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Autore: Akane    03/06/2006    0 recensioni
Cosa sarebbe successo se Tsubasa avesse avuto un incidente che lo avesse paralizzato nelle gambe costringendolo su una sedia a rotelle per il resto della sua vita?
Genere: Romantico, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Destini imprevedibili'
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*Come avevo annunciato il nuovo cap si concentra sulle reazioni dei due migliori amici di Tsubasa ed un pezzetto finale anche su di lui, colui che dovrebbe essere il protagonista di questa storia!!! Voi direte che qua sono tutti gay…bè, è quello che mi sono detta io mentre scrivevo! È allucinante come le coppie spuntino come i funghi! Non volevo farlo, vi giuro ma sta cambiando tutto, quindi siccome nemmeno io so cosa sarà questa fanfic, aspettatevi di tutto…e dico proprio di tutto! Per chi come Parsy non conosce bene i nomi originali che utilizzo faccio:

Tsubasa=Oliver Hutton

Taro Misaki=Tom Beker

Genzo Wakabayashi=Benjamin Price

Kojiro Hyuga=Mark Lenders

Jun Misugi=Julian Ross(il migliore….^_-)

Questi sono quelli di cui parlo più o meno marginalmente…sono i migliori amici di Tsubasa, in fondo(Hikaru/Philippe è troppo lontano ed impegnato affinché venga a sostenere)

 Buona lettura. Baci Akane

PS: grazie a Sally per aver letto e commentato, è stata la prima su EFP. Grazie anche a Sanzina89!*

 

CAPITOLO 2:

SOGNI INFRANTI

 

La palla esercitò un perfetto rettilineo nell’aria finendo il suo viaggio fra le braccia forti del portiere, era un tiro mediamente potente ma nulla di speciale, confrontato a quelli dei suoi diretti rivali. Agilmente tornò al centro della propria porta sistemandosi il cappellino perennemente calato con la visiera sul volto, per coprire meglio lo sguardo penetrante e sicuro, si potevano notare solo i lineamenti orientali del viso solo dal naso al mento, le labbra piccole erano inclinate in un sorrisetto ironico e soddisfatto, il corpo atletico e muscoloso tornò dritto e distinto. La visione di quel ragazzo in fiore che diventava sempre più bello, merito anche dei suoi capelli neri che fra tutti quei biondi erano sempre più apprezzati, piacque alle ragazze che erano accorse quel pomeriggio ad assistere agli allenamenti della squadra di calcio giovanile a loro preferita, se era per ammirare i loro calciatori prediletti si faceva quello ed altro! I calciatori in questione erano Wakabayashi e Schneider. Al primo, Genzo, non gli andavano fastidio ma non gli facevano nemmeno troppo piacere, si poteva dire che con la più totale indifferenza le sopportava e a onor del vero il suo ego si gonfiava pur non ne avesse effettivo bisogno. Al secondo, Karl, invece urtavano profondamente, riteneva seccante sorbirsi quei gridolini fastidiosi ma non sarebbe mai stato da lui lamentarsi o mandarle via.

I due giocatori erano molto amici, dopo tutti quegli anni passati insieme un po’ come avversari ed un po’ come compagni, erano diventati gli unici in grado di stare l’uno insieme all’altro, alcuni ricamavano su quel rapporto, altri li invidiavano, altri ancora li consideravano solo due amici.

Il portiere rimise la palla in gioco e fu in quel momento che il fischio dell’allenatore si udì in tutto il campo, la sua voce poi gridò:

- PAUSA! GENZO, VIENI, C’è UNA TELEFONATA PER TE DAL GIAPPONE, SEMBRA IMPORTANTE!-

Il bel tenebroso con aria stupita  uscì dal campo togliendosi il cappellino rivelando così dei mossi e neri capelli corti, si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio scoperto e pensando a chi potesse essere, entrò con passo sicuro nella sala delle riunioni dello stuff, dove vi era un apparecchio telefonico e appoggiando il didietro sul tavolino, prese la cornetta con una mano mentre con l’altra arieggiava il colletto della maglia appiccicata al corpo.

- Pronto?-

Lo disse automaticamente in tedesco, senza nemmeno pensare che stava parlando con la madre patria, infatti gli risposero in giapponese:

- Wakabayashi…sono io, Hyuga…-

Al moro venne quasi un colpo sentendo proprio lui dall’altra parte del telefono, si sarebbe aspettato tutti tranne lui!

Stupito quindi rispose:

- Hyuga?! Come mai mi chiami? È successo qualcosa?-

L’altro se ne risentì nonostante avesse ragione a credere che se lui lo chiamava non poteva essere normale!

- Idiota! Mica è la fine del mondo se ti chiamo! E poi potevi salutarmi! -

Genzo sospirò impaziente, sentire le sue lamentele era l’ultima cosa che gli andava anche se ammetteva che ogni tanto gli mancavano!

- Taglia corto! Sono certo che non è una chiamata di saluti!-

Erano sempre i soliti, nemmeno impegnandosi potevano essere più socievoli e gentili l’uno con l’altro…salvo poi ritenersi comunque amici!

- Bè, bando alle ciance…non so come dirtelo…-

- Dillo e basta, ho da fare, sbrigati!-

Sentiva che c’era qualcosa di stonato nella sua chiamata, lo sentiva nel profondo, ma non poteva e non voleva ascoltare quella vocina allarmante!

- Va bene. Si tratta di Tsubasa…-

- Cos’è successo a Tsubasa? Perché non mi chiama direttamente lui? Tu che diavolo centri?-

Seccato l’altro alzò la voce:

- Sono l’unico che ha pensato ad avvisarti ma me ne sto pentendo! Non rompere e ascolta! Tsubasa ha avuto un incidente! È stato investito da una macchina in corsa e le sue gambe sono critiche. Ieri l’hanno operato ma non si sa se tornerà a camminare o meno, i medici non sono stati positivi!-

Genzo boccheggiò, in quell’istante entrò Karl per richiamarlo all’ordine ma vedendo quell’espressione così shockata si fermò subito. Qualcosa non andava.

Il moro cominciò a non sentire più il corpo concentrandosi solo sulle parole che gli stava dicendo Hyuga, per la prima volta voleva ascoltarlo!

- Cosa…cosa dici?-

Hyuga abbassò la voce e divenne quasi delicato, con un tono preoccupato e malinconico che non era da lui, fu quello che gli fece più impressione, che gli fece più male.

- Dobbiamo prepararci all’eventualità che Tsubasa non possa più camminare…e rimanga…-

- Zitto! Non dirlo! Non di lui! A lui non succederà una cosa del genere! Non può! Non deve…zitto…basta…-

Fu una reazione giustificata e normale, che non fu fermata né commentata dall’interlocutore che parve dispiacersi. In fondo erano più uguali di quel che fossero disposti ad ammettere: avevano reagito alla stessa maniera…solo che Misugi aveva pianto per fargli accettare la realtà, lui non l’avrebbe di certo fatto. Improvvisamente pensando all’amico che già da tempo non poteva giocare a calcio, si sentì in colpa, strano per lui ma fu così…poteva accadere per la situazione fragile e delicata in cui tutti erano…dove si diventava onesti e sinceri e si prendevano in esame cose mai osate.

Improvvisamente si resero conto di non saper più che dire e che fare, stettero con il telefono in mano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto ed una luce diversa, strana, che allarmò Karl da questa parte.

- Wakabayashi…-

Tentò senza però aver null’altro da dire, infatti fu proprio Genzo a tagliare corto, nel panico e nel caos più totali.

- Io…devo andare...-

Non diede il tempo di fare altro, riattaccò la cornetta interrompendo la comunicazione.

Rimase un lungo attimo immobile, con un espressione impietrita e il fiato sospeso, il sudore improvvisamente era freddo e il mondo circostante non esisteva più, l’unica cosa che sapeva ripetersi mentalmente era che Tsubasa aveva avuto un incidente e che forse le sue gambe non avrebbero più funzionato.

Funzionare.

Un corpo che smette di andare bene, si rompe, non va più, dà problemi, fa cadere nell’incertezza. E finchè è incertezza è bene, quando poi diventerà certezza, lì sarà da preoccuparsi.

Sembrò crollare in un luogo buio dove non c’era più il Genzo sicuro e strafottente di sempre, smarrimento, fu questo che si lesse nei suoi occhi neri e affascinanti, Karl si avvicinò posandogli una mano sul braccio forte abbandonato lungo il fianco. Mostrò persino lui un segno di titubanza davanti al suo portiere, era sicuro di non averlo mai visto in quello stato, non avrebbe saputo definirlo con certezza, sembrava più uno le cui certezze storiche stavano fuggendo via dalle dita.

- Genzo?-

Avevano preso a chiamarsi per nome da un po’ di tempo, in Germania non erano rigidi come in Giappone e fra compagni di squadra e amici ci si chiamava per nome e non per cognome…persino fra due tutti d’un pezzo come loro!

Il biondo non sapeva cosa gli succedeva ma provò un sano istinto di volerlo aiutare, far qualcosa per lui, solo per lui, per nessun altro avrebbe voluto far qualcosa, era così da anni, si volevano in campo a vicenda e non trovavano stimolante fare una partita l’uno senza l’altro, andava bene sia come compagni che come avversari!

Non ottenne risposta e pensò comunque di lasciargli i suoi tempi, non l’avrebbe forzato a parlare però gli faceva un certo effetto vederlo così.

In fondo stavano insieme da poco e non sapeva bene come si doveva comportare un…fidanzato.

Fece per togliere la mano ed allontanarsi ma fu fermato, quella di Genzo gliela prese prima che potesse staccarsi del tutto, allacciarono le dita e dopo averlo tirato verso di se, il moro appoggiò la fronte alla spalla larga del compagno.

- Tsubasa ha avuto un incidente…è non si sa…se…se potrà camminare…-

Fu un duro colpo anche per Karl ma lo shock fu attenuato dal voler tirare su Genzo, gli fece più male vedere lui così, sapeva quanto erano amici, si tenevano sempre in contatto e il loro rapporto era da ammirare, un po’ di invidia l’aveva provata ma non era tipo da gelosia. Invidia perché lui l’unico amico che aveva avuto era stato Genzo.

Strinse la mano mentre l’altra la posò sulla schiena spaziosa.

Non disse nulla, cosa avrebbe potuto dire?

Non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe significato questo, non voleva pensarci affatto.

Si trattava solo di fortuna?

Nessuno poteva avere una vita perfetta, quella era la dimostrazione.

- Devo…andare da lui…-

La voce tenue e smarrita cercava di tornare in sé ed essere la persona pratica, sicura e decisa di sempre ma le forze persino a lui in un momento simile gli venivano meno.

- Vuoi che ti accompagno?-

Sentirlo così tenero, per i suoi canoni, gli fece una certa impressione e gli diede quell’energia per affrontare ancora una volta le proprie difficoltà. Non c’era stato nulla, nella sua vita, che non si fosse guadagnato con le sue forze e capacità.

Avrebbe superato anche quel momento difficile.

- No, devo andarci da solo…-

Prese questa decisione insieme al bacio che gli strappò quasi con disperazione, per ricaricarsi e fare la cosa giusta. Avrebbe dovuto mostrarsi come sempre agli altri, per cui si prese quel momento per essere onesto con se stesso e lasciarsi andare.

Solo quel momento.

 

Caricò il borsone di calcio sulla spalla larga tipica di uno sportivo, si diresse all’entrata di casa sua e assicurandosi di non aver dimenticato nulla lo sguardo gli cadde su una busta a terra, parte della posta era caduta e non se ne era accorto, chissà da quanto era lì! Si abbassò e la prese, fra le bollette c’era anche un telegramma per lui, guardando la data si risollevò, era di quella stessa giornata.
Se la mise fra le labbra e posò le altre sul mobile in modo che il padre al suo ritorno le vedesse, cercò le chiavi in entrambe le tasche ed una volta trovate uscì chiudendosi la porta dietro di se, fece un giro di serratura e si incamminò a passo spedito e leggero per il marciapiede parigino, riprese la busta in mano e senza fretta iniziò ad aprirla, non le dava molto peso, gli piaceva camminare per quei posti godendosi il paesaggio. Sembrava che il padre si fosse stabilito pianta stabile a Parigi, era comprensibile, tutta la Francia era bellissima e per un artista, viverci era il massimo, ma sapeva che prima o poi sarebbero tornati in Giappone, sarebbe servita una buona scusa, tuttavia per ora non l’avrebbe forzato, non l’aveva mai fatto e non avrebbe iniziato ora, del resto nemmeno lasciarlo lì ed andarsene a vivere da solo era pensabile, gli voleva un bene dell’anima, doveva tutto a lui e anche se non avevano mai avuto una casa vera e fissa, averne molte gli aveva permesso di avere molti amici, avere conoscenze che un ragazzo normale non potrebbe avere e soprattutto far sue tutte le tecniche di calcio dei diversi posti visitati. Erano molto uniti padre e figlio, poi lasciarlo solo non era indicato anche perché i padri non sapevano cavarsela da soli.
In una famiglia vi sono la moglie che pensa al padre e dona affetto al figlio, mentre il padre si fa accudire dall’amata e cresce il figlio secondo i suoi valori e ideali. Se manca uno dei due per forza di cose il piccolo viene tirato su in modo diverso da come dovrebbe venire. Se manca il padre ci si troverà davanti una persona più insicura, con più dubbi che fa diversi ‘errori di calcolo’ dovuti alla mancanza maschile di riferimento, se manca la madre invece si arriva ad una persona che cerca di sostituirla per aiutare il padre ad andare avanti senza che si lasci a se stesso, a costo di farsi prendere in giro per questo, che però cerca e trova affetto a modo proprio in cose a volte convenzionali a volte meno, buttandosi in passioni personali fra le più diverse.
Questo era Taro Misaki, un ragazzo dovuto crescere prima degli altri, con una maturità differente ed una sensibilità tipica femminile per poter compensare a ciò che solo una donna può dare in una famiglia.
Respirando a fondo l’aria esterna, fece un sorriso tenero che abbracciava ciò che ormai amava molto, quella città. Le persone del quartiere incrociandolo lo salutavano, qualche ragazza che sperava in un suo sguardo ed in un suo cenno particolare, attaccavano bottone invano, lo conoscevano abbastanza da sapere che quel grazioso giapponese effeminato sembrava non essere per nulla interessato alle donne, lo si capiva soprattutto da come si poneva nei loro confronti, con una gentilezza, apertura e spontaneità poco maschile, seppur mantenendo una certa riservatezza.
C’era ormai molta folla che andava e veniva intorno a lui, aprì il foglio senza pensieri particolari, vide che era scritto in Giapponese e veniva da Tokyo, appena i suoi occhi scuri scorsero le prime righe, si rabbuiarono immediatamente, fermò il passo mentre qualcuno che gli passava vicino tirava il collo per poter curiosare, lui questi dettagli non li sentiva e non li notava, concentrato totalmente su quello che c’era scritto, una specie di tuffo al cuore che mancò un battito e forse anche più di uno, come se potesse capire come si sentiva Misugi quando aveva i suoi attacchi di cuore in campo.
Non si rendeva nemmeno conto di aver sospeso il respiro e di essere impallidito in modo impressionante.
Erano parole telegrafiche e semplici, chiare dal significato preciso, inequivocabili e perfettamente comprensibili come il mittente che le aveva scritte.
Eppure gli sembravano scritte come a fuoco, marchiate.
Non le avrebbe dimenticate per il resto della sua vita, a distanza di anni le avrebbe sapute ripetere alla perfezione come se le avesse appena lette.
Jun Misugi scriveva:
“Sono spiacente di informarti che Tsubasa Ozora ha avuto un incidente. Le gambe sono gravi. Non si sa se tornerà a camminare. È ricoverato all’ospedale di Tokyo. Spero tu possa venire qui il più presto possibile. Saluti. Jun Misugi.”
La lesse una sola volta e non ci fu bisogno di rileggere per vedere se aveva capito bene, la firma era una garanzia, sapeva che era tutto vero. Tutto corretto. Che non c’erano equivoci.
Pulsazioni.
Sempre più forti.
I muscoli che cedono.
Insensibili.
Incontrollati.
Il corpo pesante.
Il foglio scivola.
Vola a terra.
Si posa.
I suoi occhi nel vuoto.
Il cuore che pulsa.
Pompa sangue.
Veloce.
Sempre più.
Di più.
Ancora di più.
Vista appannata.
Formicolio sotto tutta la pelle.
Bocca che trema.
Dolore.
Malessere.
Sofferenza.
Testa che esplode.
Confusione.
Caos.
Instabilità.
Scivolare.
Giù.
Affondare.
Giù.
Ancora.
Sempre di più.
Senza arrivare.
Panico.
Agitazione.
Angoscia.
Un nome.
Tsubasa.
Una sillaba.
No.
Bruciore sugli occhi.
Sfugge dalle mani.
Cosa?
La vita.
Cosa fare?
Si può impedire?
No.
Aiuto.
Chiederlo con la mente.
Voce sparita.
Parole bloccate.
Svanire.
Dove?
Svanire.
Dove?
Nel buio.
Nel nero.
Nell’oscurità.
Senza vedere una via d’uscita.
Simbiosi con lui.
Colui a cui tieni di più.
Saperlo.
Dirselo.
Amarlo.
E svanire nel nero con lui.
Perdita di sensi.

A chi glielo avrebbe detto non ci avrebbe creduto. Come sarebbe potuto tornare tutto come prima?
Aggrapparsi a quell’incertezza scritta nel telegramma era normale ed obbligo, ma se poi avrebbe scoperto che sarebbe stato inutile…bè, lì. In quel momento…che avrebbe fatto?
Il corpo del ragazzo da un corporatura media era steso a terra svenuto, sostenuto al volo da un passante che gli era stato proprio dietro in quell’istante.
Chi?
Chi era?
Quando questi lo chiamò preoccupato a gran voce mostrando la propria agitazione come poche volte nella sua vita aveva fatto, notò solo lacrime che scendevano dai suoi occhi.
Durò poco la perdita di sensi, li riacquistò subito, quando aprì lentamente i suoi occhi ancora offuscati, pieni di lacrime, il ragazzo ebbe un brivido.
Non era un semplice malessere.
Qualcosa era andato storto.
- Misaki…Misaki, dimmi che è successo? -
In risposta Taro nascose il volto nel palmo di una mano mentre l’altra si aggrappava istintivamente all’amico che aveva riconosciuto.
Pensò che almeno era successo con una persona conosciuta.
Almeno.
Ma fu un magra consolazione.
Non avrebbe parlato. Non sarebbe riuscito a parlare se non per dire il suo nome, il nome della persone a cui teneva di più, che gli era entrata nel cuore da quel tempo in cui erano bambini ed ogni sciocchezza era di vitale importanza, dove con spensieratezza ed energia affrontavano e superavano ogni ostacolo.
Come superare questo?
Pierre, il nome del ragazzo che l’aveva raccolto, si guardò intorno per vedere se qualcuno poteva essergli d’aiuto e fu lì che trovò la lettera. La raccolse ma non capendo il giapponese cominciò a preoccuparsi.
Capendo che un telegramma dal Giappone non era normale, specie considerando la reazione di Taro e che c’era di mezzo Tsubasa.
Lo alzò seduto e prendendolo per le spalle cominciò a scuoterlo leggero, senza violenza ma con una certe preoccupazione.
- Misaki, che è successo a Tsubasa?-
Glielo chiese ripetutamente mentre tutto quello che sapeva fare l’altro era continuare a piangere. Quando finalmente glielo disse in un mormorio disperato, Pierre sentì un pugnale.
Veramente i sogni potevano infrangersi così facilmente?
I sogni, una vita…tante…un cambiamento per una persona spazzava anche il resto, tutte le persone circostanti.
Consci tutti che mai sarebbe potuto essere come prima. Nulla.
Mentre il fato continuava a beffarsi della perfezione rubata.
Per sempre.
Ed un sorriso radioso, dolce e sincero che non sarebbe tornato nelle labbra sue labbra per molto tempo.


La luce l’accecò appena aprì gli occhi dopo il buio che aveva avuto. Vi era precipitato improvviso ed inaspettato dopo un dolore acuto da far impazzire i sensi.
Solo il caos si era preso la briga di avvolgerlo come una coperta materna.
Aveva viaggiato in un luogo dove il tempo e lo spazio erano indefiniti, una specie di sonno tormentati dove nemmeno il corpo esiste. Senza sentire nulla se non inquietudine ed angoscia.
Quando li riaprì i suoi occhi neri vide la luce e li richiuse, si sentì bruciato da essa, beffeggiato. Poi realizzò a fatica che si trattavano solo di lampade al neon. Non c’erano in casa sua. Dove era?
Era tutto rintronato e il corpo lo sentiva pesante ed indolenzito, l’anestesia non gli faceva ancora sentire i dolori come avrebbe dovuto.
Sentì una voce ovattata che lo chiamava, quando girò la testa nella sua direzione vide sua mamma con le lacrime agli occhi e poco distante, nello stesso stato, la sua manager, Sanae.
Fece per parlare ma la voce non gli uscì nemmeno, solo allora sentì il tubo che aveva in gola, per respirare. La mano della donna si posò sulla sua fronte carezzandola, gli scostò i capelli e dolcemente parlò:
- Sst, non parlare ancora. Ora arrivano i medici a spiegarti tutto, ti toglieranno quel tubo dalla gola e potrai parlare. Presto l’effetto dell’anestesia sparirà e ti sentirai male, ma sta calmo. Ti starò accanto. Tuo padre arriverà a giorni.-
Tsubasa la guardò stralunato ed interrogativo. Non capiva proprio cosa fosse successo, la sua memoria si fermava quando il pallone gli era sfuggito dai piedi e lui aveva attraversato la strada per prenderlo.
Anche se un vocina gli suggeriva la risposta non voleva dirselo. Aspettò e quando lo udì preferì non essersi mai svegliato.
- Sei stato investito da un auto. Eri molto grave, ti hanno tirato di qua per i capelli…-
Al momento di procedere si fermò. Non ebbe il coraggio di dirgli altro, di dirgli delle sue gambe.
Quando i medici lo fecero per lei dandogli la notizia ormai sicura, il cuore mancò di un battito nella macchina accanto. Chiuse gli occhi e sperò che la morte lo prendesse.
Chiaro e netto il desiderio. Senza esagerazioni.
- Non potrai più camminare, la tua spina dorsale è stata lesa. Sei paralizzato sulle gambe, Tsubasa. Abbiamo fatto il possibile, ci dispiace…-
Sogni infranti, una vita interrotta ed il desiderio continuo di sparire in quella voragine nera che si apriva davanti a lui. Tutto quel che vedeva.
Solo quello.

FINE CAPITOLO 2

   
 
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