Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: LawrenceTwosomeTime    28/09/2011    3 recensioni
Un La Bella e la Bestia al contrario (e senza la Bella), un Pinocchio senza Pinocchio. C'è redenzione per chi ha rinunciato all'amore sostituendogli l'estetica? Non in questa storia.
Genere: Dark, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Jorge fece scorrere le mani incrostate di terra sulla salopette, ne sfilò un fazzoletto bianco e si terse il sudore dalla fronte.
Un'altra estenuante, sofferta, meravigliosa giornata di lavoro si era appena conclusa.
Le campagne del Dorset sono un ottimo posto per invecchiare: il luogo è talmente pacioso, il clima talmente mite, che sembra quasi che la gente voglia farlo anzitempo. Dovunque è tutto uno scatarrare, borbottare, sediarrotellare; tra uomini di mezz'età, anziani, anzianissimi e parafossili antidiluviani, l'unica cosa che manca a questo Stato per ricevere la nomea di Repubblica Senile è una popolazione di immigrati serbi in grado di tenere il passo con la crescente richiesta di badanti.
Ma Jorge non era vecchio. Aveva appena ventidue anni.
Tutto, in lui, strillava trionfalmente "Giovinezza!" (forse c'era anche una punta di isteria, in quello strillo). Il volto regolare che sembrava intagliato nel cotto, i capelli mossi e profumati come il miele, le mani grandi, gentili, confezionate con gusto per sbriciolare noci e stringere altre mani a piacere, e l'andatura sciolta di chi è ancora libero dal giogo dell'artrosi.
Solo una cosa tradiva l'aspetto di Jorge: gli occhi.
O meglio, era il suo sguardo che lasciava filtrare una nota flemmatica, una variazione ancestrale in disaccordo con la brusca affettazione del materiale rimanente. Come se fosse invecchiato anzitempo, ma solo nello spirito.
Tutti gli abitanti del piccolo villaggio in cui viveva, Jorge compreso, vi avrebbero detto che era una cosa buona: il ragazzo era disponibile, modesto, sempre pronto all'ascolto. In una parola, aveva conquistato una saggezza che di solito non si accompagnava a persone della sua età – e inoltre, non soffiava come un gatto ogni volta che minacciava di piovere, non se ne stava per ore a osservare gli operai che lavoravano e non dovevi mai ripetergli due volte le cose, come succedeva agli individui che la sua età l'avevano passata da un pezzo.
La notte era una parentesi sbiadita tra la giornata di lavoro precedente e quella di là da venire. Dunque Jorge si alzò e si vestì. Somministrò le sue cure al terreno fresco di semina. Impilò il raccolto frutticolo sulla sua sputacchiante camionetta, lo rivendette al mercato. Strigliò i cavalli.
Pranzò.
E la sua estenuante, sofferta ma comunque meravigliosa giornata di lavoro avrebbe dovuto concludersi come la precedente, se non fosse stato per i corvi.
Le bestiacce formavano un nugolo scompatto sopra la porzione di terreno che in quel momento stava bocciolando i primi piselli, le tenere lattughe e le sugose rape vermiglie. Jorge scaraventò la sua ciclopica mole in direzione dello sciame, agitando le mani e producendosi in una serie di barriti poco amichevoli.
Dieci minuti dopo, con riluttanza (troppa riluttanza) i corvi se n'erano andati, lasciandosi alle spalle una distesa di piume sfilacchiate e una manciata di virgulti divelti.
Jorge aveva le braccia imperlate di sudore e le gote arrossate. Si sentiva inquieto e anche vagamente stupido: prima d'allora, non si era mai trovato a litigare con la natura. Ogni cosa era stata messa lì per essere sfruttata a tempo debito, bastava che lui vi dedicasse l'apporto necessario di amorevole dedizione e smisurata fatica. O almeno, questo era ciò che aveva sempre pensato.
Quella sera, dopo un frugale pasto a base di legumi e pane tostato, si concentrò su una prodiga operazione di falegnameria (era esperto in fatto di piallatrici quanto sprovveduto in quello sessuale).
Fresò e martellò, intagliò e saldò, finché le prime luci dell'alba non fecero capolino sopra la collina verde presepio e lui non si sentì soddisfatto.
Allora dormì e si svegliò poco dopo mezzogiorno.
Stringeva tra le mani l'infrastruttura di uno spaventapasseri dal più che rispettabile potere repellente. Il monito in quegli occhi diceva a chiare lettere: "Avvicinatevi e ve ne pentirete".
Ovvio come il sole che sostava sui campi, Jorge non aveva fame né sete. Solo, se ne stette per un po' a rimirare il prodotto della sua opera notturna, compiacendosi dell'ingegno con cui aveva studiato le articolazioni semisnodate di quel diabolico pupazzo, la bocca frastagliata e il profilo slanciato, danzante, quasi sensuale.
Poi si diresse al terreno nei pressi dell'orto che la sera prima i corvi avevano spogliato, e vi piantò lo spaventapasseri. Fece ritorno al casolare, si stappò una birra e sedette su una sedia, ad aspettare.
Questa volta i corvi si mostrarono più riluttanti: era l'imbrunire, e solo un quartetto più impavido (o più disperato) aveva osato avventurarsi nell'area presidiata dal guardiano.
Jorge era compiaciuto. Andava già meglio, ma non era abbastanza.
Nei giorni seguenti gli abitanti del paesino lo videro sempre più di rado, e ogni volta che faceva la sua comparsa somigliava sempre di più a un fantasma. Non dedicava che uno sguardo alle ragazze del pub, la sua attenzione calava drasticamente dopo i primi minuti di conversazione e si muoveva come un sonnambulo che avanzi sott'acqua.
Una settimana di poco dormire e poco mangiare produsse un miglioramento sorprendente nell'impresa di artigianato che aveva pazientemente portato avanti. Ora i corvi si tenevano quasi del tutto alla larga.
Solo di quando in quando uno di loro calava dal fitto sciame turbinante come una nube di tempesta che aveva preso l'abitudine di presentarsi, al crepuscolo, ai confini della proprietà di Jorge.
Lui se ne sentiva appagato e sottilmente frustrato, perché l'allontanamento perpetuo delle bestie era diventata la sua unica ragione di vita, e finché anche un solo corvo si ostinava a violare il suo confine, non avrebbe dormito sonni tranquilli.
Passato un mese, lo spaventapasseri ricordava vagamente la donna più bella che si potesse immaginare, e chi lo vedeva diceva che fosse un angelo che si era incarnato nel legno (o un demone, a seconda dell'inclinazione).
Jorge si sentiva vecchio. La sua battaglia coi corvi sembrava vinta, ma all'ultimo uno di loro faceva capolino dallo stormo col suo gracchiare stonato, quasi a beffarlo, e si portava via un frammento del prezioso raccolto. A Jorge non importava più nulla del raccolto.
Una notte, trascinandosi faticosamente fuori dalla porta di casa, non vide più lo spaventapasseri.
Provò a strizzare gli occhi, che erano acquosi e arrossati, e fu colto da un moto di panico.
Si riprecipitò in casa. Possibile che a pagare le spese della sua ossessione fosse stata la memoria? Mise a soqquadro le tre stanze di cui era composta l'abitazione, ma del pupazzo nemmeno l'ombra.
Si sentì ancora più vecchio e stanco di prima, e si addormentò.

La mattina dopo scoprì che la donna l'aveva piantato nel campo.
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: LawrenceTwosomeTime