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Autore: ChopSuey    18/09/2011    2 recensioni
[Transformers]
Ho imparato il concetto di “dogma” molto prima di conoscere la parola usata per descriverlo: “Sides ci sarà sempre” è stata la mia personalissima verità assoluta da che mi è dato ricordare.
All’epoca, però, non avevo ancora il minimo sospetto che questo sarebbe equivalso ad una vita infernale.

Fanfic in tre parti sui LamboTwins: AU, humanformers e disastri!
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I
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Tutto questo però era impallidito di fronte all’ultima, ma non per questo definitiva, impresa del mio deficiente fratello.
 
Per quanto io mi ritenga (a ragione, ci tengo a precisare) superiore alla mediocrità che mi circonda, sono allo stesso tempo consapevole che non tutti apprezzino l’arte così come la intendo io. Non che questo mi abbia mai impedito di continuare a dipingere ciò che io, ed io soltanto, ritengo degno di essere ritratto per comunicare ciò che io sento e voglio condividere.
Ero quindi relativamente preparato al fatto che il mio relatore mi dicesse senza mezzi termini che considerava l’ottanta per cento delle opere che gli avevo proposto per l’esame finale uno schifo completo.
Quell’uomo non ha senso del gusto e, non meno importante, della decenza. Non riconoscerebbe un’opera significativa nemmeno se gli cadesse addosso dal cielo.
D’altro canto, un essere incapace di apprezzare Egon Schiele non si merita il mio rispetto.
 
E’ per questo che non gli avevo spaccato il naso mentre ce l’avevo lì davanti. Avevo invece assunto un atteggiamento contrito, come se davvero me ne sbattesse qualcosa della sua compassata e totalmente cretina visione dell’arte, e avevo mantenuto la calma pensando a quanto sarebbe stato bello rigargli la macchina dopo l’esame, magari dandole pure fuoco e ballandoci attorno nudo, in perfetto stile “rito di passaggio dal mondo liminale dell’adolescenza a quello (non meno schifoso) dell’età adulta”.
 
Purtroppo questo è quello che avevo urlato in faccia a Sidewipe appena tornato a casa, giusto perché – in qualche modo – dovevo pur sfogarmi.
Non che avessi davvero intenzione di modificare il mio stile per adattarmi alle assurde richieste di quello stronzo, ma allo stesso tempo non volevo venire escluso dall’esposizione finale delle opere degli allievi (azione che ero sicuro non fosse troppo bassa per un individuo meschino come lui): non mi rimaneva altro che rinchiudermi in quello che, fin troppo generosamente, chiamavo “studio” e cercare una soluzione alternativa, almeno per il momento, alla violenza.
 
Non appena avevo sentito le fantomatiche parole: “Tranquillo Sunny, ci penso io!” seguire il mio monologo, un brivido mi era corso lungo la schiena, ma mi ero illuso che la massima conseguenza sarebbe stata incorrere in un altro degli incoraggiamenti culinari, chiamiamoli così, di mio fratello.
 
Non potevo immaginare che la realtà sarebbe stata decisamente più spaventosa.
 
Quando, due giorni dopo, con le mani sporche di colore e un’espressione omicida sulla faccia avevo risposto al telefono, non mi aspettavo che il rettore mi avrebbe convocato nel suo ufficio.
Anche perché non avevo la più pallida idea del perché mi volesse vedere.
Ero rimasto in casa quasi per quarantotto ore, interrompendomi solo per accompagnare mamma da una delle sue amiche pazze la sera precedente, nonostante fossi io il fratello che aveva da fare: Sides era apparentemente scomparso, la genitrice doveva assolutamente vedere quell’altra psicolabile, ed io ero stato costretto a sedere con loro per quasi due ore, sorseggiando caffè e cercando di pensare ai fatti miei, prima di poter effettivamente ritornare in macchina, superare la barriera del suono e tornare a lavorare sui miei progetti.
Era forse successo qualcosa mentre io mi estraniavo dal resto dell’umanità? (la tortura subita su ordine materno non rientrava nella mia idea di socializzazione, questo era certo).
 
Ad ogni modo, quarantacinque minuti dopo ero seduto di fronte al Magnifico.
Di fronte alla sua espressione assassina, un sottile ma persistente velo di angoscia aveva cominciato a farsi strada nel mio sistema nervoso: che cavolo era successo?
 
- La riconosci? – aveva sibilato spingendomi in mano alcune foto.
 
Io avevo solo potuto fissare con orrore la Datsun dell’ ’84 che ne era soggetto. Il colore originario era praticamente seppellito sotto tonnellate di vernice rosa – ed erano brillantini quelli che vedevo sul tettuccio? -, mentre un gigantesco, enorme ed infinito graffio sembrava percorrerne tutti i lati. Gli specchietti erano stati completamente distrutti, probabilmente perché colpiti con un oggetto contundente, le gomme erano tristi e sgonfie e la fiancata sinistra era decisamente ammaccata, come se qualcuno l’avesse ripetutamente percossa con una mazza da baseball o qualcosa di ancora più dannoso, mentre su quella di destra faceva bella mostra di sé, in vernice nera: “Fuck u. S”.
Mi stavo per sentire male alla sola idea che una macchina, anche se non era la mia, potesse essere ridotta in tale stato.
Ma tutto sommato, cosa c’entravo io?
 
Questo è quello che avevo chiesto anche all’incazzatissimo rettore, ed ovviamente la risposta non mi era piaciuta nemmeno un po’: apparentemente la sera precedente il sottoscritto aveva teso un’imboscata a quella povera Datsun, distruggendola.
Alcuni testimoni, tra cui il rettore stesso, avevano assistito alla scena, ma prima che la polizia arrivasse sul luogo, io ero scappato. Certo, non c’erano ancora prove certe, anche perché il vandalo aveva avuto l’accortezza di coprirsi parzialmente il volto con una kefia, ma una prima, breve indagine aveva indicato il sottoscritto come sospetto ideale, sia per la somiglianza fisica col soggetto sia perché, dopo l’ennesima discussione con quel coglione del mio relatore, era convinzione universalmente condivisa che io ce l’avessi con l’istituto in toto.
 
Che culo.
 
Non era bastato il tono di affronto con cui avevo sostenuto che MAI avrei fatto una cosa simile (in quanto non avrei intenzionalmente usato quel punto di rosa così smorto): solo l’intervento di una altrettanto irritata genitrice, testimone insieme all’amica del fatto che la serata precedente io l’avevo passata in loro compagnia, e non in giro a devastare macchine altrui, aveva evitato le fastidiose conseguenze legali di una mia presunta colpevolezza, nonché il totale disastro di una mia espulsione.
 
Mentre seguivo mamma verso casa, continuavo comunque a chiedermi quante fossero le probabilità che il mio sosia decidesse proprio in un momento critico di distruggere la macchina del mio rettore. Non era possibile, ero davvero troppo sfigato! Ma cos’avevo fatto di male? Ero già stato punito con l’avere Sides come fratello, mi sembrava davvero troppo infierire ulteriormente!
 
Per quanto riflettere sulla questione potesse essere estremamente interessante, non avevo tempo per complicarmi ulteriormente la vita per qualcosa di cui, tutto sommato, non me ne fregava niente: il rettore poteva disperarsi per la sua Datsun quanto voleva, avevo anch’io i miei casini, di cui erano esempio perfetto i mille quadri che dovevo finire nel più breve tempo possibile.
 
Ovviamente la mia vita non poteva essere tanto semplice, dato che neanche due minuti dopo Sideswipe era entrato nello “studio”.
 
- Non preoccuparti Sunny! Ci ho pensato io a difendere l’onore del mio fratellino! – aveva esclamato con tono fin troppo compiaciuto.
 
Al momento ero stato tentato di ignorarlo, mentre rovistavo tra i tubetti di colore per cercare il giusto tono di rosso di cui avevo bisogno.
Poi però avevo registrato le sue parole.
 
Un terribile presentimento aveva cominciato a farsi strada nel mio cervello.
 
- Cosa intendi? – avevo sibilato, cercando di mantenere un tono calmo.
 
- Bhe, hai presente quel prof che si è comportato da stronzo? Ecco, diciamo che ora avrà di sicuro capito qual è il suo posto! – era stata la risposta soddisfatta del mio oscuro gemello.
 
Oh.
Mio.
Dio.
 
Non poteva essere. No, Sides non poteva essere stato così stupido da fare ciò che ero ormai sicuro avesse fatto.
Una breve analisi delle sue mani, con le unghie ancora sporche di pittura rosa, aveva costituito l’unica prova necessaria: credendo di farmi un favore, quel cretino non solo aveva deciso di devastare la macchina del mio relatore PRIMA che io passassi effettivamente l’esame finale, ma aveva addirittura sbagliato target, colpendo invece il rettore dell’Accademia.
 
Era deciso: l’avrei ammazzato.
 
Con un urlo incoerente, sbraitando maledizioni inframmezzate da spiegazione sul perché la morte di Sideswipe avrebbe liberato il mondo da una piaga letale, avevo cominciato a colpire mio fratello, mirando a fargli più male possibile.
Non era servito molto perché lo stronzo cominciasse a difendersi, e l’unica cosa che mi aveva fermato dal commettere fratricidio era stata l’intromissione di nostra madre, che, abituata alle nostre litigate (anche se, almeno per me, quest’ultima aveva assunto lo status di  vera e propria guerra) era intervenuta con l’unica arma capace di distogliere la nostra attenzione dagli istinti omicidi: una secchiata d’acqua.
 
Quella sera uscii dallo studio solo in tarda notte. Non avevo voluto vedere nessuno, avevo chiuso la porta a chiave e non le minacce dei miei genitori né, dopo qualche ora, le scuse di Sideswipe mi avevano convinto a riaprirla.
L’idea di tornare nella camera che dividevo con mio fratello mi faceva sentire male. Ero ancora abbastanza incazzato da voler uccidere qualcosa, ma allo stesso tempo non potevo fare a meno di pensare a cosa Sides fosse disposto a fare per me. Per difendermi.
 
E’ una cosa questa che, ogni volta che ci penso, mi fa quasi paura. Mi fa anche incazzare, perché io sono io, una persona a parte e distinta dal mio gemello, e so prendermi cura di me stesso. Allo stesso tempo, però, mi rendo conto che il dogma “Sides ci sarà sempre” ha anche un terribile e fantastico corollario: “Non sarò mai costretto ad affrontare la vita da solo”.
Quante persone possono dire altrettanto?
 
Con un sospiro ero così rientrato in camera.
Mio fratello era immobile nel suo letto, e proprio questa totale assenza di movimento, troppo studiata per essere vera, era stata l’unico indizio necessario per farmi capire fosse ancora sveglio, probabilmente intento a ripensare a cosa era andato storto nel suo brillante piano e a come rimediare.
 
Dopo un attimo di indecisione, mi ero seduto accanto a lui. Avevo fissato a lungo la testa di Sides, parzialmente coperta dal lenzuolo. Poi, prima che potessi cambiare idea, gli avevo sussurrato quello che mi ero rifiutato di ammettere in tutti quegli anni:
- Io avrei fatto lo stesso, Sides. Grazie. - .
 
Se fossi rimasto seduto sul suo letto ancora un attimo, avrei di sicuro visto il sorriso esultante di mio fratello, come se nel mondo tutto avesse cominciato, proprio in quell’istante, a girare nel verso giusto.
Invece avevo deciso di buttarmi a peso morto sul mio e di dormire, finalmente, il sonno dei giusti.
 
Vedete, non è semplice quando l’altra parte di te stesso è stupida come Sides.
D’altronde, credo che neppure per lui sia facile avere a che fare con un sociopatico come il sottoscritto.
Ma so per certo che nessuno dei due vorrebbe cambiare le cose.
 
E questo è forse il Dogma più importante di tutti.



Ed ecco finalmente finita questa piccola one shot! C:
Spero vi sia piaciuta, vi abbia fatto sorridere almeno un po' e abbia diffuso il mio amore per questi due gemelli... e per i personaggi collaterali che ho disseminato "in maniera occulta" nella fic! C;
E andate a vedere un po' di G1 ora, kids! ♥
  
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