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Autore: hellySantini    02/10/2011    1 recensioni
Credete nel Destino? Nelle coincidenze? E nell'Amore? Quello vero, che non ti fa dormire la notte da quanto prenda il tuo cuore? E nelle Anime Gemelle credete?
"L'amore è composto da un'unica anima che abita in due corpi." Aristotele.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Quante probabilità si sono di incontrare una persona che si ama e che lei stessa ricambi?
Nessuna.
Nel mondo esistono sei miliardi di persone: la nostra anima gemella potrebbe essere chiunque. E nessuno lo saprebbe mai. Ma contro questa teoria, c’è il fatto che molta gente è innamorata e sposata.
Ma mi chiedo: perché? E soprattutto come hanno fatto?
Se ci pensate bene non sono domande da poco. Ci deve per forza essere una forza superiore che architetta il tutto, sennò non mi darei una spiegazione. Pensateci anche voi: forse la vostra anima gemella è quel ragazzo o ragazza che avete appena incrociato per strada, scambiandovi solo uno sguardo. Magari dopo un incontro fortuito è nata una scintilla e dieci anni dopo vi ritroverete felicemente sposati e con figli.
Ecco cos’è la scintilla. Quella cosa magica che nasce nelle persone, quando si incontrano. Potete chiamarla come volete: la freccia di cupido, scintilla, colpo di fulmine.
È sempre la stessa cosa.
Immaginatevi un incendio grandissimo che divampa ad ogni folata di vento, quelli siamo noi nel momento in cui siamo follemente innamorati. Siamo incendiati dall’amore e con una carezza, dolci parole alimentiamo quel fuoco che nasce dal cuore.
Ma prima dell’incendio cosa c’è?
La scintilla.
Quel piccolo ingrediente che fa nascere la magia. Ma da dove viene? Non possiamo crearla noi. Perché anche se dovessimo vedere il ragazzo più bello del mondo, ma se non c’è la scintilla, non c’è futuro.
Quando incontrate una persona e sentite come una specie di fitta al cuore, qualcosa non meglio definito, ecco quella è la scintilla.
Guardare gli occhi della persona, il fatto che ti sappia far ridere, il suo sorriso, la sua risata è un campanello d’allarme per avvisarti.
È un qualcosa di sovrannaturale. Perché a volte con persone affini non nasce, e altre coppie più improbabili fioriscono come peschi in primavera.
Magia...
La fortuna: altro ingrediente per la ricetta dell’amore.
Ce ne serve tanta per incontrare la persona giusta. Ogni cosa che facciamo o sopportiamo ci porta ogni secondo sempre più vicino alla nostra anima gemella. Come se ci fornissero un grande test: se rispondiamo in maniera esatta ci avviciniamo sempre di più alla meta, se la sbagliamo ci arriveremo più tardi ma ci arriveremo. 
La fortuna ci serve soltanto per la probabilità di una persona un miliardo di incontrare l’altra metà.
Entrambe sono fuori dalla nostra portata. Nessuno ha mai compreso l’amore fino in fondo e nessuno lo capirà mai.
Ma..
Tutti noi cerchiamo di dare un senso alle cose. E il mio senso ha un nome.
Si chiama Fabio.
 La mia storia non ha inizio.
 È stata nelle mani del Destino, sin dall’inizio. Magari era stata decisa ancora prima che io nascessi.
Di una cosa certa adesso: se qualcosa accade è sempre per una ragione e quando il Destino decide che succederà così, sta pur certo che succederà. Proverà mille vie. Disferà e cucirà mille fili, fino a che non troverà la combinazione vincente.
 Io non credevo nel Destino. Sinceramente non ci avevo mai pensato. E nemmeno avrei mai immaginato che il mondo era in piedi su un equilibrio precario, che bastasse pochissimo per farlo vacillare e cadere. Tutto questo non ha alcun senso detto così. Ma se avete un po’ di pazienza leggendo la mia storia capirete e forse riuscirete ad affezionarvi alla mia dolce metà, come ho fatto io fin dall’inizio – be’ non proprio fin dall’inizio- che se non fosse stato per il Destino, non ci saremmo mai conosciuti e amati.
Tutto partì per un incidente.
Quel maledetto incidente che mi cambiò la vita per sempre.
Fino a quel momento ero sempre stata popolare circondata da ragazzi e voluta da tutti. Per me era il mondo perfetto.
Il 12 luglio dovevo uscire con i miei amici, come al solito. Stavamo tutti ridendo per una battuta di Andrea, il mio migliore amico da quando sono nata e proprio in quel momento ricordai che ero uscita di casa senza chiuderla. Avvisai gli altri che dovevo tornare indietro. Stavo attraversando la strada, quando sentii i freni di una macchina che cercava di inchiodare all’improvviso. Solo allora mi resi conto del mio errore. Fu troppo tardi, la vettura mi venne addosso. Sentii un dolore lancinante su tutta la parte sinistra. Non finì lì: quando la macchina mi urtò, volai in aria per circa una decina di metri. Dal dolore che sentii, mi accasciai a terra. Volevo soltanto che il dolore finisse. E svenni lì. In quel momento mi ritrovai fuori dal mio corpo. Era una cosa strana perché assistevo alla scena come una spettatrice. Non mi resi conto che quella a terra ero io fino a quando i miei amici urlarono il mio nome. Era una scena straziante. Le loro facce erano trasfigurate dall’angoscia. Dovevo tornare nel mio corpo. Non potevo andarmene con i miei compagni così. Dovevo trovare il modo di tornare nel mio corpo. Senza accorgermene sentii una strana sensazione nel petto. Solo in quel momento mi accorsi che erano arrivati i soccorsi. Stavano usando il defibrillatore. Mi stava risucchiando nel mio corpo. Non mi ricordai cosa sognai, per me era ancora un mistero. Mi svegliai poi una settimana più tardi in una stanza bianchissima. Vidi subito i miei genitori con un viso angosciato.
"Mamma! Papà!" dissi con un fil di voce.
"Elly! Stai bene! Oh… ci hai fatto temere che non aprissi più gli occhi…!" disse mamma. Mi era venuto il senso di colpa: se non avessi dimenticato di chiudere a chiave la casa non sarebbe successo.
 Sentivo un ronzio nel cervello. Pensavo che fosse normale visto che avevo preso una bella botta in testa. Lo dissi ai dottori. Mi fecero una tac e proclamarono che non avevo niente. Però quel ronzio ce l’avevo sempre. Cercai di focalizzare il rumore e mi resi conto che quello che sentivo erano parole. Leggevo nel pensiero! Ero scioccata. Non ci potevo credere. Volevo costatare ciò che avevo scoperto, per sicurezza, perché mi consideravo pazza. Sentire delle voci nella testa non era una cosa di certo normale. Così ogni volta che mi venivano i miei amici a trovarmi facevo loro una specie di indovinello.
"Dai Andrea! Pensa una cosa… pensala intensamente…" dissi per scherzo ma in verità dicevo sul serio.
"Ok fatto."Gatto…gatto…gatto….gatto…
"Stai pensando a un… gatto!" dissi con aria teatrale.
"Brava! Ma come hai fatto?" mi chiese curioso.
"Magia…" a dire il vero non lo sapevo nemmeno io.
Mi accorsi che pian piano i miei vecchi amici venivano di meno. Alcuni non si erano fatti più sentire, ma in realtà si erano stancati di stare giornate intere all’ospedale a farmi compagnia. Gli unici che rimasero furono Lorena e Andrea.
Lorena era la mia migliore amica da sempre. Mi aveva sempre seguita dappertutto, appoggiandomi sempre. Era la prima in cui rivolgersi se avevi dei problemi con i vestiti o ragazzi. Conosceva tutti. Era pazzesca! Nemmeno io che ero popolare conoscevo tutti i nomi dei ragazzi. Ma non solo quelli della mia scuola, il classico, ma anche quelli delle altre scuole.
Era una ragazza nella norma: non tanto alta ma nemmeno tanto bassa, capelli lisci castani, occhi marroni. Il suo sorriso era sempre aperto a chiunque. Ma soprattutto per Andrea...
Andrea era  Andrea. Non ci sono parole per descriverlo. Scherzava sempre, non prendeva mai niente sul serio. Era un eterno bambino che gli interessavano le ragazze e i videogiochi. Ma un perfetto migliore amico. Alto, moro, sorriso smagliante, occhi verdi-marroni, un ragazzo perfetto per molte le ragazze.
Un problema: si era intestardito con me.
In che modo potevo fargli cambiare idea, indirizzandolo vero Lori?
Infondo potevo leggere nel pensiero! Potevo sfruttare questa situazione a mio favore.
Era un giorno come tanti. Un pomeriggio nuvoloso di ottobre. Tornavo da scuola e lo incontrai scontrandogli la spalla. Mi girai verso di lui per chiedergli scusa, ma le parole mi morirono in gola.
Quel ragazzo l’avevo già visto.
Aveva più o meno la mia età, diciassette anni, aveva i capelli neri brizzolati,  alto e snello, aveva una corporatura da ballerino, portava gli occhiali da sole, benché non ci fosse sole. Il solito snob, pensai, ma più mi sforzavo di capire dove l’avessi visto più non riuscivo a capirci nulla. Lui mi sorrideva, un sorriso amichevole, da vecchi amici, un sorriso che sapevo di aver visto, che già conoscevo. Qualcosa mi suonò strano: non sentivo nessun pensiero provenire dalla sua parte. Più ci pensavo più acceleravo il passo. Sorrisi a mia volta e me ne andai senza smettere di pensare a lui. Volevo solo sapere chi era lui. E perché mi suonava tanto familiare il suo sorriso e il suo volto. Era come se mi mancasse. Anche se non lo conoscevo. Era una cosa assurda ma era così. Ma perché non ci riuscivo a leggere la mente? Gli unici che non pensano erano i morti. Ma lui era vivo! Non poteva non pensare. Era una cosa praticamente impossibile e irrazionale.
Passai tutto il pomeriggio e la notte a pensare a lui. Ma non riuscii a venire a capo di niente. Era come se la mia mente si rifiutasse di rispondere.
La notte lo sognai. Era un sogno strano. Era lì con una girasole, il mio fiore preferito. Mi diceva che lo dovevo aspettare, che sarebbe arrivato a completare la sua metà. Ma era felice. Quel sogno era così reale, così vero. Che quando mi svegliai pensai che quello che stavo vivendo in quel momento era un sogno. Perché quel ragazzo mi era così familiare?
Quando arrivai a scuola volevo mettere fine a questa agonia, infatti avevo intenzione di chiedere a Lorena se conoscesse questo ragazzo, praticamente lei frequentava i ragazzi di tutta la città. Sorrisi al ricordo di quando mi descriveva nel minimo dettaglio ogni ragazzo. E di sicuro se lo avesse visto non se lo sarebbe di certo dimenticato, quel ragazzo misterioso era così... non c’erano parole per descriverlo. Nel momento in cui lo pensai fui spaventata da quel pensiero.
Lori lo avrebbe catalogato come “boy da rivedere” era fatta così. Ma lei era speciale proprio per questo: nella sua unicità sapeva rendere tutto più divertente e simpatico.
"Ciao, Lori!" la salutai. Morivo di curiosità. Non ce la facevo ad aspettare oltre, si vedeva troppo.  E Lorena mi conosceva troppo bene per non averlo notato.
"Sputa il rospo! Cosa è successo?" mi chiese con un sorriso.
"Bè, più che altro ho bisogno di un’informazione: hai mai visto per caso un ragazzo alto, snello,capelli neri come l’inchiostro da queste parti?" le chiesi, senza però riuscire nascondere la curiosità.
"No, non l’ho mai visto. Se lo avessi visto a quest’ora sarei già con lui, no?" mi fece l’occhiolino. "Perché me lo chiedi?"
Le raccontai tutta la storia. Di quel ragazzo terribilmente familiare ma che non mi ricordavo dove l’avevo visto.
"Sai succede." Mi disse per rassicurarmi. "A volte si incontrano delle persone e poi quando si  rincontrano non si ricordano dove l’avessi visto. Magari l’hai incontrato per strada."
"Se fosse così l’avresti visto anche tu. No?"
"Già è vero… dai primo o poi ti ricorderai dove l’hai visto…" ci dirigemmo verso l’aula.
"Forse hai ragione…" dissi pensierosa.
Anche questa giornata di scuola passò velocemente, senza mai togliere dai i miei pensieri il ragazzo misterioso, da poi soprannominato da Lori mr. Mistero. Ci ragionammo su per circa tutte le ore di lezioni, per cercare di ricordare dove mai l’avessi visto e perché mai nemmeno Lori si ricordasse di lui, perché se fosse vissuto a La Spezia lei se lo sarebbe sicuramente ricordato.
Io danzavo. La mia passione era la danza e la musica, la mia eterna metà. Quel giorno dovevo andare a danza e non vedevo l’ora di andarci. Dovevo scollegare il mio cervello almeno per un ora o due dal mondo reale. Il mio cervello era arrivato al limite dello stress. La sorpresa più grande  fu che, quando arrivai in palestra vidi mr. Mistero alla lezione di danza. Ero troppo sbalordita. Non riuscivo neanche a muovermi dallo shock, avevo la bocca spalancata come un’ebete e se non ritornavo subito in me le ragazze avrebbero malinteso il mio comportamento. Corsi nello spogliatoio a cambiarmi.
Andai nella sala: la lezione stava per cominciare.
 
  
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