Era
buio e
faceva freddo. Troppo freddo: qualcosa non andava.
Un
ragazzo
sui diciotto anni, con lucidi capelli castani in tinta con gli occhi
grandi e
spaventati, correva a perdifiato nella foresta.
Inciampava,
cadeva, si rialzava e cadeva ancora, ma nulla lo avrebbe fermato:
quella
creatura lo stava seguendo, quella dannata creatura gli stava addosso e
nemmeno
i suoi mostri migliori erano riusciti ha fermarla.
“Chi
c’è?”
urlò la voce di un uomo da qualche parte nel bosco:
“Chi c’è?” ripeté
più
vicino, ma il ragazzo non si fermò, in preda al panico.
Era da
qualche mese che andava in giro di paese in paese senza una meta
precisa e cioè
da quando aveva lasciato la scuola: aveva deciso che doveva ancora
trovare
qualcosa che lo avrebbe finalmente fatto sentire a casa, e quel
qualcosa non
era in nessun posto che aveva visto fino ad allora.
Quella
sera
si era infilato in quel cancello scavalcando la recinzione in cerca di
qualcuno
che lo ospitasse per proteggersi dal freddo invernale, ma appena aveva
messo
piede a terra un ringhio sommesso lo aveva sorpreso e una strana
creatura
pelosa e bavosa era sbucata dal mezzo del bosco e si era messa a
inseguirlo; a
nulla erano serviti i suoi tentativi di placare il grosso cane,
perché di
quello si trattava, con le sue carte dei due-monster.
Eppure
aveva
sempre avuto una certa affinità con tutti gli animali, ma
con quello sembrava
non esserci nulla da fare.
E
così, stava
ancora correndo nella speranza di salvarsi da quel coso e adesso si era
messo a
inseguirlo persino l’uomo di cui aveva sentito prima la voce.
Corse a
lungo, con il fiato corto, fino a quando non sbucò di fronte
ad un enorme villa
bianca con tutte le luci accese che la rendevano ancora più
affascinante.
Quella
distrazione
però, fece si che il cane lo raggiungesse e, in un lampo, il
ragazzo era a
terra cercando di proteggersi alle belle meglio dai suoi artigli e dai
suoi
denti acuminati.
“Signorino!”
urlò la voce dell’uomo a pochi passi dalla casa e
il moro sentì dei passi
veloci attraversare il corridoio della villa, uscire dalla porta
già spalancata
e fermarsi proprio davanti a lui, ancora vittima del cane.
“Basta,
Annibal! Tranquillo, torna nella cuccia.” Al suono di quella
voce dolce ma
decisa, il ragazzo sobbalzò e cercò di alzarsi
rendendosi così conto di avere
un braccio ferito e sanguinante che gli impediva di muoversi
liberamente.
Il cane
era
già sparito nel bosco di quell’enorme parco.
“Alfred,
va
in casa e prepara l’occorrente per medicarlo.”
Ordinò la voce del ragazzo nuovo
e il moro cercò nuovamente di alzarsi, agitato.
“Sta
tranquillo,
è tutto finito.” Disse avvicinandosi, ma, quando
gli si inginocchiò accanto e
lo guardò in faccia si bloccò, esterrefatto.
Sbarrò
i
grandi occhi verdi con aria spaesata e, una volta ritrovata la sua voce
calda,
urlò il nome di quello che era stato il suo migliore amico:
“Jaden!”
Jaden
Yuki,
ex studente della scuola per duellanti di due-monster, gli rivolse un
debole
sorriso timido sussurrando: “Jesse…”.
Era
proprio
lui: il bel ragazzo sorridente dai capelli di un incredibile colore blu
accesso, come gli occhi verde smeraldo, lo stava fissando
semi-sconvolto come
se avesse davanti un fantasma.
“Jaden,
sei
proprio tu!”
Il moro
fece
per rispondere, ma il suo salutò fu sostituito da un gemito
di dolore provocato
da una fitta al braccio sanguinante.
Jesse
sembrò
ricordarsi improvvisamente della sua condizione e lo aiutò
ad alzarsi con
estrema delicatezza per poi portarlo in casa e farlo sedere su un
elegante
divano color panna.
Era una
villa
stupenda: le pareti bianche erano in parte ricoperte di quadri di
uomini,
donne, ragazzi e ragazze e il ritratto di Jesse era in bella mostra
proprio
sopra il caminetto acceso.
Nella
sala
dove si trovavano c’era, oltre al divano, una poltrona dello
stesso colore e un
tavolino di legno scuro con venature verdognole.
Jaden
si
lasciò cadere sul divano e osservò Jesse
allontanarsi e sparire in un’altra
sala.
Era
tanto che
non lo vedeva e in un attimo i ricordi invasero la mente del ragazzo,
mentre la
dura consapevolezza di non averlo nemmeno salutato lo fece sentire in
colpa.
Ma
proprio
non capiva cosa ci facesse Jesse lì: era sua quella villa
enorme? Jesse era
orfano, proprio come lui…
Il suo
sproloquio mentale fu interrotto dal ritorno dell’oggetto dei
suoi pensieri
seguito dal tipico cameriere: alto, pelato e dannatamente elegante.
“La
ferita
non è profonda, ma abbiamo comunque chiamato un medico: la
bocca dei cani è
micidiale.” Jesse gli rivolse un sorriso amichevole, ma si
vedeva che qualcosa non
andava: “Intanto tieni premuta questa salvietta bagnata sul
braccio.”
Jaden
avrebbe
voluto fargli molte domande, parlare con lui e farsi spiegare tutto
subito, ma
Jesse si allontanò nuovamente lasciandolo solo con il
maggiordomo per mezzora
buona, fino a quando non arrivò il medico.
E a
quel
punto, dopo l’antidolorifico che quest’ultimo gli
somministrò, Jaden cadde in
un sonno profondo senza aver avuto la possibilità di dare
una risposta ai molti
interrogativi che gli affollavano la mente…
Ciao a
tutti!
Eccomi tornata da voi… eh si, non vi libererete mai di me!
È la prima long-fic
che scrivo su di loro e spero che venga bene… fatemi sapere,
eh!