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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    25/09/2011    1 recensioni
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"Con uno scatto degno del miglior velocista, infine, Tsuna riuscì a raggiungerlo, nel bel mezzo della strada, a poca distanza dal bar: il Cielo fece appena in tempo a sfiorargli la spalla che subito il rumore di freni e il fastidioso odore di gomma bruciata lo misero in allarme.
Ebbe a malapena modo di scorgere la sagoma lucente lanciata a tutta velocità contro di loro prima del gran dolore e del buio."
Su suggerimento di lady lawliet 1996, ho voluto scrivere una fic molto simile ad "Accident" però con vittima designata Tsuna ù.ù PS: Francesca è un mio personaggio, creato ad hoc per l'occasione e non è una Sue o self-insertion!
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: G, Hayato Gokudera, Nuovo Personaggio, Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HIT&RUN

Un bel sole, una leggera brezza e il cielo sgombro di nubi…

Il tempo ideale per Tsuna, che era uscito molto presto dal Quartier Generale dei Vongola per fare una passeggiata in città, prendersi un buon caffè e in generale distrarre temporaneamente la mente da tutti i problemi, piccoli o grandi che fossero, dovuti allo gestire una Famiglia così grande e impegnativa.

Anche se fosse sparito per qualche ora, non sarebbe stata una tragedia!

E così, dopo aver trascorso qualche minuto seduto su una panchina, sfogliando sommariamente il giornale appena acquistato, l’ormai ventiseienne Boss aveva deciso che era giunto il momento di concedersi una tazzina di caffè nel miglior bar di Palermo, dove amava rifugiarsi quando aveva bisogno di un attimo di respiro.

Accolto quindi dal penetrante profumo del caffè appena macinato, il Decimo entrò nel piccolo ambiente, già gremito di persone malgrado fossero appena le nove del mattino.

“Buongiorno!”

Una ragazza di qualche anno più vecchia di lui lo aveva salutato con calore, pulendosi le mani nell’ampio grembiale che le copriva le gambe, prima di abbandonare il bancone e abbracciarlo di slancio: “Il signor Reborn è passato ieri a portarmi i fiori, grazie! È stato davvero un pensiero gentile!” esclamò lei, esibendo con orgoglio un vaso colorato in un angolo della stanza, traboccante di meravigliosi boccioli e adorno di corolle dalle mille tonalità.

Tsuna arrossì vistosamente: “È- È il minimo per tutto quello che mi hai insegnato, soprattutto la lingua! Se adesso riesco a capire l’italiano è merito tuo!” replicò il giovane, ricambiando l’abbraccio, “Hai avuto la pazienza che Reborn non ha mai avuto con me.” ridacchiò, sistemandosi la cravatta, “Ed è giusto che il tuo compleanno venga festeggiato. Ancora auguri.” aggiunse il giapponese, in un italiano un po’ incerto nell’accento ma corretto nella forma.

“Figurati! Sono contenta di essermi resa utile!” dichiarò la ragazza, trascinandolo fino al bancone: “Hayato dove lo hai lasciato?” gli chiese poi, mentre tornava dietro a pulire i bicchieri e le tazze.

“Hayato è rimasto a casa, per stamattina ho solo voglia di uno dei tuoi caffè e di pace per qualche ora.” rispose Sawada, poggiando il giornale accanto a sé, assieme al portafoglio: “È così stancante?” domandò lei, vedendolo stranamente cupo e silenzioso.

“Un po’,” ammise lui: “Sono contento di quello che stiamo facendo, è solo che a volte le difficoltà sembrano più delle vittorie.”.

La barista gli mise davanti una tazza fumante: “Un espresso di Francesca e il malumore scappa via come un razzo!” presentò lei.

L’odore era estremamente invitante.

Pregustando già la carica di energia che la calda bevanda gli avrebbe infuso, il Cielo avvicinò la bocca alla tazza, mandando giù una prima sorsata di liquido bollente.

Delizioso.

Finì la tazzina forse troppo presto, ed era già sul punto di ordinarne un altro all’amica quando, al suo fianco, notò qualcosa di insolito, un movimento troppo rapido per impedirlo.

Con gran fracasso, un ragazzino, di diciotto anni a dirla tutta, ma potevano anche essere meno, era sfrecciato fuori dal locale, col portafoglio del Decimo in mano.

Poggiare la tazza e corrergli dietro, per Tsuna, fu questione di un attimo.

“FERMATI!” gli gridò il giapponese, cercando di stargli dietro, ma quel teppistello correva veloce, eccome se correva! Ma l’avrebbe acciuffato, anche a costo di farsi tutta Palermo di corsa, e si sarebbe ripreso il maltolto!

Con uno scatto degno del miglior velocista, infine, Tsuna riuscì a raggiungerlo, nel bel mezzo della strada, a poca distanza dal bar: il Cielo fece appena in tempo a sfiorargli la spalla che subito il rumore di freni e il fastidioso odore di gomma bruciata lo misero in allarme.

Ebbe a malapena modo di scorgere la sagoma lucente lanciata a tutta velocità contro di loro prima del gran dolore e del buio.

§§§

Un tonfo, seguito dall’inconfondibile rumore di qualcosa che si rompeva, fece sobbalzare il Guardiano della Tempesta, seduto comodamente sul divano della biblioteca con un libro sulle ginocchia e i capelli riuniti nel familiare crocchio sulla nuca che aveva sempre tenuto, sin dai tempi della scuola, quando era impegnato in quel genere di attività come leggere o studiare.

Sorpreso, il giovane dai capelli argentei si guardò attorno, lasciando cadere a terra il pesante volume di storia: la cornice, che prima stava sul caminetto, si era infranta sul pavimento di marmo e il vetro si era rotto in mille pezzi.

Con uno sbuffo, il ventiseienne si era alzato e, avvicinatosi al focolare, si era inginocchiato davanti a ciò che restava del quadretto: tra i cocci, la fotografia rimandava i volti sorridenti della Famiglia, stretta attorno al suo Boss.

Il viso dell’italiano si distese in una sorta di malinconico sorriso, ogni volta che si attardava a osservare quell’immagine, non poteva evitarlo: erano giovani, erano a malapena bambini, qualcuno lo era veramente, come Lambo o I-Pin, e soprattutto erano sempre in mezzo ai guai!

L’inizio della Decima Generazione, senza dubbio, era stato spumeggiante!

“Accidenti, il Decimo ci rimarrà male quando vedrà che si è rotta… Era un regalo di Nana-kaasama…” borbottò, prendendo tra le mani l’immagine e rigirandosela tra le dita.

Vide la sua espressione allegra mentre cingeva la vita del suo Boss con le braccia, sorrise vedendo quella imbarazzata ma felice del Cielo, circondato da tutti loro: era il giorno della Successione alla Famiglia, quando aveva ufficialmente ereditato il titolo di Decimo Boss dei Vongola.

Certo che, da quando aveva deciso di sfidarlo, in quel lontano giorno di scuola, ne erano successe di cose: ora era uno dei suoi Guardiani ed era il suo compagno, malgrado tutto erano ancora uniti come più di dieci anni prima.

Neppure Byakuran era riuscito a separarli.

Con un tremito, ricordò involontariamente la bara che, per parecchio tempo, era rimasta celata tra gli alberi della foresta vicino a Namimori e sentì il cuore stringersi: erano stati i mesi più brutti della sua vita, quelli in cui aveva creduto che Tsunayoshi fosse morto; per lunghe e difficili settimane, nessuno era stato in grado di parlare, lui poi a fatica riusciva a entrare in quella che era stata la loro stanza senza lasciarsi sopraffare dalla tristezza e dal dolore per aver fallito nel proteggere la persona più importante.

Però, quando poi Irie, una volta risvegliatisi tutti, aveva spiegato sommariamente loro l’accaduto e li aveva rassicurati circa le condizioni del Boss…

Beh, fortunatamente l’intera Famiglia era lì presente, altrimenti sarebbe tranquillamente caduto a terra e ci avrebbe fatto una discreta figura da donnicciola isterica.

Con un sospiro, raccolse i cocci di vetro e li avvolse in un vecchio quotidiano abbandonato sulla spallina del divano e poggiò poi la fotografia sul basso tavolino ingombro di soprammobili e centrini di pizzo, stop ai cattivi pensieri!

Hayato si stiracchiò come un gatto, osservando l’ora sul pendolo a pochi passi da lui: le dieci del mattino.

“Il Decimo poteva svegliarmi, l’avrei accompagnato volentieri a fare una passeggiata…” borbottò tra sé e sé, non era arrabbiato, solo un po’ preoccupato: non era mai troppo tranquillo quando si trattava dell’incolumità del suo Boss-barra-amante.

In quel momento, un bussare allegro alla porta, seguito dall’inconfondibile voce di Takeshi che lo chiamava, interruppe le fila dei suoi pensieri mentre la Pioggia entrava nella biblioteca a larghi passi: in mano, teneva la sua fida mazza da baseball e due palle.

“Hayato, ti va di fare due lanci con me?” chiese, prima di notare la fotografia sulla pila di riviste.

Poggiò i tre oggetti sul divano e la prese in mano.

“Si è rotta la cornice, è caduta all’improvviso.” borbottò Gokudera, lasciandosi cadere sul sofà con un sospiro: “Secondo te potremmo trovarne una uguale prima che torni il Decimo?”.

Takeshi assunse un’espressione pensierosa, poi scosse la testa: “Non credo, Nana-mama l’aveva comprata a Namimori, difficile trovarne una simile qui in Italia… Ma sono certo che Tsuna non se la prenderà troppo, l’importante è che la foto non si sia rovinata, no?” notò con ottimismo nella voce, “Anzi, posso togliere la foto della squadra di baseball delle medie dalla mia e rimettere al suo posto la nostra!”.

Impegnati com’erano nella loro chiacchierata, i due Guardiani non si accorsero del telefono che squillava fino al momento in cui il grido penetrante di Ryohei non ebbe lacerato l’aria, facendoli sobbalzare.

Il Guardiano del Sole era al telefono con qualcuno e, in un primo momento, la Pioggia e la Tempesta non riuscirono a comprendere esattamente cosa si stessero dicendo, ma avevano chiaramente afferrato la parola “ospedale”: entrambi sentirono un brivido freddo scivolare loro lungo la colonna vertebrale.

Un attimo dopo, si erano precipitati fuori dalla porta e poi giù per le scale, raggiungendo un Ryohei terreo in viso e con gli occhi lucidi.

“Sawada è stato investito da una macchina in corsa… L’hanno portato all’ospedale…” frasi frammentarie e sconnesse, quelle che uscivano dalla bocca del Sole, mentre l’angoscia di due anni prima tornava a farsi sentire, forse ancora più intensamente.

Lottando contro il desiderio di piangere e di picchiare qualcuno, Hayato diede pochi e rapidi ordini: “Avverti Reborn-san e mia sorella, noi raduniamo Chrome, Lambo e Hibari. Haru, Kyoko e I-Pin dovrebbero essere fuori, cerca di contattarle.” esclamò, prima di correre fuori dalla stanza, seguito da Yamamoto.

Nessuno dei due aveva la forza di parlare più del necessario.

Trovarono Chrome e Lambo fuori in cortile, ma della Nuvola non c’era traccia.

I due si stupirono molto nel vederli uscire dalla Villa con quelle espressioni così sconvolte, Lambo stava per fare una battuta ma si trattenne: qualcosa, nei loro visi, lo aveva spaventato.

“Chrome, Lambo, dobbiamo andare all’ospedale!” sbottò l’argenteo, afferrando il quindicenne per il polso e invitando la ragazza a seguirli: “Ehi, Stupidera! Cosa ti prende!?” esclamò il ragazzino, cercando di divincolarsi dalla stretta.

La Tempesta mollò la presa un attimo e il Fulmine cadde all’indietro tra le braccia di Takeshi: Lambo non l’aveva mai visto con quell’aria così sconvolta, “Tsuna ha avuto un incidente… Non possiamo lasciarlo da solo…” sussurrò, affondando il viso nella chioma leonina del più giovane.

Per Lambo fu come un pugno nello stomaco.

Lui non era come i suoi fratelli maggiori, che trattenevano le lacrime sempre e comunque: lui era “il piagnone” e una notizia del genere non poteva che scatenare in lui un’ondata emotiva di incredibile potenza.

Scoppiò a piangere, cercando di convincersi che doveva essere un sogno, ma l’espressione seria e addolorata di Hayato non mentiva.

“Andiamo da Tsuna-nii allora…” singhiozzò il ragazzino.

§§§

Arrivarono all’ospedale trafelati e senza fiato, con le ginocchia che tremavano, spaventati per ciò che avrebbero trovato: erano riusciti a recuperare Kyoko e le ragazze strada facendo e avevano sentito Bianchi, ci avrebbe pensato lei ad accompagnare Reborn.

Correndo, superarono corridoi lunghissimi e apparentemente senza fine fino a trovarsi davanti alla sala operatoria che l’infermiera dell’accettazione aveva indicato loro; Mukuro e Hibari stavano lì di fronte, in silenzio, senza neppure guardarsi in volto, si limitavano a stare seduti sulle scomode seggiole in plastica, neppure Hibird sembrava dare segni di vita, come se avesse capito in che situazione si trovassero.

Restarono senza aprire bocca per parecchi minuti, poi la Nuvola alzò la testa verso la Tempesta: “Cos’è successo?” chiese con tono asciutto.

Hayato stava poggiato contro il muro, con lo sguardo fisso sulla porta.

“Non lo sappiamo,” parlò per lui Takeshi: “Hanno chiamato dall’ospedale e hanno detto che Sawada è stato investito da una macchina in corsa, che è stato portato d’urgenza qui. Non si sa altro.” aggiunse Ryohei, che abbracciava Kyoko.

“Ma sono sicuri che si tratti di Tsuna-san?” bisbigliò una Haru in lacrime.

“Purtroppo si, ragazzi.”

La voce di un uomo li fece sobbalzare e, dalla porta chiusa, uscì un medico con il camice bianco sporco di sangue.

Tra le mani, aveva quello che sembrava un portafoglio.

“Glielo abbiamo trovato addosso, siamo riusciti a chiamarvi perché dentro c’era un biglietto da visita col numero stampato sopra. E ci sono anche i documenti.” aggiunse con espressione addolorata: “Mi spiace darvi questa notizia ma la macchina che lo ha investito andava troppo forte, non si è neppure fermata e…”

Le parole del dottore raggiunsero solo marginalmente i giovanissimi membri della Famiglia, le cui menti sembravano essersi spente tutto d’un colpo.

Non poteva essere finita così…

Tsuna non poteva morire in un modo così stupido!

“IL DECIMO NON PUÒ ESSER MORTO!”

Il grido pieno di rabbia e dolore di Hayato spezzò il silenzio mentre il Guardiano si gettava sull’uomo, afferrandolo per il colletto della camicia: “Non può averci di nuovo abbandonato!” il suo cuore sembrava stesse per spezzarsi sotto il peso di tutto il dolore che provava, non poteva accettare di aver perso di nuovo, e questa volta per sempre, la persona a cui aveva giurato eterna fedeltà, quella che amava di più al mondo…

“Cos’è successo?”

Bianchi e Reborn erano arrivati.

Tra le lacrime, Chrome, Haru e Kyoko spiegarono sommariamente l’accaduto, mentre I-Pin, tra le braccia di Lambo non riusciva a smetterla di piangere, esattamente come il suo amico d’infanzia.

L’espressione di Reborn s’indurì mentre balzava giù dalle braccia di una Bianchi totalmente sotto shock e raggiungeva la Pioggia, impegnata a cercare di staccare un furioso Gokudera dal medico: “Calmatevi voi due.” intimò l’Arcobaleno del Sole con tono gelido, voltandosi poi verso il dottore: “È vero?” chiese semplicemente.

Lui annuì: “Mi dispiace, dico sul serio… Abbiamo fatto il possibile, ma non è servito.”.

Un nuovo momento di silenzio.

“Non è tutto, assieme a lui c’era anche un altro ragazzo, sono stati investiti entrambi ma lui non ha riportato gravi danni, malgrado sia ancora privo di sensi; la ragazza che era con lui si è allontanata un attimo per chiamare…”.

“Chi se ne frega di lui?!” sbottò Hayato con le lacrime agli occhi: “Juudaime… Tsuna… Non c’è più!” gridò furente il ventiseienne.

“H-Hayato… Signor Reborn… C-Che è successo a Tsunayoshi…?”

Una voce tremolante e spaventata li fece sobbalzare e, voltatisi, i Vongola si ritrovarono davanti Francesca, con i capelli spettinati e il grembiule del bar ancora addosso; ci furono pochi attimi di silenzio, poi il piccolo killer, con aria seria e cupa, mosse un passo verso di lei: “Tsuna ha avuto un incidente e…” ma venne interrotto dalla barista, che lo azzittì, “Questo lo so benissimo! C’ero anche io lì, sono salita sull’ambulanza con lui, era cosciente quando siamo arrivati qui! Ma l’infermiera mi ha detto che non era grave, che aveva solo battuto la testa e che sicuramente sarebbe stato bene, dopo gli opportuni esami e un po’ di riposo!”.

La Famiglia si guardò negli occhi, tra le lacrime, poi Ryohei si fece avanti, cingendole le spalle col braccio: “Tu l’hai visto? Ti ha detto qualcosa?” le chiese in un sussurro, era stranissimo sentirlo parlare così piano, ma il magone che il pugile aveva in gola gli impediva quasi di proferire parola.

“Mi ha chiesto di non dirvi nulla, ma accidenti! Non potevo non chiamarvi! Sono rimasta con lui per tutto il tempo, poi però ho dovuto allontanarmi, non potevo lasciarvi all’oscuro… Però al numero che avevo non mi ha risposto nessuno…”.

Yamamoto le poggiò una mano sulla testa: “Ci aveva già chiamato il dottore, ha trovato il numero nel portafoglio di Tsuna e…” ma, a quelle parole, Francesca ebbe un sussulto; si divincolò dalla presa del Sole e puntò sugli amici i suoi grandi occhi lucidi, “T-Tsunayoshi non aveva il portafoglio…” bisbigliò lei, “Cioè, lo aveva ma…”.

Fu solo in quel momento che realizzò.

Un attimo dopo, dalla più totale disperazione, passò alla gioia più genuina e vera che una persona possa provare: rideva, rideva, singhiozzando e ridendo cercava di parlare e rassicurare i Vongola, ma era difficile riuscire a dare spiegazioni in quel frangente.

Si voltò di scatto verso il dottore, che li fissava basito: tra le mani, aveva ancora il portamonete in pelle del Decimo.

Lo afferrò e lo consegnò ad Hayato, che la fissava con stupore e confusione.

“Tsunayoshi è vivo.”.

Quell’affermazione fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno per il gruppo di ragazzi giapponesi: le loro menti non riuscivano più a tenere il passo con la mole di informazioni e notizie, tutte ugualmente sconvolgenti, che erano piombate loro addosso in poco meno di dieci minuti, alcuni boccheggiavano, le ragazze avevano smesso di piangere ma sembravano più simili a dei panda che a degli esseri umani.

“Che cazzo stai dicendo?” sbottò la Tempesta con amarezza e rabbia, stringendo i pugni, per quanto volesse credere alle parole della ragazza…

“Hayato, non dico stupidaggini!” esclamò lei esasperata, asciugandosi gli occhi con un lembo del grembiule: “Sapete tutti che io lavoro in un bar, e che lui viene spesso a prendere il caffè da me, vero?”

Un mormorio di assenso confermò le sue parole.

“È successo così anche oggi. Solo che ha lasciato il borsellino incustodito e, mentre stavamo parlando, un ragazzino glielo ha rubato. Lui gli è corso dietro ma sono stati entrambi investiti dalla macchina. Nella confusione del momento non ho pensato a recuperare il portafoglio, solo a cercare di soccorrerlo… Non so cosa vi abbia detto il dottore, ma Tsunayoshi è vivo e ve lo dimostro! Seguitemi!”

E senza aggiungere altro, prese Gokudera e Takeshi per il polso e se li trascinò dietro.

Superato il primo momento di stupore, anche gli altri li seguirono, fino a trovarsi davanti a una porta socchiusa, una stanza.

Francesca la spinse senza far rumore e fece spazio ai Vongola per sincerarsi della realtà coi loro occhi: “Visto? Sta bene.” sussurrò lei.

La camera era inondata di sole, che illuminava coi propri raggi il viso pallido del Decimo, addormentato sul lettino con gli abiti tutti stropicciati e sporchi di sangue, soprattutto la camicia si trovava in condizioni pietose.

Ma era innegabile che fosse vivo.

Una furia dai capelli argentati s’abbattè sul malcapitato dottore, sbatacchiandolo: “Perché ha detto che Juudaime era morto?! Perché?!” singhiozzò.

“Gokudera, calmati.” gli sussurrò all’orecchio la Pioggia, staccandolo dal povero medico: “COME POSSO CALMARMI, YAMAMOTO?! PRIMA CI DICONO CHE IL DECIMO È MORTO, POI NON LO È PIÙ! Come pensi che possa sentirmi?!”.

“S-Scusate… La colpa è mia… Se solo avessi pensato un po’, non avrei fatto scoppiare questo putiferio…” la giovane barista non sapeva che fare, voleva calmare in qualche modo l’amico ma temeva solo di peggiorare la situazione.

Una mano gentile si poggiò sulla sua spalla, interrompendola; alzato lo sguardo, incrociò quello di Bianchi: “Grazie di esserti presa cura di lui.” le disse solamente, sorridendole affettuosamente.

“Ora smettetela. Ragazzi. Tsuna-kun ha bisogno di silenzio!” li rimproverò in quel momento Kyoko, asciugandosi gli occhi, “Dottore, ci scusi… Il nostro non è un comportamento da adulti…” disse quindi, con un leggero inchino.

Ma il chirurgo scosse la testa, lasciandosi andare a un sorriso: “Non c’è problema, è tutto a posto.” la rincuorò lui, sistemandosi la cravatta, “E poi, se avete reagito in questo modo, vuol dire che tenete molto a lui, e mi spiace di avervi dato una notizia del genere senza che poi fosse vera.”.

“Lei non poteva saperlo. Anzi, dobbiamo esserle grati comunque.” dichiarò Haru.

“Sawada-san dovrà restare qui in osservazione?” chiese Chrome, stringendo il proprio tridente con forza.

Il medico sospirò, annuendo: “Sarebbe consigliabile, almeno per oggi e stanotte… Ha preso una brutta botta e ci sarebbero ancora degli esami da fare, giusto per essere sicuri che non abbia riportato danni.”.

“Io resto qui.” sbottò Gokudera all’improvviso, irremovibile.

“Mi sembra ovvio, Testa-Di-Polipo. Sei quello più estremamente indicato per tenere compagnia a Sawada.”.

Senza rispondere, l’argenteo semplicemente prese una sedia e si mise accanto al letto, tutti poterono vederlo mentre stringeva piano la mano del ferito e posava prima un bacio delicato sulla benda che copriva parte della testa del Cielo e poi sulle sue labbra socchiuse.

“Scusate… Ma…” balbettò l’uomo col camice, guardando la scena: “Si, Sawada e Testa-Di-Polipo sono estremamente innamorati!” esclamò un Ryohei particolarmente su di giri, “Qualcosa in contrario?” ringhiò il Sole, agitando il pugno davanti al suo naso.

“Oniichan!” lo rimbrottò Kyoko in giapponese.

Malgrado lo stupore, il medico sorrise: “Non volevo dire nulla di offensivo, davvero.” affermò ripulendosi gli occhiali, “Ma ora, vi conviene tornare a casa, figlioli. Vi prometto che qualunque cosa succeda, vi informerò all’istante.” disse poi, spingendo Lambo e I-Pin ancora in lacrime verso le braccia aperte delle ragazze, “E poi, il vostro amico è al sicuro qui.” disse loro con espressione soddisfatta.

Reborn saltò sul letto, a pochi centimetri dal suo protetto e lo scrutò con attenzione; non disse una parola, ma lo sguardo che lanciò ad Hayato fu più che eloquente. Ripreso il proprio posto tra le braccia di Bianchi, l’Arcobaleno si rivolse poi all’intera Famiglia: “Il dottore ha ragione, Gokudera saprà proteggere più che egregiamente Tsuna, noi torniamo indietro.” ordinò, “Hibari, Mukuro. Cosa avete intenzione di fare?”.

La Nebbia sospirò: “Oya, Oya… Non sono molto contento della cosa, ma la mia piccola Chrome ha bisogno di conforto e quindi credo che verrò con voi.”. dichiarò l’illusionista, cingendo le spalle della ragazza.

Hibird aveva ripreso a cinguettare allegramente, appollaiato sul dito di Hibari: “Io devo fare una cosa.” replicò questi con tono freddo, prima di andarsene a larghi passi con la giacca che svolazzava da tutte le parti e i tonfa in pugno.

Da sotto il fedora, Reborn sorrise: era sicuro che la Nuvola stesse architettando qualcosa.

“Andiamo.”.

§§§

Quando Tsuna riaprì finalmente gli occhi, la prima cosa che vide fu il viso della Tempesta chino su di lui.

Il bruno sorrise debolmente, cercando il contatto con la mano del compagno, che subito gliela afferrò, tentando poi di alzarsi: “Non dovresti muoverti.” borbottò Hayato, avvicinandogli una tazza piena d’acqua alle labbra screpolate.

Il Cielo bevve lentamente, aiutato dal suo Guardiano e doveva ammettere che si sentiva intontito per la botta e il lungo sonno mentre osservava con aria incuriosita fuori dalla finestra: “È già buio?” notò sorpreso il ragazzo, scorgendo solo oscurità al di là del vetro, il rintocco lontano di una campana batté undici colpi, “Si, sei rimasto privo di sensi per tutto il giorno..” spiegò Gokudera, stringendo ancora più forte la sua mano dopo aver poggiato il bicchiere sul comodino.

Ci fu un nuovo, lunghissimo silenzio.

“Juudaime, perché hai rischiato tanto per quest’oggetto? I soldi non hanno alcuna importanza al confronto…” chiese in un bisbiglio la Tempesta, ancora con gli occhi lucidi mentre tra le sue dita si materializzava il portafoglio che aveva creato tutto quel scompiglio; con un sorriso malinconico, il Cielo gli disse di aprirlo.

Dentro, nella tasca dove solitamente ci stavano i documenti, c’era invece una fotografia, tutta stropicciata.

“Non potevo permettermi di perderla.”.

Era identica a quella che stazionava sul caminetto della biblioteca.

“Mi sarebbe spiaciuto non averla più con me.” notò il bruno con un sorriso.

D’improvviso, Tsuna si sentì sollevare e si ritrovò stretto dalle braccia del compagno, abbracciato con forza sempre maggiore tanto che, a un certo punto, il Cielo ebbe quasi difficoltà a respirare.

“Credo di averlo fatto di nuovo, vero…?” bisbigliò tra sé e sé, accarezzandogli la schiena: “Vi faccio sempre preoccupare e star male…” mormorò, aggrappandosi alla sua giacca  e affossando il viso nell’incavo del suo collo.

“Scusami…”.

Ma Hayato lo scostò e, fissandolo negli occhi, lo baciò a fior di labbra, asciugandogli le lacrime che cominciavano a scendere senza controllo dalle pupille color cioccolato di Sawada: “Non c’è niente di cui scusarsi.” lo rassicurò mentre passava le proprie dita tra gli spikes tagliati grossolanamente e sfiorava con le dita la spessa garza che tamponava le ferite.

La Tempesta restò lì a coccolare il Cielo per parecchi minuti, senza dire granché ma lasciando semplicemente che fossero i gesti a parlare per lui quando…

“Non avevi detto che ci avresti chiamato, Hayato?”

La voce scherzosa di Yamamoto ruppe l’idillio mentre l’ex campione di baseball faceva capolino dalla porta: “È bello vedere che stai bene, Tsuna.” dichiarò la Pioggia, muovendosi a larghi passi nella stanza.

Il Decimo annuì mentre Takeshi prendeva un’altra sedia e la posizionava alla sinistra del letto: “Credo che Ryohei abbia in serbo qualcosa di spaventoso per punirti, non appena uscito di qui.” decretò con tono noncurante lo spadaccino, ma senza per questo staccare un attimo gli occhi di dosso a Tsuna, dopo lo spavento che s’erano presi non era facile lasciarsi alle spalle l’orrenda sensazione di gelo nelle viscere che li aveva attanagliati, assieme alla convinzione che non avrebbero più potuto vedere quella capigliatura a punte sbucare da ogni dove.

Sawada sospirò, lasciandosi ricadere all’indietro: “Il fratellone mi ucciderà…” gemette con un sospiro.

“Deve solo provarci.” ringhiò Hayato in risposta.

Istintivamente, le mani della Pioggia si allungarono verso le spalle degli amici, stringendole con forza e affetto: “Hibari è uscito dall’ospedale con noi oggi, ma da allora non c’è più visto. E aveva i suoi tonfa imbracciati.” la buttò lì lui.

Non era difficile realizzare cosa avesse intenzione di fare quella testa calda dell’ex capo della disciplina della Scuola Media Namimori, soprattutto ricordando ciò che il medico aveva detto.

“La macchina che lo ha investito andava troppo forte, non si è neppure fermata e…”

Senza dubbio, non sarebbe stata una bella serata per chiunque ci fosse stato alla guida.

Asciugatosi le lacrime per il troppo ridere, Tsuna si lasciò andare a uno sbadiglio innocente.

“Ti lascio riposare, Tsuna.” esclamò Yamamoto con insolita serietà: “Hai preso una brutta botta,” spiegò la Pioggia, la katana saldamente stretta in pugno, “Hayato, cerca di dormire un po’ anche tu.” gli disse, prima di sfiorare con le proprie labbra la mano graffiata del Cielo e uscire dalla stanza.

Hayato borbottò qualcosa all’indirizzo del compagno e amico di sempre mentre Tsuna lo guardava affettuosamente.

Poi, questi scostò il lenzuolo, spostandosi tutto verso sinistra: “Non puoi restar tutta la notte a dormire su quella scomoda poltroncina, no?”.

   
 
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