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Autore: Cheche    30/09/2011    7 recensioni
Quando Silver era con i genitori di Blue, si rendeva conto che loro erano la famiglia che aveva sempre desiderato avere. E per un attimo si crogiolava in quei momenti di vita familiare, immaginando che loro fossero davvero suo padre e sua madre. Poi però l’immagine di Blue iniziava a brillare nella sua testa, e pensava che se loro fossero stati i suoi genitori, lei sarebbe stata sua sorella. E questo gli appariva inaccettabile, faceva crollare inesorabilmente tutti quei bei castelli mentali che si era costruito.
Lui non avrebbe mai potuto vederla come una sorella.
[ChoosenShipping] [Rating giallo per la tematica]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blue, Silver
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Rainy Days

 
Anche quel lunedì pioveva. Il suono della pioggia sulla vegetazione di Biancavilla era l’unico, malinconico sottofondo di quelle lente giornate. Erano cinque giorni che andava avanti così. Cinque giorni in cui restare tappati in casa, invece di uscire a giocare con i Pokemon.
Blue, accoccolata sul divano del salotto di casa sua, rivolgeva il suo sguardo fuori dalla finestra. La vegetazione rigogliosa in cui era immerso il suo paese natale non vedeva la luce da tanto tempo ormai, tanto che il suo verde sembrava essersi spento.
Si stirò, constatando per l’ennesima volta come fosse comodo quel divano. Ormai erano passati alcuni anni dal ricongiungimento con i suoi genitori e lei aveva avuto l’occasione di assaggiare quella placida vita familiare tanto agognata fin dall’infanzia. Suo padre e sua madre erano gentili, proprio come li ricordava, i migliori che una ragazza adolescente potesse desiderare. La trattavano come una principessa, le lasciavano tutta la libertà e lo spazio di cui aveva bisogno ed erano molto affettuosi, ma non esagerati ed invadenti. Cercavano anche di essere più presenti possibile. Quel lunedì era un’eccezione. Lavoravano entrambi, durante la settimana.
Quella mattina Blue si era vestita di tutto punto per uscire, ma poi, quando aveva aperto la finestra, si era accorta che avrebbe dovuto stare più attenta a certi fattori, prima di fare qualunque cosa. Ancora adesso indossava quella sua canottiera azzurra e quella gonna rossa. Il cappello era attaccato all’appendiabiti, e sembrava aspettare soltanto di essere preso e messo in testa alla sua proprietaria. Lo sguardo di Blue cadde improvvisamente sul portaombrelli. Era rimasto solo un ombrello, piccolo, di colore blu. Non stette troppo a rimuginare. Lo raccolse, si infilò una giacchetta nera e si mise il cappello, mandò al diavolo la pioggia ed uscì, soddisfatta.
Il suo compiacimento fu ridimensionato quando le sue scarpe affondarono in una pozza di fango, appena sotto casa. In quel momento pensò che la presenza di quel gran pantano fosse normale, perché erano parecchi giorni che non faceva che piovere a dirotto. Però, sporcarsi le scarpe in quel modo… forse avrebbe potuto evitarlo.
Si disse che ormai la frittata era fatta, e che quindi avrebbe dovuto disinteressarsene. Quindi continuò a camminare in mezzo alla vegetazione tanto spenta quanto rigogliosa, pensando alle sue povere scarpe, che erano tra l’altro un regalo di Silver.
E, come un miraggio, Silver apparve. Davanti a una casa, veniva dritto verso Blue, e sembrava averla notata nell’esatto momento in cui lei aveva visto lui. Era solo, sotto la pioggia, senza un ombrello. Il suo volto era rigato da rivoli d’acqua piovana, che potevano sembrare verosimilmente delle lacrime, nel vedere la sua espressione smarrita. A rendere il tutto ancora più plausibile, sul suo volto pallido spiccava un livido violaceo sotto l’occhio sinistro. In quel punto l’acqua aveva fatto appiccicare alcune ciocche di capelli rossi, che davano l’inquietante illusione di strisce di sangue.
Quando Blue se lo vide vicino, ebbe la tentazione di cacciare un urlo. Era contenta che fosse lì, con lei, ma avrebbe preferito che le si fosse presentato in tutt’altro modo.
“Blue.” Disse lui, con voce fioca. Sul suo volto livido comparve l’ombra di un sorriso. “Ciao.”
“Silver, ma che…” Blue apparve confusa. Non riusciva a sorridergli come faceva di solito, perché il volto che aveva davanti era spento come la vegetazione che stava loro intorno. “…che ci fai sotto la pioggia, senza un ombrello? Ti prenderai un accidente!” Quella fu la frase più intelligente che Blue era riuscita a spiccicare.
“Vieni sotto il mio ombrello. Andiamo a casa mia.” Fu di nuovo la ragazza a parlare, seria, con tono materno. Certo, Silver ormai aveva diciotto anni, non aveva bisogno di una balia. Ma quando faceva così pareva solo un bambino troppo cresciuto
“Ma stavi facendo un giro, no?” Protestò Silver, debolmente. “Continua pure, non preoccuparti per me. Anzi, ti accompagno.” Fece ancora, protettivo. Ultimamente era ossessionato dalla bellezza di Blue. Lo era talmente che credeva che tutti i maschi la guardassero, anche se non era vero. Gli pareva che diventasse ogni giorno più bella, più donna. Per questo aveva paura che gli altri uomini potessero farle del male, e lui, quando non era con lei, era sempre in apprensione.
Ne era innamorato, in modo capriccioso e possessivo. E lo sapeva, lo sapeva benissimo. Gli pareva inutile vergognarsi di ciò, se lui la amava così profondamente aveva tutte le ragioni del mondo. Lei era bella, solare, intelligente e gli voleva un bene dell’anima, da tempo immemore. Gli era sempre stata accanto, in ogni momento, anche quando erano lontani lui la sentiva vicina.
“Non se ne parla!” La voce autoritaria di Blue interruppe il filo dei pensieri di Silver. Non occorreva immaginarla, quando lei in carne ed ossa gli stava davanti. “Sono uscita solo perché mi annoiavo, ma ora che ci sei tu il problema non si pone!” La ragazza sorrise, dolce. Lui la vide, e ricambiò il sorriso, questa volta con più energia. Sembrava che il sole tornasse, quando lei si illuminava in quel modo. E quello sguardo inaspettato gli aveva causato un tuffo al cuore, un’emozione tanto forte da fargli dimenticare momentaneamente i suoi problemi, e perché diamine stesse vagando come un disperato sotto la pioggia, lontano da casa.
Silver si infilò sotto l’ombrello, e Blue si accorse che avrebbe dovuto alzare il braccio per farlo entrare sotto al diametro del piccolo oggetto. Era diventato fin troppo alto. Il problema non si pose più perché Silver le tolse l’ombrello di mano.
“Lasciami almeno la mia dignità di uomo.” Blue non sapeva se avrebbe dovuto arrabbiarsi o sorridere per quella frase. Optò per la seconda, e tacque.
Il diametro dell’ombrello era stretto, e i due erano costretti a stare a contatto. Silver si sentiva agitato per quella vicinanza, sia perché i suoi vestiti bagnati stavano inzuppando anche quelli di Blue, sia perché sentiva il calore del suo corpo, e ciò mandava in fumo ogni ragionamento logico tentasse di fare nel silenzio di quella “passeggiata”.
Dopo aver camminato un poco nel fango, giunsero a casa di Blue. Silver c’era già stato. Era grande, moderna, ma anche discreta, e non dava troppo dell’occhio. Era simile a molte altre villette di Biancavilla.
Come entrarono, si tolsero le scarpe, attenti a non sporcare il parquet di legno chiaro. A Silver piaceva quella casa, così piena di finestre, grandi e luminose.
Blue gli permise, per non dire che lo obbligò, a togliersi i vestiti e a farsi la doccia. Era tutto sporco di fango. Stava già per togliergli la giacca quando lui si scostò, arrossendo, dicendo che non era un bambino, e che poteva benissimo fare da solo. Detto questo, prese un cambio e si chiuse in bagno, sbattendo la porta, agitato come non mai.
Blue stette ferma sul posto finchè non sentì lo scrosciare della doccia che si accendeva, quindi si accoccolò nuovamente sul divano e accese la televisione, tenendola a volume abbastanza basso per sentire cosa faceva Silver nel suo bagno. Anche se ci era entrato prima di allora, non l’aveva certo fatto per farsi una doccia. Ma a giudicare dai suoni, lui pareva perfettamente a suo agio. Non passò molto prima che si sentisse il rumore del phon.
Silver si era infilato il primo accappatoio della sua misura che aveva trovato, che apparteneva al padre di Blue. Quindi aveva cominciato ad asciugarsi i capelli, sapendo già che, essendo lunghi, sarebbe stata un’operazione piuttosto lunga.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio, soffermandosi sul livido sotto l’occhio sinistro. Pulsava fastidiosamente. Digrignò i denti pensando a come la sua vita fosse cambiata in quei due ultimi anni.
Ebbene, Silver si era ricongiunto a suo padre, Giovanni. Inizialmente lui era stato molto amorevole, cercava di non fargli mai mancare nulla e viveva con lui a Smeraldopoli nella villa più imponente della città, che si era fatto costruire appositamente per viverci con suo figlio. Nessuno a Smeraldopoli sapeva a chi appartenesse quella reggia imponente, circondata da un enorme giardino, cinto da un cancello altissimo che lo contrassegnava come proprietà privata. E Silver viveva proprio lì, ma suo padre era stato chiaro fin da subito con lui. Non avrebbe detto a nessuno dove abitava, né tantomeno avrebbe portato gli amici a farci visita.
Quella casa era un vero labirinto, e Silver, ancora dopo due anni, finiva per perdersi non di rado. Spesso, quando si svegliava la mattina, trovandosi al terzo piano, preferiva adottare scorciatoie, quando scendeva. E così finiva per fiondarsi giù dalla finestra, aiutandosi con gli alberi scendeva fino a terra, sfruttando la sua agilità sovrumana. Quella mattina suo padre si trovava casualmente in giardino e, vedendolo, si era infuriato e l’aveva percosso con violenza.
Quel livido sotto l’occhio era il risultato delle botte di Giovanni, che facevano male sì a livello fisico, ma soprattutto morale. Era da un anno che aveva cominciato a picchiare Silver, e lui aveva concluso che prima di allora si era trattenuto per non rovinare il rapporto che si era appena instaurato tra loro. Ma la natura violenta di Giovanni si era rivelata dopo quell’anno idilliaco, con prepotenza. La stessa natura era stata in parte ereditata anche da Silver, che quindi se ne doveva fare una ragione.
Le prime volte in cui Silver doveva starsene a casa a guardare i suoi lividi per non farsi vedere dagli altri, lui non era ancora del tutto abituato a vedere Giovanni come un padre. E, in silenzio, ingoiava la sua bile. Aveva voglia di restituirgli le percosse con gli interessi ma, ogni volta che questa tentazione faceva capolino nella sua mente, un barlume di lucidità gli ricordava che lui era suo padre, e che doveva rispettarlo per quello che era. Certo, era una specie di estraneo, era sempre stato assente, ma non per sua volontà. E poi, ogni tanto gli dimostrava di volergli davvero bene, e questo gli bastava. Lo stesso Silver non era tanto meglio di suo padre, aveva sempre fatto cose spregevoli per adempiere ai suoi obiettivi, anche se non ai livelli del Team Rocket. Una delle cose che aveva imparato nel covo di Mask of Ice, oltre al saper badare a sé stesso, era di raggiungere i suoi scopi con tutti i mezzi possibili, anche se questo significava avere tutto il mondo contro. E a Silver non era mai importato molto del mondo, di cosa pensasse di lui la gente quando si sporcava le mani. Non gli interessava neppure che gli altri vedessero o no il suo livido e lo etichettassero come un poco di buono.
Ma in quel momento, finalmente asciutto, con indosso il cambio, sotto lo sguardo indagatore di Blue, Silver sentiva che in realtà la cosa gli importava molto.  
Dal canto suo, la ragazza pensò di aver visto bene, che Silver aveva davvero un livido sotto l’occhio sinistro.
“Che hai fatto al viso?” Chiese Blue, alzandosi dal divano per guardarlo più da vicino. “E’ un livido quello?” Dalla sua voce si percepiva la sua apprensione.
“Ah, sì quello… Ho fatto un po’ a botte con Gold, l’altro giorno.” Mentì lui, spudoratamente. Sapeva che Blue era una ragazza sveglia, e sapeva che se Gold e Silver si menavano era unicamente per manifestarsi affetto da amici quali erano. Ma lei era fin troppo intelligente, e non ci cascò. Lo conosceva troppo bene per non capire che stava dicendo menzogne. E poi, dato che le baruffe dei due amici erano unicamente per gioco, stavano attenti a non farsi troppo male o a lasciarsi dei segni.
“Lo sai che non devi dirmi bugie.” Disse la ragazza, inarcando le sopracciglia con aria leggermente severa. Incatenò il suo sguardo a quello di Silver, il cui volto era a poca distanza da quello di lei. Immediatamente il ragazzo distolse lo sguardo, mentre le guance pallide si coloravano lievemente di un rosa che Blue non notò. Non rispose. Non riuscì a farlo parlare. Sospirò e lasciò perdere, decidendo di cambiare discorso, non immaginando di rimanere in realtà sempre sullo stesso argomento.
“Beh, come vanno le cose? Come sta tuo padre?” I tratti di lei si ammorbidirono nuovamente. “E’ da un po’ che non ci sentiamo, quindi volevo informarmi.”
“Ah, lui sta bene!” Rispose fin troppo presto Silver, tornando a fissare le iridi color mare di Blue, senza più imbarazzo. Negli occhi d’argento di lui, la ragazza distingueva una leggera punta di risentimento, che invece si percepiva ancor meno nella voce. La cosa la fece stranire, ma decise di non indagare oltre. Se fosse stato suo padre la causa del livido, come temeva, allora capiva perché il ragazzo non volesse dire nulla. E lei non lo avrebbe forzato.
“Ne sono felice!” Esclamò Blue, sorridendo. Beh, anche se era Giovanni, capo del Team Rocket, era pur sempre il padre di Silver, e la ragazza ammetteva a sé stessa senza imbarazzo di essergli grata per aver messo al mondo il suo caro… fratellino?
Ma lui era davvero questo per lei? L’aveva sempre visto come una persona estremamente importante, ma non l’aveva mai definito in nessun modo. Né fratello, né amico. Era qualcos’altro. Andavano troppo d’accordo per essere davvero fratelli, ed erano più intimi di due semplici amici. Ma cosa diamine era Silver per lei? Non ci aveva mai pensato. Stava forse per giungere alla fatidica risposta che stava cercando, quando la voce di Silver la colse.
“Allora io vado…” Disse lui, anche se si leggeva sul suo volto che desiderava tutt’altro.
Anche Blue lo voleva. Lo capì perché, non appena udì le parole di lui, senti la sua mente urlare a gran voce ‘non andartene!’. Si erano visti dopo tanto tempo ed era tutto qui quello che avevano da dirsi? Non era possibile. Sapeva che Silver era la tipica persona che, per parlare un po’ di più, deve prima essere preso a calci. Ma ora era con lei, e a lei diceva sempre tutto. Poi però, ci pensò un po’ su. Se lui doveva andarsene, evidentemente era per qualche motivo importante. Non poteva incapricciarsi e cercare di trattenerlo.
“Vai per non far preoccupare il tuo vecchio?” Chiese Blue, sorridendo e tornando a sedersi mollemente sul divano.
“Già, proprio così.” Sospirò Silver, ricambiando lievemente il sorriso di lei.
“Vorrei tanto che tu rimanessi…” Disse Blue, abbassando lo sguardo e arricciando teneramente le labbra carnose.
Silver cercò di trattenersi dall’avvampare, con scarso successo. Prima di parlare di nuovo si voltò, e Blue si trovò per un poco a fissare una massa fluente di capelli rossi.
“Anche io vorrei rimanere…” Era vero. Lasciare quella situazione idilliaca, quella casa luminosa anche nei giorni di pioggia, dove la sua amata dimostrava di desiderare la sua compagnia… Per andare dove? Tornarsene in quell’enorme villa oscura e opprimente, quella lussuosa prigione in cui, aveva timore, sarebbe rimasto confinato per chissà quanto tempo. Vorrei rimanere con te per sempre, Blue. La frase completa che non sarebbe riuscito a pronunciare in quel dato momento lampeggiò vivida nella sua testa.
Sentendo le sue guance tornare ad una temperatura accettabile, Silver si voltò di nuovo, sul viso pallido un’espressione decisa, ma anche ingenua nell’inconsapevolezza della sua bellezza austera, non deturpata minimamente da quel livido sotto l’occhio sinistro. Blue si accorse solo allora che i lineamenti del diciottenne erano quelli di un giovane uomo, che di adolescenziale avevano ormai ben poco.
E lui stava per ribadire con fermezza che doveva andare, quando una chiave girò nella serratura della porta d’ingresso. Tale rumore fu poi seguito immancabilmente da quello della porta che si spalancava, e del rumore delle suole delle scarpe sul parquet. I genitori di Blue erano tornati.
La ragazza sorrise. Ora avrebbero costretto Silver a rimanere a pranzo da loro, ospitali com’erano. Si erano molto affezionati a Silver, in quei due anni. La prima volta che l’avevano visto erano rimasti impressionati dal suo aspetto insolito, e anche un po’ inquietati. Ma Blue aveva detto loro che era una persona esageratamente importante per lei, sin dalla prima infanzia. Forse anche la più importante. E i suoi genitori avevano superato presto la diffidenza iniziale, per incominciare a trattarlo come se fosse uno di famiglia. E lui con loro si sentiva bene.
Quando Silver era con i genitori di Blue, si rendeva conto che loro erano la famiglia che aveva sempre desiderato avere. E per un attimo si crogiolava in quei momenti di vita familiare, immaginando che loro fossero davvero suo padre e sua madre. Poi però l’immagine di Blue iniziava a brillare nella sua testa, e pensava che se loro fossero stati i suoi genitori, lei sarebbe stata sua sorella. E questo gli appariva inaccettabile, faceva crollare inesorabilmente tutti quei bei castelli mentali che si era costruito.
Lui non avrebbe mai potuto vederla come una sorella.
“Silver, ciao! Che sorpresa vederti qui, caro!” Disse la madre, mentre il padre gli sorrideva gentilmente, riponendo la cartellina da impiegato che portava tutti i giorni al lavoro.
“Ti fermi da noi?” Chiese l’uomo, andando subito al sodo.
Fortunatamente erano persone discrete, che non facevano troppe domande inutili. Mentre Silver si affrettava ad annuire, la madre di Blue notò il livido sotto l’occhio del ragazzo. Lo guardò con apprensione ma non gli chiese nulla.
Blue cominciò ad apparecchiare, mentre sua madre si metteva ai fornelli e suo padre si sedeva sul divano ed apriva il giornale. Silver non voleva starsene con le mani in mano.
Insistette per aiutare Blue a preparare, e ben presto quella tranquilla operazione divenne una gara silenziosa a chi sistemava più stoviglie sulla tavola.
Una volta iniziato il pranzo, Silver si beò dell’atmosfera che si respirava in quella casa, e mangiò con gusto tutto quello che gli veniva servito, nonostante in genere non toccasse quasi mai cibo. Quel cibo preparato con amore aveva un sapore del tutto diverso da quello cucinato dai cuochi di casa sua. Le chiacchiere tranquille e i lamenti del papà di Blue riguardo al suo capo giungevano rilassanti alle orecchie del ragazzo, che sentiva spesso nei timpani riecheggiare le urla dispotiche di suo padre.
“Silver caro, dovevi avere proprio fame…” Disse la madre di Blue, notando che il ragazzo aveva finito per primo la sua porzione di risotto.
“Ah, sì. Era davvero ottimo, signora!” Esclamò Silver, passandosi un tovagliolo spiegazzato sulle labbra sottili.
Dal basso, Blue tirò scherzosamente una briciola di pane verso Silver, che andò ad impigliarsi tra i suoi capelli. Silver si voltò verso di lei, divertito.
“Ma insomma, Blue! Se continui così dovrò rifarmi la doccia!” Disse, mentre palpava i lunghi capelli rossi con le mani in cerca di quella minuscola mollica.
“Che esagerato!” Blue gli fece la linguaccia, ridendo.
Era quella la quotidianità che Silver desiderava. Solo una cosa andava cambiata in quella tranquillità apparente. Il ruolo di Blue, da sorella dispettosa a compagna di vita.



Note: Questa è stata la fanfiction più sofferta che abbia mai scritto. E lo ammetto, non sapevo proprio come finirla. Scusate se la fine non è nulla di che, quindi. Ci ho messo molto tempo, ma tratta una tematica che, personalmente, mi sta molto a cuore. La famiglia. E il centro di questa shot verte proprio su questo tema, più che sulla coppia in sè e per sè.
Vi ringrazio di avere letto fino a qui. Ringrazio particolarmente la mia amante (XD), la mia dolcissima Akemi_Kaires, che mi ha sostenuto durante questa difficile stesura.
Spero sia stata di vostro gradimento. <3

  
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