Mia cara Ghianda
Note dell'autrice: Non voleva essere troppo nonsense, e non voleva nemmeno avere nessuna velatura di demenziale.
E spero che non ne abbia... infatti l'intenzione iniziale della storia era quella di creare una situazione spiritosa e giocosa.
Non volevo quindi creare un personaggio demenziale che non capisce che ciò che sta facendo è senza senso, ma semplicemente un ragazzo dolce e sognatore che vuole crearsi un attimo di illusione.
Inizialmente questa non doveva essere un'originale, ma poi mi sono accorta che non riuscivo ad elaborare bene le fattezze e lo spessore psicologico del personaggio, per cui ho deciso di introdurne un altro con una sua caratterizzazione. Detto questo, lascio alla lettura.
Era
una delle mie solite giornate.
Nessun soldo in tasca, nessun luogo da
raggiungere, e soprattutto non un grammo di rifornimento nello
stomaco.
Avrei potuto riempire un'enciclopedia,
elencando tutte le cose che non avevo.
Tuttavia, c'era anche qualcosina che
avevo.
Un nome, innanzitutto. Due sillabe: lu
e ca. Certo, non era un gran guadagno. Era anche
piuttosto
bruttino.
Poi avevo un ragazzo, che andava e
veniva con la stessa frequenza del temporale.
Un raffreddore faraonico, che non aveva
nome, ma montagne di fazzoletti consumati.
I paesaggi boschivi in cui vivevo,
pieni di alberi, sterpaglie e insetti. E ancora alberi, e ancora
sterpaglie, qualche masso di contorno, e tanti, tanti insetti.
E per finire, il mio più grande
patrimonio era una fame incolmabile. Soprattutto in quel giorno
autunnale, in cui il vento freddo e le nuvole in cielo mi mettevano
addosso una tremenda debolezza.
Perciò, passeggiavo nel mio bosco
spoglio di foglie verdi, in cerca di qualche distrazione.
Un guizzo mi tagliò la strada,
sparendo poi su per il tronco di una quercia.
Uno scoiattolo, dalla lunga coda nera,
afferrava una ghianda e l'addentava, in pace sul suo ramo.
Quanto lo invidiavo.
Avrei potuto provare anch'io ad
arrostire qualche ghianda... pensai, cercando di avere un poco di
fantasia.
Ne raccolsi cinque o sei da terra, e le
infilai in tasca, per nulla convinto.
Non ero sicuro che quello fosse uno
spuntino tanto salutare...
Ma nel momento in cui sentii uno
stropiccio all'interno dei jeans, ed estrassi perplesso l'oggetto
estraneo, mi ricordai di un altra cosa che
possedevo, a
palate.
La sfiga.
Un ritaglio di giornale, tutto
stropicciato e sbiadito, mi era finito - chissà come - in
tasca.
Una ricetta, per l'esattezza.
Una ricetta!
Torta bavarese.
Ingredienti, preparazione... Tutto
quello che occorreva a una brava massaia per creare un dolce
celestiale.
La stretta che sentivo sullo stomaco si
fece più ferrea, quasi incontrollabile.
Per placarla provai ad assaggiare una
di quelle ghiande poco
invitanti,
e la scoprii insopportabilmente amara.
Nemmeno del sale o del caramello
sarebbero serviti a correggere quel saporaccio!
Svuotai immediatamente le tasche di
quella roba, e mi ritrovai ancora una volta quella ricetta diabolica
davanti agli occhi.
La sorte aveva davvero deciso di
essermi crudele, stavolta.
Chi l'avrebbe mai detto che un
coriandolo grigio fosse fonte di tante tentazioni?
Un'improvvisa voglia illusoria di
cancellare quella punta di amaro sulla lingua, prese il sopravvento.
“Hmm... guardiamo un po'. Panna,
gelatina, zucchero... risulterà un dolce molto
dolce,
proprio quel che ci vuole per cancellare la
ghianda!”
Lanciai un'occhiata truce al frutto
incriminato, che giaceva a terra con l'impronta di un dente sul
guscio.
Poi raccolsi una buona dose di forza di
volontà, ed iniziai a raccattare tutto quel che mi serviva.
Per prima cosa occorreva ammorbidire la
gelatina in acqua fredda.
Raggiunsi il vicino torrente, dove
l'acqua scorreva impetuosa e soprattutto... gelida. Poteva andare.
Ne raccolsi un po' in un contenitore
concavo di ferro.
A dire la verità, non era esattamente
una terrina come tutte le altre, ma un elmetto.
Già, proprio un elmetto arrugginito
che avevo scovato giorni prima, abbandonato sotto un faggio.
A giudicare dallo strato di ruggine che
lo ricopriva, doveva risalire alla scorsa guerra mondiale.
Assieme all'acqua amalgamai, servendomi
di un bastone, la resina che avevo estratto dal tronco di un pino.
Questa colò dorata dentro l'elmetto, e pareva caramello.
Anche se, caramello non era, bensì
gelatina. Una morbida, gustosa, dolcissima gelatina.
Sicuramente non era animale, visto che
l'aveva prelevata da un albero. Meglio ancora, così sarebbe
stata
più sana.
Dopo parecchi giri, l'intruglio
sembrava essersi accorpato per bene. E quindi passai alla fase
successiva, ovvero sbattere lo zucchero con le uova.
Hmm, zucchero e gelatina? Avevo
quasi il dubbio che diventasse troppo dolce questa torta...
Conoscevo una radura, poco distante,
infestata da mille e più soffioni. Questi, così
bianchi, appuntiti
e volatili, erano proprio della stessa consistenza - e sapore, ne ero
sicuro - dello zucchero filato. Ne raccolsi quanti più
potevo nelle
mani, senza esagerare però. Non volevo correre il rischio
che la mia
torta diventasse insopportabilmente mielosa.
Quando quel foglio portentoso parlava
di uova, non intendeva quelle di zanzara o di rana, o almeno credevo.
La mia fortuna volle che, per puro caso, io m'imbattessi in un nido
di merlo, colmo di ovali azzurri costellati di macchioline grigie.
Per mischiarli al mio bottino di
zucchero, li ruppi all'interno di un coccio, e presi lo stesso
bastone per sbattere i tuorli.
Per aggiungere dolcezza all'intruglio,
presi due manciate di lana di pioppo, per zuccherare ulteriormente.
Zucchero, zucchero, e ancora zucchero. Un miscuglio svenevolmente
dolce!
Forse quest'idea mi era sovvenuta
perché ancora sentivo in bocca l'amaro di quella ghianda
malefica.
Successivamente, per ottenere il latte,
unii qualche proprietà nutritiva della polvere bianca che
avevo
grattato dai sassi, alla solita acqua del torrente.
La ricetta parlava di scaldare... bene.
Niente di più semplice. Bastava lasciare la bevanda al sole
per
dieci minuti, ma anche meno, et voilà!
Latte tiepido.
Lo mischiai con lo zucchero e le uova
nel coccio, poi misi il tutto al sole ponendo una lastra di vetro
sopra - rimediata da un contadino vicino, che l'aveva gettata al
vento - per portare ad ebollizione.
Le istruzioni dicevano di mischiare con
un cucchiaio di legno, beh... il cucchiaio era l'unica cosa che mi
mancava, ma supposi che il legno sarebbe bastato e avanzato!
Per cui usai il mio fidato bastoncino,
e mi misi di buona volontà a mischiare l'impasto.
Rimasi lì per molto, quasi un'ora.
Nessuna bolla.
Neanche mezza, neanche un movimento
sospetto, niente.
Eppure non capivo perché, visto che io
stavo bollendo eccome sotto quel sole cocente.
Dopo un po' mi arresi, e optai per il
fuoco.
Radunai un mucchietto di bastoncini,
incastrandoli in bilico tra loro.
Poi mi accorsi che mi mancava la carta.
Anzi no, a ben pensarci non mi mancava.
Lo sguardo mi cadde su quel ritaglio
grigio di giornale, che mi aveva così amorevolmente guidato
fino a
questo punto. Con il cuore in gola, lo lessi più volte per
memorizzare i passi successivi, poi lo posi sotto la montagnola di
legno, e lo accoppiai con la fiamma dell'accendino.
In poco tempo, l'intruglio cominciò a
brontolare e a rivoltarsi, gonfiando tante piccole protuberanze in
superficie.
Lo tolsi allora dalla fonte di calore,
ed accorpai la resina sciolta, come da procedimento.
La molle sostanza caramellata si
insinuò in tutto quel macello, rimanendo talvolta a
galleggiare come
un biscotto gommoso.
Nel mentre aspettavo che si
raffreddasse il tutto, mi ingegnai per procurarmi la panna.
La panna non era nient'altro che il
grasso del latte, per cui se aggiungevo più sostanze
nutritive, in
modo da far diventare più denso il liquido, avrei dovuto
ottenere il
risultato desiderato.
Sempre con la mia buona volontà, mi
armai di un sasso grigio, e con questo ne grattai un altro, lasciando
cadere la farina così ottenuta
nell'acqua. Fortunatamente,
quelle pietre erano molto friabili.
In poco tempo raggiunsi la consistenza
desiderata ma, prima di aggiungere anche la panna - che
chissà
perché, non ne voleva sapere di montarsi - decisi di
addensarla
ulteriormente con lo zucchero. Che, non dimentichiamo, avrebbe
aumentato la dolcezza del dolce.
Una torta esageratamente dolce e di un
dolce esagerato, ecco il mio obiettivo.
Dopo aver unito anche la panna
zuccherina, versai il composto ottenuto nello stampo. Ovvero
nell'elmetto, l'unico di cui disponevo. Poco male, sarebbe stata una
torta a forma di tartaruga.
L'attesa necessaria perché il budino
si raffreddasse, si rivelò snervante.
Così, per ingannare il tempo, si
affacciò alla mia mente un'altra geniale idea.
Cosa c'era infatti di meglio del
cioccolato a scaglie, per coronare la bontà della mia
creazione?
Già pregustavo la prelibatezza che ne
sarebbe risultata.
Presi dal tronco di un albero vicino
dei pezzetti di corteccia scura, e li raccolsi con minuzia.
L'amaro del cacao avrebbe un po'
attenuato l'eccessiva dolcezza della torta, ma non mi dovevo
preoccupare di questo. Anzi, temevo di aver aggiunto un po' troppo
zucchero.
Una volta che la torta fu pronta per
essere voltata, raccattai la lastra di vetro che avevo abbandonato
nella radura, spazzandola dagli insetti e dalla polvere.
Come fosse un piatto di cristallo - che
in parte era - , ci posi sopra l'elmetto, che poi sfilai, scoprendo
quella cupola bianca e gelatinosa.
Un'espressione di meraviglia mi si aprì
in volto, mirando quel dolce tremolante che mi attendeva.
Non potevo aspettare oltre, dopo tanta
fatica volevo assaggiarlo immediatamente!
Presi un coltello che per fortuna
possedevo, e lo affondai nella tartaruga, rivelando un interno bianco
striato di gelatina gialla e dolce. Così come la panna,
gentilmente
spumante in superficie.
La mia torta traboccava dolcezza da
tutti i pori! Persino quelle scaglie di cacao, che aggiunsi alla mia
fetta, le diedero un tocco in più di frivolezza zuccherosa.
Tremavo dall'eccitazione all'idea di
gustarla.
La avvicinai alla bocca, preparando il
palato, affondai i denti in quella moltitudine bianca e...
Decisi una volta per tutte che le ghiande erano il pasto più squisito in cui mi fossi mai imbattuto!
~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ♥
Seconda classificata a parimerito con Dew_Drop al contest Oh, so Sweet! Un contest come una pasticceria. indetto da WindOfTheNight sul forum di efp.“Mia cara ghianda” di Silvar Tales
Correttezza grammaticale: 9/10
Stile e lessico: 8/10
Originalità: 8/10
Caratterizzazione psicologica e fisica dei personaggi: 5/5
Utilizzo del dolce assegnato: 10/10
Apprezzamento personale: 2,5/2,5
Totale: 42,5
Il modo in cui hai sviluppato il tema del contest è interessante e originale. Il protagonista è un sognatore in grado di immaginare una deliziosa ricetta, creando un "dolce" dal nulla, come quando da bambini si immaginava di cucinare torte dal fango. Ho molto apprezzato questo aspetto della storia. Attraverso l'immaginazione del ragazzo, inoltre, è facile intuire la trama ammantata dal sogno (quel lu e ca, e quel fidanzato che è come un raffreddore). E' tenero il modo in cui, con tono un po' infantile, il ragazzo alla fine addenta il suo capolavoro e decreta che le ghiande non sono così male.
Sono rimasta davvero tanta sorpresa dal risultato, non avrei mai creduto di combinare qualcosa di buono con questo paciugo mezzo non-sense **
Ormai non ho più altro di significativo da dire, vorrei solo ringraziare tanto la giudice WindOfTheNight, per la sua velocità nel consegnare i risultati e per la sua precisione nello stilare i giudizi e le valutazioni.
Un ringraziamento speciale anche alla bannerista, My Pride, per i suoi bannerini letteralmente stupendi ** non credo di aver mai ricevuto un banner così fantameraviglioso, è stupendo ♥