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Autore: DarknessIBecame    18/09/2011    3 recensioni
"Come sempre la sua reazione lo sorprese. Ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non reagiva mai come si sarebbe aspettato. Come si sarebbe aspettato dalle altre persone, almeno. I due occhioni adornati da folte ciglia scattarono immediatamente verso di lui, lo sguardo acceso da…speranza?"
Beth è con lui. Adesso gli serve solo di trovare il coraggio e prendersi l'altra sua bambina. Noah POV.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Noah Puckerman/Puck, Rachel Berry
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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my Annuncio importantissimo. Questa FF è interamente dedicata alla mia soul sista’ Ainwen. Se qualcuno non la conoscesse, sarei felice se desse un’occhiata anche alle sue Fan Fiction. Credetemi, ne vale la pena.

My Babygirls

“Le mie bambine”. Aveva cominciato a chiamarle così soltanto qualche settimana prima, ed aveva scoperto due nuovi sorrisi, del tutto inaspettati. Il primo era della sua adorabile figlia. Quella bambola dai corti ricci biondi, la pelle ambrata così simile alla sua e gli occhi verdi sembrava apprezzare il nomignolo quanto la giovane donna che le era accanto. Le aveva trovate nel salotto di casa sua, al rientro dagli allenamenti. Rachel era seduta in terra, a gambe aperte ed osservava Beth mettersi in bocca un cubo di gomma verde. La risata della stella del Glee aveva riempito la stanza, suscitando nella bimba un’espressione deliziata. Rachel aveva allungato le braccia e si era piegata in avanti, imitata da sua figlia, che però aveva afferrato con le manine cicciotte due ciocche di capelli della mora, tirando con forza. La Berry non si era scomposta, l’aveva tirata a sé e sistemata sulla coscia, lasciando che giocasse con i suoi capelli. A quel punto aveva fatto un paio di passi avanti, guardandole con espressione divertita ed aveva chiesto cosa stessero facendo le sue bambine. Solitamente Beth, al suono della sua voce, lo guardava piena di aspettativa, sorridendogli sdentata. Quel giorno però sembrò capire che la parola aveva un suono diverso. Era certo che gradisse, così come era certo di aver spaventato la moretta nella stanza. Come sempre la sua reazione lo sorprese. Ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non reagiva mai come si sarebbe aspettato. Come si sarebbe aspettato dalle altre persone, almeno. I due occhioni adornati da folte ciglia scattarono immediatamente verso di lui, lo sguardo acceso da…speranza? Aveva scrutato attenta il suo viso, corrugando leggermente la fronte, prima di stordirlo con il suo sorriso più genuino. L’aveva vista stringere un po’ di più la presa su Beth, che aveva sospirato beata, poi aveva battuto due volte la mano vicino a loro.
-Perché non vieni a sederti e ci fai compagnia? Tua figlia è proprio una Puckerman, piena di energie.- sapeva per certo di aver già sentito quelle stesse parole, ed un ricordo lo colpì mentre accorciava le distanze.

*

-Tu che diamine ci fai qui?- un Puck molto nervoso, sudato e teso rimaneva imbambolato nella cameretta della figlia, terrorizzato nell’osservare la scena che gli si presentava davanti.
-Perché non vieni a sederti e ci fai compagnia? Avrei proprio bisogno di aiuto.- una Rachel indaffarata tratteneva Beth a stento, mentre cercava di sgattaiolare verso un topolino giocattolo per tirargli la coda. Con riluttanza aveva obbedito alla richiesta, perché dietro quel sorriso rassicurante aveva scorto una sorta di…fatica, sofferenza. Era sempre così con lei. Non riusciva mai a comprenderla completamente, ma lui era sempre un passo avanti agli altri. Sapeva che i suoi occhi l’avrebbero sempre tradita, incapaci di nascondere l’insieme di emozioni che la sopraffacevano, troppe per una ragazzina di 16 anni. Per questo, da quella stupida, scarsa settimana in cui erano stati insieme, si era ritrovato a fissarla negli occhi più spesso. In quell’unica settimana, quegli occhi gli avevano dato nuova speranza. Quello che le parole di Quinn avevano rotto dentro di lui, gli occhi di Rachel erano riusciti a rimettere insieme. La sua sicurezza, le speranze per un futuro lontano da quella stupida cittadina in cui si sentiva intrappolato erano tornate a lottare dentro il suo petto. Era vero quello che gli aveva detto sulle panchine, quel giorno. Non avrebbe mai rotto con lei. Non perché fosse innamorato o altro, era troppo preso dalla bionda per vederla in quel senso. Ma camminare con lei sottobraccio, abbracciarla durante i pochi momenti di intimità, persino i suoi stramaledetti, casti baci sulla fronte riuscivano ad illuminare la sua giornata. Era come avere un talismano in miniatura sempre al proprio fianco. Facile sopportare una granita in faccia, se c’era lei a ricordargli che lui era meglio di loro, che lui avrebbe fatto strada nel mondo, e stava facendo un ottimo lavoro per uscire dal suo guscio. L’orgoglio che aveva visto brillare nei suoi occhi ogni santa volta che faceva qualcosa di giusto era abbastanza per spingerlo a fare di più. Proprio per questo le aveva sputato contro che non erano mai stati amici, il giorno in cui avevano rotto. Pur di non dover ammettere che gli faceva male vederla allontanarsi da lui, perché la sua amicizia era una boccata d’aria fresca nella sua vita, l’aveva trattata male. E se n’era pentito ogni giorno, perché lei continuava a trattarlo sempre nello stesso modo. Continuava a riservargli gli stessi sguardi pieni di orgoglio verso di lui, continuava a prenderlo in disparte, di tanto in tanto, per mormorargli parole rassicuranti prima di scappare via, a volto basso. Quando aveva scoperto che era il padre di Beth, non l’aveva rimproverato. Avevano solo condiviso un’occhiata intensa, che gli aveva detto tutto quello che gli serviva di sapere. Era stata quell’occhiata che l’aveva convinto ad andare avanti con la sua idea di tenere la bambina, o almeno di rimanerle intorno nella sua infanzia. E ancora si ostinava a rimanere ancorato alla sua affermazione, non erano mai stati amici e non lo sarebbero mai stati. Certo, per questo avrebbe voluto spaccare i denti di St. Imbecille, farlo a pezzi, metterlo in un frullatore e berlo in un sol sorso. Lui era la testa calda del gruppo e non voleva perdere, non era andato su tutte le furie perché aveva notato quanto gli occhi di Rachel si fossero offuscati, dopo quel giorno. Non provava assolutamente fastidio nel vederli spegnersi a poco a poco, quando la madre l’aveva rifiutata per la seconda volta nella sua breve vita. Cos’avevano i tizi della Carmel contro di lei? Loro, contro di loro, si corresse mentalmente scuotendo il capo e sedendosi a gambe incrociate di fronte alla moretta, così da bloccare le vie di fuga alla figlia, che gattonava allegra sul tappeto costoso.
-Quindi…che ci fai tu qui?- sospettoso, aveva avvicinato un gioco alla bimba senza perderla di vista. Era totalmente incantato dalla sua visione, anche dopo diversi mesi dalla sua nascita. Qualche giorno prima si era fatto coraggio ed aveva telefonato a Shelby, senza parlarne con Quinn. La signora aveva lasciato il suo numero ai ragazzi, in caso avessero voluto andare a trovare la piccola. Qualcosa era scattato nella testa di Noah una settimana prima. Qualcosa che aveva detto Rachel l’aveva fatto scattare. Era stato così stupido a non averci pensato prima. Quella maledetta nanerottola l’aveva portato proprio dove era adesso, e senza che lui se ne accorgesse. L’avrebbe ringraziata poi.
-Sono…sto aiutando Shelby con la piccola. Sono un paio di settimane che le faccio da babysitter, quando lei ha da fare. Sono contenta che tu abbia colto il messaggio velato dell’altro giorno.- si era scostata un po’ per raccogliere un pigiamino rosa da terra, lasciandolo imbambolato. Aveva mentito e detto spudoratamente la verità allo stesso tempo. Lo sentiva. Si grattò nervosamente la base del collo, concentrandosi sulla bambina. Era lì e non poteva, non voleva tirarsi indietro. Rachel li lasciò da soli nella stanza, dichiarando che doveva preparare il bagnetto per la piccola, ed in quel momento Puck non poté più negare di essere suo amico. L’aveva fatto per troppo tempo, era ora di cambiare le cose.

*

Giorni, settimane, mesi erano passati, e tutto li aveva condotti in quella stanza, quel giorno. C’era voluto tempo, ma il suo testone cocciuto aveva finalmente riconosciuto il fatto che per Rachel Berry provava ben più che un semplice sentimento d’amicizia. A chi diamine voleva darla a bere? Non provava semplice amicizia per lei da quando avevano 7 anni e lei gli aveva baciato delicatamente il ginocchio dopo che era caduto dall’altalena del parco giochi. Chissà come aveva fatto a dimenticarsene. Quello era stato il momento in cui aveva deciso che l’avrebbe sposata, con grande delizia della madre. L’anno dopo il padre li aveva abbandonati però, e per quanto la ragazza cercasse sempre di essere presente per lui, di spronarlo, di fargli vedere il lato positivo della situazione, lui era diventato sempre più Puck, sempre meno Noah. Rachel non aveva mai perso le speranze. Almeno fino alla prima granita che gli aveva tirato in viso. Una sorta di rito degli atleti nella loro scuola. Sapevano che i due erano amici, tutti quelli che erano cresciuti a Lima ed avevano la loro età lo sapevano. Quindi avevano ben pensato che, per accettare Puck come uno di loro, avrebbe dovuto tagliare i ponti con il fenomeno da baraccone che era Rachel Berry. Non avrebbe dovuto farlo, ma la pressione, la voglia di essere accettato l’avevano spinto a gettarle la bibita gelata in faccia, uno sguardo di cattiveria in volto. E lei se n’era andata col mento alto, la granita che colava dal maglioncino che  la signora Puckerman le aveva regalato per l’ultimo compleanno, scomparendo nel primo bagno a portata di mano. Ogni granita che le veniva tirata contro riceveva la stessa reazione di sufficienza, come se lei fosse meglio di tutti loro e niente di quello che avrebbero potuto farle l’avrebbe buttata giù. Ed il Noah dentro di lui lo sapeva. Il Puck al di fuori, invece, si accaniva contro quella ragazza testarda, che rappresentava tutto quello che lui avrebbe voluto essere. Tutto era cambiato, da quando aveva deciso di far parte del Glee Club, tranne gli occhi di lei. Non riuscivano mai a mentire, non quando li conosceva così bene. E col passare del tempo, mentre portavano Beth alle visite dal pediatra, le preparavano la pappa, le cantavano per farla addormentare, aveva capito di non poter fare a meno di quella vicinanza, di quella personcina deliziosa ed allo stesso tempo estremamente fastidiosa. Voleva essere lui quello che doveva sopportare i suoi interminabili monologhi, sorbirsi sermoni su come comportarsi correttamente, ascoltare attentamente quali fossero i suoi sogni per poterla aiutare a realizzarli. Non quello scimmione di Hudson. Sapeva che avevano litigato spesso da quando erano tornati insieme, per tutto il tempo che lei passava con Noah, ma la moretta aveva rimesso al suo posto il gigante, che si era allontanato con la coda tra le gambe. E poi aveva rovinato tutto con la storia di Santana. Aveva cercato di sostenerla, in maniera goffa, molto alla Puck, spingendosi più in là dei limiti dettati dal buon senso affermando che a lui lei “piaceva, in qualche modo”. Il tempo non aveva scalfito il loro rapporto, l’aveva reso più forte, se mai, dopo le Provinciali. Ed ora era alla sua porta, la piccola in braccio ed una borsa in spalla, pronto per dichiararsi quello stesso pomeriggio.

*

Aspettò con ansia che lei aprisse la porta, avevano deciso di fare una passeggiata in tandem, e lei si era offerta di portare Beth in collo con la speciale imbracatura per tenere la bimba al petto. Al momento cercava di tenere ferma la figlia, desiderosa quanto lui di vedere Rachel. La famiglia Puckerman al completo sembrava innamorata di quello scricciolo di ragazza, e a lui stava più che bene. Sperava solo che Miss Berry ricambiasse i loro sentimenti, più che altro…i suoi. Sentì la sua voce dalle scale, e dopo pochi secondi si ritrovò davanti una visione in bianco, sorridente e emozionata. Quei vestitini non avrebbero dovuto essere più lunghi? E quella zip, che partiva dallo scollo per arrivare all’orlo della gonna…dio, poteva spogliarla in meno di un secondo, se solo avesse voluto. Con riluttanza le passò la bambina, che venne prontamente baciata e sistemata in quella specie di zainetto.
-Allora, è tutto…oh, un cesto da picnic! Noah, è un’idea magnifica!- la moretta lo assalì, gettandogli le braccia al collo e schioccando un bacio sulla guancia accaldata di Puck. I genitori di lei li osservavano dal corridoio, annuendo verso di lui e sorridendo complici, già consci di ciò che sarebbe successo nel pomeriggio. Dopo un breve saluto, i due si chiusero la porta alle spalle e salirono sul tandem, pedalando in sincrono e canticchiando ad alta voce sotto il cocente sole estivo. Era una bella sensazione, sentirsi liberi e felici per una volta. Che con lei fosse sempre tutto così facile lo sapeva, sperava solo di poter riprovare ogni giorno tanta spensieratezza. Noah era alla guida e dirigeva il mezzo con facilità nelle strade deserte. Salutarono da lontano Kurt, che squittiva e saltellava in estasi accanto ad un Finn nero di rabbia. Per qualche motivo Rachel l’aveva scaricato dopo le Nazionali di New York, e dopo tanto tempo passato nell’ombra dei suoi stupidi ragazzi era arrivato il suo turno. L’ultima svolta a destra ed il parco di Lima si stagliò di fronte a loro, qualche coppia si rincorreva sul bordo del lago, mentre alcuni genitori erano intenti a controllare i figli che si divertivano nell’area del parco giochi. Mettendo i piedi a terra, Puck bilanciò il peso del tandem sulle gambe, così che Rachel potesse scendere per prima.
-E’ un sacco che non vengo qui…da quando, sai…da quando il padre di Kurt è stato male.- la ragazza si abbuiò immediatamente al ricordo, accarezzando dolcemente la testolina bionda di Beth, che emetteva versetti contenti, la guancia poggiata sul petto di Rachel. Noah le fu presto accanto, cestino incastrato contro il fianco, mentre un braccio le cingeva la vita. Lei lasciò andare la testa contro il suo petto e sospirò, rilassandosi, mentre lui la dirigeva verso un lembo libero di prato. Tirò fuori una coperta a scacchi, che stese in terra prima di sedersi. Lei gli passò la figlia e si sedette di fianco a loro, controllando che la gonna non rivelasse troppo dell’intimo e sistemando le gambe di lato.
-Lo so che è un brutto ricordo, ma magari quello di oggi potrebbe aiutarti ad addolcire l’ultimo, non credi?- con finta sicurezza parlò osservando il lago di fronte a loro, tirando fuori una bottiglia di birra fresca e poggiando la schiena contro l’albero che forniva loro una discreta ombra. Rachel annuì, sbirciando nel cestino e tirando fuori la bottiglia di Tè deteinato che la madre di Noah preparava appositamente per Beth.
-Se qualcuno mi avesse detto un paio d’anni fa che Noah Puckerman avrebbe cercato di rendere piacevole un mio brutto ricordo, probabilmente gli avrei suggerito vivamente di cambiare medicinali.- Rachel sbuffò all’espressione contrariata del ragazzo, riprendendo la bimba da lui e facendola sedere sulle sue gambe, per farla bere.
-Rach, io…-cominciò il crestato, raddrizzando la schiena ed allungandosi verso le due. Lei invece si spostò, mettendogli una manina sul petto e spingendolo nuovamente verso il tronco dell’albero prima di sistemarsi contro di lui, il capo appoggiato sulla sua spalla. Il braccio di Noah trovò subito posto attorno a lei, e stava per parlare di nuovo, quando lei lo interruppe.
-Perché…perché sei così gentile con me? Cioè. Lo so che pensi ti serva il mio aiuto con lei, ma…davvero Noah. Sei un papà magnifico, anche Shelby me lo ripete sempre, quando ti lasciamo solo per metterla a dormire. Non c’è bisogno che tu faccia queste cose per me. Puoi semplicemente chiedermi di tenerla come fai sempre, e poi andare per la tua strada. Non ci vedrei niente di male, lo sai. Adoro stare…- il brontolio che era diventato il suo discorso, sintomo di quanto fosse nervosa nell’esternare i suoi pensieri, venne interrotto da una grande mano calda, le dita callose ferme contro la pelle della sua guancia.
-La smetti di brontolare? Voglio avere anche io la possibilità di parlare, per una volta, signorina Berry.- ad un suo cenno d’assenso tolse la mano, che scivolò sulla schiena della figlia. Era buffa, con quel biberon in bocca, da cui ciucciava avidamente. Sembrava quasi completamente assorbita dalle loro parole, come se riuscisse a capirli alla perfezione. Si perse un minuto buono ad osservare quegli occhi verdi, solo fin quando non si accorse di uno sguardo penetrante fisso sul suo viso. Si voltò con calma, sorridendole emozionato, mentre lei sembrava in attesa, la curiosità degli occhi profondi mostrava forse qualcosa di più. Prese la palla al balzo e le posò un delicato bacio sulle labbra, il contatto a malapena esistente, ma elettrizzante. Appena interruppe il bacio, lo sguardo del giovane si spostò verso il lago, la mano libera a grattare la striscia di capelli scuri alla base della nuca, in imbarazzo.
-Lo sai che non sono bravo con queste cose. Tu hai sempre le parole giuste, perfette. Mentre io sono solo il cattivo ragazzo che agisce prima di pensare. Però ho pensato, ed ho pensato tanto. E mi sono inn…beh, ho capito che mi piaci. E che se dovessi scegliere qualcuno per starmi accanto, qualcuno…qualcuno con cui passare le mie giornate, vorrei che ci fossi tu.- sentì la mano di lei stringere tra le dita la sua maglia, nel tentativo di farlo voltare. Obbedì, con lentezza, cercando di affascinarla col suo solito sorriso sornione e sicuro, che svanì quando incontrò i suoi occhi, trasformandosi in uno dolce e speranzoso. Asciugò una lacrima che era scesa sulla guancia rosata della ragazza, il contatto piacevole e naturale come era sempre stato, e si avvicinò nuovamente per baciarla. Proprio in quel momento Beth si decise a distruggere quell’attimo di pace. Tirò la bottiglia lontana da loro, richiamando l’attenzione su di sé ed allungando le braccine paffute verso il padre. Rachel ridacchiò, una risata spezzata dai singhiozzi.
-Prima pensiamo a lei. Poi, se Shelby o tua madre ci volessero dare una mano potremmo far fare a loro le babysitter, per una volta. Potremmo prenderci una serata libera, e poi…vediamo cosa succede.- mentre lui prendeva in braccio la bambina, sentì il peso rassicurante di Rachel contro il suo corpo, riusciva a percepire perfettamente il calore del suo piccolo petto anche attraverso la maglietta. Quello fu il primo di tanti giorni perfetti, finalmente completo. Stringeva sua figlia, stringeva la sua ragazza, finalmente aveva tutto ciò di cui aveva bisogno. Aveva le sue bambine tutte per sé.


Tipo che mi sono accorta che è una vita che non pubblico una Puckleberry felice e pacioccosa. Non potevo farmi sfuggire l’occasione. Spero passiate una splendida domenica, mentre io invece di riposare, scrivo. XD
Chiedo perdono in ginocchio per eventuali errori di ortografia e battitura.
BascioCascio
Vevve
   
 
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