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Autore: koigumi    19/09/2011    3 recensioni
Odio la violenza, anche se qualcuno lassù mi ha giocato il brutto scherzo di affidarmi un animo fin troppo irascibile, una forza sovraumana e Izaya, il motivo per usarla.
Ma non posso farci niente se ogni volta che incrocio il suo sguardo vengo sopraffatto dalla rabbia, che mi spinge a picchiarlo con la prima cosa che mi capiti sotto tiro, che sia questa un distributore, un segnale stradale o che so io …
Ah, Izaya: se solo non ti fossi presentato quella volta, forse non ti avrei mai odiato così tanto!
Per colpa tua non sono riuscito a portare niente a termine nella mia vita! Niente! Nemmeno la mia morte!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Se Tokyo è una città folle, allora è in Ikebukuro che si racchiude tutta la sua follia:
tutti quei colori, tutta quella gente, tutte quelle lingue, tutto quel rumore …
Immerso in un mondo come quello, alla fine, ti dimentichi pure di vivere. E lasci, così, che la vita ti scivoli addosso, come la pioggia nelle tristi giornate di Novembre. Vivi solo perché sei costretto a farlo. Respiri solo perché il tuo corpo te lo impone. Le tue giornate si riducono ad un incessante girovagare per le vie di Ikebukuro senza meta: sono i tuoi piedi che ti portano avanti, mentre la tua testa guarda in alto. Io stesso vivo questa sensazione ogni giorno … non mi piace guardare in basso mentre cammino:
cosa potrebbe mai esserci di interessante sull’asfalto?
Guardare il cielo mi rilassa, mi impedisce di riempirmi la testa di pensieri inutili, mi fa sentire leggero.
Già, leggero … che strana parola, se riferita a me.
Eppure non desidero altro che quello. Odio la violenza, anche se qualcuno lassù mi ha giocato il brutto scherzo di affidarmi un animo fin troppo irascibile, una forza sovraumana e Izaya, il motivo per usarla.
Ma non posso farci niente se ogni volta che incrocio il suo sguardo vengo sopraffatto dalla rabbia, che mi spinge a picchiarlo con la prima cosa che mi capiti sotto tiro, che sia questa un distributore, un segnale stradale o che so io …
Ah, Izaya: se solo non ti fossi presentato quella volta, forse non ti avrei mai odiato così tanto!
Per colpa tua non sono riuscito a portare niente a termine nella mia vita! Niente! Nemmeno la mia morte!

Tutto cominciò i primi anni delle superiori, quando ancora non era avvenuto il tanto memorabile scontro tra me e Izaya di fronte all’intera scuola.
Era inverno … anzi, fine autunno.
Mio fratello oramai non viveva più assieme a me, vista la sua prematura carriera da star del cinema, e i miei genitori …
beh, diciamo che erano molto più propensi a farmi diventare adulto il prima possibile, quindi preferirono mandarmi a vivere lì vicino in un piccolo alloggio in affitto.
Ero solo. Un ragazzino di sedici anni abbandonato in una immensa giungla d’asfalto.
Niente amici, niente famiglia. Niente di niente.
Non avevo paura, quello no. Conoscevo anche prima di allora il potere difensivo della mia forza, di conseguenza potevo ugualmente girare con lo sguardo alto in quelle strade. Anche se mi fossi scontrato con qualche color gang lungo il mio cammino non ci sarebbero stati problemi.
I miei non erano al corrente di questa mia dote, ed ignari di tutti i pericoli a cui andavo incontro, mi mandarono comunque ad Ikebukuro. Da solo.
Io odiavo quella città: tutti quei colori, tutta quella gente, tutto quel rumore. Era per cercare di dimenticare ciò che mi circondava che alzavo gli occhi al cielo nelle mie lunghe camminate.
Anche se non funzionava sempre come speravo: desideravo un cielo azzurro, qualche albero qua e là, una leggera brezza primaverile …
e invece i fumi della città coloravano il cielo di un triste blu spento; ciò che mi circondava non erano alberi ma palazzi: palazzi alti che si confondevano nell’orizzonte, il Sunshine 60 che spiccava tra tutti con la sua maestosità … e poi un fastidioso odore di smog e cibi take-away.

-“Che inferno: io non mi merito tutto questo … cosa ho fatto di male?!”

Me lo ripetevo spesso a quel tempo, durante i lunghi tragitti dalla scuola fino a casa.
In quel periodo il mio cuore era davvero carico d’odio. Verso chi, non saprei: ma quello era odio, odio vero.
E l’unico modo per poter acquietare il mio animo era quello di sfogare quell’odio verso gli oggetti, verso gli altri … a volte anche verso me stesso. Non che questo funzionasse, al contrario: più cercavo di liberarmene e più aumentava.
La maggior parte della giornata la passavo in silenzio: non avevo amici, non conoscevo nessuno. L’unico con cui potevo intrattenere una conversazione era me stesso, ma al tempo stesso quella era anche l’ultima persona con cui volevo farlo.

-“Che cosa ho fatto di male? Che cosa ho fatto per meritarmi questa orribile vita senza senso?!”

Principalmente passavo le giornate ponendomi queste domande. E da ormai qualche tempo mi balenava nella testa un’idea di cambiamento …
No, non è quello il termine: era piuttosto voglia di provare un gesto estremo.
Sì, insomma: il suicidio.
Impiegai mesi e mesi per progettare il mio suicidio alla perfezione, momento per momento: luogo, modalità, orario, giorno, ultime volontà. Era tutto pronto: l’unica cosa che davvero mi mancava a quel punto era il coraggio.
Ma la convinzione era forte, quindi sapevo di potercela fare …
Stranamente fu proprio in quel periodo che Izaya cominciò ad interessarsi a me. Non frequentavamo né la stesso corso né lo stesso anno, ma molto spesso lo ritrovavo sul tetto della scuola all’ora di pranzo non molto distante da me: mi fissava in continuazione cercando però di non incrociare mai il mio sguardo, tanto che cominciai a pensare che avesse il potere di leggermi nel pensiero.
Notai anche che molto spesso mi seguiva lungo il tragitto per tornare all’alloggio. Questo mi dava un leggero fastidio, ma al tempo stesso mi incuriosiva: cosa mai cercava un ragazzo come lui da un tipo come me?
Insomma: escluse le volte in cui venivo disturbato da dei seccatori, all’epoca ero un tipo che passava inosservato.
Lui, invece, sembrava volesse attirare gli sguardi della gente che lo circondava: un tipo ribelle, che non indossa quasi mai la divisa, perennemente in punizione, conosciuto per il suo comportamento poco ortodosso e le sue vedute fin troppo massificanti.
Fatto sta che questa storia andò avanti per giorni e giorni.
Così un giorno mi decisi.
Lungo il tragitto mi fermai, voltai leggermente la testa sul lato sinistro e lo guardai negli occhi: i suoi occhi, all’istante, non mi parvero del tutto umani.
Il suo sguardo, così intenso e provocatorio, dritto verso di me, assomigliava a quello di uno scienziato che studia una sua cavia.

-“Cerchi qualcosa?” gli dissi con tono di sfida.
-“Che c’è? Non ho mica bisogno del tuo permesso per poter camminare per le vie di Ikebukuro!” mi rispose con un’espressione divertita.

Di sicuro quella era l’ultima risposta che mi sarei aspettato da un tizio come lui,
quindi mi voltai e ritornai sui miei passi, fingendo di ignorarlo.

-“In ogni caso …” continuò lui a voce alta, affinché io sentissi. Ciò mi costrinse ad interrompere nuovamente la camminata, ma questa volta non mi volta: il suo sguardo, in un certo senso, mi metteva i brividi.
-“In ogni caso, preferisco tenere d’occhio i temerari come te: alla fine potresti rivelarti un soggetto interessante …”
-“Di che diavolo parli, amico?!”
-“Amico?!? No, mio caro: credo proprio che io e te non saremo mai amici, purtroppo!”

Dopo quel breve incontro non rividi Izaya per molto tempo: alcuni dissero che era in ospedale, altri che era solito prendersi lunghe pause di riflessione, altri ancora che probabilmente era morto …
Fatto sta che colsi l’occasione e mi decisi a fare il grande passo. Avevo pianificato tutto alla perfezione: la sera del 27 novembre mi sarei buttato dalla terrazza di un palazzo semi-disabitato in un vicolo buio nella periferia. Il tutto sarebbe dovuto avvenire a notte fonda …
e il più dolorosamente possibile.
Quella notte faceva particolarmente freddo: il gelo trafiggeva la pelle come mille spine, il calore delle mani era pressoché inesistente, tant’è che per un secondo ne persi la sensibilità.
Il vento si fece ancora più freddo non appena giunsi sul terrazzo: le luci della città, in quella parte di Ikebukuro, erano particolarmente fioche.
Presi un respiro profondo e mi diressi verso la ringhiera. Ero prono a gettarmi nel vuoto con ogni parte del mio corpo, tranne che col cuore: allora la speranza è davvero l’ultima a morire?
Con un secondo respiro scavalcai il corrimano e, superato il parapetto di ferro, rimasi in bilico sui talloni per qualche istante. Le mani, inchiodate al ferro, esitavano a lasciarsi andare. Cercai di liberare la mente guardando in alto.

-“Anche in un momento come questo preferisci guardare il cielo? Non ti interesserebbe sapere a quale infimo luogo stai per abbandonare il tuo corpo?”

Riconobbi subito quella voce: era l’irritante e sempre troppo sarcastico tono di Izaya. Ancora ben saldo al parapetto, voltai lo sguardo verso di lui: indossava un giubbotto scuro con pelliccia lungo i bordi, le maniche e il cappuccio.
Quella fu la prima volta che glielo vidi indosso.

-“I-Izaya?!”
-“Sei davvero sicuro di volerlo fare?”
-“ Vai al diavolo e lasciami fare: non devo tener conto del tuo inutile parere!”
-“D’accordo, d’accordo … non parlo più! Non ti spiace se però io resto qui, vero? ”
-“Fa’ come ti pare.”

Ci furono interminabili attimi di silenzio: Izaya era seduto qualche metro dietro di me, in bilico su un modulo di cemento che custodiva una centralina elettrica.
Io, invece, ero ancora aggrappato a quel parapetto.

-“La vista di Tokyo da qui è spettacolare: non trovi anche tu, Sorawomi Ruhito?”
-“Come mi hai chiamato?!”
-“Non sei tu quello che, anche prima di morire, preferisce guardare il cielo piuttosto che il baratro in cui sta per finire? O sbaglio?”
-“N-No, non sbagli …”
-“Allora facciamo un patto, ti va? Tu scendi da questo terrazzo sano e salvo e io, come compenso, ti concedo il diritto di usarmi come un oggetto su cui sfogare la tua rabbia in qualsiasi momento. Allora, ci stai?”
-“Eh?”
-“Non fare quell’espressione: mi hai capito benissimo.”
-“Ma io odio la violenza … e poi non ho niente contro di te!”
-“Oh, di quello non devi preoccuparti: so essere davvero bastardo quando mi ci metto d’impegno!”

Non era una presa in giro: quel tizio si stava davvero offrendo di aiutarmi, a patto che non mi buttassi giù da quel palazzo.
Non so perché, ma in un certo senso capii che mi stava offrendo la sua amicizia.
Ma quell’amicizia era molto più profonda di quelle che avevo incontrato nel corso della mia vita: non prevedeva giornate felici l’uno in compagnia dell’altro, né interminabili discorsi del più e del meno. Semplicemente mi offriva la possibilità di poter riacquistare la serenità, di poter dar sfogo al mio odio.
Accettai. Uscimmo da quel palazzo semi-disabitato insieme.
Quella fu la volta in cui nacque la nostra amicizia.
Quella fu la prima e anche l’ultima volta che ci confessammo i nostri sentimenti.
Ma non pretendo che voi capiate ciò che ci accomuna …
La forza della nostra amicizia sta nel fatto che non abbiamo bisogno di dimostrarla a nessuno.


“Soltanto quelli che sanno odiare sanno anche amare.”
(Pëtr Kropotkin)



La parola dell’autore:

Salve, carissimi lettori!
Grazie infinite di aver trovato il tempo da dedicare alla mia fanfiction: ve ne sono davvero grato.
Spero tanto che possa piacervi: dal canto mio posso dire di averci messo il cuore.
Ci tenevo davvero a scrivere questa storia, ma sia chiaro:
è tutta opera della mia fantasia! Non vorrei offendere la personalità di nessuno dei due personaggi in questione
(che inoltre sarebbero i miei personaggi preferiti in assoluto)

[IMPORTANTE: il soprannome che Izaya da a Shizuo nel momento in cui cerca di convincerlo a non suicidarsi è la trascrizione fonetica
degli ideogrammi giapponesi 空を見る人 che significano “colui che guarda il cielo”.]

Sarei molto felice di poter leggere qualche vostra recensione
(sono ben accette anche le critiche, se qualcuno ha qualcosa da obiettare)

Un saluto a tutti voi!
   
 
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