FINAL
HOUR
POV. GRACE
Il
silenzio che regnò in quei pochi secondi era assordante. Il cuore mi batteva
all’impazzata nel petto, sotto il giubbotto antiproiettile, in concerto con gli
altri dieci cuori in quella stanza. Il mio sguardo era fisso su Jane, allibito.
Mi veniva da piangere a guardarlo. Il nostro Jane. Il nostro imprevedibile,
esuberante, sciocco Jane.
-Hotch,
che cosa facciamo?- l’attenzione si focalizzò sulla bionda.
Anche
lei sembrava sconvolta dalla chiamata. Non c’era più nessuna traccia di disprezzo
sul suo volto, per quanto riguardava il nostro consulente.
-Mi
sembra ovvio: andiamo da quel bastardo.- rispose Jane con tutta calma.
Eppure
nei suoi occhi bruciava un fuoco inestinguibile, mischiato a tanta paura.
-Dobbiamo
trovare una strategia. Non possiamo presentarci tutti là così, impreparati.-
intervenne Hotchner.
-Hotch,
a lui non interessa. Hai sentito cosa ha detto. Probabilmente non gli importa
nemmeno di morire.- intervenne Gideon. Anche lui non sembrava più così sicuro
di sé stesso.
-Non
possiamo lasciare Charlotte da sola. Non possiamo non andare.- s’intromise
Lisbon. Il nostro coraggioso capo.
-La
ucciderà.-
Tornammo
a concentrarci su Jane. Ma quello che vidi mi scioccò. Quella rabbia era
improvvisamente mutata in dolore e sofferenza. Mi ci volle un po’ per capire
che si era tolto finalmente la maschera. Quella maschera che usava sempre al
lavoro. Quella che lo faceva apparire sempre sereno e allegro. Quella che
metteva tutti di buon umore e che usava per prenderci in giro. Ma questa….
Questa era una maschera che riusciva a dividerti il cuore a metà. E solo allora
sentii le sue parole come andavano sentite. Lui era quello che conosceva la
mente di John il Rosso da più tempo, poteva capire, percepire e trarre
conclusioni più esatte di tutte le nostre supposizioni. Diceva la verità, e io
potevo comprenderlo; gli detti ragione. Se quella sera non ci fossimo
presentati, Charlotte sarebbe morta.
-Jane.
Non accadrà, te lo prometto.-
Lisbon,
eccola lì Teresa Lisbon. Quella donna tutta azione e coraggio. Quella che non
mollava mai. La donna che avevo capito dal primo momento che l’avevo vista che
si era innamorata di quel pazzo biondino. E adesso era lì con lui.
-Lisbon,
sai che non devi fare promesse che non puoi mantenere.-la redarguì lui, con
quella poca forza che gli rimaneva in corpo. A grandi falcate lei lo raggiunse,
accigliata e decisa. Fu con grande sorpresa di tutti che lo abbracciò,
apertamente, davanti a tutti. Per un momento anche Jane sbarrò gli occhi dalla
sorpresa. Prima di ricambiare debolmente quell’abbraccio.
-Io
non mi arrendo Patrick. Riporteremo Charlotte a casa.-
Sputò
lei tra i denti, cattiva. Come una leonessa che difende i membri del proprio
branco. Mi sentivo orgogliosa di lei, di quella coppia. Di tutti noi che non ci
saremmo arresi. Quello a riprendersi più alla svelta fu Hotchner.
-Andremo
tutti con il signor Jane. Reid, tu e JJ
passerete dietro John il Rosso senza farvi vedere. Se mostra segni di
voler uccidere Charlotte uccidetelo.- ordinò.
I
due non sembravano contenti della decisione, ma sembrava non esserci altro
modo. Il mio capo e il nostro consulente nel frattempo sembravano essersi
ripresi ed aver recuperato un po’ di contegno professionale.
-Patrick,
le chiedo di mantenere la calma quando vedrà John il Rosso. Dobbiamo ricavare
tempo e informazioni per poterlo neutralizzare senza ferire nessuno. Ad ogni
modo le prometto che non torcerà un solo capello a Charlotte.- fece Hotchner.
Ci avviammo tutti alla porta.
-Agente
Hotchner.- lo richiamò Jane.
L’uomo
si voltò, il volto sempre contorto in quell’espressione seria e severa.
-Grazie.-
disse Jane, sincero.
Il
capo del BAU fece un cenno d’assenso con il capo. Poi seguì gli altri. Uscimmo
tutti, Lisbon e Jane per ultimi.
POV. JANE
Mi
sentivo vivo. Può sembrare strano, ma è così. Scesi le scale con tutta la
tenacia che riuscivo ad accumulare; Lisbon dietro di me. Salimmo sul secondo
suv nero, sui sedili posteriori, Hotchner guidava e Gideon era in parte a lui.
guardavo la strada scorrere, le luci che tracciavano scie colorate. Mi sembrava
di andare piano, ma ogni metro fatto era un metro verso Charlotte. I pochi,
meravigliosi, momenti che avevo passato con lei mi tornarono alla mente come
lampi, all’improvviso. Il suo faccino dolce, i suoi occhi lucidi, il suo sorriso
gioioso; non potevo permettere a quell’assassino di uccidere la gioia che c’era
in lei. Mentre pensavo non mi ero accorto di aver serrato i pugni, tanto da far
sbiancare le nocche; Lisbon mi mise una mano sul braccio, delicatamente. Come
in quei film romantici molto vecchi. Non potei fare a meno di sorriderle. Le
coprii la mano con una delle mie. Quando vidi la tangenziale ebbi un tuffo allo
stomaco. La strada era deserta e buia. I lampioni erano molto distanti tra loro
e ai lati della strada c’erano un’infinità di alberi. Sembrava quasi di essere
in montagna. Mi vennero i brividi. Quando sentii la macchina rallentare posai
lo sguardo davanti a noi. A un centinaio di metri da noi si intravedeva l’ombra
scura di un’altra auto con i fanali accesi, in mezzo alla strada. Non mi ci
volle un genio per fare due più due. Scesi dall’auto insieme agli altri, Lisbon
mi prese per un braccio nel tentativo di attirare la mia attenzione.
-Sta
attento.- mi avvertì.
La
guardai negli occhi. Quegli occhi color smeraldo che in quel momento sembravano
due pozze scure luccicanti. Adoravo quando mi guardava così, la adoravo sempre
e comunque. Oh mia cara e dolce Lisbon.
Ma come fai a stare con uno come me?
-Bene.
Ci siamo. Signor Jane si ricordi quello che le ho detto. Cerchi di prendere
tempo in modo da lasciare il tempo ai miei uomini di mettersi in posizione.-
ribadì Hotchner, riscuotendomi dalla mia contemplazione.
-D’accordo.-
confermai.
Mi
voltai fissando la strada di fronte a me come un avversario. Era ora della
guerra.
POV.
CHARLOTTE
Stavo
tremando. Eppure non riuscivo a capire se fosse per il freddo del metallo
dell’auto su cui ero sdraiata, se per la temperatura, o per l’uomo che stava
seduto al posto di guida fischiettando allegramente. Riuscivo solo a pensare a
Jane. La sua immagine rischiarava le tenebre causate da quella stretta fascia
legata intorno agli occhi. Mi faceva male la testa, dove quell’uomo mi aveva
colpita con non so bene quale oggetto. Ricordo che prima che cadessi a terra mi
aveva sostenuta, sollevata e portata via. Non avevo potuto fare niente, c’avevo
provato, ma era stato tutto inutile. Mi aveva parlato e provocato, ma avevo
resistito. Forse dovevo ringraziare anche il mio stato d’incoscienza,
altrimenti sarei crollata sia moralmente che psicologicamente. Avevo le mani e
i piedi legati da delle ruvide e spesse corde. Avevo provato a liberarmi, ma
dovevo dargli atto d’aver fatto davvero un ottimo lavoro. Non riuscivo quasi a
muoverle. Eravamo fermi da un’ora e mezza ormai. Probabilmente eravamo arrivati
al luogo dell’incontro. Oh, sì! Avevo assistito a tutta la telefonata e a tutte
le cose crudeli che aveva aggiunto quando aveva interrotto la linea: che
avrebbe ucciso mio padre, che si sarebbe divertito, che gli avrebbe fatto molto
male e che alla fine saremmo morti entrambi. Forse, a questo punto, non avevo
più lacrime per piangere. Ritentai inutilmente di allentare le corde.
-Non
ti sei ancora stufata di tentare di liberarti?- mi chiese lui con voce annoiata
ma anche divertita. Quel suono mi faceva ribrezzo. Lo sentii muoversi dal suo
posto. La macchina ondeggiò; così però mi girava anche la testa. Avvertii i
suoi piedi posarsi vicino alle mie gambe, tentai di indietreggiare. Una mano mi
afferrò come un artiglio la gamba sinistra, fermandomi. Poi, di colpo, mi tirò
verso di lui come un sacco di patate. Il mio cuore aveva accellerato
improvvisamente.
-Lasciami.-
gli dissi. Tentavo di essere decisa, ma in quel momento il coraggio era l’unica
cosa che si era volatilizzata. In risposta portò la mano sulla spalla e mi
bloccò al fondo dell’auto.
-No.-
cercavo di rimanere di lato o almeno seduta, ma non potevo. Non me lo
permetteva. Lo sentii sorridere e poi ridacchiare.
-Quanto
sei divertente. Lo sei sempre stata, sai. Ssshhh.-
Avrebbe
detto qualcosa d’altro se il rumore di una macchina poco distante non l’avesse
bloccato. Intuii che entrambi ci dovevamo essere messi in ascolto. Poi lo
sentii respirare a fondo e sorridere.
-Ci
siamo.-
Sentii
qualcosa scattare e dopo un paio di secondi i miei piedi erano liberi. Con una
mano mi prese per un braccio e mi tirò in piedi di peso. Diede un forte calcio
al portellone sul retro del furgoncino. Mi aiutò a scendere. E, sempre
tenendomi per la felpa, mi portò con sé. Dal movimento dedussi che stavamo
facendo il giro dell’auto, ma non ne ero certa. Ad un certo punto, ci fermammo.
Eppure non avevamo fatto tanta strada. Sentii il nodo sciogliersi e di colpo
tornai a vedere. Eravamo su una strada dritta, buia, illuminata pochissimo,
davanti a noi un suv nero e delle persone, una più avanti delle altre: Jane.
-Ben
arrivato Jane.- lo salutò John. Rabbrividii di colpo. Perché mi sembrava che
qualcosa non quadrasse? Mi slegò le mani. Nella frazione di un secondo, sempre
con quel suo sorriso velenoso in volto, mi circondo le spalle con un braccio e
con l’altra mano mi puntava un coltello alla gola. Ero stretta a lui e di nuovo
non potevo muovermi. Nei miei occhi si poteva leggere il terrore. Quelli di
Jane erano seri e decisi eppure vi lessi tanta paura.
-Lasciala
andare John.- disse.
-Patrick…-
tentai di chiamarlo, ma istintivamente strinse ancora di più la presa. Quasi
quasi non riuscivo più a respirare. Gli presi il braccio, cercando di
allentarlo ma non potevo.
-Lasciarla
andare? Patrick noi siamo una famiglia. E i poliziotti non dividono le famiglie
giusto?- fece lui di rimando.
-Io
non sono un poliziotto.- ribadì mio padre. Rise.
-Speravo
tanto lo dicessi Patrick.- la lama si portò all’altezza della mia mandibola.
Sentivo la lama fredda e tagliente. –La tua condotta è davvero deplorevole lo
sai. Noi tre siamo una famiglia e tu sei stato un bambino molto cattivo. E,
come sai bene, i bambini cattivi vanno puniti.- un ghigno perfido gli solcò la
faccia.
E
all’improvviso sbiancai, qualcosa di caldo fu sostituito al freddo della lama;
non occorreva un genio per capire che era il mio sangue. Iniziò a bruciare.
-Fermo!-
ulrò Patrick.
Lui
rise sguaiatamente, contenendosi un po’ per il tono.
-Fermo?
Oh, Charlotte te l’avevo detto…te l’avevo detto che ci saremmo divertiti.- era
estasiato. Quegli uomini davanti a me erano la mia salvezza, erano così vicini;
ma allora perché non riuscivo a raggiungerli?
-Guai
a te se le torci un solo capello John! Non azzardarti… -
-Altrimenti
che mi fai Patrick? Eh? Che mi fai?- il suo tono era diventato improvvisametne
cattivo e severo, duro. La sua presa si saldò ulteriormente.
-La
sua vita è nelle mie mani. E tu non puoi fare niente per salvarla. Così come
non hai potuto salvare tua moglie. Te l’ho detto, domani si celebrerà un
funerale!- era tornato a ghignare perverso.
-Cade
Evans sei circondato. Lascia andare la ragazza e metti le mani sopra la testa.-
era stato Hotchner a parlare. C’era anche lui. Sorrise.
-E
così sapete anche chi sono. Complimenti.- era ammirato.
-Glielo
ripeto è circondato. Si arrenda e nessuno si farà del male.-
-Agente
Hotchner, crede davvero che mi interessi? Se sa chi sono io sa anche che sono
malato. Che sto per morire. Crede davvero che se mi doveste uccidere oggi
farebbe la differenza? Il problema è che voi non potete uccidermi senza
rischiare di uccidere anche lei, ed è questo il mio vantaggio. Questa faccenda
non vi riguarda signori. È una cosa tra me e il signor Jane.-
-Lasciami.
Ti prego. Non farlo.- lo supplicai, non potevo fare altro.
-Perché
non dovrei farlo mon cheri?- mi domandò viscido.
Guardai
mio padre negli occhi, sentii qualcosa scorrere, qualcosa che ci univa.
-Perché
gli voglio bene.-
Ecco,
era questo. Era questo che mancava, che avevo avuto sempre l’assoluto bisogno
di dire. Le sue dita si chiusero a pugno sulla mia maglietta e la lama del
coltello iniziò a tremare violentemente.
-Tu
gli vuoi bene?- disse a denti stretti. Sembrava molto arrabbiato e offeso,
quasi indignato. Era come un vulcano che stava per esplodere. Annuii.
-Sì.-
risposi.
Buttò
a terra il coltello ed estrasse la pistola. In quel momento partì un colpo. Era
stata Lisbon, ma aveva colpito la macchina. John alzò lo sguardo in direzione
dei suv neri. Irato. Alzò la pistola e sparò, mentre iniziava a crearsi
l’inferno. Tutti sparavano, gente che correva e urlava. Mi spinse a terra poco
dopo che aveva sparato, avevo visto Jane cadere a terra.
POV. LISBON
Non
ero riuscita a trattenermi. Avrebbe sparato a Jane. Mi lanciai in avanti, piena
di terrore e decisione. Lo vidi sparare, ma il proiettile non mi toccò. Spinse
Charlotte per terra in modo alquanto brusco. Era in collera e non ci voleva un
genio per capirlo. Quando fui non molto lontano da lui gli sparai, colpendolo.
Purtroppo però gli avevo preso la spalla. Mi guardò ostile e puntò la pistola
su di me. Charlotte gli si gettò addosso con tutto il suo peso, facendolo
cadere a terra. Qualcuno nel frattempo buttava a terra me. Un colpo partì.
Derek mi aveva spinto per evitare che il secondo proiettile dell’assassino mi
colpisse. Mi voltai per un attimo indietro e vidi le testa riccioluta di Jane
ancora a terra. Un brutto presentimento, sempre più concreto, mi si fece strada
nella mente.
-Agente
Lisbon!- urlò Hotchner.
Alzai
lo sguardo e sbarrai gli occhi. John stava puntando la pistola contro di me.
Maledizione perché nessuno sparava? Poi un colpo. Io e l’assassino continuammo
a guardarci, occhi negli occhi. Poi, cadde. Spostai lo sguardo di un paio di
metri. Charlotte con in mano la pistola di John il Rosso. Il suo sguardo deciso
ed arrabbiato era identico a quello che avevo visto negli occhi di Jane quando
aveva ucciso il tizio che si era spacciato per John quella notte al bar. Quando
i nostri sguardi si incrociarono quell’espressione venne sostituita da
un’altra, più triste e addolorata. La pistola le scivolò dalle mani e curvò le
spalle, come se stesse portando un enorme fardello. Alzò la testa e si guardò
intorno, per poi fermarsi su un punto. Mi girai anche io. In fin dei conti era
andato tutto bene. Ma quei boccoli d’oro erano ancora nella medesima posizione.
Jane no! Con le poche forse che mi
rimanevano mi alzai in piedi. Vidi Charlotte trascinarsi vicino al suo corpo e
lasciarsi cadere in ginocchio. Gli toccò i capelli, il viso, le spalle. Lo
scosse leggermente.
-Patrick.-
lo chiamò.
Non
rispose.
-Patrick.-
lo chiamò.
Non
si mosse.
-Patrick.-
la voce gli si spezzò.
Niente.
-Patrick.-
era scoppiata a piangere.
Mi
inginocchiai in parte a lei, sfiorando con una mano un braccio di Jane coperto
dalla camicia azzurra che portava quel giorno.
-Papà.-
eccolo, la prima volta.
Per
la prima volta aveva potuto chiamarlo per nome.
-Papà.-
Mi
si stava straziando il cuore. Ogni parola, ogni lacrima… erano un colpo diretto
a me e al cielo. Le misi una mano sulla spalla.
-Charlotte.-
la chiamai.
Ci
guardammo. Rimasi ad ammirare quegli occhi cerulei di cui mi ero innamorata
otto anni addietro. Pochi minuti e ci stringevamo, consolandoci a vicenda. Chi
sa tutti gli altri cosa stavano facendo, pensando, dicendo… non importava. Nel
frattempo sentimmo arrivare le auto della polizia, le sirene spiegate, i
lampeggianti accesi. Ma non importava.