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Autore: Jack_Chinaski    23/09/2011    3 recensioni
Mai fidarsi degli amici
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto era pronto quando arrivai, la gente sembrava così allegra e presa, mi sentivo già fuori luogo in quell’enorme tavolata di amicizia.
Quelli che conoscevo mi vennero a salutare, erano pochi ed avevano tutti la stessa espressione ritagliata sul viso, una sorta di stupore di vedermi lì, incredulità.
Jack non aveva detto a nessuno della mia presenza a quel pranzo, quella “riunione socializzatrice”?
Mi sentii a disagio e iniziai la ricerca di un riparo in quel buco che era casa sua, rendendomi conto passando da una camera all’altra che c’era ogni tipo di fetido odore in quel posto, ogni acre sensazione tranne quella di cucinato.
Possibile che la lunga tavola fosse così ben imbandita, così accuratamente aggiustata e tutto posizionato con un eccesso di pignoleria ma mancasse il cibo, il fulcro?
Braccandomi da dietro, mi avvolse in un violento abbraccio e mi baciò sul collo.
“Sono contento che tu sia qui”
Erano sempre così i suoi abbracci, violenti, duri come lui inizialmente ma poi si scioglievano in un aggrapparsi, in uno stringersi in cerca di rifugio da bambino indifeso e spaurito.
“Anche io sono contenta di esser venuta, anche se sembrano tutti fortemente stupidi di vedermi, Jack”
“Nessuno se lo aspettava,  tu non c’entri niente in tutto questo. Tu non vuoi altro che la mia amicizia, la mia presenza nella tua vita. Nient’altro, non vuoi null’altro”
Spesso si era finiti a litigare su questo, io gli ripetevo che avrebbe dovuto concedersi di più a chi amava, a chi considerava amico invece di chiudersi sempre a riccio.
Dai, Jack, dai qualcosa in più ai tuoi amici, gli dicevo.
Mi resi conto del suo essere a piedi scalzi ed accappatoio, sembrava appena uscito dalla doccia.
“Lavato?”
“No, insaporito”
Risi, non so perché.
“Mi sembra di essere arrivata in anticipo, non è pronto ancora nulla per pranzo”
“Ti sbagli, sei arrivata giusto in tempo. Siamo pronti per metterci a tavola!”
Arrivammo al tavolo, quando lo videro tutti si alzarono dai tavoli con sguardi famelici, manco portasse in mano un vassoio colmo di ogni delizia.
“Ok, mi sembrano tutti affamati. Ma non ho capito ancora, cosa si mangia?”
Si girò verso di me, mi baciò leggermente la fronte e fissandomi negli occhi rispose:
“Non l’hai ancora capito, stupida? Me, sono io l’intero menù”
Cercavo di far ordinare nei pensieri, quando si slacciò l’accappatoio rimanendo nudo.
“Cosa diamine fai?!”
“Quello che mi hai consigliato di fare da sempre, no? Mi metto a nudo! Concedo me stesso nelle mia più totale nudità, nel modo più indifeso a coloro che amo e vediamo cosa succede”
Si stese sul tavolo, con cura, evitando di rompere bicchieri e piatti col suo corpo.
Iniziarono subito, non ebbero pensieri di esitazione o rimorso, si lanciarono sul suo corpo come belve e cominciarono il loro “pranzo”.
Lo mordevano, lo strappavano, qualcuno più furbo usava il coltello per tagliuzzarlo bene e poi masticavano, ingoiavano o, se troppo duro, sputavano.
Mi resi conto che era la prima volta che lo vedevo mettersi a nudo, che lo vedevo dare fiducia a qualcuno e il risultato era che lo stavano divorando.
Desideravo gridare, piangere e vomitare tutta me stessa sul posto e non ci riuscivo, volevo assistere alla scena, guardare come andava a finire e mi veniva soltanto di fissare il pavimento con un espressione corrucciata.
“Simona? Simona?”
C’è l’avevano con me?
Ingoiando la nausea che saliva col mio alzare il collo, fissai la figura che mi chiamava, Filomena, e la vidi completamente sporca del suo sangue e con pezzi del suo corpo fra le mani, i capelli e i denti.
“Vuole dirti qualcosa, fai presto, ti prego, abbiamo ancora tanta voglia!”
Scattai dalla sedia come se mi avessero pungolato il sedere, mi avvicinai a quel tavolo a guardare cosa rimaneva del mio amico, del mio amato amico.
Se ne vedeva lo scheletro qua e là, l’epidermide era oramai solo un ricordo.
“Ehi, che ne pensi? Gli ho dato abbastanza di me? Ho lasciato che mi vedessero nel profondo in modo adeguato? Saranno riusciti a vedere cosa c’è dentro di me in realtà, ora?”
Non risposi, non ne avevo il coraggio e tornai a sedermi, ricominciarono a masticare, ingoiare e/o sputare mentre fissavo quel pavimento sporco di schizzi del suo sangue.
Poi tutto si calmò di botto, si senti il rumore assordante di sedie trascinate e il peso del loro corpo buttato sopra con fatica. S’erano fermati, erano sazi, almeno per il momento.
Se ne stettero buoni e tranquilli abbastanza a lungo da farmi ritrovare le forze e il coraggio,  abbastanza a lungo da farmi alzare da quella sedia e imboccare l’uscita.
“Simona? Te ne vai? Non aspetti il dessert?”
Mi voltai, a fissare quella tavola, quella gente.
I suoi amici, le persone che amava l’avevano fatto letteralmente a pezzi appena gli aveva dato l’occasione.
Jack, avevi ragione, mi spiace.
“Dessert? Cosa sarebbe?”
“Come “cosa sarebbe”? “
Il suo scheletro con ancora qualche accenno di carne attaccato si alzò a mezzo busto sul tavolo su cui era disteso, i suoi occhi c’erano ancora e mi fissavano sulla scala, mentre cercavo di fuggire da loro, da lui, dal senso di colpa.
“Il mio cuore, no? Il pezzo più prelibato per ogni persona che entri nella mia vita, avere il mio cuore”
Cominciò a ridere, una risata gracchiante, una risata senza gola.
Svenni e quando mi ripresi ero nel mio letto, sudata e nel pieno di una notte fin troppo buia.
Era solo un brutto sogno, con le lacrime agli occhi presi il cellulare da sotto il cuscino col folle desiderio di chiamarlo, sentirlo.
Non lo feci, era tardi, era da pazzi. Ma l’avrei chiamato la mattina dopo, sicuramente, per dirgli che aveva ragione.
   
 
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