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Autore: Silvar tales    18/09/2011    3 recensioni
La fame gioca brutti scherzi.
Soprattutto quando si è da soli, in un bosco zeppo di disgustose ghiande, e si ha sottomano una ricetta succulenta ma nessun ingrediente per prepararla.
[Seconda classificata a parimerito al contest "Oh, so Sweet! Un contest come una pasticceria" indetto da WindOfTheNight]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Mia cara Ghianda
mia cara ghianda banner di my pride

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Note dell'autrice: Non voleva essere troppo nonsense, e non voleva nemmeno avere nessuna velatura di demenziale.
E spero che non ne abbia... infatti l'intenzione iniziale della storia era quella di creare una situazione spiritosa e giocosa.
Non volevo quindi creare un personaggio demenziale che non capisce che ciò che sta facendo è senza senso, ma semplicemente un ragazzo dolce e sognatore che vuole crearsi un attimo di illusione.

Inizialmente questa non doveva essere un'originale, ma poi mi sono accorta che non riuscivo ad elaborare bene le fattezze e lo spessore psicologico del personaggio, per cui ho deciso di introdurne un altro con una sua caratterizzazione. Detto questo, lascio alla lettura.




Era una delle mie solite giornate.
Nessun soldo in tasca, nessun luogo da raggiungere, e soprattutto non un grammo di rifornimento nello stomaco.
Avrei potuto riempire un'enciclopedia, elencando tutte le cose che non avevo.
Tuttavia, c'era anche qualcosina che avevo.
Un nome, innanzitutto. Due sillabe: lu e ca. Certo, non era un gran guadagno. Era anche piuttosto bruttino.
Poi avevo un ragazzo, che andava e veniva con la stessa frequenza del temporale.
Un raffreddore faraonico, che non aveva nome, ma montagne di fazzoletti consumati.
I paesaggi boschivi in cui vivevo, pieni di alberi, sterpaglie e insetti. E ancora alberi, e ancora sterpaglie, qualche masso di contorno, e tanti, tanti insetti.
E per finire, il mio più grande patrimonio era una fame incolmabile. Soprattutto in quel giorno autunnale, in cui il vento freddo e le nuvole in cielo mi mettevano addosso una tremenda debolezza.
Perciò, passeggiavo nel mio bosco spoglio di foglie verdi, in cerca di qualche distrazione.
Un guizzo mi tagliò la strada, sparendo poi su per il tronco di una quercia.
Uno scoiattolo, dalla lunga coda nera, afferrava una ghianda e l'addentava, in pace sul suo ramo.
Quanto lo invidiavo.
Avrei potuto provare anch'io ad arrostire qualche ghianda... pensai, cercando di avere un poco di fantasia.
Ne raccolsi cinque o sei da terra, e le infilai in tasca, per nulla convinto.
Non ero sicuro che quello fosse uno spuntino tanto salutare...
Ma nel momento in cui sentii uno stropiccio all'interno dei jeans, ed estrassi perplesso l'oggetto estraneo, mi ricordai di un altra cosa che possedevo, a palate.
La sfiga.
Un ritaglio di giornale, tutto stropicciato e sbiadito, mi era finito - chissà come - in tasca.
Una ricetta, per l'esattezza.
Una ricetta!
Torta bavarese.
Ingredienti, preparazione... Tutto quello che occorreva a una brava massaia per creare un dolce celestiale.
La stretta che sentivo sullo stomaco si fece più ferrea, quasi incontrollabile.
Per placarla provai ad assaggiare una di quelle ghiande poco invitanti, e la scoprii insopportabilmente amara.
Nemmeno del sale o del caramello sarebbero serviti a correggere quel saporaccio!
Svuotai immediatamente le tasche di quella roba, e mi ritrovai ancora una volta quella ricetta diabolica davanti agli occhi.
La sorte aveva davvero deciso di essermi crudele, stavolta.
Chi l'avrebbe mai detto che un coriandolo grigio fosse fonte di tante tentazioni?
Un'improvvisa voglia illusoria di cancellare quella punta di amaro sulla lingua, prese il sopravvento.
“Hmm... guardiamo un po'. Panna, gelatina, zucchero... risulterà un dolce molto dolce, proprio quel che ci vuole per cancellare la ghianda!”
Lanciai un'occhiata truce al frutto incriminato, che giaceva a terra con l'impronta di un dente sul guscio.
Poi raccolsi una buona dose di forza di volontà, ed iniziai a raccattare tutto quel che mi serviva.
Per prima cosa occorreva ammorbidire la gelatina in acqua fredda.
Raggiunsi il vicino torrente, dove l'acqua scorreva impetuosa e soprattutto... gelida. Poteva andare.
Ne raccolsi un po' in un contenitore concavo di ferro.
A dire la verità, non era esattamente una terrina come tutte le altre, ma un elmetto.
Già, proprio un elmetto arrugginito che avevo scovato giorni prima, abbandonato sotto un faggio.
A giudicare dallo strato di ruggine che lo ricopriva, doveva risalire alla scorsa guerra mondiale.
Assieme all'acqua amalgamai, servendomi di un bastone, la resina che avevo estratto dal tronco di un pino. Questa colò dorata dentro l'elmetto, e pareva caramello.
Anche se, caramello non era, bensì gelatina. Una morbida, gustosa, dolcissima gelatina.
Sicuramente non era animale, visto che l'aveva prelevata da un albero. Meglio ancora, così sarebbe stata più sana.
Dopo parecchi giri, l'intruglio sembrava essersi accorpato per bene. E quindi passai alla fase successiva, ovvero sbattere lo zucchero con le uova.
Hmm, zucchero e gelatina? Avevo quasi il dubbio che diventasse troppo dolce questa torta...
Conoscevo una radura, poco distante, infestata da mille e più soffioni. Questi, così bianchi, appuntiti e volatili, erano proprio della stessa consistenza - e sapore, ne ero sicuro - dello zucchero filato. Ne raccolsi quanti più potevo nelle mani, senza esagerare però. Non volevo correre il rischio che la mia torta diventasse insopportabilmente mielosa.
Quando quel foglio portentoso parlava di uova, non intendeva quelle di zanzara o di rana, o almeno credevo. La mia fortuna volle che, per puro caso, io m'imbattessi in un nido di merlo, colmo di ovali azzurri costellati di macchioline grigie.
Per mischiarli al mio bottino di zucchero, li ruppi all'interno di un coccio, e presi lo stesso bastone per sbattere i tuorli.
Per aggiungere dolcezza all'intruglio, presi due manciate di lana di pioppo, per zuccherare ulteriormente. Zucchero, zucchero, e ancora zucchero. Un miscuglio svenevolmente dolce!
Forse quest'idea mi era sovvenuta perché ancora sentivo in bocca l'amaro di quella ghianda malefica.
Successivamente, per ottenere il latte, unii qualche proprietà nutritiva della polvere bianca che avevo grattato dai sassi, alla solita acqua del torrente.
La ricetta parlava di scaldare... bene. Niente di più semplice. Bastava lasciare la bevanda al sole per dieci minuti, ma anche meno, et voilà! Latte tiepido.
Lo mischiai con lo zucchero e le uova nel coccio, poi misi il tutto al sole ponendo una lastra di vetro sopra - rimediata da un contadino vicino, che l'aveva gettata al vento - per portare ad ebollizione.
Le istruzioni dicevano di mischiare con un cucchiaio di legno, beh... il cucchiaio era l'unica cosa che mi mancava, ma supposi che il legno sarebbe bastato e avanzato!
Per cui usai il mio fidato bastoncino, e mi misi di buona volontà a mischiare l'impasto.
Rimasi lì per molto, quasi un'ora.
Nessuna bolla.
Neanche mezza, neanche un movimento sospetto, niente.
Eppure non capivo perché, visto che io stavo bollendo eccome sotto quel sole cocente.
Dopo un po' mi arresi, e optai per il fuoco.
Radunai un mucchietto di bastoncini, incastrandoli in bilico tra loro.
Poi mi accorsi che mi mancava la carta.
Anzi no, a ben pensarci non mi mancava.
Lo sguardo mi cadde su quel ritaglio grigio di giornale, che mi aveva così amorevolmente guidato fino a questo punto. Con il cuore in gola, lo lessi più volte per memorizzare i passi successivi, poi lo posi sotto la montagnola di legno, e lo accoppiai con la fiamma dell'accendino.
In poco tempo, l'intruglio cominciò a brontolare e a rivoltarsi, gonfiando tante piccole protuberanze in superficie.
Lo tolsi allora dalla fonte di calore, ed accorpai la resina sciolta, come da procedimento.
La molle sostanza caramellata si insinuò in tutto quel macello, rimanendo talvolta a galleggiare come un biscotto gommoso.
Nel mentre aspettavo che si raffreddasse il tutto, mi ingegnai per procurarmi la panna.
La panna non era nient'altro che il grasso del latte, per cui se aggiungevo più sostanze nutritive, in modo da far diventare più denso il liquido, avrei dovuto ottenere il risultato desiderato.
Sempre con la mia buona volontà, mi armai di un sasso grigio, e con questo ne grattai un altro, lasciando cadere la farina così ottenuta nell'acqua. Fortunatamente, quelle pietre erano molto friabili.
In poco tempo raggiunsi la consistenza desiderata ma, prima di aggiungere anche la panna - che chissà perché, non ne voleva sapere di montarsi - decisi di addensarla ulteriormente con lo zucchero. Che, non dimentichiamo, avrebbe aumentato la dolcezza del dolce.
Una torta esageratamente dolce e di un dolce esagerato, ecco il mio obiettivo.
Dopo aver unito anche la panna zuccherina, versai il composto ottenuto nello stampo. Ovvero nell'elmetto, l'unico di cui disponevo. Poco male, sarebbe stata una torta a forma di tartaruga.
L'attesa necessaria perché il budino si raffreddasse, si rivelò snervante.
Così, per ingannare il tempo, si affacciò alla mia mente un'altra geniale idea.
Cosa c'era infatti di meglio del cioccolato a scaglie, per coronare la bontà della mia creazione?
Già pregustavo la prelibatezza che ne sarebbe risultata.
Presi dal tronco di un albero vicino dei pezzetti di corteccia scura, e li raccolsi con minuzia.
L'amaro del cacao avrebbe un po' attenuato l'eccessiva dolcezza della torta, ma non mi dovevo preoccupare di questo. Anzi, temevo di aver aggiunto un po' troppo zucchero.
Una volta che la torta fu pronta per essere voltata, raccattai la lastra di vetro che avevo abbandonato nella radura, spazzandola dagli insetti e dalla polvere.
Come fosse un piatto di cristallo - che in parte era - , ci posi sopra l'elmetto, che poi sfilai, scoprendo quella cupola bianca e gelatinosa.
Un'espressione di meraviglia mi si aprì in volto, mirando quel dolce tremolante che mi attendeva.
Non potevo aspettare oltre, dopo tanta fatica volevo assaggiarlo immediatamente!
Presi un coltello che per fortuna possedevo, e lo affondai nella tartaruga, rivelando un interno bianco striato di gelatina gialla e dolce. Così come la panna, gentilmente spumante in superficie.
La mia torta traboccava dolcezza da tutti i pori! Persino quelle scaglie di cacao, che aggiunsi alla mia fetta, le diedero un tocco in più di frivolezza zuccherosa.
Tremavo dall'eccitazione all'idea di gustarla.
La avvicinai alla bocca, preparando il palato, affondai i denti in quella moltitudine bianca e...

Decisi una volta per tutte che le ghiande erano il pasto più squisito in cui mi fossi mai imbattuto!


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Seconda classificata a parimerito con Dew_Drop al contest Oh, so Sweet! Un contest come una pasticceria. indetto da WindOfTheNight sul forum di efp.

“Mia cara ghianda” di Silvar Tales 


Correttezza grammaticale: 9/10 
Stile e lessico: 8/10 
Originalità: 8/10 
Caratterizzazione psicologica e fisica dei personaggi: 5/5 
Utilizzo del dolce assegnato: 10/10 
Apprezzamento personale: 2,5/2,5 
Totale: 42,5
 

Il modo in cui hai sviluppato il tema del contest è interessante e originale. Il protagonista è un sognatore in grado di immaginare una deliziosa ricetta, creando un "dolce" dal nulla, come quando da bambini si immaginava di cucinare torte dal fango. Ho molto apprezzato questo aspetto della storia. Attraverso l'immaginazione del ragazzo, inoltre, è facile intuire la trama ammantata dal sogno (quel lu e ca, e quel fidanzato che è come un raffreddore). E' tenero il modo in cui, con tono un po' infantile, il ragazzo alla fine addenta il suo capolavoro e decreta che le ghiande non sono così male.


Note finali: la prima originale con cui partecipo ad un contest, seconda!
Sono rimasta davvero tanta sorpresa dal risultato, non avrei mai creduto di combinare qualcosa di buono con questo paciugo mezzo non-sense **
Ormai non ho più altro di significativo da dire, vorrei solo ringraziare tanto la giudice WindOfTheNight, per la sua velocità nel consegnare i risultati e per la sua precisione nello stilare i giudizi e  le valutazioni.
Un ringraziamento speciale anche alla bannerista, My Pride, per i suoi bannerini letteralmente stupendi ** non credo di aver mai ricevuto un banner così fantameraviglioso, è stupendo
   
 
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