Anime & Manga > Yami no Matsuei
Ricorda la storia  |      
Autore: Harriet    16/05/2006    7 recensioni
Padre e figlio che si incontrano di nuovo: il padre è prigioniero della sua oscurità, il figlio dei ricordi. Eppure questo incontro potrebbe portare qualcosa di buono all'animo tormentato di Hisoka...
Genere: Generale, Malinconico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Asato Tsuzuki, Hisoka Kurosaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2 marzo 2006 Lo so, per amore alla lingua italiana dovrei evitare i titoli in inglese! ç_ç Ma per amore sconfinato alla lingua inglese (alla faccia di “qualcuno” :-P) io continuo!!! Questa…storia…cosa…roba informe…Ecco, l’ispirazione me l’ha data una storia su ff.net (“Dreams and reality” di Anoyo), che partiva da una sfida bandita da una community dedicata alle fic su Yami (Muses of Meifu). Il tema era “un incontro tra Hisoka e Nagare”. Ho pensato di descrivere la mia versione di questo incontro. E di dare la mia personalissima interpretazione di Nagare. (Ovviamente ho il permesso dell’autrice della fic nonché della gestrice di MoM!^^ Le ringrazio tanto tanto!)
Buona lettura e complimenti se arrivate in fondo! E che nessuno mi chieda da dove è spuntata questa roba, grazie. Mi piacerebbe dedicarla a May, ma ho paura che non sarebbe un regalo, ma un dispetto. Se la vuole, però, è sua.
Yamimatsu è di Yoko Matsushita, questa storia è mia e non è che ci faccio tanto bella figura. I’m at:
yumemi@hotmail.it
Oppure anche at: Dark Chest of Wonders


Memories of a Dark Soul

C’erano le lanterne e c’era la musica, e tutto ciò non faceva che rendere peggiore la situazione. La notte era serena, eppure un'insolita, fastidiosa brezza si insinuava sotto le vesti, fino alle ossa, fino al cuore. La musica sembrava allegra, ma finiva sempre per discendere, perdendosi in accordi pericolosamente malinconici. E le lanterne ondeggiavano nel lieve vento, e sembravano spettri. Brandelli di pensieri non suoi, frammenti di emozioni non germogliate nel suo cuore transitavano dentro di lui, rapidi come stelle cadenti e brucianti come tizzoni di fuoco. Passavano e svanivano, ma lasciavano un segno, un senso di disagio e nausea sempre crescente.
No, non era disposto a rimanere lì un attimo di più.
Si guardò indietro, esasperato. Possibile che nessuno di quei tre se ne rendesse conto? Possibile che fosse sempre così?
Maledisse la giornata, e i suoi stupidi colleghi che, dopo il lavoro, avevano avuto la bella idea di andare a quella festa in una piccola cittadina. Già, come si poteva perdere la festa?
E maledisse se stesso per aver acconsentito ad andare, per mettere a tacere l’insistenza del più idiota dei tre.
Sì, li maledisse, e probabilmente, se lo avessero sentito, si sarebbero pure spaventati. E dopo aver sfogato tutta la sua rabbia, prese ad avanzare a grandi passi tra la folla, ben deciso a lasciarli indietro e ad allontanarsi il più possibile da quel caos informe di pensieri e sensazioni, tanto schiaccianti da risultare dolorosi.

Riuscì a seminare i colleghi e ad allontanarsi dal punto più affollato della fiera, e poté respirare un po’. Si fermò, avvertendo una marea di inquietudine e fastidio, questa volta tutti genuinamente suoi. Non voleva essere lì, per un milione di motivi, non ultimo dei quali il fatto che quel posto era tremendamente vicino al suo paese natale. Una volta lo avevano anche portato alla festa, da bambino. Suo padre era stato invitato a presenziare con la sua famiglia, la nobile famiglia Kurosaki. Se lo erano portato dietro, e lui era rimasto zitto per tutto il tempo, terrorizzato da quelle ondate di sentimenti non suoi che gli si riversavano addosso. Forse la sua prima esperienza di come ci si sentiva in mezzo a una folla.
All’improvviso avvenne qualcosa. Il riflesso di un’anima, lo spettro di un pensiero. Era più forte di qualunque cosa, attorno a lui, e ben presto lo invase, soffocando tutto il resto.
Fu raggiunto dalla sensazione di qualcuno lì vicino, un misto di rancore, rimorso, e di quella paura sottile che è tipica di chi si sente colpevole, paura che non abbandona mai per tutta la vita. Una brutta sensazione.
Poi venne un pensiero chiarissimo, colmo di fatica e angoscia. La persona che gli si stava avvicinando non voleva trovarsi lì.
Decadenza e desiderio di oblio. Era un uomo malato, il ragazzo ne era certo. C’era un sottofondo inconfondibile, in quei pensieri, lo aveva già sentito, ed era il segno della malattia e del dolore fisico. Malattia inesorabile. Aveva sentito tutto ciò negli altri, e lo aveva sperimentato di persona.
E ancora qualcos’altro, come un sentore di tomba e di desolazione, come il suono di un’anima che ormai è solo un’ombra, come la certezza di vivere sospesi tra il male fatto e il male subito, e aver perso ogni speranza.
Era terribile.
E si avvicinava.
Il ragazzo si piegò in avanti, investito da quell’anima distrutta, trattenendo a stento un grido.
Era dietro di lui.

Si voltò, e gli occhi spaventati di Hisoka Kurosaki incontrarono gli occhi perduti nel nulla di Nagare Kurosaki.

Silenzio. Terrore, disperazione, sgomento tanto immenso da ingoiare tutto il resto, gli occhi di chi ha visto così tante cose orribili che non si stupisce più di niente, nemmeno di questo fantasma, di questo spettro del figlio: che sia qui per vendicarsi? Ne avrebbe anche i motivi…
- Sei anche tu una parte della maledizione?- mormorò Nagare, facendo un passo verso Hisoka, come per gettarsi spontaneamente tra le braccia della morte.
Maledizione?
Hisoka sentiva che il padre non era in sé, e non sapeva cosa intendesse con quel “maledizione”. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che, di nuovo, anche adesso, quell’uomo non conosceva altro modo di rivolgersi al figlio se non chiamandolo maledizione.
Avrebbe voluto rispondere, ma le parole morivano ancora prima di nascere nella sua mente.
- Sei venuto a chiedere la mia vita?- Un altro mormorio spezzato. Un turbine di dolore antico, di domande mai sopite, di stupore e di senso di colpa.
Hisoka scosse lentamente la testa.
- Sei uno spettro, vero? Il suo spettro.-
- No.- La parola uscì a fatica. – Non sono uno spettro.-
- Tu non…- Sgomento, incredulità.
- Sono uno shinigami.-
- Un…dio della morte?- Ancora maggiore lo stupore, ancora più profondo il senso di essere in balia degli eventi. Hisoka credette che non sarebbe stato in grado di sopportare oltre quella compagnia.
- Sono diventato uno shinigami.- ripeté. – Non sono qui per te. Non sapevo nemmeno che ti avrei incontrato.-
Un altro squarcio dell’anima di Nagare nella sua. Il suono di qualcosa che si infrange. I colori di un paesaggio sterile e morente. Il marcio dentro una cosa apparentemente perfetta. La consapevolezza di aver rifiutato la salvezza. Lo specchio di occhi che si sono abituati a vedere il male. Il gelo di mani che non hanno mai saputo stringere con affetto. La sensazione calda del sangue che scorre e macchia vesti candide. L’amore morto da una vita, il dolore compagno da troppo tempo. Il grido di chi è prigioniero, il pianto di chi è condannato. La conoscenza proibita di un antico terrore, le tracce di crimini commessi contro l’universo intero, e la certezza terribile di averlo scelto, scelto, scelto, io l’ho scelto, io sono qui perché qui mi hanno portato le conseguenze delle vie che io ho scelto…
Hisoka si ritrasse, portò le mani sul petto, come se stesse soffocando.
Vattene, vattene! Non respiro! Vattene da qui!
Ma non riuscì a dirlo. Aveva davanti agli occhi chi gli aveva fatto del male, ma non era in grado nemmeno di chiedergli che se ne andasse. Quella dinanzi a lui era solo una creatura ferita ed abbandonata. Non sarebbe riuscito ad alzare la voce contro di lui, mai.
Non sarebbe riuscito ad odiarlo mai più.

- Hisoka!-
Si voltò verso la voce come un’anima oscura si volge verso la redenzione. Tsuzuki gli stava correndo incontro, con un sorriso velato dalla preoccupazione.
- Ehi, Hisoka, tutto bene?-
Si fermò a pochi passi dal ragazzo, e alzò gli occhi verso Nagare. Scrutò per un istante quel viso, senza capire. – Tutto bene?- ripeté, avvicinandosi ad Hisoka.
- Lui è uno shinigami come te?- domandò il padre del ragazzo, alzando una mano per indicare Tsuzuki. Nella spettrale luce delle lanterne sembrò che stesse facendo un gesto di malaugurio.
- Cos…Hisoka!- balbettò Tsuzuki, guardando alternativamente l’uomo e il ragazzo che tremava accanto a lui. – Lui chi sarebbe?-
- Mio padre.-
Stupore e rabbia partirono dal cuore di Tsuzuki e invasero l’animo prostrato di Hisoka. Il ragazzo socchiuse gli occhi, invocando aiuto da chiunque potesse darglielo. Scivolò nella semicoscienza, e le braccia di Tsuzuki lo raccolsero prima che crollasse a terra.
- Non gli è stato concesso di riposare, nemmeno dopo la morte?- mormorò Nagare, avvicinandosi a Tsuzuki e posando gli occhi sul figlio privo di sensi, sorretto dall’altro.
- Gli è stato concesso altro tempo.- rispose Tsuzuki, a disagio.
- Altro tempo, dici? E per cosa?-
Per essere felice.
Per scoprire tutto quello che non ha mai saputo.
Per vendicarsi.
Per dimenticare la sua vendetta.
Per dare ancora qualcosa a qualcuno.
Per non farmi morire.
Perché un giorno partirà davvero, e lascerà anche questo stato a metà tra la vita e la morte, e sarà in pace perfetta, ma quel giorno non è ancora arrivato.
- Qualunque sia il motivo, adesso lui è qui.- rispose Tsuzuki. – E ora credo sia il momento di riportarlo a casa. C’era davvero troppa gente, stanotte, perché potesse sopportarlo. Avrei dovuto pensarci.-
- Lo riporti a casa? Ma qual è la sua casa ora, povera creatura?- La voce di Nagare aveva assunto toni strazianti. Tsuzuki si fermò, e istintivamente strinse di più il ragazzo a sé.
- La sua casa è…E’ quella dove ci sono le persone che lo amano.- rispose, sentendosi ingiusto e crudele, eppure avvertendo che quella era la verità. – Hisoka non è uno spettro senza meta. Ha una missione. Ha dei motivi per vivere. E anche un posto che può chiamare casa. Io non so se questo può consolarla, ma le giuro che con lui ci sono delle persone che vogliono vederlo felice.-
Nagare non rispose. Fece un passo indietro, poi un altro ancora, e lentamente disparve nelle tenebre.

- Sì, è il momento di tornare a casa.- sussurrò lo shinigami più vecchio, passando la mano sui capelli di Hisoka, come un padre farebbe col figlioletto spaventato da un incubo.
- Tsuzuki…- Il ragazzo si riprese, e Tsuzuki lo liberò dall’abbraccio, timoroso di metterlo a disagio. Ma Hisoka non si lamentò. Alzò gli occhi verso di lui, un po’ trasognato. – Quelle cose…i motivi per cui mi è stato concesso del tempo…Li hai detti davvero? O li ho sognati?-
Tsuzuki arrossì, imbarazzato perché la mente sensibile del ragazzo aveva colto quel pensiero, poi però sorrise e annuì.
- Non riesco a distinguere i sogni dalla realtà.- balbettò il ragazzo, confuso. – Sono tutti e due così dolorosi.-
- Prometto che ci penso su, la prossima volta, prima di portarti in mezzo a una folla.- commentò Tsuzuki, posandogli una mano sulla spalla. – Ce la fai a camminare? Ce ne andiamo subito.-
Il ragazzo fece cenno di sì. Niente parole irate o pretese di farcela da solo. Tsuzuki si domandò quanto profondamente lo avessero toccato gli avvenimenti di quella sera, e si rispose che probabilmente non lo avrebbe mai saputo. Ma l’abbandono con cui Hisoka si appoggiava a lui, in quel momento, rivelava più delle parole. Il ragazzo teneva gli occhi socchiusi, lasciando che fosse l’altro a guidarlo. Tsuzuki liberò la mente da ogni preoccupazione, per non gravare dei suoi sentimenti l’empatia dell’amico, e si concentrò solo sulla strada.
Si lasciarono alle spalle la festa morente, la musica in diminuendo, le lanterne che si spegnevano una dopo l’altra. Il gelido alito della notte sostituì l’aria riscaldata dal movimento della folla. Il flusso di emozioni si spense nell’animo in tumulto del ragazzo, e lentamente riprese le forze.
Aprì gli occhi, e Tsuzuki lo lasciò andare, sorridendo al suo viso colmo di stupore e straniamento.
- Watari e Tatsumi?- mormorò il ragazzo, passandosi una mano sugli occhi.
- Sono andati via prima.-
- Che ore sono?-
- L’ora di tornare a casa, credo.-
- Casa…- Hisoka fece qualche passo avanti e trasse un lungo respiro. – Sai, a volte…- La sua voce si fece più forte, fino a tornare quella di sempre. – A volte dici delle cose così vere.-
Beh, quasi quella di sempre. La sua voce di sempre non avrebbe mai fatto una simile affermazione.
- Hisoka…cosa…-
- Sì, andiamo a casa.-
Si voltò verso di lui, serio. Con lo sguardo di una persona che sta facendo una scelta, sta decidendo tutto, la sua stessa vita. Tsuzuki si chiese se il giorno dopo si sarebbe pentito di quel momento di sincerità cristallina.
Camminando in fretta lasciarono quel luogo, e poi la terra degli uomini viventi, per ritornare in un mondo che viene chiamato da tutti mondo di ombre, ma che non è mai tanto colmo di ombre ed oscurità quanto può esserlo il cuore di un solo essere umano.


Fine
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yami no Matsuei / Vai alla pagina dell'autore: Harriet