiva escluso? Dovevo integrarlo?
Senza pensarci, rallentai il passo e, cercando di non scivolare via dalla presa di Black, stesi una mano verso Komor e la poggiai nell’incavo del suo gomito. Lui piegò il braccio di riflesso, ma solo dopo aver girato il viso stupito capì che quella mano era la mia.
Quando mi guardò gli rivolsi un sorriso e lui ricambiò allo stesso modo, solo un po’ più flebilmente.
Poi vidi Belle fare il broncio perché era rimasta indietro e trotterellare accanto a Komor  per prenderlo sotto braccio e unirsi a noi. Nel vederla, Komor alzò gli occhi al cielo e io risi, pensando che il primo giorno del mio ritorno a Unima non sarebbe potuto andare meglio, ignara del fatto che DAVVERO le sorprese non ancora finite.
 
******

 
 
Ebbene, ecco a voi la mia prima fic sui Pokemon…….
……..
Sì, lo so che non ve ne fotte un granché, ma è bene specificare una cosa del genere in quanto utile a giustificare la mia scarsa conoscenza in materia e la mia insufficiente dimestichezza nel giostrarmi tra certi argomenti.
Per farvelo capire in breve, credo che questo capitolo sia il peggiore che io abbia mai scritto in tutta la mia stupida vita da scrittrice “fai-da-te”  (e non è che ne abbia scitti tanti, quindi..). Non mi era mai passato per la mente di scrivere una fan fiction sui Pokemon, o forse sì ma molto tempo fa, forse a causa dei continui stimoli dati da altre serie, libri e film.
In sintesi, una fic sui Pokemon era l’ultimo dei miei pensieri.
Non so cosa sia successo un mese fa.
Una mattina mi sono svegliata e mi è venuta voglia di scrivere una Ferriswheelshipping, senza ragione, senza uno stupido perché.
In mia difesa, posso solo dire che il fascino di un certo ragazzone dai capelli verdi ha contribuito alla realizzazione di questa pazzia *_*
Sono venuta a conoscenza dell’esistenza di N Harmonia giocando a Pokemon Bianco per Nintendo DS e……eccovi il risultato. Per fortuna questa non è l’unica Ferriswheelshipping presente nel sito: se fosse stato così, penso che mi sarei sentita più a disagio che mai!
Comunque, ritornando al capitolo, posso promettervi che i prossimi saranno molto più interessanti (anche perché ci sarà la comparsa del suddetto “verdino” xD) e scritti in maniera decisamente superiore, o almeno me lo auguro.
E, sempre riferendomi al capitolo, voglio proporvi una piccola sfida senza premio: avrete dedotto da quanto scritto sopra che N e Lea non sono l’unica coppia della storia, ma che ce ne sono delle altre. La sfida è questa: il primo o la prima che riesce ad azzeccare tutte le coppie di cui si leggerà nella fan fiction , forse riceverà via e-mail un’anteprima del secondo capitolo…….
Che premio squallido, vero??!? È così semplice azzeccare tutte le coppie che quasi non c’è gusto nel farlo!!
Bene, e dopo questo tremendo sproloquio post-capitolo (ce ne sarà uno dopo capitolo, mi dispiace per voi  :D), vi lascio all’attesa del prossimo. Ciao a tutti :D 
  
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