*Come avevo annunciato il nuovo
cap si concentra sulle reazioni dei due migliori amici di Tsubasa ed un pezzetto
finale anche su di lui, colui che dovrebbe essere il protagonista di questa
storia!!! Voi direte che qua sono tutti gay…bè, è quello che mi sono detta
io mentre scrivevo! È allucinante come le coppie spuntino come i funghi! Non
volevo farlo, vi giuro ma sta cambiando tutto, quindi siccome nemmeno io so cosa
sarà questa fanfic, aspettatevi di tutto…e dico proprio di tutto! Per chi
come Parsy non conosce bene i nomi originali che utilizzo faccio:
Tsubasa=Oliver Hutton
Taro
Misaki=Tom Beker
Genzo
Wakabayashi=Benjamin Price
Kojiro Hyuga=Mark Lenders
Jun Misugi=Julian Ross(il
migliore….^_-)
Questi sono quelli di cui parlo
più o meno marginalmente…sono i migliori amici di Tsubasa, in fondo(Hikaru/Philippe
è troppo lontano ed impegnato affinché venga a sostenere)
Buona lettura. Baci Akane
PS: grazie a Sally per aver letto
e commentato, è stata la prima su EFP. Grazie anche a Sanzina89!*
CAPITOLO 2:
SOGNI INFRANTI
La palla esercitò un perfetto
rettilineo nell’aria finendo il suo viaggio fra le braccia forti del portiere,
era un tiro mediamente potente ma nulla di speciale, confrontato a quelli dei
suoi diretti rivali. Agilmente tornò al centro della propria porta sistemandosi
il cappellino perennemente calato con la visiera sul volto, per coprire meglio
lo sguardo penetrante e sicuro, si potevano notare solo i lineamenti orientali
del viso solo dal naso al mento, le labbra piccole erano inclinate in un
sorrisetto ironico e soddisfatto, il corpo atletico e muscoloso tornò dritto e
distinto. La visione di quel ragazzo in fiore che diventava sempre più bello,
merito anche dei suoi capelli neri che fra tutti quei biondi erano sempre più
apprezzati, piacque alle ragazze che erano accorse quel pomeriggio ad assistere
agli allenamenti della squadra di calcio giovanile a loro preferita, se era per
ammirare i loro calciatori prediletti si faceva quello ed altro! I calciatori in
questione erano Wakabayashi e Schneider. Al primo, Genzo, non gli andavano
fastidio ma non gli facevano nemmeno troppo piacere, si poteva dire che con la
più totale indifferenza le sopportava e a onor del vero il suo ego si gonfiava
pur non ne avesse effettivo bisogno. Al secondo, Karl, invece urtavano
profondamente, riteneva seccante sorbirsi quei gridolini fastidiosi ma non
sarebbe mai stato da lui lamentarsi o mandarle via.
I due giocatori erano molto
amici, dopo tutti quegli anni passati insieme un po’ come avversari ed un
po’ come compagni, erano diventati gli unici in grado di stare l’uno insieme
all’altro, alcuni ricamavano su quel rapporto, altri li invidiavano, altri
ancora li consideravano solo due amici.
Il portiere rimise la palla in
gioco e fu in quel momento che il fischio dell’allenatore si udì in tutto il
campo, la sua voce poi gridò:
- PAUSA! GENZO, VIENI, C’è UNA
TELEFONATA PER TE DAL GIAPPONE, SEMBRA IMPORTANTE!-
Il bel tenebroso con aria stupita
uscì dal campo togliendosi il cappellino rivelando così dei mossi e
neri capelli corti, si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio
scoperto e pensando a chi potesse essere, entrò con passo sicuro nella sala
delle riunioni dello stuff, dove vi era un apparecchio telefonico e appoggiando
il didietro sul tavolino, prese la cornetta con una mano mentre con l’altra
arieggiava il colletto della maglia appiccicata al corpo.
- Pronto?-
Lo disse automaticamente in
tedesco, senza nemmeno pensare che stava parlando con la madre patria, infatti
gli risposero in giapponese:
- Wakabayashi…sono io, Hyuga…-
Al moro venne quasi un colpo
sentendo proprio lui dall’altra parte del telefono, si sarebbe aspettato tutti
tranne lui!
Stupito quindi rispose:
- Hyuga?! Come mai mi chiami? È
successo qualcosa?-
L’altro se ne risentì
nonostante avesse ragione a credere che se lui lo chiamava non poteva essere
normale!
- Idiota! Mica è la fine del
mondo se ti chiamo! E poi potevi salutarmi! -
Genzo sospirò impaziente,
sentire le sue lamentele era l’ultima cosa che gli andava anche se ammetteva
che ogni tanto gli mancavano!
- Taglia corto! Sono certo che
non è una chiamata di saluti!-
Erano sempre i soliti, nemmeno
impegnandosi potevano essere più socievoli e gentili l’uno con
l’altro…salvo poi ritenersi comunque amici!
- Bè, bando alle ciance…non so
come dirtelo…-
- Dillo e basta, ho da fare,
sbrigati!-
Sentiva che c’era qualcosa di
stonato nella sua chiamata, lo sentiva nel profondo, ma non poteva e non voleva
ascoltare quella vocina allarmante!
- Va bene. Si tratta di Tsubasa…-
- Cos’è successo a Tsubasa?
Perché non mi chiama direttamente lui? Tu che diavolo centri?-
Seccato l’altro alzò la voce:
- Sono l’unico che ha pensato
ad avvisarti ma me ne sto pentendo! Non rompere e ascolta! Tsubasa ha avuto un
incidente! È stato investito da una macchina in corsa e le sue gambe sono
critiche. Ieri l’hanno operato ma non si sa se tornerà a camminare o meno, i
medici non sono stati positivi!-
Genzo boccheggiò, in
quell’istante entrò Karl per richiamarlo all’ordine ma vedendo
quell’espressione così shockata si fermò subito. Qualcosa non andava.
Il moro cominciò a non sentire
più il corpo concentrandosi solo sulle parole che gli stava dicendo Hyuga, per
la prima volta voleva ascoltarlo!
- Cosa…cosa dici?-
Hyuga abbassò la voce e divenne
quasi delicato, con un tono preoccupato e malinconico che non era da lui, fu
quello che gli fece più impressione, che gli fece più male.
- Dobbiamo prepararci
all’eventualità che Tsubasa non possa più camminare…e rimanga…-
- Zitto! Non dirlo! Non di lui! A
lui non succederà una cosa del genere! Non può! Non deve…zitto…basta…-
Fu una reazione giustificata e
normale, che non fu fermata né commentata dall’interlocutore che parve
dispiacersi. In fondo erano più uguali di quel che fossero disposti ad
ammettere: avevano reagito alla stessa maniera…solo che Misugi aveva pianto
per fargli accettare la realtà, lui non l’avrebbe di certo fatto.
Improvvisamente pensando all’amico che già da tempo non poteva giocare a
calcio, si sentì in colpa, strano per lui ma fu così…poteva accadere per la
situazione fragile e delicata in cui tutti erano…dove si diventava onesti e
sinceri e si prendevano in esame cose mai osate.
Improvvisamente si resero conto
di non saper più che dire e che fare, stettero con il telefono in mano in
silenzio con lo sguardo perso nel vuoto ed una luce diversa, strana, che allarmò
Karl da questa parte.
- Wakabayashi…-
Tentò senza però aver
null’altro da dire, infatti fu proprio Genzo a tagliare corto, nel panico e
nel caos più totali.
- Io…devo andare...-
Non diede il tempo di fare altro,
riattaccò la cornetta interrompendo la comunicazione.
Rimase un lungo attimo immobile,
con un espressione impietrita e il fiato sospeso, il sudore improvvisamente era
freddo e il mondo circostante non esisteva più, l’unica cosa che sapeva
ripetersi mentalmente era che Tsubasa aveva avuto un incidente e che forse le
sue gambe non avrebbero più funzionato.
Funzionare.
Un corpo che smette di andare
bene, si rompe, non va più, dà problemi, fa cadere nell’incertezza. E finchè
è incertezza è bene, quando poi diventerà certezza, lì sarà da
preoccuparsi.
Sembrò crollare in un luogo buio
dove non c’era più il Genzo sicuro e strafottente di sempre, smarrimento, fu
questo che si lesse nei suoi occhi neri e affascinanti, Karl si avvicinò
posandogli una mano sul braccio forte abbandonato lungo il fianco. Mostrò
persino lui un segno di titubanza davanti al suo portiere, era sicuro di non
averlo mai visto in quello stato, non avrebbe saputo definirlo con certezza,
sembrava più uno le cui certezze storiche stavano fuggendo via dalle dita.
- Genzo?-
Avevano preso a chiamarsi per
nome da un po’ di tempo, in Germania non erano rigidi come in Giappone e fra
compagni di squadra e amici ci si chiamava per nome e non per cognome…persino
fra due tutti d’un pezzo come loro!
Il biondo non sapeva cosa gli
succedeva ma provò un sano istinto di volerlo aiutare, far qualcosa per lui,
solo per lui, per nessun altro avrebbe voluto far qualcosa, era così da anni,
si volevano in campo a vicenda e non trovavano stimolante fare una partita
l’uno senza l’altro, andava bene sia come compagni che come avversari!
Non ottenne risposta e pensò
comunque di lasciargli i suoi tempi, non l’avrebbe forzato a parlare però gli
faceva un certo effetto vederlo così.
In fondo stavano insieme da poco
e non sapeva bene come si doveva comportare un…fidanzato.
Fece per togliere la mano ed
allontanarsi ma fu fermato, quella di Genzo gliela prese prima che potesse
staccarsi del tutto, allacciarono le dita e dopo averlo tirato verso di se, il
moro appoggiò la fronte alla spalla larga del compagno.
- Tsubasa ha avuto un
incidente…è non si sa…se…se potrà camminare…-
Fu un duro colpo anche per Karl
ma lo shock fu attenuato dal voler tirare su Genzo, gli fece più male vedere
lui così, sapeva quanto erano amici, si tenevano sempre in contatto e il loro
rapporto era da ammirare, un po’ di invidia l’aveva provata ma non era tipo
da gelosia. Invidia perché lui l’unico amico che aveva avuto era stato Genzo.
Strinse la mano mentre l’altra
la posò sulla schiena spaziosa.
Non disse nulla, cosa avrebbe
potuto dire?
Non voleva nemmeno pensare a cosa
avrebbe significato questo, non voleva pensarci affatto.
Si trattava solo di fortuna?
Nessuno poteva avere una vita
perfetta, quella era la dimostrazione.
- Devo…andare da lui…-
La voce tenue e smarrita cercava
di tornare in sé ed essere la persona pratica, sicura e decisa di sempre ma le
forze persino a lui in un momento simile gli venivano meno.
- Vuoi che ti accompagno?-
Sentirlo così tenero, per i suoi
canoni, gli fece una certa impressione e gli diede quell’energia per
affrontare ancora una volta le proprie difficoltà. Non c’era stato nulla,
nella sua vita, che non si fosse guadagnato con le sue forze e capacità.
Avrebbe superato anche quel
momento difficile.
- No, devo andarci da solo…-
Prese questa decisione insieme al
bacio che gli strappò quasi con disperazione, per ricaricarsi e fare la cosa
giusta. Avrebbe dovuto mostrarsi come sempre agli altri, per cui si prese quel
momento per essere onesto con se stesso e lasciarsi andare.
Solo quel momento.
Caricò il borsone di calcio sulla spalla larga tipica di
uno sportivo, si diresse all’entrata di casa sua e assicurandosi di non aver
dimenticato nulla lo sguardo gli cadde su una busta a terra, parte della posta
era caduta e non se ne era accorto, chissà da quanto era lì! Si abbassò e la
prese, fra le bollette c’era anche un telegramma per lui, guardando la data si
risollevò, era di quella stessa giornata.
Se la mise fra le labbra e posò le altre sul mobile in modo che il padre al suo
ritorno le vedesse, cercò le chiavi in entrambe le tasche ed una volta trovate
uscì chiudendosi la porta dietro di se, fece un giro di serratura e si incamminò
a passo spedito e leggero per il marciapiede parigino, riprese la busta in mano
e senza fretta iniziò ad aprirla, non le dava molto peso, gli piaceva camminare
per quei posti godendosi il paesaggio. Sembrava che il padre si fosse stabilito
pianta stabile a Parigi, era comprensibile, tutta la Francia era bellissima e
per un artista, viverci era il massimo, ma sapeva che prima o poi sarebbero
tornati in Giappone, sarebbe servita una buona scusa, tuttavia per ora non
l’avrebbe forzato, non l’aveva mai fatto e non avrebbe iniziato ora, del
resto nemmeno lasciarlo lì ed andarsene a vivere da solo era pensabile, gli
voleva un bene dell’anima, doveva tutto a lui e anche se non avevano mai avuto
una casa vera e fissa, averne molte gli aveva permesso di avere molti amici,
avere conoscenze che un ragazzo normale non potrebbe avere e soprattutto far sue
tutte le tecniche di calcio dei diversi posti visitati. Erano molto uniti padre
e figlio, poi lasciarlo solo non era indicato anche perché i padri non sapevano
cavarsela da soli.
In una famiglia vi sono la moglie che pensa al padre e dona affetto al figlio,
mentre il padre si fa accudire dall’amata e cresce il figlio secondo i suoi
valori e ideali. Se manca uno dei due per forza di cose il piccolo viene tirato
su in modo diverso da come dovrebbe venire. Se manca il padre ci si troverà
davanti una persona più insicura, con più dubbi che fa diversi ‘errori di
calcolo’ dovuti alla mancanza maschile di riferimento, se manca la madre
invece si arriva ad una persona che cerca di sostituirla per aiutare il padre ad
andare avanti senza che si lasci a se stesso, a costo di farsi prendere in giro
per questo, che però cerca e trova affetto a modo proprio in cose a volte
convenzionali a volte meno, buttandosi in passioni personali fra le più
diverse.
Questo era Taro Misaki, un ragazzo dovuto crescere prima degli altri, con una
maturità differente ed una sensibilità tipica femminile per poter compensare a
ciò che solo una donna può dare in una famiglia.
Respirando a fondo l’aria esterna, fece un sorriso tenero che abbracciava ciò
che ormai amava molto, quella città. Le persone del quartiere incrociandolo lo
salutavano, qualche ragazza che sperava in un suo sguardo ed in un suo cenno
particolare, attaccavano bottone invano, lo conoscevano abbastanza da sapere che
quel grazioso giapponese effeminato sembrava non essere per nulla interessato
alle donne, lo si capiva soprattutto da come si poneva nei loro confronti, con
una gentilezza, apertura e spontaneità poco maschile, seppur mantenendo una
certa riservatezza.
C’era ormai molta folla che andava e veniva intorno a lui, aprì il foglio
senza pensieri particolari, vide che era scritto in Giapponese e veniva da
Tokyo, appena i suoi occhi scuri scorsero le prime righe, si rabbuiarono
immediatamente, fermò il passo mentre qualcuno che gli passava vicino tirava il
collo per poter curiosare, lui questi dettagli non li sentiva e non li notava,
concentrato totalmente su quello che c’era scritto, una specie di tuffo al
cuore che mancò un battito e forse anche più di uno, come se potesse capire
come si sentiva Misugi quando aveva i suoi attacchi di cuore in campo.
Non si rendeva nemmeno conto di aver sospeso il respiro e di essere impallidito
in modo impressionante.
Erano parole telegrafiche e semplici, chiare dal significato preciso,
inequivocabili e perfettamente comprensibili come il mittente che le aveva
scritte.
Eppure gli sembravano scritte come a fuoco, marchiate.
Non le avrebbe dimenticate per il resto della sua vita, a distanza di anni le
avrebbe sapute ripetere alla perfezione come se le avesse appena lette.
Jun Misugi scriveva:
“Sono spiacente di informarti che Tsubasa Ozora ha avuto un incidente. Le
gambe sono gravi. Non si sa se tornerà a camminare. È ricoverato
all’ospedale di Tokyo. Spero tu possa venire qui il più presto possibile.
Saluti. Jun Misugi.”
La lesse una sola volta e non ci fu bisogno di rileggere per vedere se aveva
capito bene, la firma era una garanzia, sapeva che era tutto vero. Tutto
corretto. Che non c’erano equivoci.
Pulsazioni.
Sempre più forti.
I muscoli che cedono.
Insensibili.
Incontrollati.
Il corpo pesante.
Il foglio scivola.
Vola a terra.
Si posa.
I suoi occhi nel vuoto.
Il cuore che pulsa.
Pompa sangue.
Veloce.
Sempre più.
Di più.
Ancora di più.
Vista appannata.
Formicolio sotto tutta la pelle.
Bocca che trema.
Dolore.
Malessere.
Sofferenza.
Testa che esplode.
Confusione.
Caos.
Instabilità.
Scivolare.
Giù.
Affondare.
Giù.
Ancora.
Sempre di più.
Senza arrivare.
Panico.
Agitazione.
Angoscia.
Un nome.
Tsubasa.
Una sillaba.
No.
Bruciore sugli occhi.
Sfugge dalle mani.
Cosa?
La vita.
Cosa fare?
Si può impedire?
No.
Aiuto.
Chiederlo con la mente.
Voce sparita.
Parole bloccate.
Svanire.
Dove?
Svanire.
Dove?
Nel buio.
Nel nero.
Nell’oscurità.
Senza vedere una via d’uscita.
Simbiosi con lui.
Colui a cui tieni di più.
Saperlo.
Dirselo.
Amarlo.
E svanire nel nero con lui.
Perdita di sensi.
A chi glielo avrebbe detto non ci avrebbe creduto. Come sarebbe potuto tornare
tutto come prima?
Aggrapparsi a quell’incertezza scritta nel telegramma era normale ed obbligo,
ma se poi avrebbe scoperto che sarebbe stato inutile…bè, lì. In quel
momento…che avrebbe fatto?
Il corpo del ragazzo da un corporatura media era steso a terra svenuto,
sostenuto al volo da un passante che gli era stato proprio dietro in
quell’istante.
Chi?
Chi era?
Quando questi lo chiamò preoccupato a gran voce mostrando la propria agitazione
come poche volte nella sua vita aveva fatto, notò solo lacrime che scendevano
dai suoi occhi.
Durò poco la perdita di sensi, li riacquistò subito, quando aprì lentamente i
suoi occhi ancora offuscati, pieni di lacrime, il ragazzo ebbe un brivido.
Non era un semplice malessere.
Qualcosa era andato storto.
- Misaki…Misaki, dimmi che è successo? -
In risposta Taro nascose il volto nel palmo di una mano mentre l’altra si
aggrappava istintivamente all’amico che aveva riconosciuto.
Pensò che almeno era successo con una persona conosciuta.
Almeno.
Ma fu un magra consolazione.
Non avrebbe parlato. Non sarebbe riuscito a parlare se non per dire il suo nome,
il nome della persone a cui teneva di più, che gli era entrata nel cuore da
quel tempo in cui erano bambini ed ogni sciocchezza era di vitale importanza,
dove con spensieratezza ed energia affrontavano e superavano ogni ostacolo.
Come superare questo?
Pierre, il nome del ragazzo che l’aveva raccolto, si guardò intorno per
vedere se qualcuno poteva essergli d’aiuto e fu lì che trovò la lettera. La
raccolse ma non capendo il giapponese cominciò a preoccuparsi.
Capendo che un telegramma dal Giappone non era normale, specie considerando la
reazione di Taro e che c’era di mezzo Tsubasa.
Lo alzò seduto e prendendolo per le spalle cominciò a scuoterlo leggero, senza
violenza ma con una certe preoccupazione.
- Misaki, che è successo a Tsubasa?-
Glielo chiese ripetutamente mentre tutto quello che sapeva fare l’altro era
continuare a piangere. Quando finalmente glielo disse in un mormorio disperato,
Pierre sentì un pugnale.
Veramente i sogni potevano infrangersi così facilmente?
I sogni, una vita…tante…un cambiamento per una persona spazzava anche il
resto, tutte le persone circostanti.
Consci tutti che mai sarebbe potuto essere come prima. Nulla.
Mentre il fato continuava a beffarsi della perfezione rubata.
Per sempre.
Ed un sorriso radioso, dolce e sincero che non sarebbe tornato nelle labbra sue
labbra per molto tempo.
La luce l’accecò appena aprì gli occhi dopo il buio che aveva avuto. Vi era
precipitato improvviso ed inaspettato dopo un dolore acuto da far impazzire i
sensi.
Solo il caos si era preso la briga di avvolgerlo come una coperta materna.
Aveva viaggiato in un luogo dove il tempo e lo spazio erano indefiniti, una
specie di sonno tormentati dove nemmeno il corpo esiste. Senza sentire nulla se
non inquietudine ed angoscia.
Quando li riaprì i suoi occhi neri vide la luce e li richiuse, si sentì
bruciato da essa, beffeggiato. Poi realizzò a fatica che si trattavano solo di
lampade al neon. Non c’erano in casa sua. Dove era?
Era tutto rintronato e il corpo lo sentiva pesante ed indolenzito, l’anestesia
non gli faceva ancora sentire i dolori come avrebbe dovuto.
Sentì una voce ovattata che lo chiamava, quando girò la testa nella sua
direzione vide sua mamma con le lacrime agli occhi e poco distante, nello stesso
stato, la sua manager, Sanae.
Fece per parlare ma la voce non gli uscì nemmeno, solo allora sentì il tubo
che aveva in gola, per respirare. La mano della donna si posò sulla sua fronte
carezzandola, gli scostò i capelli e dolcemente parlò:
- Sst, non parlare ancora. Ora arrivano i medici a spiegarti tutto, ti
toglieranno quel tubo dalla gola e potrai parlare. Presto l’effetto
dell’anestesia sparirà e ti sentirai male, ma sta calmo. Ti starò accanto.
Tuo padre arriverà a giorni.-
Tsubasa la guardò stralunato ed interrogativo. Non capiva proprio cosa fosse
successo, la sua memoria si fermava quando il pallone gli era sfuggito dai piedi
e lui aveva attraversato la strada per prenderlo.
Anche se un vocina gli suggeriva la risposta non voleva dirselo. Aspettò e
quando lo udì preferì non essersi mai svegliato.
- Sei stato investito da un auto. Eri molto grave, ti hanno tirato di qua per i
capelli…-
Al momento di procedere si fermò. Non ebbe il coraggio di dirgli altro, di
dirgli delle sue gambe.
Quando i medici lo fecero per lei dandogli la notizia ormai sicura, il cuore
mancò di un battito nella macchina accanto. Chiuse gli occhi e sperò che la
morte lo prendesse.
Chiaro e netto il desiderio. Senza esagerazioni.
- Non potrai più camminare, la tua spina dorsale è stata lesa. Sei paralizzato
sulle gambe, Tsubasa. Abbiamo fatto il possibile, ci dispiace…-
Sogni infranti, una vita interrotta ed il desiderio continuo di sparire in
quella voragine nera che si apriva davanti a lui. Tutto quel che vedeva.
Solo quello.
FINE CAPITOLO 2