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Autore: CaptainKonny    20/09/2011    0 recensioni
Ho cercato di dare un pò di sollievo a Patrick, ma come tutti sapete per poter essere felici prima bisogna risolvere un sacco di problemi. Una Jisbon in cui Charlotte è ancora viva e questa è l'ultima mossa di John il Rosso... cosa succederà?
"So di aver fatto una cosa alquanto impossibile, ma ho voluto provare a fare qualcosa di diverso, una mia piccola e fantasiosa curiosità. Fatemi sapere che ne pensate... ;) :)"
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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FINAL HOUR

FINAL HOUR

 

POV. GRACE

 

Il silenzio che regnò in quei pochi secondi era assordante. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto, sotto il giubbotto antiproiettile, in concerto con gli altri dieci cuori in quella stanza. Il mio sguardo era fisso su Jane, allibito. Mi veniva da piangere a guardarlo. Il nostro Jane. Il nostro imprevedibile, esuberante, sciocco Jane.

-Hotch, che cosa facciamo?- l’attenzione si focalizzò sulla bionda.

Anche lei sembrava sconvolta dalla chiamata. Non c’era più nessuna traccia di disprezzo sul suo volto, per quanto riguardava il nostro consulente.

-Mi sembra ovvio: andiamo da quel bastardo.- rispose Jane con tutta calma.

Eppure nei suoi occhi bruciava un fuoco inestinguibile, mischiato a tanta paura.

-Dobbiamo trovare una strategia. Non possiamo presentarci tutti là così, impreparati.- intervenne Hotchner.

-Hotch, a lui non interessa. Hai sentito cosa ha detto. Probabilmente non gli importa nemmeno di morire.- intervenne Gideon. Anche lui non sembrava più così sicuro di sé stesso.

-Non possiamo lasciare Charlotte da sola. Non possiamo non andare.- s’intromise Lisbon. Il nostro coraggioso capo.

-La ucciderà.-

Tornammo a concentrarci su Jane. Ma quello che vidi mi scioccò. Quella rabbia era improvvisamente mutata in dolore e sofferenza. Mi ci volle un po’ per capire che si era tolto finalmente la maschera. Quella maschera che usava sempre al lavoro. Quella che lo faceva apparire sempre sereno e allegro. Quella che metteva tutti di buon umore e che usava per prenderci in giro. Ma questa…. Questa era una maschera che riusciva a dividerti il cuore a metà. E solo allora sentii le sue parole come andavano sentite. Lui era quello che conosceva la mente di John il Rosso da più tempo, poteva capire, percepire e trarre conclusioni più esatte di tutte le nostre supposizioni. Diceva la verità, e io potevo comprenderlo; gli detti ragione. Se quella sera non ci fossimo presentati, Charlotte sarebbe morta.

-Jane. Non accadrà, te lo prometto.-

Lisbon, eccola lì Teresa Lisbon. Quella donna tutta azione e coraggio. Quella che non mollava mai. La donna che avevo capito dal primo momento che l’avevo vista che si era innamorata di quel pazzo biondino. E adesso era lì con lui.

-Lisbon, sai che non devi fare promesse che non puoi mantenere.-la redarguì lui, con quella poca forza che gli rimaneva in corpo. A grandi falcate lei lo raggiunse, accigliata e decisa. Fu con grande sorpresa di tutti che lo abbracciò, apertamente, davanti a tutti. Per un momento anche Jane sbarrò gli occhi dalla sorpresa. Prima di ricambiare debolmente quell’abbraccio.

-Io non mi arrendo Patrick. Riporteremo Charlotte a casa.-

Sputò lei tra i denti, cattiva. Come una leonessa che difende i membri del proprio branco. Mi sentivo orgogliosa di lei, di quella coppia. Di tutti noi che non ci saremmo arresi. Quello a riprendersi più alla svelta fu Hotchner.

-Andremo tutti con il signor Jane. Reid, tu e JJ  passerete dietro John il Rosso senza farvi vedere. Se mostra segni di voler uccidere Charlotte uccidetelo.- ordinò.

I due non sembravano contenti della decisione, ma sembrava non esserci altro modo. Il mio capo e il nostro consulente nel frattempo sembravano essersi ripresi ed aver recuperato un po’ di contegno professionale.

-Patrick, le chiedo di mantenere la calma quando vedrà John il Rosso. Dobbiamo ricavare tempo e informazioni per poterlo neutralizzare senza ferire nessuno. Ad ogni modo le prometto che non torcerà un solo capello a Charlotte.- fece Hotchner. Ci avviammo tutti alla porta.

-Agente Hotchner.- lo richiamò Jane.

L’uomo si voltò, il volto sempre contorto in quell’espressione seria e severa.

-Grazie.- disse Jane, sincero.

Il capo del BAU fece un cenno d’assenso con il capo. Poi seguì gli altri. Uscimmo tutti, Lisbon e Jane per ultimi.

 

POV. JANE

 

Mi sentivo vivo. Può sembrare strano, ma è così. Scesi le scale con tutta la tenacia che riuscivo ad accumulare; Lisbon dietro di me. Salimmo sul secondo suv nero, sui sedili posteriori, Hotchner guidava e Gideon era in parte a lui. guardavo la strada scorrere, le luci che tracciavano scie colorate. Mi sembrava di andare piano, ma ogni metro fatto era un metro verso Charlotte. I pochi, meravigliosi, momenti che avevo passato con lei mi tornarono alla mente come lampi, all’improvviso. Il suo faccino dolce, i suoi occhi lucidi, il suo sorriso gioioso; non potevo permettere a quell’assassino di uccidere la gioia che c’era in lei. Mentre pensavo non mi ero accorto di aver serrato i pugni, tanto da far sbiancare le nocche; Lisbon mi mise una mano sul braccio, delicatamente. Come in quei film romantici molto vecchi. Non potei fare a meno di sorriderle. Le coprii la mano con una delle mie. Quando vidi la tangenziale ebbi un tuffo allo stomaco. La strada era deserta e buia. I lampioni erano molto distanti tra loro e ai lati della strada c’erano un’infinità di alberi. Sembrava quasi di essere in montagna. Mi vennero i brividi. Quando sentii la macchina rallentare posai lo sguardo davanti a noi. A un centinaio di metri da noi si intravedeva l’ombra scura di un’altra auto con i fanali accesi, in mezzo alla strada. Non mi ci volle un genio per fare due più due. Scesi dall’auto insieme agli altri, Lisbon mi prese per un braccio nel tentativo di attirare la mia attenzione.

-Sta attento.- mi avvertì.

La guardai negli occhi. Quegli occhi color smeraldo che in quel momento sembravano due pozze scure luccicanti. Adoravo quando mi guardava così, la adoravo sempre e comunque. Oh mia cara e dolce Lisbon. Ma come fai a stare con uno come me?

-Bene. Ci siamo. Signor Jane si ricordi quello che le ho detto. Cerchi di prendere tempo in modo da lasciare il tempo ai miei uomini di mettersi in posizione.- ribadì Hotchner, riscuotendomi dalla mia contemplazione.

-D’accordo.- confermai.

Mi voltai fissando la strada di fronte a me come un avversario. Era ora della guerra.

 

POV. CHARLOTTE

 

Stavo tremando. Eppure non riuscivo a capire se fosse per il freddo del metallo dell’auto su cui ero sdraiata, se per la temperatura, o per l’uomo che stava seduto al posto di guida fischiettando allegramente. Riuscivo solo a pensare a Jane. La sua immagine rischiarava le tenebre causate da quella stretta fascia legata intorno agli occhi. Mi faceva male la testa, dove quell’uomo mi aveva colpita con non so bene quale oggetto. Ricordo che prima che cadessi a terra mi aveva sostenuta, sollevata e portata via. Non avevo potuto fare niente, c’avevo provato, ma era stato tutto inutile. Mi aveva parlato e provocato, ma avevo resistito. Forse dovevo ringraziare anche il mio stato d’incoscienza, altrimenti sarei crollata sia moralmente che psicologicamente. Avevo le mani e i piedi legati da delle ruvide e spesse corde. Avevo provato a liberarmi, ma dovevo dargli atto d’aver fatto davvero un ottimo lavoro. Non riuscivo quasi a muoverle. Eravamo fermi da un’ora e mezza ormai. Probabilmente eravamo arrivati al luogo dell’incontro. Oh, sì! Avevo assistito a tutta la telefonata e a tutte le cose crudeli che aveva aggiunto quando aveva interrotto la linea: che avrebbe ucciso mio padre, che si sarebbe divertito, che gli avrebbe fatto molto male e che alla fine saremmo morti entrambi. Forse, a questo punto, non avevo più lacrime per piangere. Ritentai inutilmente di allentare le corde.

-Non ti sei ancora stufata di tentare di liberarti?- mi chiese lui con voce annoiata ma anche divertita. Quel suono mi faceva ribrezzo. Lo sentii muoversi dal suo posto. La macchina ondeggiò; così però mi girava anche la testa. Avvertii i suoi piedi posarsi vicino alle mie gambe, tentai di indietreggiare. Una mano mi afferrò come un artiglio la gamba sinistra, fermandomi. Poi, di colpo, mi tirò verso di lui come un sacco di patate. Il mio cuore aveva accellerato improvvisamente.

-Lasciami.- gli dissi. Tentavo di essere decisa, ma in quel momento il coraggio era l’unica cosa che si era volatilizzata. In risposta portò la mano sulla spalla e mi bloccò al fondo dell’auto.

-No.- cercavo di rimanere di lato o almeno seduta, ma non potevo. Non me lo permetteva. Lo sentii sorridere e poi ridacchiare.

-Quanto sei divertente. Lo sei sempre stata, sai. Ssshhh.-

Avrebbe detto qualcosa d’altro se il rumore di una macchina poco distante non l’avesse bloccato. Intuii che entrambi ci dovevamo essere messi in ascolto. Poi lo sentii respirare a fondo e sorridere.

-Ci siamo.-

Sentii qualcosa scattare e dopo un paio di secondi i miei piedi erano liberi. Con una mano mi prese per un braccio e mi tirò in piedi di peso. Diede un forte calcio al portellone sul retro del furgoncino. Mi aiutò a scendere. E, sempre tenendomi per la felpa, mi portò con sé. Dal movimento dedussi che stavamo facendo il giro dell’auto, ma non ne ero certa. Ad un certo punto, ci fermammo. Eppure non avevamo fatto tanta strada. Sentii il nodo sciogliersi e di colpo tornai a vedere. Eravamo su una strada dritta, buia, illuminata pochissimo, davanti a noi un suv nero e delle persone, una più avanti delle altre: Jane.

-Ben arrivato Jane.- lo salutò John. Rabbrividii di colpo. Perché mi sembrava che qualcosa non quadrasse? Mi slegò le mani. Nella frazione di un secondo, sempre con quel suo sorriso velenoso in volto, mi circondo le spalle con un braccio e con l’altra mano mi puntava un coltello alla gola. Ero stretta a lui e di nuovo non potevo muovermi. Nei miei occhi si poteva leggere il terrore. Quelli di Jane erano seri e decisi eppure vi lessi tanta paura.

-Lasciala andare John.- disse.

-Patrick…- tentai di chiamarlo, ma istintivamente strinse ancora di più la presa. Quasi quasi non riuscivo più a respirare. Gli presi il braccio, cercando di allentarlo ma non potevo.

-Lasciarla andare? Patrick noi siamo una famiglia. E i poliziotti non dividono le famiglie giusto?- fece lui di rimando.

-Io non sono un poliziotto.- ribadì mio padre. Rise.

-Speravo tanto lo dicessi Patrick.- la lama si portò all’altezza della mia mandibola. Sentivo la lama fredda e tagliente. –La tua condotta è davvero deplorevole lo sai. Noi tre siamo una famiglia e tu sei stato un bambino molto cattivo. E, come sai bene, i bambini cattivi vanno puniti.- un ghigno perfido gli solcò la faccia.

E all’improvviso sbiancai, qualcosa di caldo fu sostituito al freddo della lama; non occorreva un genio per capire che era il mio sangue. Iniziò a bruciare.

-Fermo!- ulrò Patrick.

Lui rise sguaiatamente, contenendosi un po’ per il tono.

-Fermo? Oh, Charlotte te l’avevo detto…te l’avevo detto che ci saremmo divertiti.- era estasiato. Quegli uomini davanti a me erano la mia salvezza, erano così vicini; ma allora perché non riuscivo a raggiungerli?

-Guai a te se le torci un solo capello John! Non azzardarti… -

-Altrimenti che mi fai Patrick? Eh? Che mi fai?- il suo tono era diventato improvvisametne cattivo e severo, duro. La sua presa si saldò ulteriormente.

-La sua vita è nelle mie mani. E tu non puoi fare niente per salvarla. Così come non hai potuto salvare tua moglie. Te l’ho detto, domani si celebrerà un funerale!- era tornato a ghignare perverso.

-Cade Evans sei circondato. Lascia andare la ragazza e metti le mani sopra la testa.- era stato Hotchner a parlare. C’era anche lui. Sorrise.

-E così sapete anche chi sono. Complimenti.- era ammirato.

-Glielo ripeto è circondato. Si arrenda e nessuno si farà del male.-

-Agente Hotchner, crede davvero che mi interessi? Se sa chi sono io sa anche che sono malato. Che sto per morire. Crede davvero che se mi doveste uccidere oggi farebbe la differenza? Il problema è che voi non potete uccidermi senza rischiare di uccidere anche lei, ed è questo il mio vantaggio. Questa faccenda non vi riguarda signori. È una cosa tra me e il signor Jane.-

-Lasciami. Ti prego. Non farlo.- lo supplicai, non potevo fare altro.

-Perché non dovrei farlo mon cheri?- mi domandò viscido.

Guardai mio padre negli occhi, sentii qualcosa scorrere, qualcosa che ci univa.

-Perché gli voglio bene.-

Ecco, era questo. Era questo che mancava, che avevo avuto sempre l’assoluto bisogno di dire. Le sue dita si chiusero a pugno sulla mia maglietta e la lama del coltello iniziò a tremare violentemente.

-Tu gli vuoi bene?- disse a denti stretti. Sembrava molto arrabbiato e offeso, quasi indignato. Era come un vulcano che stava per esplodere. Annuii.

-Sì.- risposi.

Buttò a terra il coltello ed estrasse la pistola. In quel momento partì un colpo. Era stata Lisbon, ma aveva colpito la macchina. John alzò lo sguardo in direzione dei suv neri. Irato. Alzò la pistola e sparò, mentre iniziava a crearsi l’inferno. Tutti sparavano, gente che correva e urlava. Mi spinse a terra poco dopo che aveva sparato, avevo visto Jane cadere a terra.

 

POV. LISBON

 

Non ero riuscita a trattenermi. Avrebbe sparato a Jane. Mi lanciai in avanti, piena di terrore e decisione. Lo vidi sparare, ma il proiettile non mi toccò. Spinse Charlotte per terra in modo alquanto brusco. Era in collera e non ci voleva un genio per capirlo. Quando fui non molto lontano da lui gli sparai, colpendolo. Purtroppo però gli avevo preso la spalla. Mi guardò ostile e puntò la pistola su di me. Charlotte gli si gettò addosso con tutto il suo peso, facendolo cadere a terra. Qualcuno nel frattempo buttava a terra me. Un colpo partì. Derek mi aveva spinto per evitare che il secondo proiettile dell’assassino mi colpisse. Mi voltai per un attimo indietro e vidi le testa riccioluta di Jane ancora a terra. Un brutto presentimento, sempre più concreto, mi si fece strada nella mente.

-Agente Lisbon!- urlò Hotchner.

Alzai lo sguardo e sbarrai gli occhi. John stava puntando la pistola contro di me. Maledizione perché nessuno sparava? Poi un colpo. Io e l’assassino continuammo a guardarci, occhi negli occhi. Poi, cadde. Spostai lo sguardo di un paio di metri. Charlotte con in mano la pistola di John il Rosso. Il suo sguardo deciso ed arrabbiato era identico a quello che avevo visto negli occhi di Jane quando aveva ucciso il tizio che si era spacciato per John quella notte al bar. Quando i nostri sguardi si incrociarono quell’espressione venne sostituita da un’altra, più triste e addolorata. La pistola le scivolò dalle mani e curvò le spalle, come se stesse portando un enorme fardello. Alzò la testa e si guardò intorno, per poi fermarsi su un punto. Mi girai anche io. In fin dei conti era andato tutto bene. Ma quei boccoli d’oro erano ancora nella medesima posizione. Jane no! Con le poche forse che mi rimanevano mi alzai in piedi. Vidi Charlotte trascinarsi vicino al suo corpo e lasciarsi cadere in ginocchio. Gli toccò i capelli, il viso, le spalle. Lo scosse leggermente.

-Patrick.- lo chiamò.

Non rispose.

-Patrick.- lo chiamò.

Non si mosse.

-Patrick.- la voce gli si spezzò.

Niente.

-Patrick.- era scoppiata a piangere.

Mi inginocchiai in parte a lei, sfiorando con una mano un braccio di Jane coperto dalla camicia azzurra che portava quel giorno.

-Papà.- eccolo, la prima volta.

Per la prima volta aveva potuto chiamarlo per nome.

-Papà.-

Mi si stava straziando il cuore. Ogni parola, ogni lacrima… erano un colpo diretto a me e al cielo. Le misi una mano sulla spalla.

-Charlotte.- la chiamai.

Ci guardammo. Rimasi ad ammirare quegli occhi cerulei di cui mi ero innamorata otto anni addietro. Pochi minuti e ci stringevamo, consolandoci a vicenda. Chi sa tutti gli altri cosa stavano facendo, pensando, dicendo… non importava. Nel frattempo sentimmo arrivare le auto della polizia, le sirene spiegate, i lampeggianti accesi. Ma non importava.

  
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