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Autore: fragolottina    28/09/2011    3 recensioni
Mia madre si fidava della Morte e la Morte le disse che 'lui' mi avrebbe fatto del male, mi avrebbe resa sua schiava, condannandomi ad una vita di umiliazioni e sofferenza.
Io mi fidavo di mia madre e mia madre era morta nella speranza che il suo gesto servisse a salvarmi.
Ma se 'lui' cercasse solo di mantenere una promessa fatta secoli prima?
A volto l'unico a conoscere la verità è il proprio cuore...
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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olivia
fragolottina's time
purtroppo un avvertimento è d'obbligo...
è un capitolo forte, decisamente forte...quindi vi avviso in anticipo.
anche se avevo detto di continuare con la trama, volevo perdere un po' di tempo per raccontarvi la storia di come Diego, Sebastian, Maxi ed Alyssa si siano incontrati e stretti forte. mi piaceva arvi capire come, quando il destino ci mette lo zampino, le cose si intrecciano ed incrociano...mi paiceva anche l'idea che aiutare una persona possa giovare anche al primo...no, in genere non sono così fiduciosa nell'umanità, ma in un mondo popolato da l Figlio della Morte tutto è possibile, no?
ci vediamo più giù...

16 anni


CAPITOLO 2.0 - prima parte

Il ‘Draw cuts’ era l’oasi delle anime spezzate.
    Tutti noi, che lavoravamo lì, avevamo bisogno di un rifugio, un posto dove non si facessero domande, un posto dove le persone avevano a che fare con la sofferenza già da parecchio tempo, quindi rispettavano la sacralità del silenzio e del dolore altrui.
    Nessuno di noi quattro, cinque se contavamo anche Diego, era lì solo per i soldi.
    Io vedevo tutto e spesso mi sembrava di violare un giuramento solenne.

Nel silenzio di Diego si celava il dolore del suo cuore, il ritratto di una donna bellissima con i capelli rossi di suo figlio. Avevo visto il loro matrimonio, Diego non era un uomo brutto, rientrava nella media, ma lei, Courtney Dennis, lei era una dea. Immaginavo la felicità di essere stato tanto fortunato, l’incredulità della prima volta che le aveva chiesto di uscire e di essersi sentito rispondere di sì.
    Immaginavo l’amara consapevolezza e rassegnazione, quando lei se ne era andata lasciandogli un bambino che le somigliava in modo devastante; una vita da crescere ed accudire, quando lui non aveva più alcuna voglia di vivere; il locale che una volta era stato così felice di gestire, il locale dove lui e Courtney avevano ballato per la prima volta insieme, in bancarotta, quando Diego non aveva nessuna voglia di lottare per tenerlo insieme.
    Le scommesse, intossicanti quasi quanto la droga che suo figlio si iniettava nelle vene.

Sebastian non aveva mai fatto niente per nascondere quello che si faceva. All’inizio aveva un sacchetto di erba sul comodino, le cartine erano dentro il cassetto per una questione di igiene: non voleva certo fumarsi la polvere, la marijuana bastava.
    Ma solo i primi tempi.
    Ben presto si era reso conto che quella polverina bianca somigliava tantissimo alla polvere di fata che aveva visto nel cartone di Peter Pan. Certo, costava di più. Ma se suo padre non si accorgeva di un sacchetto di Maria sul comodino, quando si sarebbe accorto del furto di un paio di banconote dalla cassa?
    Poi l’LSD. Lo trovava così affascinante: un quadratino minuscolo sul fondo di un cocktail colorato. Di tutte le droghe chimiche che aveva provato quella era la sua preferita. A casa prendeva una bottiglia di birra dal frigo – aveva diciotto anni, suo padre non poteva negargli una birra e comunque non se ne sarebbe accorto – faceva scivolare nel collo quel pezzettino di carta, poi diceva a suo padre che usciva. ‘Non aspettarmi alzato’, lo tranquillizzava con un sorriso. Spesso Diego si era già addormentato sulla poltrona, davanti ad una partita in televisione, con il biglietto di una scommessa ancora in mano.
    Se l’eroina non fosse stata così piacevole, non l’avrebbe mai provata. Era troppo crudo infilarsi un ago nelle vene e poi bisognava andarla a comprare in un postaccio pieno di prostitute. La prima volta era stata una ragazza ad essere così gentile da iniettargliela; gli aveva chiesto se non preferisse un posto nascosto, l’inguine, o un alluce, ma non c’erano rischi che qualcuno vedesse qualcosa.
    L’eroina era il paradiso. Ed in paradiso si stava in pace.
    Però costava un sacco ed i soldi nella cassa del suo vecchio ed assente papà erano sempre meno. ‘Giuro che ti pago’, lo ripeteva tanto spesso che i suoi amici – se poi si poteva parlare di amici – avevano preso a chiamarlo ‘Giuringiurello’.
    Accartocciato in un angolo della strada, con la cintura stretta al braccio ed il buco ancora fresco, si era chiesto, mentre l’effetto scompariva, come trovare più soldi. Guardandosi intorno si era domandato quanta grana avrebbe potuto tirare su a prostituirsi. Ed aveva visto poco lontano da lui un ragazzo in ginocchio davanti ad un uomo con i pantaloni slacciati, li osservava con distaccato interesse: quel tizio doveva avere circa la sua età e sembrava cavarsela, era eccitante anche solo guardarlo. Ma forse erano gli strascichi dell’eroina, lui era eterosessuale, anche se un servizietto ben fatto era sempre un servizietto ben fatto.
    Aveva aspettato con pazienza che finissero, poi si era alzato e gli si era avvicinato. Il ragazzo tremava tutto, tremava tanto da non riuscire ad accendersi una sigaretta; non ci aveva pensato, gli aveva preso l’accendino dalle mani e gliela aveva accesa. Lui aveva biascicato un grazie e si era frugato nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto, con cui pulirsi le mani ed il viso.
    Lo aveva studiato tutto con attenzione. «Cento per una sega; duecento di bocca. Tutto il pacchetto, cinquecento.»
    «Davvero?!» aveva chiesto Sebastian stupito, contando le dosi che si sarebbe potuto comprare con quei soldi. «Sono tanti…»
    «È una buona tariffa.» aveva risposto secco. «Me ne hanno dati mille per la prima botta.» aveva trovato buffo che cercasse di giustificarsi. «E comunque è la mia tariffa, se non ti va bene, più giù c’è uno che vuole di meno, ma ha la sifilide.»
    «Quanto fai a sera?» gli aveva domandato.
    «Quanto mi serve.» era stata la sua enigmatica risposta.
    «Ti fai anche tu?» gli aveva chiesto di getto, speranzoso, un altro fratello assuefatto alle stesse sostanze deliziosamente lavorate. Potevano diventare amici.
    Ma il tipo non era stato affatto contento, aveva tirato indietro un pugno e l’aveva colpito fortissimo alla mascella. «Sparisci, fottuto di un drogato!» Sebastian era caduto per terra, si era morso la lingua ed il sapore ferroso e rivoltante del sangue gli aveva riempito la bocca. «Io ci pago l’affitto con i soldi, le bollette, i libri di mia sorella, le colpe di quel figlio di puttana di mio padre.» gli aveva urlato stravolto e lui l’aveva guardato senza capire cosa avesse detto per farlo infuriare tanto. «Ed io da quelli come te non voglio un centesimo.» si era allontanato a testa alta, andando incontro ad un nuovo cliente.
    Quella notte Sebastian aveva capito che una puttana aveva più dignità di lui. Quella notte Sebastian aveva frugato nel cassetto del suo comodino ed aveva trovato una bustina di roba vecchia: un po’ d’erba, qualche pasticca d’ecstasy. Quella notte Sebastian era andato in overdose.

Maxi non aveva mai capito come avesse fatto Alyssa ad avere il suo numero, ma rispondere a quella chiamata era stato come scoperchiare il vaso di Pandora. Gli aveva chiesto aiuto e lui avrebbe potuto dire di no, ma quella era sua sorella. Solo per mezzo sangue e, se contava che non l’aveva mai vista, non avrebbe dovuto provare niente per lei. Ma quella era sua sorella. Era nell'ospedale dove era appena morta la madre e tutta le sua roba era ammucchiata in una borsa.
    I nonni di Maxi l’avevano iscritto proprio quell’anno all’università, sua madre era di nuovo in riabilitazione, a volte trovava incredibile essere nato sano ed intelligente senza che tutta la merda che Dalila Stone continuava a prendere intaccasse le sue cellule. I nonni non gli volevano bene, per questo gli avevano lasciato il cognome di suo padre, ma si sentivano in obbligo verso il bambino di una sedicenne drogata che non aveva chiesto di venire al mondo. Avevano fatto in modo che avesse tutto quello di cui avesse bisogno, ma si erano dimenticati di amarlo.
    Lasciò tutto per lei: nonni che cercavano di fingere di essergli affezionati, una madre che usava lui per avere soldi dai suoi genitori, gli sguardi amari di tutte le persone che lo indicavano con compassione e finta partecipazione. Lasciò tutto, perché quando Alyssa lo vide, sorrise sollevata e lo abbracciò forte piangendo. Lasciò tutto, perché nessuno lo aveva mai abbracciato con tanto affetto quanto sua sorella: lei era la sua famiglia.
    I nonni non approvarono, ma gli lasciarono tenere i soldi che gli ridiedero indietro quando ritirò l’iscrizione all’università, in un certo senso sembravano quasi sollevati di non averlo più tra i piedi. Il caro vecchio papà Masen, spacciatore di professione, drogato per piacere, non poteva di certo fare obiezioni sul destino di Alyssa. Non poteva certo chiamare la polizia.
    Trovò un monolocale, trovò lavoro in un fast-food. I soldi non bastavano mai, anche se Alyssa era meravigliosa nel fare economia: sapeva cucire, cucinare, si tagliava i capelli da sola e prendeva i libri dalla biblioteca. Si prendeva cura della casa e di lui diligentemente ed a dodici anni era già una massaia eccellente, forgiata da anni di vita nella casa di due genitori sconsiderati. Ma aveva bisogno di vestiti quando non si potevano aggiustare, aveva bisogno di cibo da cucinare ed i libri di scuola andavano comprati.
    Più bollette ed affitto.
    I soldi non bastavano mai.
    Una sera, mentre tornava a casa dal turno di notte a piedi – figurarsi se potevano permettersi una macchina – un’auto elegante e sicuramente costosa, gli si era accostata vicino ed aveva abbassato il finestrino. Un uomo distinto gli aveva chiesto con strana cortesia quanto volesse, ma lo aveva ignorato continuando a camminare. L’uomo non si era arreso seguendolo lungo il ciglio, gli aveva domandato ancora se da quella parte era vergine e Maxi ancora non aveva detto niente.
    «Te ne do cinquecento subito.»
    Maxi si era fermato ed aveva guardato il rotolo di banconote che gli stava allungando. Lo aveva preso timoroso ed aveva contato: erano cinquecento, era bravo a contare, voleva studiare ingegneria.
    «Se sei vergine dopo te ne do altri cinquecento.»
    Che facevano mille.
    Non erano gli stenti a spaventarlo, né accontentarsi delle briciole di Alyssa, che comunque riusciva in un modo o nell’altro a dividere tutto ed a farli stare bene entrambi. Era perderla che lo terrorizzava. Se un giorno fosse andata a scuola in disordine, se un giorno tagliandosi i capelli da sola fossero venuti male – erano sempre perfetti, ma gli incidenti erano reali – se una delle cuciture che aveva fatto non avesse retto, un’insegnante avrebbe potuto insospettirsi. Fare ricerche sulla loro situazione. Avvisare gli assistenti sociali. Portargliela via.
    «Ti prometto che non ti farò male.»
    Avrebbe fatto un male del diavolo.
    Ma mille erano un sacco di soldi.
    Ed anche se era una cosa orribile, sarebbe stata una cosa orribile ben retribuita.
    Lo aveva osservato soppesando l’affidabilità del tipo. «Sulla macchina.» aveva recuperato il cellulare dalla tasca della sua giacca. «Se mi porti da qualche parte chiamo la polizia.»
    L’uomo aveva annuito e gli aveva fatto un cenno del capo verso i sedili posteriori, i vetri erano oscurati. «Anche qui se vuoi.» doveva avere sui quarant’anni, Maxi ne aveva ventuno, aveva fatto l’amore con due ragazze in tutto.
    Mille. Ci rientravano un affitto, due bollette ed un letto anche per lui, visto che fino a quel momento lui ed Alyssa avevano diviso un lettino. Con lo stipendio del fast-food ci veniva anche tutto il resto. Avrebbe potuto cambiare quella cavolo di lente degli occhiali che si era rigata e lo faceva impazzire di fastidio.
    «Ok.»
    L’uomo era sceso e gli aveva aperto la portiera del sedile posteriore.
    Salire su quell’auto era stata la cosa più difficile del mondo, ma l’aveva fatto.
    Dopo l’uomo gli aveva chiesto se stava bene, Maxi aveva risposto di sì, stanco e dolorante. Gli aveva dato i soldi promessi, più altri cento perché gli aveva sporcato i capelli ed ad un certo punto era sicuro di avergli fatto male. Il ragazzo si era pulito il viso con le mani distaccato, noncurante, dicendogli che non importava.
    «Ce la fai ad andare a casa?»
    No, ma ce l’avrebbe fatta lo stesso: non voleva che quell’uomo vedesse dove abitava.
    A casa aveva trovato Alyssa rannicchiata in un cucina in lacrime, il pigiama zuppo della sua disperazione e Maxi aveva capito che quando diceva di vedere, diceva sul serio. Lo aveva fatto sentire anche più sporco di quanto era; aveva pescato dalla tasca i due rotoli di banconote che aveva guadagnato, ma lei non si era consolata. Così alla fine si era seduto accanto e l’aveva abbracciata.
    «Solo…solo finché non ci sistemiamo.» si era accorto di tremare e solo in quel momento Alyssa aveva smesso di piangere e lo aveva stretto forte, consolandolo. Non aveva avuto paura di sporcarsi, non si era lasciata intimidire per quello che aveva fatto, l’aveva abbracciato e basta.
    Il giorno dopo gli aveva intrecciato i capelli dopo aver studiato dal computer della scuola come si facevano i dreadlocks. «Così puoi tenerli indietro e non si sporcano.
    E Maxi non li aveva mai più sciolti.
    Aveva cercato un posto dove ci fossero più donne che uomini. La tariffa era sempre la stessa sia per le poche signore, che comunque a volte capitavano, sia per i maschi. Era un po’ altina e lo sapeva, ma gli garantiva una clientela più pulita, più istruita, che capiva l’importanza dell’igiene e del preservativo. Solo quando era veramente agli sgoccioli cercava di essere meno schizzinoso e si metteva in saldo.

Diego non scommetteva più. Frequentava un gruppo di sostegno e due volte al mese andava a trovare Sebastian chiuso dentro ad una clinica dove l’avevano disintossicato. Avrebbe voluto riportarlo a casa, ma aveva il terrore che ricominciasse, che la prossima volta non sarebbe stato tanto fortunato. E poi non aveva un soldo, forse avrebbe potuto vendere il vecchio ‘Draw cuts’. Non andava, continuava a succhiare grana alla sua anima nostalgica; magari un fesso a cui spacciarlo per un affare sicuro, lo trovava.
    «Non lo faccia, la prego.»
    Aveva guardato sorpreso la ragazzina in piedi davanti a lui, doveva avere dodici, forse tredici anni ed era bagnata come un pulcino; quella mattina presto aveva piovuto a dirotto, da quanto era lì? Sembrava disperata.
    Si era voltata verso il centro dell’ippodromo dove i cavalli si stavano preparando a correre. «Posso dirle chi vincerà. Posso assicurarle che sarà l’unico a puntare su di lui e vincerà tutto quanto.»
    «Vuoi degli spiccioli, ragazzina?» si era frugato nelle tasche, le avrebbe dato i soldi per prendersi qualcosa di caldo.
    «Non sono i soldi.» aveva detto a voce più alta di quella che aveva usato fino a quel momento. «La prego, si fidi di me.» i suoi occhi enormi avevano lo sguardo più triste del mondo. Non sapeva cosa le fosse successo, ma non doveva essere niente di piacevole.
    Aveva scommesso talmente tante volte, che differenza poteva fare? Avrebbe fatto contenta quella poverina.
    «Ok.» aveva acconsentito alzandosi e tirando fuori il portafogli. «Andiamo a fare una puntatina. Allora, a chi vuoi che dia la mia fiducia?» le aveva domandato, mentre lei lo seguiva docile fino al gabbiotto delle scommesse. Infondo, non aveva niente da perdere: Courtney l’aveva abbandonato, Sebastian era quasi morto, il ‘Draw cuts’ finito. Difficilmente una scommessa per quella tipetta avrebbe potuto peggiorare le cose.
    Lei si era morsa il labbro. «Deve promettermi una cosa.»
    «Ti ascolto.» l’aveva rassicurata, anche se si era fatto improvvisamente guardingo.
    Nei suoi occhi c’era qualcosa di solenne, non avrebbe potuto tirarsi indietro da quel patto. «Prometta di tornare qui, domani mattina e di aiutarmi.»
    «Sei nei guai?» le aveva chiesto dispiaciuto. In che razza di mondo vivevano se una bambina finiva nei guai?
    Lei aveva abbassato gli occhi. «Lei è nei guai, suo figlio è nei guai, mio fratello è nei guai. Insieme possiamo mettere apposto tutto quanto.»
    Una voce registrata gli aveva annunciato che le puntate si sarebbero chiuse tra pochi minuti.
    «Ma come diavolo…?» Sebastian, la clinica, erano cose di cui non parlava mai. Erano la sua colpa e trovava da vigliacchi scaricarla su qualcuno per dividerla.
    «Non c’è tempo.» l’aveva interrotto. «Hunter.»
    «Sicura? È famoso per arrivare sempre secondo.»
    «Il primo cadrà poco prima del traguardo.»
    Aveva puntato tutto quello che gli rimaneva nel portafogli, poi si era voltato a cercarla, ma della ragazzina non c’era traccia.

Flash rimase in testa fino all’ultimo, seguito come al solito da Hunter. Cadde poco prima del traguardo, consegnando all’eterno secondo la vittoria ed a Diego abbastanza soldi per ricominciare.


vi chiedo scusa in anticipo se qualcuno troverà che io non abbia affrontato questi argomenti con la giusta profondità o delicatezza...non lo so. non ho mai scritto qualcosa di così drammatico, quindi non so bene come regolarmi...il vostro giudizio sarà un buon metodo di valutazione...
ho cercato di rimanere piuttosto distaccata e delicata...queste cose mi impressionano tanto, non ce l'avrei fatta altrimenti.
ma volevo assolutamente raccontarvi le loro storie, io le conoscevo ed ho pensato che potesse interessare anche a voi...
beh, fatemi sapere!
baci

ps. spero davvero, di non aver scosso troppo qualcuno...nel caso mi dispiace!

pps. però vi avevo avvertite, eh!

ppps. nel prossimo Diego ed Alyssa metteranno apposto le cose, abbiate fede...poi giuro solennemente che torniamo al succo del discorso...consentite questa parentisina di un paio di capitoletti!



   
 
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