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Autore: Phenex    18/09/2011    2 recensioni
Anya è una ragazza di diciotto anni con una madre ed una sorella estremamente religiose. Vive a Sea Paradise una città marittima invasa dai turisti e, negli ultimi periodi, anche da qualche male intenzionato.
La vita di Anya comincerà a trasformarsi in un incubo di stupri e violenze quando scoprirà che i demoni, al contrario del suo credo ateista, esistono e che sono il mezzo di alcune delle peggiori persone che vivono nella sua calma cittadina. La giovane adolescente dovrà presto armarsi di un credo religioso per proteggere chi ama, ma quale sarà il prezzo?
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Cap: 09

Ciò che piace ai Sinners.

 

13 Ottobre 2006

Ore 23: 30

 

 

Il freddo cominciava ad abbracciare anche quella cittadina che, fino a qualche settimana prima, era uno dei luoghi più caldi e soleggiati. Il buio attanagliava numerose strade, trasformandole nei ritrovi di persone sfortunate e violente. I lampioni tentano di dare un aspetto più sicuro a piacevole ai marciapiedi ed ai parchi, ma la loro fioca luce biancastra riesce solo a peggiorare la situazione.

Certamente, Sea Paradise potrebbe essere paragonata ad un paradiso, come suggerisce il suo nome, ma solo di giorno, quando i raggi di calore e potere scacciano i diavoli, costringendoli a rifugiarsi lontano dagli innocenti. Durante la notte però, i demoni escono dalle loro caverne, riparati dal mantello nero fornitogli dalle nuvole ed armati della paura dell'atmosfera notturna. Loro si sentono padroni della città e se qualcuno osa uscire di casa ed invadere il loro territorio allora è il momento di aggredirlo e rubargli tutto ciò che possiede inclusa, alle volte, anche la vita.

C'è però una cosa che questi diavoli non hanno mai imparato o che impareranno troppo tardi: di demoni a Sea Paradise ce ne sono di due tipi, quelli che ne hanno solo il nome e quelli che lo sono di fatto.

In uno dei vicoli si possono udire dei singhiozzi deboli ed affaticati. Singhiozzi preceduti prima da uno sparo, dal grido di una donna e poi da un secondo sparo ancora.

< Razza di imbecille che ti è saltato in testa? E se qualcuno avesse udito lo sparo!? >

Sbraitò Carl, uno dei rapinatori, chinandosi sul cadavere di una donna, di una madre, e tentando di slacciarle la collana di pelle che posava sopra la camicetta intrisa di sangue.

< Non se ne stavano fermi... E' stato un riflesso incondizionato... Non volevo... >

Balbettò Ricky, il compagno, con la voce cosparsa di nevrosi e paura. Di fronte ai due vi era una coppia di cadaveri, un uomo ed una donna, distesi sul loro sangue e, in mezzo ai due corpi, c'era una bambina che tentava disperatamente di svegliare il padre che la fissava con gli occhi spenti.

< Papà! Mamma! Papà! >

Strillò la piccola Jennifer, mentre le punte dei suo capelli corvini si macchiavano di sangue ed i suoi splendidi occhietti verdi venivano divorati dalle lacrime.

< Spara anche a questa qui. >

Ordinò Carl, cercando di infilarsi in tasca tutto quello che era riuscito ad arraffare. Nell'udire quelle parole il compagno venne ulteriormente pervaso dal tremore, che già si era impossessato di lui. Che Carl fosse stato un poco di buono Ricky lo aveva sempre saputo, ma addirittura sparare ad una bambina di circa dieci anni?

< Sei sordo? Spara! >

Tuonò l'uomo, costringendo le braccia di Ricky a puntare verso il viso della piccola in lacrime.

< Perché spararle? Abbiamo i soldi... Lasciamola stare... >

Si oppose Ricky, assicurandosi che la sua ansia non gli facesse partire nuovamente un proiettile imprevisto.

< Imbecille! Quante volte te lo ho spiegato? Gli adulti non denunciano il più delle volte perché hanno paura di immischiarsi in qualche disastro! Noi gli facciamo una paura diversa da quella che incutiamo ai bambini! Se questa bambina avrà l'opportunità di parlare alla polizia saremo fottuti! E ADESSO SPARA. >

Ricky cominciò a sudare. Quando aveva deciso, per disperazione, ad aiutare l'amico non si sarebbe mai aspettato che sarebbe andata in quel modo.

< Non ce la posso fare... Io non... >

Balbettò, notando poi la nota di rabbia nel volto di Carl che gli strappo la pistola di mano.

< Fottiti Ricky. >

Lo insultò poi, puntando l'arma sulla piccola Jennifer.

Improvvisamente però una risata femminile fece spostare la direzione dell'arma al rapinatore, che andò a puntarla alla sua destra, dove vi era un altro vicolo ancor più oscuro di quello dove si trovavano lui, Ricky e Jennifer.

< C'è qualcuno? >

Chiese Carl al buio, ma nessuno rispose, o meglio, non rispose come voleva lui. Una seconda risata, identica alla precedente risuonò per la piccola strada oscura, facendo accapponare la pelle a Ricky che, involontariamente, si avvicinò al compagno, quasi come se volesse essere protetto.

La risata si ripeté ancora, poi ci fu il totale silenzio, fino a che una sorta di rumore, simile ad un tintinnio di monete si fece largo lungo i timpani dei due rapinatori.

< CHI CAZZO C'E' LAGGIU'! ?>

Urlò Carl, agitando l'arma e facendo qualche passo in avanti furioso. Ma la rabbia dell'uomo ebbe breve durata, perché una sorta di lungo oggetto metallico color cremisi fuoriuscì dal buio, si annodò sulla sua pistola e glie la portò via di mano, facendo sparire con essa anche il poco coraggio che era rimasto nel corpo di Ricky che, dopo aver visto quella lunga catena rientrare nel buio, esplose in un grido di terrore e si mise a correre verso le strade illuminate dalla luce.

< Dove vai?! Torna qui! >

Sbraitò Carl, tentando di seguire il compagno in fuga, ma inciampando su qualcosa e cadendo a terra con il volto sul sangue dei due sposi defunti da pochi minuti. Tentò di alzarsi, ma non vi riuscì e si accorse che una lunga catena scarlatta, proveniente dal vicolo, si era annodata ai suoi piedi. Tirò un forte strattone, nella disperata speranza di trascinarsi lontano da chiunque vi fosse dall'altra parte del capo metallico, ma fu tutto inutile. Pochi secondi dopo una nuova catena squarciò le tenebre e si piazzò sulla bocca del rapinatore, cominciando a tirarlo brutalmente. L'uomo oppose resistenza, dando così motivo gli anelli di tirare via la carne sulle sue labbra.

Un urlo agghiacciante rimbombò per il vicolo, mentre la testa del rapinatore veniva come tagliata in due parti, una superiore ed una inferiore. Jennifer si tappò le orecchie e chiuse gli occhi, il suo piccolo cuore era sull'orlo di impazzire e la sua testa stava per saltare letteralmente in aria.

Carl venne torturato per circa un minuto, fino a che uno sparo pose fine alle sue urla disperate, facendogli affondare il volto nella pozza di sangue che lui stesso aveva generato.

< Putrido animale privo di ali. >

Commentò Kane, lasciando cadere la pistola sul corpo del proprietario, mentre le catene color cremisi si rintanavano nell'ombra.

< Prendi l'altro. >

Aggiunse poi il ragazzo dai capelli rossi, come se stesse parlando con un'altra persona, per poi portare il suo sguardo verso Jennifer, ancora intenta a cercare di non vedere cosa stava accadendo. Si avvicinò a lei lentamente, senza nascondere la tremarella dovuta all'eccitazione di aver trovato una preda così facile, poi si chinò e le accarezzò la testa.

< Piccola... Non preoccuparti... Presto ti dimenticherai di questa esperienza, di tuo padre e di tua madre. Però prima... Dovrai rendere felice me... >

 

Ore 23: 50

 

 

Ricky stava correndo da circa dieci minuti, senza mai voltarsi alle spalle. Sapeva che Carl non lo stava seguendo, lo aveva intuito dagli urli di dolore sentiti prima di allontanarsi del tutto dalla zona dove aveva appena ucciso due innocenti. Il fatto che Carl fosse vivo o meno non lo preoccupava più di tanto, voleva solo scappare, allontanarsi da tutto quell'orrore che aveva visto e generato.

Continuando a correre giunse, senza accorgersene, all'interno del parco centrale, dove la luce era decisamente più intensa, rispetto a quella dei vicoli.

Sfinito si fermò qualche secondo per riprendere fiato, piegandosi in avanti e sputando sull'asfalto della pista ciclabile.

< Signore non trovo la mia palla... >

Sibilò una voce debole e triste. Ricky si irrigidì dal terrore nel vedere l'ombra sul terreno di qualcuno che stava di fronte a lui. Alzò con insicurezza la testa, per poi schizzare in posizione eretta non appena vide le condizioni della bambina che si era posata davanti ai suoi occhi.

La sua pelle era bianca, adornata dai rilievi delle vene, il suo corpo semi-svestito e talmente magro da mettere in esposizione tutte le costole dove, al centro di esse, risedeva un grosso anello rossastro da cui ne partivano altri molto più piccoli che formavano centinaia di altre piccole catene che entravano ed uscivano dalla carne della bimbetta, tingendo il suo pallidume con il colore del sangue che grondava all'infinito.

< O Mio dio... o mio dio >

Balbettò Ricky, voltandosi ed iniziando a correre verso l'uscita del parco che si chiuse, spinta da una forza misteriosa, producendo un sinistro rumore metallico dovuto alla serratura del cancello.

Preso dalla disperazione più nera il rapinatore insicuro e terrorizzato si voltò e si lanciò verso destra, sperando di trovare un'altra uscita.

< Cosa sta succedendo, cosa sta succedendo... La mia mente deve essere impazzita... >

Disse a se stesso, mentre con la coda dell'occhio non riuscì a fare a meno di non guardare la macabra bambina che continuava a tendere la mano verso di lui con una smorfia di dolore sul volto.

Continuando a correre sull'erba giunse verso un'altra uscita, ma quello che vi era di fronte ad essa gli fece passare qualsiasi voglia di attraversarla.

Altre tre bambine, identiche alla prima, si erano piazzate proprio di fronte all'uscita. Due di esse stavano facendo roteare una grossa catena nera che le univa agganciandosi agli anelli rossi che si ergevano imponenti sul loro petto, mentre la terza era intenta a saltare il filo metallico come se fosse il gioco della fune che tutti i bambini fanno durante la ricreazione.

Non appena Ricky si fermò e rimase immobile a fissarle, le tre bambine, che stavano tenendo lo sguardo basso, si voltarono di scatto contemporaneamente e portarono i propri occhi su di lui.

< Non è possibile... >

Disse disperato, sentendo poi qualcosa attaccarsi alla sua gamba destra.

< Signore vuole giocare a nascondino? Ma la avverto, sono molto brava... >

Squittì una quinta bambina che si era appena arrampicata sui pantaloni di Ricky che, appena posò gli occhi su di lei, non riuscì a fare a meno di urlare. Tentò la fuga, ma la presa dalla piccola e cadaverica bimba sembrava quella di una morsa d'acciaio. Disperato, posò le mani sulla testa sporca di sangue della bambina e tentò di spingerla via, ma fu tutto inutile.

Lentamente le tre bambine che stavano giocando di fronte all'uscita cominciarono ad avvicinarsi a lui, facendolo cadere ancora di più nella paura più pura che lo portò a riempire di pugni la testa della piccola che lo stava trattenendo. Alla fine, una seconda mano si posò su di lui che, senza voltarsi, capì immediatamente a chi apparteneva.

< Ha trovato la mia palla? >

 

 

14 ottobre 2006

Ore 7: 45

 

Frozen si sedette sul posto accanto alla sorella, mentre l'autobus lasciava la fermata di fronte a casa loro per dirigersi verso la scuola. Da quando Brutus aveva attaccato Anya il rapporto tra di loro si era come rafforzato, o meglio, si era creato. Benché fossero sorelle Frozen ed Anya non avevano mai condiviso niente, se non il sangue dei Saviour e qualche battibecco, visto che possedevano anche caratteri totalmente diversi. Tuttavia gli ultimi avvenimenti avevano fatto sì che Anya si avvicinasse di più alla sua famiglia, quasi come se l'aver scoperto la realtà sul padre avesse anche mutato ciò che Frozen e la madre erano state per ben diciotto anni.

< Cosa hai dentro quel sacchetto? >

Chiese Anya, fissando incuriosita la busta di plastica che la sorella aveva poggiato con cura sulle proprie gambe.

< Nulla... >

Rispose in un sussurro lei, cercando di non far notare ad Anya che era lievemente arrossita.

< Uhm.. Come vuoi... >

Sospirò, arrendendosi all'idea che Frozen non era mai stata il massimo con i dialoghi. Decise quindi di cambiare argomento.

< A scuola come stai andando? Io mi sto strappando i capelli ed è passato solo un mese! >

< Nulla di particolare, psicologia sta diventando sempre più interessante. >

Frozen abbassò lo sguardo, quasi come se volesse evitare di mettersi in mostra, ma ciò non bastò a far tornare in mente ad Anya che sua sorella sognava da quando era piccola di poter aiutare le persone con i problemi che potevano scaturire dalla loro mente. Ricordava ancora il giorno in cui fece la decisione di diventare una psicologa, fu proprio perché si era sbucciata un ginocchio da piccola e la madre le aveva messo un cerotto che le venne in mente questo sogno, voleva diventare una sorta di cerotto per le paranoie mentali altrui o qualcosa del genere.

< Senti... Riguardo allo spirito, quello dentro di te... Ci hai parlato?! >

Chiese Anya, tentando di moderare la voce. Ogni giorno chiedeva qualcosa alla sorella sullo spirito che viveva dentro di lei, questo perché la curiosità la stava nettamente divorando dal giorno in cui Anton Vernon gli aveva spiegato cosa erano i Sinners.

< Solo un po'... Ha detto di chiamarsi Aigon. >

< Che nome del cazzo... >

< Ne va molto fiero invece e ha le sembianze di un corvo enorme, con una gigantesca apertura alare che... >

Frozen si accorse del proprio entusiasmo e del fatto che sua sorella la stava fissando sorpresa, come se non la avesse mai vista così entusiasta di qualcosa.

< C..Comunque... Non è questo il momento di parlarne. >

Disse infine, assicurandosi di non aver dato nell'occhio con quella sua reazione. Anya sorrise e si portò indietro una ciocca di capelli castani. Non lo aveva ancora detto a nessuno, ma la possibilità di conoscere una creatura sovrannaturale che sarebbe vissuta dentro di lei era una cosa che la incuriosiva da morire, però c'era un solo problema: per risvegliare la creatura un Saviour doveva avere fede, non una in particolare, ma doveva comunque credere in qualcosa che andasse oltre la realtà, cosa che ad Anya non riusciva molto bene. Nonostante il fatto che si fosse accorta pure lei del suo cambiamento durante l'arco di pochissimo tempo le risultava ancora impossibile staccarsi dalla realtà e liberare la propria mente. In quel momento l'autobus si fermò di fronte alla scuola.

 

 

Ore 8: 15

 

 

< Come sarebbe a dire non c'è?! >

Urlò Karen, facendo innervosire il pasticcere già abbastanza adirato dal fatto che doveva svolgere il lavoro di due persone.

< Sarebbe a dire che questa mattina Kane ha telefonato comunicandomi che non si sentiva molto bene e che sarebbe rimasto a casa e adesso o compri qualcosa o te ne vai fuori, c'è fin troppa confusione. >

Karen sbuffò ed uscì dal negozio sbattendo la porta e suscitando anche qualche lamentela da parte del pasticcere. Lei andava tutte le mattine a comprare la colazione solo per poter parlare con Kane e tutte le volte veniva liquidata. Il ragazzo sembrava detestarla e, nonostante si fosse scusata per ciò che era avvenuto prima dell'inizio della scuola con Frozen, lei non riusciva più a avere le attenzioni di quest'ultimo. Decise di non restare un minuto di più davanti alla pasticceria, dato che le sue compagne si sarebbero presto recate lì per fare colazione, ed imboccò la strada che la avrebbe portata ad un bar poco distante dalla scuola. Benché non lo desse a vedere, Karen, provava una sorta di odio represso verso quelle ragazze che la seguivano come tante piccole zecche, pronte a succhiarle la sua popolarità che si era guadagnata con le unghie e con i denti, dando sempre il massimo per risultare la migliore.

Una volta entrata all'interno del bar si fece riscaldare un toast al formaggio e si sedette su uno degli sgabelli. Notò con soddisfazione che un paio dei ragazzi del quinto anno, che sedevano poco distanti da lei, la stavano mangiando con gli occhi, cosa a cui era ora mai abituata. Quando poi diede il primo morso alla sua colazione, vide Frozen entrare dentro la pasticceria a consegnare al pasticcere, con una insolita allegria, una busta, facendo così rinascere in lei quel sospetto che le dilaniava la mente da più di un mese. Da quando Kane era intervenuto in difesa di quella cadaverica ragazza la vedeva spesso entrare nel negozio dove lavorava il ragazzo, sorridendogli e scherzando con lui. La sola idea che Kane, il suo amato Kane, potesse trovare qualcosa di interessante in una come Frozen mentre lei era destinata a rimanere il bersagli di qualche adolescente arrapato la faceva infuriare tanto da farle mordere involontariamente il proprio labbro inferiore, facendo fuoriuscire da esso un piccolo rivolo si sangue che pulì immediatamente con il tovagliolo del toast.

< Posso sedermi? >

Chiese Zack, posizionando il suo tè caldo sul tavolino prima che Karen avesse tempo di rispondergli. Lei lo fissò per un secondo, poi nella sua mente preparò tutte le motivazioni di rifiuto per evitare appuntamenti che non le interessavano.

< Se proprio devi. >

Rispose in tono neutro, cercando di far intendere al ragazzo che a lei non importava nulla della sua esistenza.

< Bé sì... devo... Mangiare in piedi è scomodo! Allora posso? Sicura? >

Karen socchiuse gli occhi, fissando storto Zack che ricambiò con un sorriso intriso di allegria e spensieratezza.

< Sicura, ma non scassare. >

Disse infine, mentre lui si metteva comodo sullo sgabello, pronto a dedicarsi alla sua tazza di tè ed ai suoi due cornetti alla marmellata.

< Piacere io sono Zack, tu sei? >

Chiese poi, inzuppando uno dei cornetti e mettendo a dura prova la pazienza della ragazza che desiderava solo restare con i suoi pensieri in santa pace.

< Non ti avevo detto di non scassare? Comunque mi chiamo Karen. >

< Karen. >

Ripeté Zack, addentando la sua colazione con una soddisfazione paragonabile solo a quella di un leone mentre sbrana la preda catturata dopo una sfiancante lotta all'ultimo sangue.

< Oh! Adesso ricordo, sei un amica di mio fratello Kane vero? Vi ho visti insieme a volte. >

Karen sgranò gli occhi, quasi come se fosse stata colta di sorpresa da quella domanda.

< Sì... Ma abbiamo litigato adesso. Non sapevo avesse fratelli, non è orfano? >

< Non sono suo fratello di sangue ecco... Siamo cresciuti insieme e mi ha pure visto nascere, quindi per me è come un fratello maggiore! >

Spiegò lui, finendo la prima delle due paste ripiene.

Karen sospirò, le stava lentamente passando la fame e l'idea di entrare a scuola a sorbirsi le adulazioni sui suoi capelli e sulle sue unghie non la faceva certo impazzire. In quel momento, come tutti i giorni prima di entrare a scuola, rimpiangeva il periodo in cui Kane la considerava e la trattava con immensa gentilezza, momento che terminò quando lei le dichiarò i suoi sentimenti, cosa che trasformò quel ragazzo disponibile e dolce in una persona scortese e scontrosa. Ancora non capiva dove aveva sbagliato, in fin dei conti voleva solo stare con lui, essere coccolata e viziata, ma fatto stava che da quel giorno Kane aveva iniziato ad evitarla.

< Ti piace mio fratello? >

Domandò Zack, assumendo un tono di voce più grave e serio. Quelle parole la fecero sussultare, forse perché aveva visto in quel ragazzo solo un bimbetto fastidioso, incapace di fare una domanda così seria e diretta.

< Non sono affari tuoi. >

Rispose poi, riaquisendo la propria freddezza che le serviva a concludere discorsi imbarazzanti o inopportuni. Lui ingoiò ciò che restava del secondo cornetto e terminò il tè, poi si sporse sul tavolo e sussurrò in modo che solo Karen potesse sentirlo.

< Vero. Non sono di certo io quello che si ritroverà tante piccole cicatrici sulle braccia che dovranno essere assolutamente coperte costantemente non è vero? >

Karen sentì il proprio sangue gelarle nelle vene. Come faceva quel ragazzino che conosceva solo da cinque minuti sapere che lei, a causa della sua rabbia repressa, arrivava al punto tale di auto lesionarsi? La aveva spiata? Anche se lo avesse fatto non avrebbe mai avuto l'occasione di vedere quelle cicatrici, visto che erano oscure anche ai suoi genitori.

< Come fai a sapere che... >

Zack la interruppe avvicinandole un dito alle labbra ed avvicinandosi ulteriormente.

< Non puoi stare con Kane, lui è un mostro ed i mostri devono stare con i mostri. Vorresti diventare un mostro per lui? Risolverebbe ogni tuo problema lo sai? >

< Cosa stai dicendo? >

< Vuoi saperlo? Non hai paura? Se no allora potrei presentarti qualcuno che ti amerebbe senza neanche poter vedere il tuo bel corpo da modella. >

Karen deglutì, se fosse stata assieme alle sue amiche allora avrebbe preso in giro Zack, forte del fatto che tutte la avrebbero spalleggiata, ma in quel momento lei era sola, senza nessuno in grado di farla sentire superiore.

< Non capisco... >

< Tu hai qualcosa che piace ad un mio amico, il tuo auto lesionismo lui lo trova così eccitante. Pensaci, se tu diventassi un mostro allora Kane potrebbe amarti. >

Sussurrò Zack, per poi scendere dallo sgabello in tutta tranquillità, tornando ad essere quel ragazzo allegro e spensierato che era ogni giorno.

< Busserò tre volte alla tua porta questa notte. Se mi aprirai allora potremmo discutere. >

< Ma i miei genitori.. >

< I tuoi genitori sono fuori per affari. Lo so, deve essere dura per te rendere fiere due persone così importanti. Ci vediamo questa notte, non tagliarti troppo in profondità o potresti morire mi raccomando. >

La ammutolì lui, uscendo dal bar quasi saltellando.

   
 
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