Certezze.
Una di queste, la più importante, era la famiglia. Si,
perché Kurt era proprio un bambino fortunato: aveva una
mamma e un papà che lo
amavano per quello che era, che lo abbracciavano quando ne aveva
bisogno, e
anche quando non ne aveva bisogno, per la verità. Non aveva
amici, e anche
quella era una certezza. Ne aveva di immaginari, ed era anche piuttosto
divertente tentare di prendere il thè con loro, ma sapeva,
in cuor suo, che
prendere il thè con qualcuno di reale, e che non fosse un
membro stretto della
sua famiglia, sarebbe stato molto carino. Ma
non gli pesava più di tanto. Lui era
abituato ad essere strano, “sopra le righe”, diceva
suo papà. La sua mamma,
invece, preferiva usare il termine
“speciale”. Ad ogni modo, lui era
diverso da tutti gli altri. E ne era
orgoglioso. Era intelligente, molto, e tranquillo.
Era felice di se’ stesso. Era
una certezza.
Quando sua madre morì,
si portò con lei così tante di
quelle certezze che Kurt non potè far
altro che fermarsi un secondo, e chiedersi dove fosse finita tutta la
giustizia
che aveva visto nel mondo. A soli sette anni e mezzo, la sua infanzia
era
finita. E con lei, le certezze erano crollate, come il castello di
carta che
quella mattina suo padre aveva tentato di creare con tanta cura. Un
solo
istante di distrazione era bastato. In un istante, il castello era
crollato. In
un istante, sua madre era scomparsa. E non l’avrebbe rivista
mai più. Suo padre
era l’unica certezza che gli rimaneva. Poco tempo dopo, la
mattina del suo
ottavo compleanno, Kurt si svegliò nel suo letto, solo. E
non potè far altro
che farsi cullare della musica, e piangere, piangere, piangere,
chiedendosi
perché sua mamma non gli avesse dato il buongiorno con il
suo solito bacio
degli auguri. Il bacio più dolce del mondo. Ma con lui
c’era suo papà, e Kurt
doveva essere forte per il suo papà, perché stava
soffrendo tanto quanto lui.
Kurt era grande, ormai, e aveva trovato la forza di alzarsi dal letto,
e
abbracciare Burt fino a togliergli il respiro, e piangere con lui.
A undici anni e mezzo, Kurt aveva riscoperto
un’altra, irrimediabile certezza. Lui non era
solo diverso. Lui era gay, e non era affatto sicuro che il mondo fosse
pronto
ad accettarlo. O forse, lo era stato prima di lui. Chissà.
Comunque, non lo
sarebbe stato nel modo che lui avrebbe desiderato.
C’erano molte cose che Kurt non sapeva – ovviamente
ce
n’erano altrettante che sapeva benissimo. Ad esempio era
molto bravo in
francese. E per quanto riguardava la moda, beh, in quel campo nessuno
poteva
batterlo. Ma le
cose che Kurt si
chiedeva in continuazione, quelle che lo rendevano distratto, che lo
isolavano
dal resto delle persone, beh, quelle erano problematiche ben
più profonde di
quelle che si ponevano gli altri ragazzini di quindici anni. Si
chiedeva dove
fosse sua madre. Si chiedeva se lo osservasse, se lo avrebbe capito. Si
chiedeva quanti dei suoi abbracci, quella notte di agosto, durante
quell’incidente, gli erano stati portati via. E quante
lacrime si sarebbe
risparmiato, se i suoi non avessero deciso di andare a cena fuori. Si
domandava
perché dovesse essere così difficile per lui
trovare qualcuno, oltre a suo
padre, che lo rispettasse e scherzasse con lui, che lo trattasse come
qualcuno
a cui si può voler bene, nonostante tutto. Si chiedeva quale
fosse il vero
motivo di tutti quei problemi nel mondo, quando era così
semplice farsi
trasportare dalla musica, fino a renderla l’unica fonte dei
tuoi sorrisi,
l’unica tua vera amica, l’unico modo per fare pace
col mondo in modo unico e
totale.
Ma, a diciassette anni, Kurt cominciava a chiedersi se le
certezze che aveva sarebbero bastate. Si rese conto che rendevano tutto
ancora
più confuso, ancora tremendamente difficile. Si chiese se
avrebbe mai trovato
una certezza per la quale valeva la pena di lottare ancora,
perché,
sinceramente, non era convinto che sarebbe riuscito a sopportare ancora
a
lungo.
Blaine, invece, non aveva mai avuto grandi certezze nella
sua vita.
Da piccolo, si guardava intorno, e le mura della sua
enorme villa gli
sembravano dannatamente
piccole, anche in un corpo così esile. Gli sembravano
fredde, distanti, come lo
era suo padre, sempre in viaggio per un lavoro che lui nemmeno aveva
ben
capito, o come lo era sua madre, sempre troppo distratta dalle partite
a
burraco per occuparsi della sua cena. Blaine non sorrideva quasi mai, a
casa.
Si sentiva estraneo anche a suo fratello maggiore, sempre
così bello, sempre
così perfetto, con dei capelli perfetti, dei vestiti
perfetti, dei voti perfetti,
delle ragazze perfette. Così diverso da Blaine. Che cos’era lui,
al confronto? Blaine aveva
amici. Un sacco di amici. Ma anche loro erano emotivamente lontani da
lui. Preferiva di
gran lunga passare il tempo
leggendo, o suonando il pianoforte che i suoi tenevano in salotto, ma
che non
usavano mai. Era un autodidatta. Aveva imparato da solo a suonare,
così come aveva
imparato a non illudersi troppo riguardo alle persone che lo
circondavano,
perché, a nove anni e mezzo, già sentiva di aver
aperto il suo cuore alle
persone sbagliate. Perché lui c’era per la sua
famiglia, sempre. Ma loro?
C’erano sempre per lui? E perché lui non se ne
rendeva conto?
A Blaine piacevano tante cose. Gli piaceva il football. E
gli piacevano i papillon colorati. E la musica. E anche le riviste di
moda. Le persone
non gli piacevano
molto.. A volte lo spaventavano. A volte, era di se’ stesso
che aveva paura. E
di raccontarsi.
Blaine spesso si chiedeva se la sua infanzia fosse mai
cominciata. Forse,
era solo finita prima
che la sua memoria iniziasse ad archiviare dati
e immagini, ed emozioni, e suoni.
A quattordici anni e mezzo, Blaine poteva dire di aver
capito cosa fosse una passione. Imparare
cose nuove gli era sempre piaciuto, e cominciava a credere di aver
trovato
finalmente una certezza assoluta. Si, perché lavorare a
quella macchina, lì, in
quel garage pieno di olio e cacciaviti sparsi ovunque, e odore di
benzina che
gli penetrava le narici, lo stava riavvicinando un po’ a suo
padre. Suo padre,
che non aveva mai capito le sue passioni, che non aveva mai tentato di
renderlo
partecipe.
Poi, quell’illusione crollò. E Blaine si
ritrovò con una
chiave inglese in mano, e una consapevolezza che avrebbe preferito non
avere:
suo padre non stava cercando di fare un passo verso di lui, per
accettarlo.
Stava solo tentando di portarlo su una strada che non era la sua,
perché, lo
sapeva, la strada che Blaine avrebbe preso era tortuosa, difficile, e
sbagliata. Soprattutto sbagliata.
A sedici anni, Blaine difendeva con tutto il suo cuore
l’unica vera certezza che aveva: doveva amarsi per quello che
era, nonostante
tutto. Non
importava cosa gli altri
dicessero o facessero per farlo cambiare. Lui era così.
Presto, però, qualcosa di più grande di lui lo
avrebbe
costretto a rivedere le sue idee. Perché a sedici anni e
qualche mese, seduto
in un letto d’ospedale, i suoi genitori ancora alle Maldive
per gli ultimi due
giorni di vacanza e l’unico amico che gli era rimasto dopo il
suo coming out
accanto a lui, con ferite decisamente più gravi di cui
preoccuparsi, davvero si
chiedeva se scappare non fosse sul serio l’unico modo per
essere felici. E non
sapeva darsi una risposta. Ovviamente.
A sedici anni e mezzo,
entrando per la prima volta tra le mura della Dalton, si
chiese se il
posto dove stava trovando rifugio sarebbe mai servito a curare tutto
quello che
aveva passato. E non pensava alle fasciature che ancora doveva cambiare
una
volta al giorno, e al gesso che gli era appena stato tolto. Pensava al
suo
cuore. Il suo cuore, quello si sarebbe mai rimarginato?
Blaine non lo sapeva. Blaine non era certo di niente. E
si domandava se, un giorno, tutte le certezze lo avrebbero investito in
pieno,
portandolo con se’, o se qualcosa di più
importante avrebbe preso il loro
posto. E si disse che sarebbe stato proprio un bel sogno.
Noah Puckerman aveva certezze ed incertezze, come tutti,
ma di una cosa era sicuro: Non accadeva mai niente per niente. Ogni
cosa che
accade nel corso della tua vita ti cambia e ti rende qualcun altro, in
maniera
così profonda e diffusa che neanche te ne rendi conto. Lui
ne sapeva qualcosa.
Quel giorno, mentre osservava Kurt uscire seccato dall’aula
di scienze, tutti
gli altri ragazzi ancora indecisi sul compito della settimana, seppe che il mandarlo a
spiare quegli
uccellacci, o come diavolo si chiamavano, sarebbe servito a qualcosa.
Avrebbe
reso migliore qualcosa. Quello
che Noah
non poteva minimamente immaginare, era che quel qualcosa era la vita di
due
persone che presto gli sarebbero state molto a cuore, anche se non lo
avrebbe
ammesso nemmeno di fronte a un rasoio pronto a distruggere la sua
cresta, e
tutti i suoi sogni di gloria.
Kurt e Blaine non avevano idea che un solo giorno, un
solo sguardo, un solo tocco, una sola canzone potessero cambiare tutto.
O forse lo sapevano, perché si, quel giorno era
cominciato diversamente. Qualcosa era nell’aria, e non si
trattava di gelida
granita pronta a renderti un puffo a causa di tutto il colorante che
conteneva,
gettando al vento ore di trattamenti idratanti, o di una spinta contro
un
armadietto. Non si trattava nemmeno di un post-it caduto dal frigo e
decisamente sgualcito, che
riportava
le fredde parole di una madre troppo occupata
per darti il
buongiorno di persona.
Era solo una giornata diversa. Con un sole diverso, un
vento diverso. Come loro.
Diversi, due pezzi unici e incompatibili col resto del
mondo.
Ma non tra di loro.
E ogni nota, ogni respiro, ogni secondo passato insieme ne
era la
conferma.
I sentimenti crescono, maturano da soli, senza che tu
possa controllarli. Ti rendono irrazionale, e, a volte, cieco. Sia se
crescono
troppo velocemente, sia se fioriscono in modo omogeneo, tramutandosi in
maniera
assolutamente naturale.
Rendono la vita complicata, a volte creano dubbi, altre
volte li distruggono.
Di certo sfuggono al nostro controllo, ed in alcuni casi è
decisamente
piacevole.
Il primo bacio di Kurt e Blaine ne era un esempio
lampante.
Per alcuni, intensi secondi, erano stati solo un confuso
insieme di emozioni diverse che si fondevano al contatto tra le labbra
dei due
ragazzi.
Loro due erano solo emozione, pura emozione, nei loro
momenti.
Emozione che cresceva giorno dopo giorno, rendendoli
indistruttibili, eppure infinitamente fragili. Infinitamente,
irrimediabilmente
fragili.
Blaine sospirò, mentre si stringeva nelle spalle,
osservando quella che era stata la sua scuola per un anno intero, e si
alzava in
piedi, in direzione del preside Figgins, che aveva appena pronunciato
il suo
nome. Ora, durante la cerimonia di diploma, si sentiva un po’
più leggero, ma
anche leggermente vuoto. Quella scuola, pur non essendo la migliore del
paese,
gli aveva dato così tanto, che abbandonarla era veramente un
peccato.
Grazie a quella scuola aveva riscoperto un coraggio che
non credeva più di possedere. Si era riscattato, e, nel
farlo, era stato
accanto a quella che stava diventando la persona più
importane della sua vita.
E presto, molto presto, si sarebbero trasferiti a New York. Avrebbero
passato
la vita insieme, e, chissà, un giorno si sarebbero sposati.
Avrebbero adottato
un bambino. E la loro vita sarebbe stata ancor più perfetta
di quello che stava
diventando.
Quando un raggio di sole lo percorse,
gli occhi di Blaine corsero tra quel mare di
tuniche scure, e, finalmente, seduto nella fila dei cognomi con la H,
scorse
l’unica persona che era in grado di togliergli il respiro.
In quell’anno erano cambiate così tante cose,
anche loro,
eppure erano cresciuti insieme, avevano imparato a condividere tutto, a
rendersi importanti senza ostacolare l’altro. E lo avevano
fatto senza perdere
quella scintilla, perché il loro amore si era annidato
così a fondo da tenerli
vicini, anche quando non lo erano. I limpidi occhi azzurri di Kurt
sprofondarono nei
suoi, legandosi. La
sua pelle chiara, al sole, splendeva. E Blaine non era mai stato
più sicuro del
fatto che non avesse mai visto niente di così puro e
perfetto. Anche se, doveva
ammetterlo, c’erano momenti in cui Kurt era tutto, ma non
puro. Ridacchiò,
tornando a sedersi, mentre Puckerman, molte file più
indietro, gli faceva
l’occhiolino. Lui aveva capito. Capiva sempre quando certi
pensieri passavano
per la mente delle persone. Soprattutto quando si trattava di uno dei
suoi
migliori amici. Anche Kurt aveva capito, ovviamente. Alzò
gli occhi al cielo.
Puck aveva una brutta influenza sul suo Blaine. Sempre. Beh, tranne
quelle
volte in cui procurava loro preservativi e lubrificanti,
perché, ovviamente,
comprarli da soli era decisamente troppo imbarazzante. Quello non
contava.
Ma, ricordò, era grazie a lui se si trovavano lì.
Kurt
sorrise, trattenendosi dall’inviargli l’ennesimo
messaggio criptico di
ringraziamento. Sapeva
che l’amico
preferiva di gran luna altri tipi di messaggi. Ridacchiò
anche lui, mentre un
confusissimo Finn, al suo fianco, lo guardava stranito,
l’espressione vuota. Kurt
tornò a posargli la mano sul braccio, mentre Figgins
pronunciava il nome
completo di Rachel. Si erano lasciati, alla fine. E Finn non
l’aveva superata,
Kurt ne era convinto. Ma, una volta a New York, lui e Blaine avrebbero
fatto
ragionare Rach. Lo avrebbero fatto insieme. Loro si muovevano insieme.
Erano
una cosa sola. Kurt rivolse lo sguardo alla testa ricciola e colma di
gel
nascosta alcune file più avanti, e si rese conto che il suo
ragazzo si era
voltato di nuovo verso di lui. Si morse il labbro, tentando di non
scoppiare a
piangere per la gioia. Avrebbe lasciato quella scuola che odiava
così tanto,
avrebbe vissuto a New York insieme alla sua migliore amica e al suo
amore.
Kurt e Blaine erano finalmente sicuri di aver trovato
quel qualcosa per cui valeva la pena lottare, nonostante tutto. Avevano
trovato
qualcosa che li rendesse vivi dopo chissà quanto tempo,
qualcuno che annullasse
ogni loro fantasma, ogni loro paura.
Perché, insieme, avrebbero potuto affrontare
tutto. Erano
diventati l’uno la certezza dell’altro.
E, questa volta, per qualche strano motivo, erano sicuri che quella
particolare
certezza non sarebbe crollata, perché avevano provveduto a
creare mura a prova
di terremoto. Era
tutto perfetto. Era
tutto bellissimo. E il futuro era limpido, come i loro occhi. Ma loro
no
sapevano. Non avevano visto le nuvole all’orizzonte. Non si
erano accorti che
esisteva qualcosa di più forte di un terremoto, qualcosa che
sarebbe riuscito a
distruggere comunque quello che avevano. Nemmeno avevano preso in
considerazione l’idea. Perché niente avrebbe
potuto farli crollare, finché
erano insieme.. già, finché erano insieme.
A Blaine non era mai dispiaciuto stare al centro
dell’attenzione, ma in quel momento, chissà
perché, sentiva che nel modo in cui
tutti, nella stanza, lo guardavano, c’era qualcosa di
sbagliato. La sua mano
sinistra si mosse istintivamente verso il polso destro. Aveva
abbandonato la
presa a causa di una fitta al braccio. Gemette, sotto lo sguardo
confuso di
Kurt.
-Amore, tutto bene?- Blaine sapeva che lo sguardo di Kurt
era volato al polso che si stava massaggiando. Incrociò le
mani al petto,
mordendosi un labbro. Andava tutto bene? Non ne era sicuro. In quei
giorni non
era sicuro di niente. O meglio, non era sicuro di star molto bene. Ma
era solo
un principio d’influenza. Non poteva essere
nient’altro. Tutta quella
stanchezza era dovuta ai frequenti viaggi che avevano dovuto affrontare
per
trasferirsi a New York. Era solo stanchezza. Niente di più.
Annuì, accennando
un sorriso, mentre
il suo sguardo volava
a Finn, e poi a Kurt.
Blaine ringraziava il cielo ogni giorno. Ringraziava
perché lui e Kurt erano così simili, e riuscivano
a completarsi comunque. Ogni
giorno, senza bisogno di sacrificare passioni, senza bisogno di capirsi.
Blaine ringraziava perché sapeva perfettamente che Kurt
avrebbe fatto la stessa scelta di Rachel, se ne fosse presentata
l’occasione. In
questo erano diversi.
Blaine avrebbe scelto Kurt, sempre. Kurt era sua salvezza. Kurt era tutto. Sorrise
ancora. Se pensava a
Kurt, ignorare il dolore alla mano era tremendamente facile. Fin
troppo.
A diciannove tutti pensano di essere indistruttibili.
A diciannove anni, Kurt Hummel era davvero convinto che
niente lo avrebbe più abbattuto.
Kurt Hummel viveva a New York, studiava a New York, amava
con tutto se’ stesso. E non gli importava più del
mondo, perchè aveva ben altro
a cui pensare. Tutti avevano di meglio a cui pensare. Kurt viveva col
sorriso
sul volto, tanto che Burt, durante le vacanze di Natale, stentava a
riconoscerlo.
Certo, era suo figlio. Ed era così pieno di energia, di
vita. Burt quasi
scoppiò a piangere dalla gioia, quando sentì le
braccia di suo figlio cingergli
il collo. Gli era mancato così tanto. Gli era mancato
sentirlo parlare di
Blaine e di Musical ogni minuto. Non che al telefono non lo facesse, ma
dal
vivo era tutta un’altra cosa. Quando Kurt si
staccò da lui per correre ad
abbracciare Carole e Finn, Burt si trovò di fronte a un
sorridente Blaine, e
sorrise, stringendolo in un abbraccio impacciato, che il ragazzo
ricambiò con
trasporto e gratitudine.
Burt e Carole sapevano bene perché Blaine, per Natale,
sarebbe stato da loro. Ovviamente, in parte era per non allontanarsi da
Kurt,
ma non era l’unico motivo. I suoi genitori.. Carole
sospirò, mentre osservava
quei due abbracciarsi. Ricordava ancora le ultime settimane travagliate
che i
due ragazzi avevano passato a Lima. I litigi con i coniugi Anderson si
erano
fatti insopportabili per chiunque, figurarsi per Blaine. Alla fine,
quando suo
padre si era rifiutato di mandarlo a vivere con un maledetto
finocchio, Blaine aveva fatto le valige, e aveva
disubbidito per l’ultima volta ai suoi genitori. Mentre lo
stringeva a se’,
Carole non riusciva a non pensare al volto gonfio e arrossato del
ragazzo,
durante la loro penultima notte a Lima. Ne’ ai volti
sconvolti di suo marito e
dei suoi figli. Sospirò, stringendolo con forza.
-Sanno che sei tornato?- sussurrò la donna, abbastanza
piano perché potesse sentirla solo lui, e Kurt, che stava
facendo finta di
ascoltare le febbrili richieste di Finn sulla vita di Rachel. Blaine
dissentì,
abbassando lo sguardo, e Carole lasciò cadere il discorso.
Quella notte, Blaine affondò il viso nella spalla di
Kurt, tentando disperatamente di non singhiozzare. La sua vita era
perfetta
solo grazie a lui. Inspirò profondamente. Il profumo di
Kurt, la sua pelle, la
sua essenza, tutto questo rendeva la vita tremendamente più
facile di quello
che in effetti doveva essere agli occhi degli altri. Lì, al
buio della stanza
del suo ragazzo, la stessa stanza in cui avevano dormito insieme per la
prima
volta, tutto sembrava tornare tranquillo. Blaine si lasciò
cullare, mentre
l’altro cercava la sua mano, e la univa delicatamente con la
propria. Poteva
avvertire il suo respiro sul collo, ed era la cosa più
rilassante che avesse
mai sentito.
-Blaine, smettila di mentirmi, ti prego.- La voce di Kurt
era limpida, eppure non riuscì a nascondere un tremolio
della mano. Blaine la
strinse più forte nella sua, avvicinandosi di
più. Aggrottò la fronte, ma,
ovviamente, Kurt non poteva accorgersene. Erano al buio, dopo tutto. Ma
Poteva
scorgere i suoi contorni perfetti, poteva immaginarlo. Blaine chiuse
gli occhi,
percorrendo mentalmente il corpo del suo Kurt.
-Io non ti mento mai.- Ed era vero. Blaine non avrebbe
mai potuto mentire a Kurt. Lo sguardo di quel ragazzo lo rendeva
inerme. Blaine
era incapace di mentire a Kurt. Lo disarmava.
-Ma menti a te stesso. Sei pallido, Blaine. La tua
energia.. ogni
tanto si affievolisce,
troppo. Non so spiegartelo. Ho.. ho questa brutta sensazione..
– Kurt tremò più
forte. Blaine si morse un labbro. Era vero anche questo. Si
limitò ad
avvicinarsi ancora, e cingere la vita di Kurt, facendo congiungere le
loro
labbra. Kurt stava piangendo.
Anche Blaine voleva piangere. Ma non sapeva perché. Di
certo non era per il pensiero dei suoi genitori. Aveva smesso di
pensarci non
appena si era ritrovato davanti gli occhi trasparenti della sua ragione
di
vita. Era solo.. solo come se tutto quello per cui stavano lottando..
era come
troppo bello per essere vero. Aveva che tutto quello che avevano fosse
troppo,
semplicemente.
-Appena torneremo a New York, mi
farò visitare. Non piace nemmeno a me
sembrare sempre così distrutto. Mi farò
prescrivere delle vitamine, e ti
prometto che tornerò a saltare sui mobili. Però
dovrai essere tu a fare i conti
con Rach.- Entrambi ridacchiarono al pensiero di Rachel furiosa.
Amavano farla
arrabbiare per motivi stupidi. Amavano escogitare quei motivi assieme.
Kurt
sentiva ancora piccole stille solcare la sua guancia, per poi scivolare
sul
cuscino. Blaine, lentamente, baciò via le sue lacrime, e,
con un cenno, lo
incoraggiò a parlare.
-Lo farò se mi svelerai cosa mi hai regalato per Natale.
Sai che non riuscirò mai ad aspettare domani per scoprirlo.- Kurt poggiò la
fronte su quella del suo
ragazzo, passandogli la mano sul collo scoperto, alla base dei morbidi
riccioli, liberi dal gel. Blaine
rise,
sfiorando il profilo del volto di Kurt con le dita. Non voleva dirgli
quale
sarebbe stato il suo regalo. Ma poteva dirgli cosa poteva regalargli
Blaine
ogni giorno, senza bisogno che l’altro chiedesse. La sua
vita.
-Il mio amore è il tuo regalo, Kurtie. Ti amerò
per
sempre. Sei il mio
destino. – Blaine fece
in modo che le loro labbra si unissero di nuovo, e Kurt
scoppiò a ridere contro
di lui. Ridere di gioia. Perché lo amava, e niente avrebbe
potuto cambiare
quello che stava provando in quel momento, niente avrebbe potuto
sostituire il
modo in cui il suo cuore rimbombava nel petto ogni volta che Blaine lo
sfiorava, ogni volta che Blaine lo guardava.
-Non potrei desiderare niente di più bello. Ti amo. Ti
amo da morire.- Sussurrò Kurt, cercando di nuovo la mano
dell’altro. E, per
l’ennesima volta, la sua unica certezza lo stava cullando.
Lui e Blaine erano
destinati a stare insieme. Quella era la sua ancora, lo sarebbe stata
per
sempre.
C’è, nella vita, un momento preciso in cui tutto
scivola
via come sabbia tra le dita? C’è un momento in cui
la felicità è veramente e
semplicemente troppa? Qual è il momento preciso in cui ogni
cosa sembra perdere
senso, precipitando insieme a te, e a tutto quello che hai?
“Kurt, io ti amerò
anche quando sarà troppo tardi. Promettimi di ricordarlo
sempre. Promettilo.”
-Blaine, io.. ti prego, Blaine. Tu non puoi lasciarmi.
Guardami Blaine. Io non sono niente senza di te. Niente.- Sapevano che
stava
per succedere. Entrambi sapevano che sarebbe successo. Entrambi
sapevano che
lottare non era servito a niente. Anche se avevano lottato insieme. Kurt non aveva mai avuto
così tanta paura
nella sua vita. Aveva gli occhi arrossati. Ma non avrebbe pianto. On in
quel
momento. Aveva pianto così tante volte! Era sempre stato
Blaine a consolarlo.
Era ingiusto. Non doveva essere così. Era troppo presto, era
troppo presto per
entrambi.
Kurt lanciò uno
sguardo preoccupato a Blaine. Sapeva che le sue condizioni erano
destinate a
peggiorare. Non riusciva a credere che lo avrebbe perso. Non riusciva a
credere
che l’unico motivo per cui riusciva ad andare avanti ogni
giorno, la parte più
importante di se’, sarebbe scomparsa in modo così
tortale e definitivo, prima
che lui potesse fare altro.
-Kurt?- Blaine lo
stava guardando. Kurt sorrise. Quando erano insieme, tutto riusciva a
essere
perfetto comunque, in modo terribilmente inquietante.
-Tesoro. Che c’è?-
Blaine arrossì leggermente. Sul suo volto pallido, il
rossore fu ancora più evidente.
-Sai che manca
poco, vero?- Kurt deglutì. Non si aspettava questo. Ne
avevano già parlato.
-Lo so.-
-Ecco, io ti ho..
io ti ho promesso cose, Amore. Tante. Ti avevo promesso che ti sarei
stato
sempre accanto. Sappiamo entrambi che non potrò farlo come
volevo.- Blaine si
avvicinò a Kurt, prendendogli le mani.
-Sai che non è
colpa tua. Non è colpa di nessuno. Tu sarai sempre al mio
fianco, Blaine. Io ti
amerò per sempre..- Blaine si avvicinò alle
labbra di Kurt così velocemente che
le parole dell’altro morirono troppo presto.
-C’è una promessa
che ti ho fatto, e che voglio mantenere. Lo voglio con tutto il mio
cuore.
Voglio che tu abbia tutto di me, finchè puoi.-
Blaine sorrise, gli occhi socchiusi, e portò la mano sul
volto di Kurt. Erano così vicini. Ma erano anche
infinitamente lontani. Kurt
aveva una vita davanti. Una vita stupenda. Quella di Blaine stava
finendo,
invece. La mano di
Kurt raggiunse la
sua, coprendola, e sorreggendola.
I loro
occhi si cercarono.
-Dimmi che mi
ami, Kurt-.
Kurt aggrottò la
fronte, cercando di capire cosa intendesse.
-Cosa vuoi dire,
Blaine?- Si fecero
istintivamente più
vicini.
-Vuoi sposarmi,
Kurt Hummel?-. Gli occhi di entrambi, per un secondo, si riempirono di
speranza, un’immotivata speranza di poter cambiare le cose.
Sposarsi a
vent’anni era un gesto incosciente e privo
di senno, lo sapevano bene. Ma
entrambi ne avevano bisogno. Volevano avere ogni più piccola
parte dell’altro,
prima che il loro mondo cambiasse. Volvano quell’ultima,
piccola certezza. Il
mondo sarebbe potuto crollare, dopo. Intanto, non potevano far altro
che
amarsi.
-Si, Blaine. Voglio
sposarti-.
Kurt sprofondò per l’ultima volta in quegli occhi
color
miele. E seppe che era il momento. Strinse di più la mano di
Blaine sulla sua guancia,
e avvertì la fede dell’altro premere contro la sua
pelle, procurandogli un brivido.
Era tremendamente freddo.. Era così
magro, adesso. Si sforzò di sorridere, e sorrise davvero. Perché niente,
nemmeno in quel momento,
avrebbe potuto distruggerli.
-Ti Amo, Blaine. Con tutto il mio cuore. -
Blaine si sentiva scivolare.
Tutto si era fatto sfocato, ma non aveva
paura. Non per se’ stesso, almeno. Lui sarebbe andato in un
posto dove la paura
non gli sarebbe servita a molto. Era per Kurt che aveva paura. Kurt
sarebbe
sempre stato la sua vita. Blaine non sarebbe mai morto completamente,
finchè
Kurt era in vita. Forse era per questo che, mentre chiudeva gli occhi
per
addormentarsi un’ultima volta, la figura di suo marito era
ancora nitida come
non lo era mai stata prima.
-Sempre, Kurt. Ti amerò.. sempre-. Kurt avvertì
chiaramente la sensazione della mano di Blaine che gli scivolava via
dal viso.
La trattenne con la mano, incapace di credere a quello che stava
succedendo.
-Non mi lasciare.
Ti amo, ti amo, ti amo. Ti prego, Blaine.-urt sapeva che
sarebbe stato
inutile continuare a urlare. Mentre le infermiere lo circondavano, lui
si
aggrappò al corpo inerte di Blaine, baciando le sue labbra
schiuse, per poi
scoppiare a piangere.
-Devi promettermi
un sacco di cose, Kurtie.- Kurt
guardò
quello che era appena diventato suo marito, e, con un sorriso, gli tese
la
mano. Era bellissimo.
-Dimmi.-
-Promettimi che non
ti chiuderai in te stesso, quando ci separeremo.- Kurt si morse un
labbro.
-Lo farò. –
-Promettimi che
parlerai con i miei genitori. Promettimi
che gli dirai che gli voglio bene, nonostante quello che ho passato.
Soprattutto a mio padre. Scrivi, se preferisci. Ma fallo.- Kurt sospirò.
-Lo avrei fatto
anche se non me lo avessi chiesto.-
-Lo so.- Blaine
ridacchiò, scompigliando i capelli di Kurt.
-Promettimi che ti
risposerai. – Kurt lo
guardò, tentando
di capire se facesse sul serio, - che ti innamorerai di nuovo.-
-Non posso prometterlo,
lo sai bene. Se fossi nella tua situazione.. tu non me lo prometteresti
mai.-
-Ma io non sono
te.- Esclamò Blaine, sospirando. Era stato un bene che fosse
stato lui ad
ammalarsi, e non Kurt. Blaine lo avrebbe seguito a ruota. Kurt poteva
resistere.
-Tu mi
sopravvaluti.-
-Promettimi che,
quando sarai famoso, e canterai, riuscirai a sentirmi in ognuna di
quelle note.
Promettimi che ricorderai che io sono la musica, che io sono le
canzoni. Tutte.
Promettimi che saprai che io sarò sempre al tuo fianco. E ti
proteggerò.- Kurt
trattenne le lacrime per l’ennesima volta.
-Non so se riuscirò
a sfondare, senza di te.-
-Amore, io ci sarò,
te l’ho appena detto. –
-Promettilo.- La
voce di Kurt vacillò. Non aveva idea di come
l’altro potesse essere così
tranquillo.
-Kurt, io ti amerò
anche quando sarà troppo tardi. Ricordatelo. Promettimi che
lo ricorderai.-
-Lo prometto-.
Kurt alzò lo sguardo, mentre il sipario si alzava. Ricordò il
suo tocco sulle spalle, come se non fosse passato nemmeno un
secondo.
Ricordò il suo profumo,
il suo calore, le
sue mani,
i suoi
occhi, e fu sicuro di sentire la sua fede vibrare contro la pelle,
mentre
prendeva un respiro. Ce l’aveva fatta. Era a Brodway, e Suo
padre, Carole,
Finn, Rachel, Puck e Beth erano in prima fila, pronti a sostenerlo.
Probabilmente,
Rahcel stava sgridando Puck perché permetteva a Beth di
mangiare le patatine
anche in prima fila. E Finn li guardava male. Era sempre
così, da quando Shelby
aveva lasciato a loro la bambina ed era partita per l’Europa.
Beth dormiva nel loro letto, al suo posto. Avere una bambina per casa, e
anche Noah, lo aveva
sollevato parecchio. C’erano anche i coniugi Anderson in
sala. E, sempre in
prima fila, c’era una poltrona vuota. Si, aveva comprato un
biglietto anche per
lui. Perché, cinque anni
dopo, era
come se non fosse passato nemmeno un secondo. Kurt sbattè le
palpebre, e la
musica si diffuse nella sala, trasportandolo. E in quelle note, lui lo
sapeva,
Blaine c’era.
Blaine non lo stava solo ascoltando. Blaine stava vivendo
attraverso di lui.
Kurt ci avrebbe messo l’anima.
Perché quel posto in prima fila non era vuoto, e la sua
famiglia lo sapeva bene. Perché, dopo tutto quel tempo,
nonostante la morte, la
sua unica ragione di vita, la sua unica certezza non era ancora
crollata.
“Ti penso, Blaine.