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Autore: margheritanikolaevna    21/09/2011    5 recensioni
Se hai un'amica molto carina che viene in città a trovarti, cerca di non lasciarla mai, dico MAI, da sola, soprattutto nelle immediate vicinanze del tuo ufficio. E se sei un pericoloso serial killer accertati di non avere sbagliato numero di telefono...
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Stella Bonasera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia è ambientata tra New York e Tokio.
L’azione si svolge nell’arco di quattro mesi, alla fine della sesta stagione di CSI NY
La protagonista femminile, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la serie.
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà della CBS Broadcasting Inc.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
LA GEOMETRIA NON E’ REATO
 
Capitolo 1
 
Stella era talmente concentrata sul microscopio da non avere nemmeno squillare il cellulare, che aveva lasciato in borsa. Quando se ne rese conto, seccata per l’interruzione, prese l’apparecchio, che non aveva smesso di trillare.
Detective Bonasera - rispose con voce atona.
Ehi Stella, sono Gwen! - disse una voce femminile dal tono allegro - Sono quaggiù…è quasi mezz’ora che ti aspetto! Scendi?
“Diamine” - pensò Stella. Si era completamente dimenticata dell’appuntamento con la sua amica, che era appena arrivata a New York.
Stella…ci sei?guarda che mi sto stancando…proseguì la ragazza.
Gwen…Accidenti! mi dispiace, ma ho ancora molto lavoro da fare…le rispose Stella.
Cosa?no, no…aspetta - ribatté l’altra - non mi vorrai dare buca un’altra volta?
Effettivamente, quando Gwen era venuta in città l’anno precedente lei era stata così presa da un caso irrisolto che era riuscita a vederla solo una volta, durante una striminzita pausa pranzo. Si rendeva conto che stava esagerando. Gwen era la sua migliore amica dai tempi della scuola; all’epoca erano inseparabili e, invece, ora che lei faceva avanti e indietro tra l’America ed il Giappone, le occasioni per stare insieme erano pochissime. E lei stessa non faceva nulla per coglierle.
Mi dispiace - ripeté - c’è un caso molto urgente al quale sto lavorando, ne avrò per tutta la notte…
Sei un vero disastro! - le gridò l’altra - mollare la tua amica tutta sola la sua prima sera a New York! Non ho voglia di tornare in hotel e qui non conosco nessuno, a parte te!  
Tuttavia, Stella capiva che Gwen si era già rassegnata, ben sapendo quanta passione mettesse nel suo lavoro. E poi non erano mai riuscite a tenersi il broncio a lungo.
Ci vediamo domani a pranzo? - le propose - Dai, mi farò perdonare!  
Ok, ok…  - brontolò Gwen - ma se stanotte andrò a dormire prima di quanto avrei voluto sarà solo colpa tua…chiuse la comunicazione.
Uff - penso Gwen - e ora che faccio? Cominciò a camminare mentre cercava di riporre il cellulare. Si sentiva delusa ed era così assorta che non fece attenzione all’uomo che camminava nella sua direzione. Lui era impegnato in una telefonata e non guardava davanti a sé. Lo scontro fu inevitabile: i telefonini che entrambi avevano in mano caddero a terra.
Gwen si riscosse.
Mi scusi… -disse, senza guardarlo - ero distratta. Si chinò a raccogliere i due apparecchi. Non fa nulla, anzi, scusi lei - rispose l’uomo, con tono gentile. Senza dire altro, lei gli porse un cellulare, mettendo l’altro in tasca.
Ciascuno andò per la propria strada.       
Gwen non aveva fatto che pochi passi quando sentì squillare una suoneria che non riconosceva. Estrasse dalla tasca il cellulare che vibrava, sembrava il suo ma…Meccanicamente, rispose.
Detective Taylor… - disse una voce roca, distorta, che metteva i brividi - sono ancora io, vuoi giocare con me?
Senza pensare, lei disse la prima cosa che le veniva in mente. Mi dispiace, credo abbia sbagliato numero.
Dall’altra parte, il famigerato serial killer denominato l’Incisore rimase per un istante senza parole. Poi chiuse la comunicazione, interdetto.
Uff - disse la ragazza tra sé e sé. Decisamente questa non era la sua serata. I due apparecchi, chissà per quale coincidenza, erano identici e lei doveva averli scambiati, tenendosi per sbaglio quello dell’uomo con cui si era scontrata qualche minuto prima.
Beh - pensò - quello era evidentemente un poliziotto, magari la telefonata era importante e, soprattutto, le sarebbe dispiaciuto molto perdere tutti i suoi numeri di telefono. Insomma, doveva trovare quel tipo. Non sarebbe stato difficile, era passato pochissimo tempo, sarebbe riuscita a raggiungerlo.
Cominciò a camminare velocemente - per quanto i 12 cm delle sue Manolo le permettessero -  nella direzione che aveva preso l’uomo. Dopo pochi secondi, lo scorse. Era quasi arrivato vicino ad una grossa macchina nera, parcheggiata vicino al marciapiedi. 
Ehi!  lo chiamò. Lui non si girò, preso nei suoi pensieri.
Doveva attirare la sua attenzione in qualche modo…se fosse salito in auto e fosse partito non sarebbe più riuscita a raggiungerlo. Si ricordò il nome che aveva sentito al telefono.
Detective Taylor! gridò. Lui si girò, sentendosi chiamare. Fece qualche passo verso di lei.
Uff  - disse lei, fermandosi davanti a lui. Certo che una ragazza deve faticare parecchio per starle dietro…
Ci conosciamo? rispose lui, con aria interrogativa, riconoscendo la ragazza di prima.
Beh, non proprio… - disse Gwen, porgendogli il cellulare - ma credo di avere qualcosa di suo, così come lei ha qualcosa che  appartiene a me…
Oh, esclamò lui, tirando fuori dalla tasca l’altro telefonino. Sono identici. Deve averli scambiati quando ci siamo scontrati. Grazie mille, comunque - le restituì il suo apparecchio. Sarebbe stato un bel problema perderlo.
Già, prima le hanno telefonato, così ho saputo come si chiamava
Grazie - ripeté lui, guardandola in faccia per la prima volta. Alla luce di un lampione, notò che era decisamente carina, con una massa di capelli rossi che le arrivavano fino alla vita ed una piccola bocca carnosa. Era stretta in un trench di pitone silver troppo leggero per quel settembre newyorkese.
Doveva andare via, ma esitò un istante.
Gwen lo colse.
Lei è un poliziotto, giusto? disse, sorridendo.
Perché?- rispose lui.
Fantastico! replicò la ragazza  - quindi non è né un serial killer, né uno stupratore…
Beh, in effetti…no… disse Mac, con un impercettibile sorriso. Non capiva dove volesse arrivare.  
Fantastico! ripeté lei. Allora è la persona giusta per accompagnarmi a bere qualcosa stasera…
Lui fece una smorfia imbarazzata, che voleva dire “non se ne parla nemmeno”.
Andiamo, agente…insisté lei…la mia migliore amica mi ha dato buca proprio la mia prima sera a New York…io non conosco nessuno in città e non ho nessuna voglia di andare a dormire. E poi, sono da sola e le strade di New York sono pericolose per una ragazza sola…
Veramente io…lui esitò ancora, evidentemente sulle spine.
Fantastico! disse Gwen per la terza volta, prendendolo sotto braccio come se lo conoscesse da una vita. Offro io!
 
Capitolo 2
 
Fu bruscamente svegliato da uno squillo familiare. Aprì gli occhi, ancora intontito da un sonno insolitamente profondo, e cercò il maledetto cellulare nella penombra di una stanza che non conosceva.
La luce alta del giorno filtrava appena dalle tende tirate.
Doveva essere dannatamente tardi.
Taylor - rispose, una volta trovato l’apparecchio, che era sul pavimento, nascosto da una pila di vestiti appallottolati.
Cercò di rendere la sua voce il più normale possibile, ma Danny, che l’aveva chiamato, capì subito che il suo capo si era appena svegliato e, data l’ora, la cosa lo sorprese non poco.
Tutto ok, capo?  - gli chiese, temendo che avesse avuto qualche problema; per come lo conosceva, solo qualcosa di veramente grave lo avrebbe tenuto lontano dall’ufficio fino a quell’ora.
Tutto ok - disse lui sbrigativo. “Magnificamente” avrebbe voluto rispondergli.
Mentre ascoltava il suo agente che gli descriveva brevemente l’ennesimo delitto commesso durante la notte dal serial killer soprannominato l’Incisore e gli spiegava dove si trovava il cadavere, non poté fare a meno di guardare la ragazza. Giaceva sul letto sfatto, ancora profondamente addormentata, a faccia in giù e coperta solo dai lunghi capelli rossi. Senza alcun dubbio uno spettacolo migliore di quello che avrebbe avuto di fronte tra poco… 
Arrivo subito - disse a Danny, chiudendo la comunicazione.
Si vestì più velocemente che poté, consapevole di essere in ritardo e cercando a tentoni i suoi abiti sparsi dappertutto per la camera. Nell’uscire, urtò qualcosa e il rumore destò Gwen, che sollevò la testa.
Ehi!  - gridò vedendo che l’uomo stava uscendo di corsa.
Aspetta, aspetta! -strillò e scosse le manette che ancora le legavano il polso destro alla spalliera del letto.
Troppo tardi. Era già fuori la porta e non la sentì.
“Questa non ci voleva…” pensò Gwen “e ora come faccio?”
Beh, in qualche modo se la sarebbe cavata, come sempre. Con la mano libera, si tirò il cuscino sulla testa, cercò una posizione comoda e si riaddormentò all’istante.
Era esausta. Aveva sulle spalle venti ore di volo ed una nottata piuttosto faticosa…
 
**********
Mentre guidava a tutta velocità la sua auto verso la scena del crimine, il detective Mac Taylor sperava ardentemente che nessuno dei suoi colleghi notasse che aveva indosso gli stessi abiti del giorno prima, la barba un po’ lunga ed i capelli leggermente spettinati. Cercò di sistemarsi alla meglio guardandosi nello specchietto retrovisore, ma la situazione non migliorò granché.
Decisamente, aveva bisogno di una doccia.
Ma avrebbe dovuto attendere, adesso c’era un altro crimine che meritava la sua completa attenzione.
Appena il detective Don Flack - che poteva vantare un’esperienza in campo femminile sicuramente superiore alla media - vide arrivare il suo amico, non poté non riconoscere al primo sguardo quell’aria inconfondibile, tra lo stravolto e il soddisfatto,  e  quell’aspetto un po’ stropicciato…
“Ma guarda un po’…” disse tra sé e sé “Questa proprio non me la aspettavo…” Moriva dalla voglia di fargli qualche domanda, ma sapeva che non era quello il momento adatto. Però, alla prima occasione, avrebbe soddisfatto la sua curiosità. Eccome se l’avrebbe fatto.
 
**********
Quella volta toccava a Stella aspettare, ma l’aveva messo in conto e, in fondo, sapeva di meritarselo.
Era riuscita ad organizzare quel pranzo con Gwen nel loro ristorante preferito, da Sushi Samba sulla Settima, ed ora sperava che la sua amica non fosse troppo in collera per il bidone della sera prima.
Quando la vide arrivare, notò che, per fortuna, non sembrava assolutamente imbronciata.
La sua prima impressione fu confermata dall’entusiasmo con cui l’abbracciò. Era felice di vederla e si capiva.
Lei e Stella erano diventate amiche sui banchi di scuola: sebbene diversissime nell’aspetto e nel carattere, avevano praticamente vissuto in simbiosi fino al college. Per quanto Stella era seria, affidabile, tenace, altrettanto Gwen era esuberante, incasinata, incostante.
Anche un po’ stronza, a volte.
Ovviamente, si erano adorate subito.
Poi, all’università, ciascuna di loro aveva preso la sua strada e, per forza di cose, la vita le aveva allontanate. Nonostante ciò, tutto quello che avevano condiviso costituiva ancora un legame profondissimo ed ogni occasione di incontro era per loro una specie di festa.
Ehi, sei in gran forma! - la salutò Stella - sembra che per te il tempo non passi mai…
E tu? - le rispose l’altra sfiorandole il braccio - ogni volta che ti vedo diventi sempre più affascinante!
Spettegolarono un po’. Il pranzo scivolò via dolcemente.
Ad un tratto Gwen chiese a bruciapelo a Stella: e allora, come va col tuo “cavaliere oscuro”, qualche passo avanti?
Chiaramente si riferiva al collega di cui Stella le aveva parlato a volte - il suo capo tenebroso e, secondo lei, tremendamente triste - che le faceva batter il cuore ormai da anni. Non ricordava se le avesse mai detto il suo nome e, in fondo, non le importava molto di saperlo. Quello era l’unico argomento che mettesse in difficoltà la sua amica e lei si divertiva a prenderla un po’ in giro. Per Gwen era solo “il suo cavaliere oscuro”.
No - Stella scosse la testa con un mezzo sorriso -  nessun passo avanti.
Ma, insomma - feceGwen sbuffando -  deve essere un vero imbecille per non accorgersi di te! Mi piacerebbe conoscerlo, sto’ tipo…
Non è questo, è che…è complicato… Stellanon completò la frase.
In imbarazzo, cambiò bruscamente argomento.
Piuttosto, dimmi, com’è andata la tua serata di ieri, devo sentirmi molto in colpa? - chiese all’amica.
Ah, Ah…- fece l’altra, facendo segno di non col dito. Si chinò verso la poliziotta e, scostando appena l’alto bracciale borchiato che portava, le mostrò la leggera abrasione che aveva sul polso destro.
Stella non capì subito.
Vuoi dire che sei stata arrestata?! - lechiese, incredula.
Beh, in un certo senso…ribatté l’altra con un sorriso eloquente.
Ah. Fece Stella, che ora aveva compreso.
Scoppiarono a ridere all’unisono.
Stella si sporse verso di lei ridacchiando. Ora hai tutta la mia attenzione…le disse.
Gwen cominciò a raccontare.
e dopo due ore aveva già dato un nome ai miei seni… disse a un tratto. Stella rise ancora. Poi la interruppe: Ma come cavolo si chiama sto’ pazzo scatenato? Se è un mio collega magari lo conosco…
Lei aprì la bocca per rispondere.
In quell’istante, lo squillo del cellulare di Stella la bloccò. La poliziotta si alzò da tavola e rispose, facendole con la mano segno di aspettare. Parlò pochi secondi.
Mi spiace - disse, prendendo la borsa e il soprabito dalla sedia. Gwen notò che l’amica aveva già cambiato espressione - c’è stata un’emergenza in laboratorio e devo correre…comunque sono stata felice di vederti!
Va bene, va bene… ti ho già sottratta per troppo tempo al tuo amato lavoro - sospirò. La trattenne per darle un bacio sulle guance. 
Però - concluse Stella -mi devi raccontare tutto tutto, e la prossima volta non ci saranno interruzioni…
Gwen le sorrise un’ultima volta. Guardandola andare via con passo svelto, si sedette di nuovo a tavola a finire il suo terzo Cosmopolitan. Ripensò con tenerezza alla sua amica. Era una persona meravigliosa, forte ed onesta.
Sapeva che, nonostante la lontananza e le scelte diverse, ci sarebbero sempre state l’una per l’altra.
Non dimenticava come le era stata accanto nel momento più difficile della sua vita, anni prima, quando una grave malattia l’aveva quasi uccisa.
Da allora, aveva deciso di godersela, senza alcun rimpianto né esitazione.
Non si sarebbe fermata per niente e nessuno, almeno fino a che la vita non le avesse inviato un altro segno.
**********
Era ormai tardo pomeriggio quando Mac riuscì finalmente ad andare a casa.
Sotto il getto tiepido della doccia, cominciò a rilassarsi e lasciò che il pensiero tornasse alla notte precedente.
Decisamente, rifletté, una cosa del genere non gli era mai capitata, nemmeno quando era al college. Da anni si considerava una persona seria, affidabile, con la testa sulle spalle…non tipo da  avventure di una notte, per intendersi.
Poi era arrivata Claire, e la sua vita aveva preso una direzione diversa. Almeno fino a quel maledetto giorno…ne scacciò via il pensiero, che come sempre lo aveva turbato.
Perciò, per lui era ancora più strano essersi lasciato travolgere in quel modo.
“L’unico motivo per cui ho sempre desiderato andare a letto con un poliziotto”  ricordò quello che la ragazza gli aveva detto con aria maliziosa infilandogli una mano sotto la giacca e tirando fuori le manette di ordinanza “è sapere cosa si prova con quelle vere…”
Il ricordo gli provocò un intenso brivido.
Poi, improvvisamente, la sua mente fu attraversata da un pensiero: “Dannazione, le manette!” se ne era completamente dimenticato. Per quanto ne sapeva, lei poteva essere ancora in hotel, imprigionata alla spalliera del letto…
Vestitosi alla velocità della luce, corse all’albergo.
Con notevole sorpresa, scoprì che era uscita alcune ore prima per un servizio fotografico a Coney Island. In quel momento, apprese due cose di lei che non sapeva ancora: il suo cognome e che faceva la fotografa.
“Avrei dovuto scommetterci” pensò “una così riesce sempre a trarsi d’impaccio”.
Comunque, doveva riprendersi quei dannati aggeggi.
Mancava ancora un po’ al tramonto quando Mac riuscì a trovare il set a Coney Island: si trattava di un servizio di moda maschile. Tre modelli, giovanissimi ed efebici, erano strizzati dentro improbabili tute di pelle in colori fluo. In piedi sul pontile, sembravano fronteggiarsi con aria di reciproca sfida.
Gwen era in piedi davanti a loro, assorta, con la macchina fotografica in mano. Portava un chiodo nero zippato ed una mini di chiffon svolazzante con teschi stilizzati. La guardò qualche istante andare da una parte all’altra del pontile, gesticolare. Osservò le movenze flessuose delle lunghe gambe color miele.
Alla fine, facendosi coraggio, la chiamò. 
Lei si voltò, guardò dalla sua parte riparandosi con la mano gli occhi da un raggio di sole obliquo che l’aveva abbagliata, impedendole di riconoscerlo subito.
Appena capì che era lui, gli sorrise, per nulla infastidita dall’interruzione.
Bene ragazzi - disse ai tre - cinque minuti di pausa e, mi raccomando, non respirate troppo!
Gli andò incontro; sembrava autenticamente sorpresa di vederlo lì.
Ciao! - disse infatti con semplicità - non pensavo di rivederti così presto…
Lui era in imbarazzo. Prima che potesse dire una sola parola, si avvicinò loro un giovanotto elegantissimo - ciuffo biondo vistoso, andatura dinoccolata ed una cartellina sotto il braccio. Evidentemente deciso a curiosare.
Tutto bene, Gwen? - chiese alla ragazza mentre squadrava Mac da capo a piedi, non riuscendo a capire cosa ci facesse lì quel tipo, che sembrava un poliziotto lontano un miglio.
Si Si,  Zach, grazie… và pure - gli rispose lei - riprendiamo subito. Con un movimento degli occhi gli fece capire che doveva andarsene. E lui se ne andò, a malincuore e non prima di avere indugiato più di un istante sul sedere dell’uomo che, invece, non si era accorto di niente.
Gwen prese Mac per mano. Si allontanarono si qualche passo. Improvvisamente, lei gli si avvicinò. Gli parlò all’orecchio, nascondendo la bocca con una mano.
Hai la pistola, vero? Bisbigliò, con aria esageratamente preoccupata.
Lui annuì, senza capire esattamente la sua allusione.
Uff…lei trasse un sospiro di sollievo e lui, d’improvviso, di rese conto che lo stava prendendo in giro.
Sorrise. Lei ricambiò il suo sorriso.
Per qualche istante l’imbarazzo che aveva provato appena l’aveva rivista si era dissolto.
Allora…come mai sei qui? - gli chiese la ragazza.
Lui esitò un istante.
Veramente…credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene…le disse, senza guardarla negli occhi.
Gwen aveva capito immediatamente, ma fece finta di pensarci su qualche secondo, giusto il tempo di metterlo completamente in imbarazzo…
Vuoi dire, oltre a qualche miliardo di…L’espressione di Mac le impedì di completare la frase.
Lui tentò un sorriso, ma era drammaticamente sulle spine.
No, davvero…continuò.
Lei si rese conto che era ora di smetterla.
Aaah… certo, ora capisco - fece Gwen mettendo una mano sul fianco. Assunse un’espressione un po’ incavolata.
Certo che hai un bel coraggio a venire fin qui per riprenderti le tue dannate manette! - proseguì - se fosse stato per te a quest’ora sarei ancora legata a quel letto!
Mi dispiace…azzardò lui. Ma, a proposito, come hai fatto a … le chiese.
Beh - rispose lei - diciamo che il fattorino dell’hotel avrà un’altra storia interessante da raccontare… Comunque, non le ho con me. Le ho lasciate in albergo.
Anzi, ora scusami, ma devo terminare il servizio prima che la luce cambi completamente.
Prima che Mac riuscisse a dire altro, se ne andò, lasciandolo con un palmo di naso.
 
**********
Quella sera, tornato in ufficio, il detective Mac Taylor non riusciva a concentrarsi.
Confuso, pensava e ripensava alla situazione, cercando di fare chiarezza dentro di sé.
Senza dubbio, sarebbe stato molto più sensato chiuderla lì.
Per quanto ne sapeva, lui e quella ragazza non avevano assolutamente niente in comune.
Avevano solo condiviso piacevolmente qualche ora, ma era evidente che sarebbe stata una relazione senza
In effetti, dopo Claire, tutte le sue relazioni - non molte, in verità - erano cominciate in maniera completamente diversa: era partito da un rapporto di amicizia e poi, gradualmente, aveva consentito ad un’altra donna di entrare nel suo mondo.
Tuttavia, si rendeva conto che tutte queste cautele non gli avevano evitato di soffrire…
Sospirò, guardando la pila di rapporti che, sulla scrivania, attendevano la sua firma.
Aveva deciso, non l’avrebbe rivista.
E al diavolo quelle maledette manette.
 
Capitolo 3
 
Era parecchio tardi quando, quella sera, il detective Mac Taylor, dopo una lunga giornata di lavoro (con qualche interruzione…), varcò per la terza volta la soglia dell’hotel Giraffe, a Park Avenue.
Salì al trentaquattresimo piano.
La porta era socchiusa. Bussò ugualmente, ma non ebbe risposta.
Entrò.
Gwen era in piedi, al buio. Lo stava aspettando.
O forse, no.
A braccia conserte, fumava una sigaretta e guardava fuori dall’ampia vetrata, ove si stendeva, scintillante, il manto di luci di New York.
Aveva addosso solo una corta vestaglia di seta bianca, che lasciava poco spazio all’immaginazione. I capelli come sempre leggermente arruffati. L’aria stanca.
Praticamente, irresistibile.
Oh, Oh - disse, quando lo vide entrare, spegnendo la sigaretta in un bicchiere da cocktail pieno a metà che era sul davanzale. So che è vietato fumare in questo hotel, ma mandare addirittura il capo della Scientifica mi sembra un tantino  esagerato!
La sua frase gli strappò un sorriso. Ma rispose: Sono qui solo per riprendere le manette… pensando che, probabilmente, non sarebbe più riuscito a pronunciare la parola “manette” senza provare imbarazzo.
Già, certo…disse lei,e, mentrele tirava fuori dal cassetto del comodino e gliele porgeva, rifletté un istante: le stava mandando segnali decisamente contraddittori… da quel pochissimo che sapeva di lui, le sembrava un uomo intelligente, che faceva un lavoro complicato ed era abituato a prendere decisioni rapidamente.
Possibile che, in questo caso, gli risultasse tanto difficile ammettere che era tornato lì soltanto perché desiderava rivederla?
Fece un altro tentativo.
Allora… - gli disse in tono allegro - che si fa? Sono tornata da poco, mi faccio una doccia ed usciamo, oppure mi faccio una doccia e NON usciamo…gli propose maliziosa, accentuando la parola “non”.
No, davvero - ribatté Mac, sulle spine - sono tentato, ma non credo sia il caso. E poi domattina devo svegliarmi prestissimo…    
La ragazza sorrise; imprevedibilmente, quell’uomo le stava dando del filo da torcere.
Meglio così: sarebbe stato tutto molto più interessante.
“Comunque” - pensò divertita -  “se vuole la guerra… guerra sia”.
Gwen scosse la testa e gli si avvicinò senza dire una parola.
Gli prese delicatamente i risvolti della giacca e, fissandolo, lo attirò a sé.
Avvicinò il viso al suo. Ormai era vicinissima. Mac poteva sentire distintamente il profumo della sua pelle, il suo respiro tiepido.
Ascolta - gli disse con dolcezza - io volevo solo rallegrarti la serata, ma non posso farci niente se per te è più importante essere perbene che essere…felice.
Senza dargli il tempo di replicare, si allontanò da lui.
Buonanotte - gli disse e il suo tono sembrava non tradire alcuna delusione.
Si voltò e, con un solo gesto, fece scivolare a terra la vestaglia che, senza rumore, cadde sul pavimento.
Andò verso il bagno e chiuse la porta. Non a chiave.
“Niente da fare” si arrese Mac, ancora una volta la sua bellezza e la sua assoluta mancanza di pudore lo avevano travolto.
Quando sentì il rumore dell’acqua della doccia, senza pensare spense il cellulare, l’uomo si tolse la giacca e la seguì in bagno.
 
**********
 
Quella volta il detective Don Flack aveva letteralmente inseguito il suo collega fuori dal laboratorio. Non resisteva più alla curiosità.
Gli si parò davanti a gambe larghe.
Mac lo guardò con aria stupita.
Che c’è, Don? - gli domandò. Il tono era sbrigativo, ma non sembrava seccato.
Non ti lascio andare finché non mi racconti cosa ti sta succedendo… replicò l’amico.
“Dannazione” - pensò Mac - “ è proprio così evidente?”. Scosse la testa con un leggero sorriso.
Ecco! - riprese Flack - non posso crederci, l’hai fatto ancora! Ma che diavolo ti ha preso?
Lui abbozzò. Non è che non voglia risponderti, Don…è solo che, onestamente, non lo so neanche io. La verità è che, per la prima volta in vita mia, non ho la minima idea di come sia iniziata questa cosa, né tanto meno di come andrà a finire…gli disse, con semplicità.
Flack era sbalordito, ma sapeva che l’amico non gli avrebbe raccontato altro per quella volta.
Infatti, lo salutò e salì in auto.
**********
 
Allora, Gwen, ci vediamo sabato sera al Monkey Bar ?  - chiese Stella all’amica, in tono allegro.
Era riuscita a chiamarla durante una pausa del lavoro.
Lei esitò un istante. “Sabato” pensò. La sua ultima sera a New York, la mattina dopo sarebbe ripartita.
Non le andava di trascorrerla senza vedere Mac, ma non voleva nemmeno deludere la sua amica. La quale continuò.
Dai…non puoi mancare, ci sarà anche…Gwen capì e la interruppe, con tono esageratamente meravigliato. No!Davvero?finalmente mi farai conoscere il tuo “cavaliere oscuro”?come farai a trascinarlo in quel locale? beh, allora stai sicura che ci sarò… -ridacchiò - non me lo perderei per nulla al mondo!
Ok, a sabato - rise Stella e chiuse la comunicazione.
Sola in hotel, la ragazza si accese una sigaretta e, stesa sul letto, si lasciò andare ai pensieri. Avrebbe comunque trovato il modo di vederlo, nella sua ultima sera nella Grande Mela.
Poi, Tokio e, fino all’anno successivo, sarebbe tornata al suo lavoro a Vogue Japan.
O, magari - rifletté - avrebbe potuto prolungare la sua permanenza in città: la temibile Anna, chissà perché, l’aveva presa in simpatia e, forse, insistendo un po’, sarebbe riuscita ad ottenere qualche contratto anche lì a New York, per Vogue America.
Sicuramente sarebbe stato un salto nel buio, ma questo non la spaventava.
Di sicuro non aveva voglia di partire.
Forse, quella volta, aveva un buon motivo per restare.
In perfetta sintonia con i suoi pensieri, in quell’istante Mac bussò alla porta.
Senza domande, senza troppe aspettative, seguendo unicamente il corso dei loro desideri, avevano continuato a vedersi - ogni sera, ogni notte - in quella lunghissima settimana.
La seconda sera c’erano state risate.
La terza, tenerezza.
La quarta, confidenze.
La quinta, ricordi.
Ad un tratto, mentre era ancora sdraiata su di lui e teneva la testa appoggiata sul suo petto, Mac si era tirato su a sedere e, guardandola negli occhi, le aveva chiesto a bruciapelo: Perché non ti trasferisci da me finché sei qui a New York? Mica puoi restare in questo albergo a vita?  
Lei lo aveva fissato con aria interrogativa, ma senza riuscire a nascondere l’emozione.
Dopo un istante di silenzio, l’uomo era scoppiato a ridere.
Non posso crederci - disse - sei rimasta senza parole, è un evento storico!
Lei ormai si era ripresa e, cercando di guadagnare tempo, la buttò sul ridere.
Ah, allora l’hai detto solo per questo…rispose sorridendo.
Ma, insomma - riprese in tono scherzoso - sei proprio sicuro? Sono disordinata, ritardataria, sono una pessima cuoca…sei certo di volere in casa una come me?
Mai stato più sicuro… - ribatté  lui.
E poi non so cosa penserebbero i miei amici se sapessero che vivo con un poliziotto!
Quindi è questo il problema…ridacchiò lui.
In quell’istante, il cellulare che Mac aveva appoggiato sul comodino iniziò a squillare.
Lei fu più veloce e lo afferrò, mentre lui cercare di toglierglielo e rispondere. Dopo una breve lotta, Gwen riuscì rispondere per prima.
Pronto? - disse con voce un po’ affannata e soffocando una risata.
Dall’altra parte, udì la stessa voce da brivido della prima sera dire: Allora, detective Taylor, ti sei convinto a giocare con me?
Mi dispiace, ha sbagliato numero - gli disse nuovamente la ragazza, che non aveva alcuna voglia di essere interrotta.
Chiuse la comunicazione e, spento finalmente l’apparecchio, lo restituì all’uomo.
Avevano un discorso in sospeso e, tuttavia, non parlarono ancora molto quella notte.
 
**********
 
Stella e Mac durante quella settimana avevano lavorato a sue casi diversi, entrambi particolarmente complessi.
Così, si erano visti di sfuggita ed unicamente per questioni di lavoro.
Eppure, Stella aveva notato qualcosa di diverso nell’uomo: era come sempre concentrato ma, ogni tanto, le sembrava perso nei suoi pensieri.
Pensieri che, evidentemente, per ora non intendeva condividere con lei.
Come aveva previsto la sua amica, aveva faticato non poco e dovuto fare appello alla loro pluriennale amicizia per convincerlo ad uscire quel sabato sera.
Ci era riuscita ed ora si pregustava la serata ed i commenti spiritosi di Gwen: lo avrebbe senza dubbio massacrato, ma in maniera adorabile…
 
**********
 
Quel sabato sera, mentre andava all’appuntamento con Stella, Gwen cercava di fare chiarezza nel tumulto del suo cuore. Partire? Restare? Magari avrebbe chiesto consiglio alla sua amica, con la quale non era più riuscita a scambiare due chiacchiere. Certamente la sua saggezza l’avrebbe aiutata a decidere.
Ma, probabilmente, lei non ne aveva più bisogno.
Entrò nel locale, alla moda e molto affollato.
Si guardò intorno, ma non riuscì subito a scorgere la sua amica. Così, la chiamò al cellulare.
Stella rispose con voce squillante. Si, siamo qui, vicino al bancone del bar! Le disse.
Ok. Riattaccò.
Guardò nella direzione del bar.
Effettivamente, vide Stella sorridente, in compagnia di un uomo, che era di spalle.
Quando per un istante lui si voltò dalla sua parte, Gwen, nonostante le luci soffuse, il rumore e la folla, capì immediatamente.
Le mancava il respiro.
Si appoggiò con le spalle ad un pilastro, cercando di nascondersi alla loro vista e sperando che nessuno dei due l’avesse notata.
Com’era potuto accadere? e per di più in una città di otto milioni di abitanti?
Non riusciva a pensare lucidamente.
Di tutte le cose folli e assurde che le erano successe, questa era di certo la più incredibile. Quasi ridicola, se quella coincidenza non avesse, di fatto, condannato tre persone all’infelicità.
Respirò profondamente.
Ora, era calma.
Aveva preso la sua decisione.
 
Capitolo 4
 
Si, aveva preso la sua decisione.
Senza guardarsi indietro, senza dire nulla, Gwen si voltò ed uscì dal locale.
Due ore dopo era sull’aereo per Sidney; non era riuscita ad anticipare il volo per Tokio e non poteva aspettare: doveva al più presto mettere un oceano tra lei ed il gran casino che aveva combinato a New York.
Prima di partire, chiamò Stella, che era già tornata a casa, per scusarsi. Le raccontò di un’emergenza ( “sai, anche nel frivolo mondo della moda può esserci un’emergenza!” le aveva detto in modo scherzoso) e che aveva dovuto anticipare la partenza di qualche ora. Fingendo un tono allegro, le chiese come fosse andata la serata con il suo cavaliere; Stella le rispose che era finita quasi subito, dato che lui sembrava avere una gran fretta di andarsene…si salutarono con un “a presto”.
Poi, la ragazza spense il cellulare.
**********
Quando Mac, quella notte, andò in albergo, apprese con stupore che Gwen era partita già da qualche ora, in fretta e furia e senza preavviso, in anticipo rispetto alla data stabilita.
Solo, nella stanza che aveva diviso con lei in quella dannata settimana - e che era ancora  piena di loro - contemplò ancora una volta la sua vita prendere una direzione inattesa.
Abbandonato.
Ancora una volta, improvvisamente e senza il conforto di una spiegazione.
Come con Claire.
Come con Peyton.
Decisamente, ora non si sentiva abbastanza forte per sopportarlo.
Cercò di chiamarla, sebbene non sapesse esattamente cosa dirle.
Effettivamente, la situazione era abbastanza chiara…d’altronde, come aveva potuto aspettarsi qualcosa di diverso? Si era trattato di una parentesi. Era stato un semplice diversivo, nulla di più.
Eppure…avrebbe giurato di avere visto qualcosa di diverso nei suoi occhi.
Di solito, lui riusciva sempre a capire quando qualcuno gli mentiva; i suoi colleghi della Scientifica lo avevano imparato, in alcuni casi a loro spese. 
Nonostante ciò, stavolta aveva sbagliato.
E quell’errore gli stava costando maledettamente caro.
Lei non gli rispose mai.
Lui smise di cercarla.
**********
Nei mesi che seguirono, Gwen cercò di riprendere il corso normale della sua vita: era tornata a casa, aveva il suo lavoro, che tanto l’appassionava, e poi c’erano le feste, gli amici, i corteggiatori.
Tuttavia, le sue giornate erano segnate da una tristezza latente e le sue notti insolitamente solitarie.
Per carattere, aveva sempre preferito combattere, affrontare a viso aperto il dolore; in quell’occasione, invece, il silenzio, la menzogna e l’irrisolto la tormentavano.
Continuava a sentire Stella regolarmente, chiacchierando come al solito del più e del meno.
Non osava chiederle di Mac. Cosa temeva di scoprire? Sarebbe stato meglio sapere che lui era tranquillo, oppure che stava soffrendo ancora a causa sua? e poi, doveva stare attenta a non destare sospetti…
Comunque, si rendeva conto che pensarci significava solo continuare a tormentarsi.
La ferita doveva rimarginarsi.
Ci sarebbe voluto solo un altro po’ di tempo.
Intanto, aveva anche qualcos’altro che la preoccupava.
Da qualche tempo, infatti, non si sentiva bene: era spesso stanca, spossata, la mattina faticava ad alzarsi e, a volte, l’assaliva una nausea violenta.
Col terrore nel cuore, aveva anche smesso di fumare, ma la situazione non era migliorata, anzi.
E se la malattia fosse tornata? Stavolta era sola, non ci sarebbe stata nemmeno Stella vicino a lei…probabilmente non avrebbe avuto la forza di affrontare tutto di nuovo.
 
**********
Quella mattina, aveva appena ritirato gli esiti degli esami, quando incontrò il dottor Yoshimoto, il medico che la stava seguendo.
Lui le sorrise in un modo che lei non capì.
Devo parlarti - le disse, facendola accomodare nel suo studio.
Gwen tremava. Cosa le avrebbe detto?
Ancora una volta, tuttavia, nulla andò come se lo aspettava.
Con un largo sorriso, il buon dottore le prese la mano.
Dottore…iniziò lei e la sua voce era un sussurro.
È incredibile - disse lui senza lasciarla - non avrei mai pensato che potesse accadere, avevamo quasi escluso questa eventualità!     
Fece una pausa. Poi, vedendo che la ragazza non aveva ancora compreso: Sei incinta! esclamò - non è fantastico?
Lei per poco non svenne. Barcollò e davvero sarebbe caduta a terra, se il medico non l’avesse sorretta.
Che c’è? le disse l’uomo, facendola sedere. Non sei felice? Non sei di nuovo ammalata…aspetti un bambino!
Felice…disse lei in tono spento.
Non mi sembra, eppure dovresti! Con quello che hai passato anni fa le possibilità che succedesse erano pochissime. Inoltre…- proseguì lui, guardandola negli occhi - io so quanto tu lo desiderassi…
È vero - lei sorrise finalmente - lei mi conosce meglio di chiunque altro da questa parte dell’oceano…
Tornò a casa col cuore in tumulto, allo stesso tempo euforica ed assalita da mille dubbi.
Ancora una volta, la vita le chiedeva di scegliere e, ancora una volta, dalla sua decisione sarebbe dipesa la felicità o l’infelicità delle persone che amava: era certa solo di una cosa, non avrebbe rinunciato a quel bambino per nulla la mondo.
Anche a costo di affrontare tutto da sola. Di nascondere la verità, forse per sempre.
Ci pensò tutta la notte.
Si sentiva strana, inquieta.
**********
All’alba, prese il cellulare.
Prima che potesse comporre il numero, l’apparecchio squillò.
Era Stella. La sua voce tradiva una recente, violenta, emozione.
Stella, che hai? chiese. Improvvisamente, ebbe un brivido che la costrinse a sedersi sul letto.
Stella, dall’altra parte, era ormai sull’orlo delle lacrime.
Che cosa è successo? Ripeté. Adesso il terrore si stava impossessando di lei.
Cosa è accaduto a Mac? Chiese, per la terza volta. Fu imprudente, ma non riusciva ad essere del tutto lucida.
Per fortuna, rifletté poi, Stella doveva essere troppo sconvolta per notare quel dettaglio.
Lui… finalmente la detective riuscì a parlare - c’è stata una sparatoria…lui è rimasto ferito, i medici non sanno se riuscirà…Stella si interruppe, ma ormai Gwen aveva capito.
Senza sapere bene come, fu in grado di mormorarle qualche parola di conforto, di infonderle speranza.
La tranquillizzò al punto che Stella, rasserenata, la ringraziò e chiuse la telefonata.
“Ecco”  - disse Gwe tra sé e sé - “mi sono illusa di poter decidere da sola e, invece, di nuovo la vita ha deciso per me”.
Rifletté brevemente.
Aveva una cosa da fare, decise, ed anche al più presto.
 
**********
Chi può descrivere l’angoscia che visse Gwen durante le lunghissime ore del volo che la portava a New York? Senza poter avere notizie, senza sapere se avrebbe trovato Mac vivo o morto. Senza sapere cosa avrebbe raccontato a Stella, né come lei avrebbe reagito.
Quando, finalmente, giunse in ospedale, vide Stella seduta in una piccola sala d’attesa. Aveva gli occhi umidi e il viso pallido quasi scompariva tra i ricci scomposti.
Evidentemente, erano ore che vegliava, in attesa di notizie.
Quando vide entrare Gwen per poco non cadde dalla sedia per la sorpresa.
Le andò incontro e l’abbracciò forte.
Non posso crederci! disse - Sei venuta fin qui per starmi vicino, sei la migliore amica che io potessi desiderare!
Come sta? le chiese Gwen, sciogliendosi da quell’abbraccio che le sembrava una bestemmia.
Non ci hanno ancora detto nulla…rispose Stella, abbassando lo sguardo.
Ma - riprese - ora che tu sei qui con me sono certa che andrà tutto bene!
Le rivolse un sorriso, il primo da molte ore.
Non posso crederci - ripeté - ti sei fatta venti ore di volo per me… cercò di abbracciarla di nuovo.
Gwen arretrò di un passo e Stella la guardò con aria interrogativa.
Aspetta…le disse l’amica - non è come credi, devo dirti una cosa
Ascolta…proseguì, prendendole le mani.
Si sedettero entrambe.
Lei cominciò a parlare. Stella ascoltava senza un fiato.
Quando Gwen finì, mentre la notte cedeva il passo ad un’alba livida, le due donne rimasero in silenzio.
Tra loro era calato un gelo opprimente.
Sedevano a pochi centimetri di distanza, in attesa. Eppure, in tutta la loro vita, non erano mai state più lontane.
Stella era rimasta letteralmente senza parole…non avrebbe immaginato una cosa del genere, mai, nemmeno nelle sue più folli fantasie. Rifletté: possibile che lei lo avesse fatto di proposito, unicamente per farla soffrire? Fino ad una mezz’ora prima avrebbe messo la mano sul fuoco sulla lealtà di Gwen, ma ora…
Credimi…disse lei, come se le leggesse nella mente - io non avrei mai voluto ingannarti o tradirti…è accaduto, è stata un’assurda coincidenza…
Stella la guardò in faccia ed all’istante si rese conto che le stava dicendo la verità.
“Fantastico” - pensò - “ora non la potrò neanche odiare a mio piacimento!”. Anzi, capiva che la sua amica, pur se in un modo discutibile, aveva cercato di proteggerla, di risparmiarle un dolore.
“Eppure, avrei dovuto cogliere i segnali del passaggio dell’uragano Gwen” - considerò, con amara ironia, ricordando l’atteggiamento di Mac nei mesi appena trascorsi.  Tuttavia, c’era qualcosa che ancora non le quadrava…
Una coincidenza? Le rispose la poliziotta. In lei la rabbia aveva ceduto il passo alla tristezza. Beh, se proprio vuoi saperlo, gli hai spezzato il cuore! stargli accanto in questi mesi è stato un inferno…per tutti noi.
Mi dispiace di avere mentito…lei fissava il pavimento. Sono andata via senza una spiegazione, sperando che tutti e due saremmo riusciti a dimenticare, ad andare avanti…non l’avreste mai saputo…non avrebbe mai turbato il vostro rapporto o la nostra amicizia…
E allora -ribatté Stella, scattando in piedi - allora perché venire qui adesso? Cos’altro c’è? sei innamorata di lui? 
Lei esitò un istante.
Sono incinta - disse poi, in un soffio - l’ho saputo proprio poco prima che tu mi telefonassi. All’inizio mi ha preso il panico, non sapevo cosa fare…forse non gliel’avrei mai detto, oppure avrei aspettato di essere certa che tutto andasse bene.
Poi, dopo avere parlato con te, mi sono resa conto che non avrei potuto tenermi dentro questo segreto… se fosse morto senza sapere, se non fossi riuscita a dirglielo, non me lo sarei mai perdonato.
E poi, forse, dentro di me ho pensato che saperlo lo avrebbe aiutato a lottare.
Capisci,Stella? anche Gwen si alzò. Ora erano l’una di fronte all’altra, in silenzio.
Ma com’è possibile? riprese Stella dopo un po’ - io ero con te quando i medici ti dissero che, a causa della malattia, quasi certamente non avresti mai potuto avere figli?
Già…  - rispose Gwen – è stato una specie di miracolo…del resto, tutto in questa storia è stato inaspettato…e sconvolgente…
 
**********
In quel momento, un dottore sulla cinquantina entrò nella stanza e si diresse verso di loro. Stella gli andò incontro.
Sta meglio - disse l’uomo, e le sue parole furono come un sorso d’acqua per un uomo che stesse per morire di sete.
Gwen prese la mano di Stella e la strinse forte.
Ha ripreso conoscenza. Ce la farà.
Possiamo vederlo? chiese la detective.
Si - rispose il medico - ma per ora è meglio che entri solo una persona e per pochi minuti…
Lo chiamarono al cercapersone e lui, scusandosi, uscì.
Le due donne, rimaste sole, si guardarono.
Le loro mani si sciolsero.
Il sollievo le aveva avvicinate solo per un istante.
Gwen fece un passo indietro.
A questo punto, Stella, inaspettatamente, la prese per un braccio e, con delicatezza, la spinse verso la porta.
Vai tu…le disse -  hai molte cose da dirgli…
Gwen non riuscì a dire niente, ma il suo sguardo fu eloquente.
Uscì.
Mentre apriva la porta della camera dove giaceva l’uomo, si sfiorò il grembo, appena appena arrotondato.
Non sapeva come sarebbe andata a finire. Non c’era nessuna garanzia che tra loro le cose sarebbero andate bene.
Ma, per la prima volta dopo molto tempo, il suo cuore era pieno di speranza.
 
**********
Attraverso il vetro il detective Stella Bonasera osservò tutta la scena.
Sapeva che le avrebbe fatto male, ma non aveva resistito alla curiosità.
Anche se non riusciva a sentire ciò che si dicevano, fu facile leggere sul viso di Mac le emozioni che si susseguirono rapidamente. Sorpresa, rabbia, dolore.
Lei parlava senza riuscire in alcun modo a nascondere ciò che provava. Non ricordava di averla mai vista così coinvolta.
Poi, ad un tratto, Gwen si sedette sul letto, accanto a lui. Sempre parlando, gli posò una mano sul viso. Lui la trattenne.
Ora tacevano entrambi.
Si guardavano, visibilmente commossi.
“Ecco fatto” - pensò Stella - “gliel’ha detto”.
Ora era proprio finita.
Incapace di guardare oltre, si voltò ed appoggiò la schiena alla vetrata.
Le braccia conserte, sospirò.
Sapeva che non sarebbe più stata la stessa cosa. Mai, per nessuno di loro tre.
La vita che aveva conosciuto in quei sei anni era finita, irrimediabilmente.
Sospirò di nuovo.
Poi, rialzò lo sguardo.
Doveva andare via. Aveva bisogno di un cambiamento radicale.
“E poi” - pensò, riconsiderando un’opzione che fino a qualche ora prima aveva escluso senza esitazioni - “New Orleans deve essere una città incantevole”. 
 
 
FINE 
O viandante dell'etere, che passi di qua, fermati, leggi e, se ti va, lascia una recensione. Una recensione: un piccolo passo per te, un grande passo per l'umanità (ok, non proprio per tutta l'umanità, ma per qualcuno sicuramente!)
  
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