Violet
CAPITOLO 1
Le
tue abitudini? E chi le dimentica! Quelle abitudini che poi sono diventate
perfino mie.
La
prima volta che ti conobbi era in libreria, ricordi? Te ne stavi in ginocchio
sul pavimento freddo, a rovistare qualche titolo interessante. Non so perché
fossi lì, non andavo mai in libreria, e leggevo piuttosto raramente. Qualcosa
di invisibile e impercettibile mi aveva detto di andare in libreria. La
casualità dei fatti a volte mi spaventa.
Ero
entrato con fare smarrito e la testa che mi girava davanti a tutti quei libri.
Avevo cominciato dal reparto psicologia per finire poi al fantasy, dove eri tu.
Non mi notasti neanche, indaffarata a cercare un titolo e una trama
convincenti. Io mi fermai ad osservarti, perché eri davvero strana. Non eri
vestita come una tipica ragazza di città, piuttosto, sembravi appena uscita da
un negozio di vestiti vintage. Ricordo perfettamente ogni singolo tuo gesto e
particolare. Indossavi un vestito rosa sbiadito, lungo fino alle ginocchia. I
folti capelli color castano scuro ti ricadevano sulle spalle, coprendoti una
parte del viso, e tenevi le ciocche delle tempie raccolte sopra la nuca da un
fiocchetto rosa. Ai piedi indossavi delle scarpine di pelle finta color marrone
chiaro. Quando trovasti il libro,
sorrisi convinta e ti girasti finalmente verso di me. Mi guardasti con aria
sorpresa mentre io mi aspettavo che a momenti ti saresti messa ad imprecare,
lamentandoti dalla bibliotecaria che un maniaco ti fissava da un quarto d’ora.
Invece ti alzasti da terra lentamente, ti sistemasti il vestito con tutta calma
e poi dicesti:
-
Posso esserti utile in qualcosa? –
Quella
domanda fu come un secchio d’acqua gelida sulla faccia. Mi risvegliai
improvvisamente, ricordandomi dove mi trovavo. Ci impiegai qualche secondo
abbondante a formulare una frase:
-
Ah…beh…non lo so. Non so neanche perché sono qui. –
I
tuoi occhi di nocciola brillarono ed iniziasti ad oscillare sulle gambe come
una bambina che ha ricevuto le caramelle.
-
Ti aiuto io se vuoi. –
Accennai
un assenso.
-
Beh, hai un genere preferito? –
-
Ehm…no. – Quella risposta fece calare il silenzio, dunque mi affrettai a dire: -
Però da piccolo leggevo le fiabe. –
Tu
risi. – Va bene, allora cerchiamo una fiaba. –
Ti
seguii nel reparto di libri per bambini, dove c’erano quattro seggiole colorate
e un tappetino con le lettere. Scrutasti con concentrazione dei libri posti
vicino alla finestra, mentre io mi godevo quell’odore d’infanzia, di pastelli e
pongo. In pochissimo tempo trovasti un libro e me lo porsi.
-
Qua ci sono tutte le fiabe che vuoi. –
Rivolsi
lo sguardo verso il libro dalla copertina rossa. “ LE FIABE PIU’ BELLE ”.
-
Grazie. –
Tu
sorridesti soddisfatta. – Di nulla. –
Andammo
insieme al bancone dove si trovava la bibliotecaria.
-
Ah, io non ho la tessera… - mormorai.
-
Non fa niente. Faccio io. – risposi tu, porgendo la tessera e i libri alla
donna occhialuta.
Poi
mi restituisti il libro sorridendo, di nuovo. Feci per protestare. Come te lo
avrei ridato? Mi ero fatto dare un libro da una sconosciuta di cui non sapevo
nemmeno il nome e l’abitazione.
Ma
tu eri già uscita. Quando varcai la soglia mi investì l’aria torrida
dell’estate. Eri ferma davanti alla porta e non dicesti niente per qualche
secondo, tenendo il libro stretto al petto. Poi ti girasti a guardarmi, gli
occhi ridotti a due fessure per via del sole. Mi affrettai a dire:
-
Come ti restit... – ma tu mi interruppi.
-
Questo caldo mi ha fatto venire sete. A te no? –
Una
domanda improbabile, come te d’altronde. Ti fissai perplesso.
-
Ehm…sì. Andiamo a bere qualcosa? – dissi indicando il bar dall’altra parte
della via.
Quando
entrammo ci accolse il tintinnio delicato del campanello e poi, un odore di
caffè e dolcetti ci invase le narici. Dentro era fresco e silenzioso e c’era
soltanto un cliente, che se ne stava al bancone a sorseggiare una tazzina di
caffè. Con tutta calma arrivò il proprietario, un uomo alto e scuro, sulla
cinquantina, probabilmente italiano.
-
Buongiorno. Cosa desiderate? –
Mi
voltai verso di te, alzando le sopracciglia.
-
Hmm…per me una spremuta. – rispondesti.
-
Io un bicchiere d’acqua naturale, grazie. –
Ci
sedemmo ad un tavolino accanto ai vetri, al di là dei quali la vita continuava
rumorosa, in un’altra dimensione spazio-temporale. In quel bar il tempo si era
fermato.
-
A quanto pare ti piacciono i libri. –
-
Sì. – sorrisi tu. – Vado in biblioteca quasi ogni giorno. –
-
Io mai, dunque non chiedermi cosa ci facessi lì oggi. –
Tu
ridesti - Mi chiamo Violet. –
Io
non risposi. Stavo solo pensando che era un nome poco diffuso, l’avevo sentito
una o due volte.
In
quell’istante arrivò il proprietario con la spremuta e l’acqua, che non toccai.
Mi stavo chiedendo incessantemente cosa ci facessi lì. Probabilmente a
quest’ora sarei andato a giocare a calcio o gironzolare per la città in sella
ad una bici, ad osservare la gente. Era ciò che preferivo in assoluto, la mia
attività quotidiana.
Avrei
preso la mia cavalcatura e risalito il borgo St. Michel fino al fiume,
oltrepassato il ponte ed infine sarei arrivato alla meta: piazza de L’Hotel De
Ville, sempre affollata di gente. Avrei appoggiato la bicicletta alla fontana e
mi sarei seduto su una panchina, ad osservare. Mi sorprendo ogni giorno di
quanto sia varia l’umanità. Però avevo diviso le mie cavie da esperimenti in
più categorie: la famiglia, la coppia, l’uomo solo, l’uomo con il cane e gli
amici. La categoria che preferivo era la famiglia. Ce ne sono svariati tipi, da
quella ricca a quella povera, da quella silenziosa a quella rumorosa, da quella
numerosa a quella composta da sole 3 persone e così via. Mi divertivo ad
osservarle ed immaginare come sarebbe stata la mia. Ogni giorno ne pensavo una
nuova.
Tornai
a guardarti, per riuscire a capire qualcosa di più su di te. Stavi bevendo a
piccoli sorsi da una cannuccia, fissandoti l’anello sulla mano sinistra. Era un
anello sottile e argentato, anche se dava l’idea di essere molto vecchio. Vi
scorsi una scritta incisa, ma il riflesso della luce mi impediva di leggerla.
I
tuoi occhi erano persi dentro quella scritta, probabilmente naufragati nel mare
dei ricordi, e i lineamenti erano accarezzati dalla pallida luce che
attraversava i vetri. Sembravi uscita da un dipinto ad olio. Poi alzasti lo
sguardo, sorprendendomi a fissarti come un idiota. Spostai immediatamente gli
occhi e mi coprii il viso con il bicchiere dal quale iniziai a bere in fretta e
furia l’acqua ghiacciata, il che non giovò per niente alla mia gola. Quando la
tua voce arrivò alle mie orecchie ebbi un sussulto.
-
Sei di qui? – dicesti con voce candida.
Posai
il bicchiere e mi guardai intorno, come se cercassi la risposta in qualche
oggetto. Infine risposi, senza guardarti negli occhi:
-
A dire il vero no. Vivo a Parigi da quando ho cinque anni ma i miei parenti
vengono da Venezia. –
-
Con quel “sei di qui?” intendevo “dove abiti?” – ridesti. – Però, Venezia! Ho
sempre desiderato visitarla! –
La
tua mente già partiva per altre mete, con gli occhi sognanti.
-
Sì, è molto bella. Tu vivi qui? –
-
Sì, vivo in via La Fayette, vicino alla stazione. –
-
Ah, certo. Ho presente. –
No,
non avevo per niente presente. Mi alzai subito senza lasciarti il tempo di fare
altre domande, ed andai a pagare. Poi tornai al tavolino e afferrai il libro.
-
Beh, se non ti trovo in biblioteca, ti cercherò in via La Fayette. – dissi
sorridendo. Poi diedi un’occhiata all’orologio che avevo al polso. – Ora scusa,
ma si è fatto tardi. Devo tornare a casa. – dissi riluttante.
Evidentemente
tu colsi il mio stato d’animo e dissi sospirando:
-
Ah, sì. Hai ragione. Vado anch’io. –
Però
nessuno di noi due mosse un muscolo per dei secondi. Allora scoppiammo a ridere
entrambi.
-
Che ne diresti se domani… -
-
…se ci rivedessimo? – continuai io illuminandomi come una lampadina.
In
tutta risposta tu sorridesti.
-
Ti andrebbe bene davanti alla Sainte Chapelle? In tutti questi anni non l’ho
mai visitata. –
-
Certo. Alle 3.00? –
-
Sì. –
Ci
guardammo per dei lunghi istanti, continuando a sorridere come degli idioti.
Poi il campanello della porta, che avvisava l’ingresso di un altro cliente, ci
svegliò dall’incantesimo.
-
Beh, a domani allora. –
-
A domani. –
Uscii
dal locale dopo di te, e poi mi incamminai verso casa sotto il sole cocente. A
metà strada mi ricordai che non ti avevo detto il mio nome.