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Autore: Li_chan    12/03/2004    5 recensioni
Dopo mondiali e trionfi, è arrivato il momento per i giovani campioni della nazionale di lasciare un po' da parte l'agonismo e di immergersi nella quotidianità dei vent'anni. Quattro di loro si troveranno a dividere la stessa università e lo stesso appartamento, ma soprattutto le loro vite.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Taro Misaki/Tom, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Grazie mille a Joey, Luxy, Stormy e Reggina per le bellissime e incoraggianti parole. Spero che questo terzo capitolo non vi deluda! ^_- Un bacione a tutte!
Li_chan


Capitolo III
Sentieri diversi, un’unica strada

13.37 P.M.

« Sei Lola, la sorella di Freddie… Il tuo volto non mi era nuovo… Non ti ricordi di me? Forse hai ragione… Sono passati quattro anni… Io sono Tom Becker.»
Lola lo guardò, e un sorriso lievissimo le increspò per un momento le labbra.

Ma certo che mi ricordo di te, Tom… Tu non lo sai, ma in questi anni non ho mai dimenticato la figura di un ragazzino gentile che aveva sempre un sorriso per tutti… Che ironia, tutta questa vicenda! Io ero convinta che tu non avresti ricordato la noiosa sorellina minore del tuo amico, e invece ora mi chiedi se sono io a non rammentare…

« Mi ricordo di te» disse. « Sei stato un nostro vicino di casa, a Kyoto. Tu e Freddie eravate buoni amici.»
« Già. Sono proprio io. Come sta Freddie?»
« Bene. Sta preparando la tesi per la laurea in ingegneria.»
« Caspita, ce l’ha fatta, allora! Mi aveva detto che voleva diventare ingegnere meccanico…»
« Già. E’ sempre stato il suo sogno. Ma anche tu non te la cavi male, però! Frequenti la Morrison, sei un titolare fisso nella nazionale giovanile…»
« Come fai a saperlo?»
Tom la guardò meravigliato. Lola arrossì.

Ecco, mi ha sgamato in pieno!! Accidenti a te, linguaccia! Quando mai imparerò a stare zitta??? Non posso certo venirgli a dire che ho seguito la sua carriera durante tutti questi anni…

« Beh, che frequenti la Morrison è evidente, no? E per la nazionale, Freddie è così orgoglioso che un suo amico sia diventato così popolare che non perde occasione di sbandierarlo ai quattro venti…»

Mi sono salvata in corner. E’ proprio il caso di dirlo.

« Capisco. Ma non sono poi così famoso, sai?! Ci sono altre stelle ben più importanti di me…»
« Oliver Hutton?»
« Già, ad esempio.»
« I tre quarti dei goal che ha segnato non li avrebbe certo realizzati se tu non gli avessi passato la palla con precisione millimetrica.»
Tom tornò a guardarla, stupito. Le sorrise.
« Segui il calcio?»
La ragazza annuì.
« Con un padre e un fratello fissati come i miei, come avrei potuto scamparla?! Si può dire che sono cresciuta a pane e a partite!»
« La sorella di Freddie non avrebbe potuto, certo!» annuì Tom, con un gran sorriso.
« Quando sei arrivata? Non ti avevo mai incontrata a lezione, prima, anche se con tutta la gente che affolla quell’aula potrei non averti vista.»
« No, no… Quella di oggi era la mia prima lezione. Sono arrivata qui a Tokyo solo ieri sera, in verità.»
« Ho capito. Certo che per essere solo il primo giorno, hai già conquistato Abbott.»
« Che vuoi dire?»
« Abbott è un professore estremamente corretto, che non si sbilancia facilmente. Non l’avevo mai visto così entusiasta come oggi. Sul serio, l’hai letteralmente incantato con il tuo disegno. E non posso certo dargli torto. Il tuo bozzetto era splendido. Credo che Abbott d’ora in poi si aspetterà molto da te.»
Lola arrossì.
« Non esagerare, Tom… Era un semplice schizzo…» si schernì.
« Certo. Ma se il solo abbozzo trasmette quella forza espressiva, il quadro completo sarà un sogno ad occhi aperti.»
Un vivo porpora dipinse le guance della ragazza, che non riusciva a sostenere lo sguardo di Tom.
« Scusami, non volevo metterti a disagio» disse Tom, notando l’imbarazzo di Lola.
« Non prendermi in giro» balbettò lei.
Inaspettatamente Tom le strinse una mano tra le sue.
« Non ti prendo in giro, Lorelei. Non ne avrei motivo. E se ti dico queste cose è perché il tuo bozzetto mi ha colpito davvero moltissimo. Hai incantato anche me, oltre che Abbott. Sei ancora così giovane… Eppure sei già capace di donare delle emozioni così intense… Io non so se ne sarò mai in grado…»
Lola non replicò. Il cuore le galoppava come impazzito in seno. Nessuno prima le aveva riservato delle parole così belle.
« Hai fame?» le chiese lui, rendendosi conto del turbamento della ragazza. « Ti andrebbe di pranzare insieme?»
Lei annuì.
« Bene, andiamo. Sto morendo di fame. Oggi non ho fatto nemmeno colazione e in più tra due ore ho gli allenamenti. Julian non transige, quando si tratta d'allenamenti. Da questo punto di vista è proprio fissato!»
« Julian?»
Lola lo guardò incuriosita, e Tom lesse una muta domanda nei suoi occhi.
« Julian Ross. E’ il nostro allenatore.»
« Julian Ross? Curioso, ha lo stesso nome di…»
« Di uno dei migliori centrocampisti della nazionale? Sarà perché è proprio lui!»
« Julian Ross è il vostro allenatore? “Il principe del calcio” in persona?»
Tom sorrise, soddisfatto della meraviglia che trapelava dagli occhi della ragazza.
« Proprio lui. Devi essere proprio un’appassionata, se ricordi il soprannome con cui era conosciuto anni fa.»
« Beh, Freddie lo ammirava tantissimo. Era molto famoso, e la notizia della sua malattia suscitò molto scalpore.»
« Già.»
Tom sembrò rattristarsi per un momento. Lola, che possedeva una sensibilità molto spiccata e il raro dono di saper comprendere gli stati d’animo altrui, se ne accorse.

Ecco Lola, bel lavoro, davvero! Che bisogno c’era di tirare in ballo la malattia di quel ragazzo? Ma perché infilo una gaffe dietro l’altra?

« Scusami» mormorò, affranta. « Non volevo essere indiscreta o turbarti in alcun modo.»
Tom sorrise, piacevolmente sorpreso. In precedenza nessuno aveva mai compreso le sue inquietudini. Le mascherava molto bene. Solo Holly, Philiph e Julian ne erano capaci, ma solo perché lo conoscevano meglio di chiunque altro.
« Non devi scusarti. Non ce n’è motivo. Le tue parole non mi hanno inquietato, davvero. Pensavo solo a Juls…»
« Juls?»
« Sì. Julian. Io e Phil lo chiamiamo così.»
« Phil?»
Lola era sempre più confusa. Tom rise, una risata fresca e spontanea.
« Phil è un mio amico. Magari hai sentito parlare di Philiph Callaghan…»
« Philiph Callaghan? Non sarà per caso quel Callaghan, centrocampista della nazionale?»
« Proprio lui.»
« E giocate tutti nella squadra dell’università?»
Lola era costernata.
« Già. Julian è il nostro allenatore, Philiph il capitano, mentre il sottoscritto si deve accontentare della fascia di vice.»
« Ehm… E avete qualche altro nazionale, nell’organico, per caso?»
Tom sorrise, divertito dall’ironia presente nella voce di lei.
« Solo il portiere.»
« … Non mi stupisce che abbiate vinto il campionato universitario per due anni di fila!»
« E lo vinceremo pure quest’anno!» rise Tom, aprendo la porta della mensa e lasciando passare per prima la ragazza.
Un comportamento da vero gentiluomo.

Oh cavoli! Non avevo mai incontrato un ragazzo capace di tutti quei piccoli gesti che fanno così piacere ad una ragazza…

Lola sbirciò Tom di sfuggita, mentre entrambi attraversavano la sala e si mettevano in fila davanti al bancone delle pietanze con il vassoio sul corrimano.
Era proprio bello, con quegli occhi nocciola intensi e quieti e i lineamenti del volto perfetti come quelli di una statua greca. Notò allora che all’orecchio destro sfoggiava un piccolo anello d’argento.
L’interesse di lei nei suoi confronti doveva essere ben evidente, poiché Tom si voltò di scatto e i loro sguardi s’incrociarono.
« C’è qualcosa che non va?» le chiese, stupito.
Lola si sentì avvampare.
« No, no… E’ tutto a posto! Pensavo solo che il tuo viso è molto interessante…»
Lola lesse nel volto di lui una certa perplessità, e si affrettò ad aggiungere, mentre le gote le s’imporporavano ancor di più:
« Da un punto di vista artistico, ecco…»
Tom sorrise. Lola riconobbe lo stesso sorriso dolce e fuggevole che lui le rivolgeva quando la incrociava per le scale di casa sua.
« Ho capito. Davvero pensi che abbia un viso interessante? Ti ringrazio, è il complimento più originale che mi abbiano mai fatto!» replicò Tom.
« Tuo padre non ha mai pensato di ritrarti in uno dei suoi quadri?» domandò Lola.
« No. Non dipinge ritratti. Prima che la mamma andasse via gli piaceva rappresentarci insieme, e uno di questi quadri ha riscosso anche parecchio successo, vincendo vari premi. Però poi è cambiato tutto, lei se n’è andata, e da allora papà ha smesso di raffigurare le persone sulla tela. Si dedica ai paesaggi, alle nature morte, all’astratto, ma non è più un ritrattista.»
« Che peccato… Però lo posso capire bene, i paesaggi sono così carichi di colori ed energia… Invece i ritratti sono così ermetici… Riuscire a catturare l’essenza di una persona e imprimerla sulla tela è molto difficile, quasi impossibile... Bisogna conoscere a fondo la persona che si ritrae, esserle legati molto profondamente, per riuscire a trasferire una minima parte di lei nei tratteggi e nei toni...»
Lola incontrò lo sguardo di Tom fisso su di lei.
« Davvero delle parole bellissime, Lola. Sei molto saggia. Ma sei sicura di essere solo una matricola?» sorrise il ragazzo.
« Oh, non sono mica così saggia!! E’ tutta apparenza!» rise Lola, per la prima volta a suo agio in compagnia di Tom.
« Sai? Hai un sorriso bellissimo. Dovresti mostrarlo più spesso» considerò Tom, afferrando saldamente il proprio vassoio e dirigendosi verso un piccolo tavolino proprio sotto la finestra, che si era liberato pochi istanti prima.
Lola lo seguì e prese posto di fronte a lui. Era arrossita come una ragazzina al complimento di Tom, e chinò la testa sul suo pranzo, fingendosi completamente assorta dall’acqua tonica che aveva davanti.
« Sai, non sapevo che dipingessi» commentò Tom, tenendo la forchetta tra due dita e giocherellandoci distrattamente.
« Potrei rivolgerti la stessa osservazione» replicò Lola, addentando con gusto una patatina fritta.
Tom sorrise, per l’ennesima volta quel giorno.

Questa ragazza… Lorelei… Ha lo strano potere di farmi sorridere e spiazzarmi contemporaneamente… E non se ne rende nemmeno conto… Se dovessi trovare una ed una sola parola per definirla sarebbe senz’altro spontanea…

« Hai ragione» assentì, passandosi distrattamente le dita lunghe e nervose tra i capelli.
« Quando hai iniziato?» chiese Lola, fissandolo in volto.
I suoi grandi occhi bruni brillavano di vivo interesse.
« Con precisione non ricordo. Forse vedere mio padre sempre con un pennello tra le dita mi ha incuriosito, o affascinato, chissà, inducendomi a imitarlo.»
« Ho avuto il piacere di vedere alcuni lavori di tuo padre. Sono fantastici. Sei fortunato ad avere un maestro come lui.»
« Mio padre non è il mio maestro. E’ mio padre, e basta. Non gli ho mai chiesto consigli o suggerimenti per i miei disegni, e lui non me ne ha mai offerti. Il nostro approccio verso l’arte è sostanzialmente diverso: per lui è una ragione di vita, per me è una grande passione, ma la mia vita non ruota attorno ai miei schizzi a carboncino. Ho altre priorità.»
« Ad esempio?»
« Il calcio. Lo studio. Gli amici.»
« E le ragazze!»
« Anche loro, certo. Occupano un posto importante nella vita di qualsiasi ragazzo della mia età.»
« Hai parlato di schizzi a carboncino. Di cosa ti occupi, in particolare?»
Tom sorrise.
« Sei libera di non crederci, ma disegno in prevalenza ritratti.»

Ecco, complimenti Lola! Hai infilato l’ennesima gaffe!! Che bisogno c’era di parlare in quel modo dei ritratti e dei ritrattisti?? Dannazione alla mia linguaccia!! Vorrei sprofondare…

« Scusa.»
Lola era mortificata.
« Perché dovrei scusarti? Se è per quello che hai detto poco fa, hai ragione. Tratteggiare le persone sulla tela è molto difficile, lo so bene. Tuttavia la sfida mi affascina. Voglio poter vedere dove si spinge la mia inclinazione artistica, quali risultati posso ottenere.»
Lola non replicò, limitandosi a guardare Tom con i suoi occhi di velluto.

Tom… Tom è molto diverso da come avevo immaginato che fosse… Avevo paura che il ragazzino allegro e gentile che ogni sera veniva a casa mia fosse stato sostituito da un giovane borioso e arrogante… E ora la mia paura deriva dal fatto che mi sbagliavo… Una paura sottile e persistente che mi scorre nelle vene insieme al sangue… Ho davanti agli occhi un ragazzo gentile e allegro come il ragazzino di quattro anni fa…

« E tu? Hai qualche preferenza particolare?» domandò Tom, prendendo una gran cucchiaiata di cream caramel dalla ciotola che aveva davanti.
« I paesaggi» rispose Lola, addentando con gusto l’ultima parte del suo hamburger ai funghi.
« Lo immaginavo» sorrise Tom, osservandola attentamente con il volto poggiato alla mano. « Lo schizzo che hai fatto alla lezione di Abbott denotava una grande esperienza per questo tipo di soggetti.»
« La natura mi ha sempre affascinato moltissimo. Praticamente non ho mai dipinto altro.»
« Con eccellenti risultati» aggiunse Tom, posando la ciotola vuota sopra il vassoio del pranzo.
Lanciò una rapida occhiata al piatto di Lola, e le chiese:
« Hai finito? Sai, dovrei andare. Julian mi ammazza, se arrivo in ritardo.»
« Non preoccuparti, ho finito. Adesso devo andare a casa, non ho lezioni nel pomeriggio.»
Lola e Tom afferrarono i libri e gli appunti e si diressero senza fretta verso l’uscita.
« Dove abiti?» domandò Tom.
« Io e Freddie abbiamo una cugina, qui a Tokyo. Sto da lei» replicò Lola.
« Sei fortunata. Hai potuto evitare la noiosa e frenetica trafila della ricerca disperata di un appartamento. Senza considerare il notevole risparmio per i tuoi.»
« Già. Tu dove abiti?»
« Io divido casa con tre miei amici, tre pazzi scatenati. Prevedo altri due anni molto lunghi…»
« Dai, non dire così! Sono sicura che non è poi così male convivere con altri ragazzi… Hai sempre qualcuno che ti fa compagnia! Specialmente se li si conosce bene…Chissà come vi divertirete!»
« Praticamente siamo cresciuti insieme. Li conosco da più di dieci anni… E troviamo sempre una scusa per ridere e divertirci!»
« Un po’ vi invidio… Qui a Tokyo non conosco nessuno, a parte mia cugina…»
« Conosci me, no? E se vuoi posso presentarti i miei amici, quelli di cui ti parlavo prima… Sono sicuro che anche loro sarebbero felici di conoscere una ragazza carina come te!»
Lola rivolse un sorriso luminoso al ragazzo, mentre Tom apriva la porta e le cedeva il passo.

Chissà, forse la mia vita universitaria non sarà così disastrosa come temevo…

« Ho ancora un quarto d’ora» considerò Tom, osservando pensieroso il suo orologio. « Devi andare a casa adesso? Perché se vuoi, qui all’università c’è una cosa che vorrei mostrarti.»
« No, non ho fretta. Posso andare a casa quando voglio. Di cosa si tratta?»
« Ssssh, sorpresa!» celiò Tom, posando il braccio attorno alle spalle della ragazza e avviandosi con lei lungo il corridoio.
Lola pensò di dire qualcosa, ma tacque. Nemmeno sotto tortura avrebbe potuto sostenere che quel contatto non fosse piacevole.

14.01 P.M.

Il sole si ergeva alto, facendo capolino tra le nuvole di un cielo striato di bianco luminescente e grigio perla, e i suoi raggi colpivano obliqui le fitte fronde degli alti alberi del parco, ferendo solo in parte il riparo d’ombra offerto dalle generose chiome lussureggianti.
Un ragazzo, steso su una panchina di legno, riposava, assaporando l’aria frizzante e il sole di quella giornata di primavera inoltrata, la prima di molte in cui la temperatura si sarebbe fatta sempre più mite e gli ultimi rimasugli d’inverno avrebbero finalmente lasciato il passo all’estate.
Pareva che dormisse; di fatto aveva le palpebre serrate e nessun muscolo era in tensione. L’unico rumore intorno a lui era costituito dal frinire del grilli e dalle foglie che la leggera brezza faceva fluttuare qua e là. Forse si era rifugiato in quel luogo proprio in virtù della quiete che sapeva di trovarvi, o forse, più semplicemente, si era appisolato, vinto dalla noia o dalla stanchezza.
Quali che fossero le sue motivazioni, era altamente improbabile che qualcuno giungesse a disturbare la sua pace.

Che quiete, che serenità… E’ proprio rilassante stare a contemplare l’immobilità della natura… Mi serve a ricaricare le batterie… Tutto il caos dell’università e ancora di più quello di casa certe volte ha la capacità di frustrarmi!

Il ragazzo venne distratto dei suoi pensieri dal risuonare di una voce cristallina, che il silenzio del parco dilatava ancora di più. Una voce che chiamava qualcuno.
« Tobey! Tobey! Ma dove ti sei cacciato?»

E adesso questo che vuole?! Ma non può stare un po’ zitto? C’è proprio bisogno di chiamare il suo amico in quel modo sguaiato?! Ma guarda un po’ che razza di gente…

Con un gesto di stizza si calcò il cappellino sugli occhi, nel tentativo di immergersi nuovamente nella pacatezza del silenzio, tuttavia senza riuscirci, visto che la voce pareva avvicinarsi sempre più.
Riaprì gli occhi di scatto, furioso, e il cuore gli balzò in gola vedendo, a pochi centimetri dal suo viso, due canini aguzzi come rasoi. Scattò in piedi, ansimando, tanto velocemente che il cappellino bianco scivolò a terra, imbrattandosi di terriccio e polvere. La creatura che lo aveva tanto spaventato era un bellissimo rotteweiler cioccolato e crema, dagli occhi dolci e il collare d’acciaio.
Il ragazzo spalancò le palpebre, attonito, fissando l’animale con aria stralunata, e il cane ricambiò lo sguardo, con curiosità. Gli si avvicinò, fiutò l’aria con il grande naso umidiccio e… afferrò saldamente tra i denti il cappellino non più immacolato del ragazzo.
D’istinto lui cercò di riprenderselo, e iniziò una lotta serrata con il cane, che, nonostante la taglia fuori misura, era ancora un cucciolone e interpretò il suo gesto come la volontà di giocare.
« Tobey!» ripeté la voce di poco prima, alle loro spalle. « Allora sei qui! Ma… Cosa stai facendo?»
Il ragazzo si voltò di scatto. Era furioso, glielo si leggeva su ogni tratto del viso. Adesso l’idiota proprietario di quello stupido cane l’avrebbe sentito!
I suoi occhi incrociarono quelli ricolmi di stupore di una ragazza, che l’osservava con un’espressione indecifrabile, a metà tra lo sconcertato e il divertito. Un’espressione che ebbe il potere di far montare ulteriormente la rabbia che il ragazzo provava dentro di sé.
Ad un gesto della sua padrona, Tobey allentò la stretta, lasciando il cappellino nelle mani del ragazzo, e si accostò a lei, agitando la coda, soddisfatto.
« E’ tuo questo stupido cane?» domandò lui, brusco.
« Se ti riferisci a Tobey, sì. Ma il termine “stupido” non è proprio adatto a lui. E’ anzi molto intelligente e socievole» replicò lei piccata, altrettanto bruscamente.
« Che sia socievole non ci sono dubbi, lo è fin troppo! Guarda come ha ridotto il mio cappello!»
La ragazza si avvicinò per vedere meglio, e non poté proprio trattenere un sorrisetto d’ironia frammista a soddisfazione: quel ragazzo così maleducato se l’era proprio meritato!
I loro sguardi s’incrociarono nuovamente, e tacquero per alcuni minuti, durante i quali si studiarono a vicenda, entrambi sulla difensiva.
La giovane si soffermò su ogni tratto del volto dello sconosciuto con sguardo critico.
Il ragazzo era alto, sul 1.80 circa, dalla corporatura asciutta e possente; i muscoli del suo corpo erano tesi sotto la maglietta bianca con lo scollo a V a strisce rosse sulle spalle e i pantaloni grigi, ampi e comodi, che indossava. Sul braccio destro faceva bella mostra di sé un cronografo dal quadrante nero a lettere dorate e il cinturino di pelle color crema, mentre al collo un sottile laccetto di cuoio sorreggeva un pendente d’argento, la tanto amata piuma indiana. La mano che sorreggeva il cappellino era impreziosita da un anello d’argento dal diametro tanto piccolo che non era stato possibile trovargli altra collocazione che non sul mignolo.
Sul volto dai tratti duri e decisi spiccavano gli occhi nerissimi, vivi, fieri e appassionati, dallo sguardo ironico e tagliente, e la pelle brunita segnalava una vita di sport all’aria aperta. Le labbra carnose erano atteggiate in un broncio seccato, mentre i capelli, neri e spettinati, erano tagliati corti sulla nuca.
Un brillio malizioso illuminò per un istante le iridi della ragazza.

Lo devo riconoscere, purtroppo… Questo cafone è veramente un bel tipo… Ma che fine hanno fatto i ragazzi belli e gentili di questi tempi?!

Il ragazzo osservò con altrettanto interesse la sua interlocutrice, e le sue labbra si piegarono per qualche istante in un sorriso ironico.

Se non fosse così maledettamente spocchiosa sarebbe perfino il mio tipo! Ma a quanto pare è sposata con questo mastino gigantesco…

La ragazza che aveva davanti era alta e slanciata, con due gambe lunghissime e tornite che si indovinavano appena sotto la longuette di jeans, mentre il seno scoppiava quasi sotto la maglietta attillata color crema e il cardigan di lana grigio chiaro lungo fino alle ginocchia. Ai piedi un paio di sandali di jeans, con l’allacciatura alla schiava, coprivano i piedi piccoli e ben fatti, simili a due colombe appena nate; sul profilo del volto minuto, su cui brillavano i superbi occhi azzurro vivo, si poteva leggere la perfezione di una statua greca.
Le labbra rosee e ben disegnate, il naso spruzzato di minuscole lentiggini, gli zigomi appena accennati, lo sguardo intenso e provocatore, erano mescolati in un amalgama perfetto e scintillante, che si manifestava chiaramente in ogni tratto del viso di lei, incorniciato da una cascata di capelli biondo miele, sfilati sulla fronte e dietro la nuca, che quel giorno erano stati lasciati sciolti sulle spalle, trattenuti appena da alcune forcine nere, in una rinnovata libertà di riflessi solari. La carnagione, chiarissima, quasi trasparente, seguiva anch’essa la nitidezza dei colori di occhi e capelli, e il maquillage da lei scelto quel giorno ne rifletteva perfettamente la delicatezza dei toni: ombretto di un caldo dorato sulle palpebre e sulle labbra un rossetto carminio pallido. Un bracciale di cuoio al polso destro e una sottile cavigliera d’oro alla caviglia costituivano, insieme a un sottile pendente d’argento all’orecchio sinistro, gli unici ornamenti.
I due ragazzi rimasero a osservarsi per parecchi secondi, con diffidenza, durante i quali Tobey dimostrò di essere forse la creatura più assennata del terzetto, dato che rimase seduto accanto alla sua padrona, la sua mano sul collare, con gli occhi liquidi placidamente posati su di lei.
Finalmente lui si decise a rompere la situazione di stallo che si era venuta a creare, sbottando:
« Perché non insegni un po’ di buone maniere a questo bestione?»
« Non ci penso nemmeno! Tobey è un cane educatissimo!»
« Tanto educato che per un pelo non riduce il mio cappello a brandelli!»
« Che sarà mai, per uno stupido cappello! Te ne compro quanti ne vuoi, di insulsi cappellini come quello!»
Il giovane le rivolse uno sguardo seccato.
« Si da il caso che questo cappello non abbia prezzo.»
La ragazza trattenne a stento una risata di scherno.
« Tutto questo discutere solo per un cappello vecchio e sdrucito!»
Lui le rivolse uno sguardo di fuoco.
« Questo cappello è il mio portafortuna. Ce l’ho da più di dieci anni, e non permetto che la prima bestia pulciosa che passa me lo riduca a brandelli, e men che meno che una ragazzina boriosa e saccente si permetta di metterne in dubbio il valore che può avere per me.»
La ragazza tacque.

Forse ho esagerato… Ma chi poteva immaginare che questo tizio fosse attaccato in una maniera quasi morbosa a questo cappellino tutto rovinato?

« Ti consiglio di tenere più sotto controllo la tua bestiaccia!» esclamò lui, imbaldanzito dal silenzio di lei.
« E io ti consiglio di non addormentarti più su una panchina del parco. Altrimenti un giorno di questi non sarà Tobey a voler giocare con il tuo cappello, ma un uccellino ci depositerà sopra un suo ricordo!» replicò lei.
Mise il guinzaglio a Tobey e si allontanò con lui senza salutare, le labbra atteggiate in un sorriso soddisfatto, mentre lui l’osservava, allibito e furente.

Cafone!

Strega!

14.46 P.M.

« E’… è… straordinario!» mormorò Lola, rapita dal trionfo di petali di ciliegio cui poteva ammirare la magnificenza.
Era talmente assorta dalla luminosità dei colori, che i raggi del sole, infilandosi obliquamente tra i rami, faceva risaltare maggiormente, che le caddero i libri di mano.
Tom si chinò e li raccolse, le labbra distese in un sorriso compiaciuto.
« Sapevo che ti sarebbe piaciuto» disse solo, porgendole i volumi.
Lola arrossì, mentre le mani sfioravano quelle di lui. Balbettò uno stentato “scusami”, e abbassò lo sguardo.

Cos’è questo strano calore che sento nelle dita? Perché sento il viso in fiamme? Non è successo niente, eppure mi sento così confusa, quasi stordita…

Tom non si accorse del suo turbamento, e le sorrise.
« Lorelei, questa è la parte più bella di tutta l’università. Un magnifico giardino interno. In questo periodo dell’anno, poi, con tutti i ciliegi in pieno fiore, è assolutamente magnifico.»
« E’ quasi magico, con quest’atmosfera ovattata e silenziosa, e gli alberi di una bellezza antica e solenne. Non avevo mai visto un parco così bello, prima. Ti ringrazio dal profondo del cuore di avermi portato qui. Sono sicura che il mio primo giorno all’università anche in futuro rappresenterà uno dei miei ricordi più belli.»
Lola gli rivolse un sorriso radioso, che le illuminò interamente il volto. Tom non poté fare a meno di ricambiare il sorriso, rapito dall’entusiasmo di lei.

Questi sorrisi… Fanno bene al cuore…

« Se non ricordo male a Kyoto i ciliegi del parco non erano così imponenti» commentò Tom.
« Infatti. E durante la fioritura erano quasi spogli. Un vero peccato, ma quegli incompetenti del sindaco e dalla giunta dicevano che i soldi dei contribuenti andavano spesi in ben altro modo che non nella cura di due vecchi alberi malandati. Tutte fesserie» replicò Lola, infervorandosi.
Una lunga ciocca di capelli, liberata da una treccia dall’aria frizzante, prese a sbatterle sul viso, e lei la fermò dietro l’orecchio.

In quel momento era tutto assolutamente perfetto.


Lorelei… E’ una ragazza incantevole…

Tom si sedette su una panchina, posando accanto a sé i libri. Lola lo imitò, e prese posto accanto a lui. Restarono in silenzio per alcuni minuti, ascoltando il sussurro di una fresca brezza, che presumibilmente si stava alzando dal mare.

Io… Quante volte ho sognato di trascorrere anche cinque minuti così…

« Kyoto… Da quando me ne sono andato sono già passati quattro anni…» rifletté Tom.
Lola annuì.
« Come passa in fretta il tempo… Allora vagabondavo per il Giappone seguendo mio padre nei suoi spostamenti…»
« Ma sei andato anche in Europa, o mi sbaglio?»
« No, dici bene. Ho anche abitato in Francia per diversi anni. Ma ormai mi sono stabilizzato qui.»
« Vuoi diventare un calciatore professionista?»
« Sì, mi piacerebbe. Ma ancora non ho ben deciso. Quello di cui m’importa veramente è giocare, poi è ininfluente se in una squadra di serie o in una di quartiere.»
« Beh, la Morrison non mi sembra una squadra di quartiere!» rise Lola.
« Già!» ammise Tom, con un sorriso che scoprì due simpatiche fossette agli angoli della bocca.
« Tu invece? Scommetto che diventerai una pittrice famosa.»
Lola arrossì.
« Mi piacerebbe moltissimo, e proverò a diventarlo. Dipingere è la cosa che mi piace fare di più al mondo, e sarebbe fantastico potermi realizzare in un campo che amo tanto.»
« Ci riuscirai, vedrai. Hai del talento.»
In quel momento una folata di vento improvvisa sollevò la cartellina degli appunti di Tom, spargendo il suo contenuto nei dintorni. Tom e Lola saltarono su come molle per raccogliere le varie carte, prima che il vento le disperdesse ulteriormente.
« Mi devo ricordare di comprarmi un portadocumenti serio, e decidermi a buttare questa inutile cartellina» commentò Tom, radunando un gran numero di fotocopie.
« Lorelei, ti dispiace passarmi gli appunti e… Cosa stai guardando?»
Lola sembrava assorta in qualcosa, tanto da non sentire nemmeno la sua voce. Tom le si avvicinò, curioso.
« Cos’hai trovato?» le chiese, inchinandosi affianco a lei.
Lola sussultò, voltandosi di scatto. In silenzio gli porse il suo album da disegno. Nella prima pagina vi era raffigurata una bella donna, dai capelli morbidi e il sorriso sereno. Tom chiuse il blocco di scatto e si alzò.
« Non l’ho aperto io, sul serio. L’ho trovato così» disse Lola, tirandosi su.
« Sì, ti credo.»
« L’hai disegnato oggi, non è vero?»
« Sì Ma ora basta parlarne. E’ solo uno stupido disegno.»
« Se è solo uno stupido disegno, perché ti da così fastidio parlarne? Perché l’hai disegnato alla lezione di Abbott, quando poteva essere mostrato a tutti gli altri ragazzi?»
Tom sorrise. Un sorriso amaro, che contrastava quasi in modo grottesco con l’espressione allegra e distesa di poco prima.
« Abbott non ha l’abitudine passare per i banchi facendo vedere bozzetti. Per te ha fatto un’eccezione, perché il tuo schizzo era straordinario. Tu puoi averne avuto una diversa impressione, è naturale, ma prima di oggi nessuno aveva avuto l’onore di essere presentato come un genio, come è successo a te stamattina. E inoltre mi pare di ricordare che Abbott ti abbia chiesto il permesso, prima di mostrarci il bozzetto.»
« Sì, hai ragione, l’ha fatto. Ti chiedo scusa se, seppur non volendolo, ti ho messo a disagio o ho invaso la tua sfera privata. Devi tenere davvero molto a quella persona se ciò ti spinge a reagire così…»
Le parole di Lola erano poco più che un sussurro, e in fondo alle sue iridi si poteva leggere un sincero sconforto. Tom l’osservò per alcuni minuti, troppo turbato per parlare.

Questa ragazza… Come avrà fatto a capirlo? Possibile che l’abbia compreso attraverso un ritratto appena abbozzato?

« Lei è… è mia madre» mormorò, tenendo tra le mani lo schizzo. « Così com’era prima che i miei genitori divorziassero.»
« Le devi volere molto bene» replicò Lola, rivolgendogli una lunga occhiata fiduciosa. « L’hai ritratta attraverso gli occhi di un bambino che vede sua madre come un angelo, una creatura giovane e bella che niente, neppure il tempo, può scalfire.»
Tom ricambiò lo sguardo limpido che la ragazza gli rivolgeva. Tra di loro stava calando un’impalpabile tensione. Si stavano avventurando in un terreno minato, Tom ne era consapevole, Lola no. Non parlava volentieri di sua madre, che si era rifatta una nuova vita e aveva sperimentato un’altra volta la maternità lontano da lui.
« Il tuo affetto per lei è ben visibile, in ogni linea e sfumatura. Per ritrarre in questo modo una persona si deve essere legati a lei da un sentimento che va ben oltre le parole. E’ per questo che non dipingo mai ritratti. Non sarei capace di trasmettere alle dita le emozioni come invece sai fare tu, o forse non voglio farlo, non so.»
Tom tacque. La verità di quelle parole l’aveva colpito nel profondo. Non si era mai accorto di quanto in verità amasse sua madre, e il fatto che fosse lei il soggetto ricorrente dei suoi disegni l’aveva interpretato come una sorta di ossessione, forse un complesso di Edipo mai risolto. Invece il motivo che lo spingeva a ritrarla era più semplice, forse anche più banale: l’affetto di un figlio verso sua madre.
« Scusami, non volevo annoiarti con le mie stupide deduzioni» si schernì Lola, interpretando il silenzio di lui nella maniera sbagliata. « Parlo sempre troppo, e a sproposito, anche.»
Si voltò, visibilmente a disagio.
« Che ne dici, andiam…»
Non finì la frase. Due braccia le avevano serrato le spalle, e poteva avvertire sul collo il respiro di Tom, i suoi capelli solleticarle il viso.
« Grazie» mormorò il ragazzo.
Le gote le s’imporporarono, e sorrise, posando le mani piccole e bianche sopra i muscoli tesi di lui.
« Non so perché… ma prego!» rise, con gli occhi che le brillavano.

15.22 P.M.

« Buongiorno, capitano» disse Jenny, rivolgendo al ragazzo un sorriso radioso.
« Jenny…?» balbettò lui, sconcertato da quell’improvvisa apparizione.
« Proprio io» confermò lei, stringendogli forte una mano.
« Toh, finalmente qualcuno è riuscito a farlo rimanere senza parole!» commentò Julian, con un brillio malizioso nelle iridi.
« Julian! Shhh! Tu adesso vieni con me!» lo redarguì Amy, afferrandolo per un braccio e trascinandolo via.
Philiph e Jenny rimasero soli, nel corridoio deserto.
« Beh? Che c’è? Sembra che tu abbia visto un fantasma!» celiò Jenny, intimamente soddisfatta della perfetta riuscita della sorpresa che aveva voluto fargli.
Philiph tacque. La fissava intensamente, quasi volesse leggerle dentro. Jenny sentiva la pelle bruciarle sotto quel leggiadro tocco. Il ragazzo le si accostò leggermente e l’attirò a sé, nascondendo il volto tra le ciocche di capelli di lei.
« Sei qui…» mormorò soltanto.
Jenny chiuse gli occhi, lasciandosi stringere da quelle braccia forti.
« Sono qui. E sono venuta per restare» sussurrò.
Philiph le prese il viso tra le mani. La guardò dolcemente, sfiorandole appena una guancia con le dita.
« Sei tornata per me?» le chiese.
« Sono tornata per l’uomo che amo» rispose lei.
Gli toccò fuggevolmente il naso con l’indice, e sorrise. Lui la baciò, e quando le loro labbra si unirono anche le loro anime si strinsero in un abbraccio troppo a lungo atteso, troppo spesso rimandato.

Un’antica leggenda greca racconta che un tempo gli uomini erano esseri con quattro gambe, quattro braccia, due visi, ma una sola anima. Per punirli di una loro mancanza, il padre degli dei scisse ogni creatura umana in due parti distinte: così ogni uomo, ogni donna, ogni bambino, si ritrovò un corpo con due braccia, due gambe, un viso. Ma l’anima, alla quale era stata strappata brutalmente la propria metà, non era più completa. Da allora, attraverso i secoli, ogni creatura umana vive la propria vita con l’inconsapevole ma pressante urgenza di ricongiungersi all’altra metà della propria anima.*

15.37 P.M.

I raggi del sole rilucevano sui fili d’erba, tagliata di fresco, del campo da calcio. Una quindicina di ragazzi, in tenuta sportiva bianca e blu, correva in circolo, in silenzio, mentre il sudore imperlava le loro fronti. Un paio di occhi attenti e vivaci seguiva ogni loro movimento, con vivo interesse.
« Kevin, non stai sfilando su una passerella! Alza quelle gambe e muovi quel culo, per la miseria!»
« Sbaglio o siamo nervosetti oggi?» domandò una ragazza, seduta sulla panchina dell’allenatore.
Porse a chi aveva parlato, un ragazzo dalla corporatura atletica e il viso corrucciato, una bottiglietta d’acqua, mentre un lieve sorriso ironico le increspava per un momento le labbra.
« Amy, non mettertici anche tu! Vorrei vedere te al mio posto! Tre, e dico tre, dei miei giocatori, non si sono presentati agli allenamenti! Ho tutti i diritti di essere nervoso! Ma stasera a casa mi sentiranno, eccome!» sbottò Julian, stappando la bottiglia di scatto e bevendo una gran sorsata d’acqua.
« Hai mai pensato che forse sei troppo esigente?» rispose Amy, con un’espressione di burla bonaria dipinta sul viso.
« In fondo sai benissimo che Phil è pienamente giustificato. Non casca il mondo se per oggi non viene agli allenamenti. Tom starà sicuramente arrivando…»
« Chissà cosa diavolo l’ha trattenuto» l’interruppe Julian.
Amy sorrise, e posò una mano piccola e bianca sopra quelle salde e brune di lui.
« Lo sai anche tu che Tom è molto responsabile e che ci sarà sicuramente una motivazione valida per il suo ritardo. In due anni, quante volte ha tardato ad un allenamento?»
« Si contano sulle dita di una mano» rimuginò Julian.
« Vedi, allora» accondiscese lei, soddisfatta. « Che ne dici, sarà con una ragazza?»
Julian la guardò per un momento, e non poté trattenere una risata.
« Non ci credi nemmeno tu, vero?»
« No, infatti» ammise Amy.
« Non è il tipo da mancare un impegno per una ragazza» considerò lui.
« Certe volte penso che questo ragazzo è troppo serio!» sbuffò Amy, sistemandosi una ciocca di capelli fulvi dietro l’orecchio.
« Ah, se l’avesse chi dico io metà della correttezza di Tom…» commentò Julian, con un sospiro. «Mi ha dato grane a non finire!»
« Lui sì, è molto probabile che sia con una ragazza!» rifletté Amy, posando la testa sulla spalla di lui e chiudendo gli occhi.
« Sei stanca?» le domandò Julian, carezzandole i capelli con una mano.
« Da morire! Certe volte studiare medicina è proprio dura!»
« Ma ne varrà la pena. Sono sicura che sarai una pediatra fantastica, adorata dai suoi piccoli pazienti!»
Tra loro calò un silenzio imbarazzato. Ricordavano entrambi cosa significava per un bambino trascorrere le giornate in ospedale, tra l’odore pungente del disinfettante e le pareti spoglie e deprimenti, la spossatezza del corpo e dell’anima a causa della noia e dell’inedia, e di come un libro o una visita potessero significare una breve ma intensa evasione da quella prigione quotidiana.
Julian si passò istintivamente le mani sulle braccia, coperte dalla felpa grigio chiaro.
« Non ci pensare. Sono solo ricordi» disse Amy, stringendolo a sé in un abbraccio carico d’affetto e comprensione.

Lo so Julian… Lo so. Non è facile pensare a quegli anni. Non li ho potuti scordare nemmeno io… Ma forse non dobbiamo dimenticare, dobbiamo ricordare… Per vivere con piena consapevolezza…

Tu… Quante volte mi hai tenuto così, stretto a questo tuo corpo sottile… E in quegli attimi mi aggrappavo a te, come se solo tu potessi salvarmi dal baratro in cui sentivo di star precipitando…

« Ma che scenetta romantica!» sogghignò una voce dietro di loro.
Entrambi si voltarono, e i loro occhi incrociarono lo sguardo beffardo e sfuggente di un ragazzo alto, con i capelli nerissimi in uno studiato disordine.
« Benjamin Price! Finalmente sei arrivato!» sbottò Julian, alzandosi di scatto.
« Calmo, Juls. Non serve a nulla infuriarsi e farmi la solita lavata di testa. Tanto ormai sono qua. Non cambia niente. Né per te né per me. Perciò, fammi il favore, dacci un taglio, ok?» replicò Benji, infilandosi i guanti e dirigendosi lentamente verso i pali della porta.
« Benji! Torna qui! Non puoi sfuggirmi, lo sai!» gridò Julian.
« Dopo, dopo» rispose Benji, impassibile.
« Cos’è, Benji? Oggi una ragazza ti ha dato buca?» lo schernì Amy, prendendosi così una piccola vendetta.
« L’unica ragazza che è stata capace di resistere al fascino dirompente di Benjamin Price sei tu, mia cara. Quando ti deciderai a uscire con me?» replicò Benji, con nonchalance.
Amy gli rivolse una lunga occhiata divertita. Benji si divertiva a recitare quella commedia quasi ogni giorno, al puro scopo di stuzzicare Julian, e lei gli dava corda. In parte perché anche lei si divertiva come una bambina, e in parte perché nutriva la segreta speranza che Julian s’infastidisse, vedendola oggetto delle attenzioni di Benji. Invece niente, Julian rimaneva impassibile, inafferrabile ed enigmatico come sempre. A volte nemmeno lei riusciva a scorgere il fondale dentro quelle iridi oscure, e ciò la spaventava. Voleva riuscire a comprendere cosa nascondesse dentro di sé, che sentimenti provasse veramente per lei. Aveva cercato diverse volte di parlargli, ma senza risultato. Lui diventava chiuso ed evasivo, come un anemone di mare che si ritrae non appena viene sfiorato. Era innamorata di lui fin da bambina, e certe volte ciò che provava diventava così pesante nel suo petto da mozzarle quasi il respiro. Julian non si accorgeva nemmeno della sua inquietudine, o forse non voleva rendersene conto.

Chissà, forse, nonostante le mie illusioni e le mie speranze, per lui io non sono altro che una buona amica d’infanzia, l’equivalente femminile di Tom e Philiph…

Benji la guardò negli occhi, e indovinò i suoi pensieri. Le si era come velato lo sguardo, e il ragazzo sapeva che quell’espressione compariva nel viso di Amy solo quando pensava a Julian.

Julian… Sei un imbecille! Hai vicino a te una ragazza che ti adora, e non te ne rendi conto! Se non cambierai atteggiamento un giorno la perderai…

Benji si avvicinò ad Amy, e le circondò le spalle con un braccio.
« Vieni carotina, andiamo a berci qualcosa di fresco al bar! C’è un caldo infernale qui, non si resiste!» disse, facendole l’occhiolino in segno d’intesa.
« BENJIIIIIIIIIIIIII!! Tu non vai da nessuna parte! Fila subito ad allenarti!» sbottò Julian, scagliando per la stizza un pallone contro la recinzione del campo.
« Ok, mister. Ci vado. Tra dieci minuti!» replicò Benji, impassibile, avviandosi con Amy verso l’uscita.
Videro Julian accasciarsi sulla panchina, vinto dalla leggendaria faccia tosta di Price.
« Benji!» gridò. « Dieci minuti! Dieci minuti esatti! Se tardi anche solo di 30 secondi la prossima partita non ti faccio giocare! Tutto chiaro? E voialtri, cosa state facendo lì fermi come baccalà? Fatemi 100 scatti! Ora!»
Amy e Benji risero di gusto, osservando la sfuriata di Julian agli altri ragazzi della squadra. Aveva perso proprio le staffe. Non era molto facile che Julian Ross, erede di un impero finanziario, studente e atleta modello, idolatrato dalle ragazze, si lasciasse andare a certi eccessi.
« Ok, mister! Torno tra dieci minuti esatti!» gridò Benji, con un gran sorriso stampato in volto.
Julian gli rivolse uno sguardo torvo, ma Benji non poté vederlo, impegnato com’era in una vivace conversazione con la ragazza che aveva affianco.
« Non avrai esagerato? Julian era proprio fuori di sé!» commentò Amy.
« Forse un po’… Ma che vuoi farci, mi diverte troppo provocarlo! E lui come un pollo ci casca con tutte le scarpe! Non è così impassibile e controllato come vuol far credere, anzi!» rise Benji.
« Povero Julian!» sorrise Amy.
« In fondo se l’è meritata, però! Certe volte è così ottuso… Ha una perla di ragazza vicino e nemmeno se ne accorge! Anche se credo che in realtà faccia solo finta di non vederti, Amy…»
« Adulatore!» replicò Amy.
I suoi occhi dorati brillavano di malizia. Si sentiva molto meglio, grazie a Benji.
« E un casanova come te oggi non aveva appuntamento con qualche ragazza?»
« Proprio oggi… no! Sul serio, sono andato al parco. Volevo stare da solo per qualche ora. Per pensare.»
« Hai qualche problema? Sei preoccupato per qualcosa?»
« No. Va tutto bene. Mi andava di stare da solo, tutto qua. Ti capita mai?»
« Sì, spesso. E’ utile ogni tanto ritagliarsi uno spazio per se stessi.»
« Già. Anche se, adesso che mi ci fai pensare, una ragazza l’ho incontrata…» considerò il ragazzo, sovrappensiero.
« Ah, davvero? E chi era?» domandò Amy, curiosa.
« Una iena bionda accompagnata da un colosso.»
« Eh?»
« Lascia stare, è stato un incontro occasionale e grazie al cielo le nostre strade non si incroceranno più!»
« Questa ragazza deve avere proprio lasciato il segno, eh?»
« Già… Ma in negativo! Era la persona più presuntuosa e arrogante che abbia mai avuto la sfiga d’incontrare!»
« Interessante, una ragazza che è stata capace di tenere testa a Benjamin Price!»
« Non sfottere, Amy.»
Benji sembrava proprio seccato, e Amy non aggiunse altro, non riuscendo però a trattenere un sorrisino ironico. Tacquero entrambi, ognuno immerso nei propri pensieri. Erano quasi arrivati al bar, quando svoltando un angolo si trovarono davanti a una scena singolare…

15.45 P.M.

« Porca miseria, questa volta Juls mi ammazza!» annunciò Tom, correndo nel corridoio con i libri sottobraccio e Lola affianco.
« Non essere catastrofico, dai! Sei ritardo, d’accordo, ma non per questo crollerà il mondo!» cercò di rincuorarlo lei.
« Come si vede che non conosci Juls! Se c’è una cosa su cui non transige, sono gli allenamenti! Tu sei la mia unica speranza: se vede che c’è una ragazza, quasi sicuramente non mi dirà niente, anche se stasera una bella lavata di testa non me la toglie nessuno!»
« Julian Ross è uno dei ragazzi con cui dividi l’appartamento?»
« Già. Pensa tu che sfiga… In casi come questo vorrei vivere da solo!»
« Mi dispiace… Hai fatto tardi per colpa mia!» considerò Lola, sinceramente dispiaciuta.
Tom smise di correre e le rivolse un gran sorriso.
« Ma non è vero, e lo sai! Non mi hai costretto tu a mostrarti il giardino interno, e una volta lì il tempo è volato! Non dire più e soprattutto non pensare più cavolate del genere, va bene?»
Lola annuì. I due ragazzi avevano ripreso a camminare a passo spedito l’uno affianco all’altra, nel corridoio vuoto e silenzioso. D’un tratto, svoltando un angolo, incrociarono due ragazzi che si baciavano dentro un’aula vuota.
« Loro hanno trovato un posto dove non venire disturbati!» sorrise Lola, comprensiva, guardandoli e indicandoli a Tom.
Il ragazzo rivolse loro uno sguardo distratto, poi tornò a guardarli e il suo volto mutò espressione. Quella maglia turchese… I capelli neri che sfioravano le spalle… La corporatura possente… Erano tutti tratti che non gli erano nuovi!
Si avvicinò a loro e afferrò per una spalla il ragazzo, costringendolo a guardarlo.
« Philiph! Pezzo d’idiota! Cosa stai facendo qua? Dovresti essere agli allenamenti! E soprattutto, visto che fino a stamattina sospiravi per la tua Jenny, cosa ci fai qui con lei?»
Philiph lo osservò per un istante, stralunato, e scoppiò in una fragorosa risata che riecheggiò per tutto il corridoio. Solo allora Tom si voltò e i suoi occhi incrociarono quelli di una ragazza dagli occhi luminosi e le gote rosee, che agitava timidamente una mano verso di lui.
« Oddio… Non posso crederci… Jenny… Sei tu?» balbettò, confuso.
Jenny lo abbracciò con affetto.
« In carne e ossa! Jennifer Morgan, per servirti, appena ritornata dall’America! Ciao Tom, che piacere vederti! Ti trovo in forma!»
« E tu sei bella come sempre, Jenny!» rispose Tom, baciandola sulle guance.
« E tu sei scemo come sempre!» intervenne Philiph, rivolgendogli una lunga occhiata ironica.
« Ho fatto un errore, d’accordo!» sbuffò Tom, alzando le mani in segno di resa.
« Non è grave! Almeno adesso so che qualcuno vigilava sul tuo comportamento, giovanotto!» commentò Jenny, con un sorriso, appoggiando la testa sulla spalla di Philiph, mentre lui le circondava la vita con un braccio.
« Cos’è, una festa? Un raduno di camerati?» proruppe una voce alle loro spalle.
Una voce non certo sconosciuta. I ragazzi si voltarono e si trovarono davanti Amy e Benji, che li fissavano con interesse.
« Cosa state combinando qua, lavativi?! Perdete tempo anziché andare ad allenarvi, quando c’è il vostro mister che proprio oggi è inkazzoso come non mai?» li canzonò Benji.
Amy non riuscì a trattenere un sorriso, incrociando lo sguardo di Jenny, e Tom disse, con una strana luce negli occhi:
« Guarda un po’ chi c’è abbracciata al nostro capitano…»
Benji sorrise di puro piacere quando i suoi occhi incrociarono quelli di Jenny, e la strinse tra le braccia facendola volteggiare.
« Ma guarda chi c’è! La piccola Jenny! Quando sei arrivata?» domandò.
« Ciao Benji! Sono felice anch’io di rivederti! Solo, per favore, mettimi giù!» implorò Jenny, con la testa che le girava.
Benji allentò la stretta e la posò a terra. Jenny barcollò per un istante, trasse un lungo sospiro e rispose:
« Poche ore fa. Amy è venuta a prendermi all’aeroporto.»
« Tu sapevi tutto, allora?» chiese Tom. « Del ritorno di Jenny?»
« Ma certamente! Abbiamo cospirato alle vostre spalle per mesi!» rispose Amy, scambiando con Jenny una lunga occhiata complice.
« Avevo fatto richiesta di una borsa di studio per concludere gli studi qui in Giappone, ma fino all’ultimo non sapevo se me l’avrebbero accordata» spiegò Jenny. « La svolta c’è stata due settimane fa. Il tempo di impacchettare e spedire la mia roba, salutare famiglia e amici, ed eccomi qui!»
« Hai già trovato casa?» chiese Benji.
« Certo. Starà da me» intervenne Amy. « Siamo d’accordo. Avevo giusto bisogno di una coinquilina!»
« E’ tutto pronto. Domani inizierò a frequentare le lezioni!» concluse Jenny.
« Piuttosto… Tom… Perché non sei ad allenarti? Cosa ti ha trattenuto fino a quest’ora?» domandò Philiph.
« Oh, per la miseria, Lorelei! Dov’è finita? Che se ne sia andata?» farfugliò Tom, agitatissimo.
Si voltò e la vide, a circa cinque metri da lui, in disparte.
« Lorelei! Scusami! Sono stato imperdonabile! Per un attimo mi sono scordato di tutto, allenamenti compresi…»
« E anche di me» replicò Lola, arrossendo.
Sentiva su di sé gli sguardi curiosi degli amici di Tom, e non poteva fare a meno di avvertire un certo disagio. Tom le si avvicinò, e disse:
« Sono desolato… Sono stato proprio un cafone, lo riconosco, scusami tanto... Vedi, Jenny, la ragazza di Philiph, è tornata oggi dall’America dopo sette anni…»
« Non preoccuparti, capisco. E’ stata proprio una bella sorpresa, vero?»
« Già! Nessuno, tranne Amy, ne sapeva niente! Ma tu, perché non ti sei avvicinata?»
« Non volevo disturbarvi con la mia presenza…»
« Ehi Tom, si può sapere cosa aspetti? Presentaci la tua amica, no?» intervenne d’un tratto Benji.
« Ti va di conoscere questa combriccola di pazzi?» la invitò Tom, rivolgendole un sorriso dolcissimo.
« Io… Va bene» mormorò Lola, con un fil di voce.
Tom le circondò le spalle con un braccio, con fare protettivo, e la scortò dai ragazzi.
« Ragazzi, questa è Lolerei Jackson, una mia vecchia amica nonché ex vicina di casa. Ci siamo incontrati per caso stamattina alla lezione di Abbott» disse.
« O forse sarebbe meglio dire scontrati!» corresse Lola, ridendo.
« Già! Mi ha travolto svoltando un angolo!» sorrise Tom.
« Io? Guarda che sei stato tu!» esclamò lei, fingendosi sdegnata.
Tom sorrise, scuotendo la testa, divertito. Infine disse:
« Lorelei, questi sono i miei amici. La ragazza dai capelli rossi si chiama Amy Sommers, lo spilungone accanto a lei è Benjamin Price, mentre loro sono Jennifer Morgan e il suo ragazzo, il nostro capitano Philiph Callaghan.»
« Molto lieta di conoscervi, ragazzi!» disse Lola, con un sorriso luminoso. « Mi chiamo Lorelei, ma se volete potete chiamarmi Lola, è più semplice. A casa mia mi chiamano tutti così.»
« Ciao Lola!» interloquì Amy, tendendole la mano.
Lola la strinse con vigore, osservandola con attenzione. Amy era davvero bella, con quei capelli lunghi e setosi e la pelle di porcellana; assomigliava ad un’antica dama di corte dalla bellezza raffinata e soave.
« Ciao, Lorelei» sorrise Jenny. « Hai davvero un bellissimo nome. Molto evocativo.»
Lo sguardo di Lola s’illuminò di piacere per il complimento inaspettato, e spiegò:
« E’ il nome di una rupe che si affaccia sulle rive del Reno, in Germania, a cui è legata una leggenda. Si racconta che sulla sua sommità sedesse una sirena, e che avesse l’abitudine di pettinarsi i lunghissimi capelli disperdendo nel vento il suo canto melodioso. I marinai che lo udivano, colti da follia, nell’inutile tentativo di raggiungerla, distruggevano la propria nave contro la roccia e perivano.** Molti poeti, tra cui Heine, trassero ispirazione da questa vicenda, e mia madre mi battezzò così perché credeva che fosse di buon auspicio.»
« Una bellissima leggenda, davvero! Tua madre dev’essere una donna molto colta e intelligente. Altro che la mia, che non ha saputo trovare di meglio per il suo unico figlio che il nome del nonno… Ciao, io sono Benjamin, ma questa banda di scalmanati mi chiama semplicemente Benji» affermò Benji, sfoderando il suo sorriso più seducente.
« Ciao, piacere di conoscerti» rispose timidamente Lola.
« Il piacere è tutto mio. Tom non ci aveva mai detto di avere un’amica così carina!»
Lola arrossì, e Philiph lo ammonì:
« Price, sei sempre il solito!»
Si rivolse alla ragazza:
« Io invece sono Philiph. Ciao, Lola.»
Philiph le strinse con vigore la mano, rivolgendole uno sguardo incoraggiante, e Lola gliene fu grata.
Era insicura e riservata, e odiava essere al centro dell’attenzione. In quel momento non le era facile trovarsi non solo al cospetto di Tom, ma anche dei suoi amici, tutti famosi e ricercati, per di più. Era naturale perciò che si trovasse a disagio, sebbene i ragazzi fossero tutti molto simpatici e ben disposti verso di lei.
Li osservò con attenzione, e commentò a voce alta, quasi non rendendosi conto delle sue parole:
« Visti da vicino siete davvero imponenti… La tv vi rimpicciolisce.»
« Tu ci conosci?» chiese Philiph, sorpreso.
Lola, meravigliata dallo stupore che poteva leggere nel viso di Philiph, replicò:
« E chi non vi conosce?»
« Freddie, il fratello di Lola, è un mio buon amico» spiegò Tom. « E’ stato mio compagno di club alle superiori, a Kyoto, ed è un grande appassionato di calcio.»
« Oltre che un tuo fan scatenato. Conserva in un album tutti gli articoli che parlano di te» completò Lola, con un brillio malizioso negli occhi bruni.
« Ora capisco. Con un fratello del genere ed un elemento come lui ad un tiro di schioppo da casa, non avresti potuto certo sfuggire alla trappola del calcio» considerò Benji, ironico.
« Cosa vuol dire "come lui"?» chiese Tom, fulminandolo con una sola occhiata.
« Vuol dire proprio quello che ho detto! Sei proprio come Holly: due fissati col pallone!» chiarì Benji, non lasciandosi intimorire dallo sguardo assassino dell’amico.
« Poteva essere vero fino a quando eravamo dei bambini; ora non è più così, e lo sai!» replicò Tom, con decisione.
« Parla per te; per Holly ho i miei dubbi che sia cambiato qualcosa!» insistette Benji.
« Scusate, ma chi è Holly?» domandò timidamente Lola.
« Holly è il soprannome con cui noi tutti chiamiamo Oliver Hutton» rispose Tom, ritrovando la consueta pacatezza di modi che per un attimo era stata scalfita dalle pungenti insinuazioni di Benji.
« Sai chi è Oliver, vero?» le chiese, sicuro della sua risposta.
« Certo! Il numero 10 e capitano della nazionale giovanile, goleador e regista, l’eroe degli ultimi mondiali!» replicò Lola, con convinzione.
« Sei proprio un’esperta!» esclamò Philiph. « E’ raro trovare una ragazza che s’intenda di calcio, complimenti!»
COFF… COFF…
L’inconfondibile suono di chi finge un improvviso colpo di tosse attirò l’attenzione di tutti, e i loro sguardi si posarono su Amy e Jenny, che li osservavano con una malcelata insoddisfazione negli occhi.
« Scusateci…» disse Amy. « Ma io e Jenny cosa siamo secondo voi?»
« Appariamo forse come delle incompetenti ai vostri occhietti ingrati?» aggiunse Jenny.
« Assolutamente no!» si affrettò a replicare Tom. « Voi siete preparatissime sull’argomento!»
Jenny lo guardò, sorniona.
« L’hai detto un po’ troppo in fretta, Becker…» disse. « Devo forse pensare che volevi darci un contentino?»
« Ma no! Cosa vai a pensare?» intervenne Philiph. « Jen, lo sai che tu, Amy e Patricia, dopo tutti gli anni passati a seguito delle varie squadre e della nazionale poi, siete come dei nostri compagni… Con la sola differenza che non scendete in campo!»
Amy e Jenny sorrisero, finalmente soddisfatte.
« Bel discorso, Phil! Ma dilla tutta…» replicò Benji. « Le nostre graziose signorine sono sì delle vere esperte in materia, però il motivo che le ha spinte ad avvicinarsi a questo mondo non era certo la passione per lo sport, ma bensì quella mai nascosta per i bei ragazzi…»
« E cosa c’è di male in questo? Se si può unire l’utile al dilettevole…» ribatté Amy, con un sorriso sereno.
Ricordava perfettamente la ragazzina che era stata, la stessa che si era avvicinata alla squadra della sua scuola per vincere la solitudine dopo il trasloco nella grande capitale del Giappone, e che poteva passare ore ed ore a bordo campo strofinando palloni macchiati d’erba e fango, mentre con la coda dell’occhio seguiva gli allenamenti della squadra. Si sentiva pervadere dalla tenerezza al solo pensiero. Sì, sicuramente le immagini di quella ragazzina taciturna rientravano tra i suoi ricordi più dolci. E lo stesso valeva, ne era sicura, anche per Jenny.
I ragazzi risero tutti, e Benji alzò le mani in segno di resa, vinto dallo spirito pratico di Amy, che, incoraggiata dal successo, aggiunse:
« Vi dirò di più! Consiglio a tutte le ragazze in cerca di un fidanzato di diventare managers di qualche squadra!»
Tom, notando lo sguardo perplesso di Lola, le mormorò in un orecchio:
« Sia Amy che Jenny erano le managers delle rispettive squadre alle medie. Amy lo è stata anche alle elementari, sempre per la Musashi, la squadra di Julian. Ed è proprio così che Philiph e Jenny si sono conosciuti e innamorati.»
« Stanno insieme da allora?» sussurrò Lola, sorpresa e insieme ammirata per quell’amore che aveva saputo superare barriere quali la lontananza e l’adolescenza.
« Già. Sono ben sette anni che sono fidanzati, a dispetto di tutto e di tutti. Philiph è pazzo di lei. Ora capisci perché prima, quando ho pensato che stesse baciando una sconosciuta, ho reagito in quel modo? E capisci anche perché ha quel sorriso ebete stampato in faccia?» rispose Tom.
« Non è vero, trovo che sia un sorriso molto dolce, invece» ribatté Lola, assorta.

Ogni donna dovrebbe essere guardata in quel modo, almeno una volta nella vita… Come se fosse più bella di una regina, più bella ancora di Afrodite in persona… Come se non esistesse altra donna al mondo…

Tom la osservò per un istante, turbato dalle sue parole. Cosa stava pensando in quei momenti, quando lo sguardo le si velava? La conosceva solo da poche ore, eppure desiderò riuscire ad entrare nella sua mente, capire quella ragazza solare ed enigmatica, che gli sfuggiva, scivolandogli tra le dita.
« Benji… Dì la verità!» insinuò Jenny. « Il fatto è che ti rode non aver mai avuto una manager alla nostra altezza!»
Amy le tese la mano, e Jenny premette forte la sua su quella dell’amica, con un sonoro schiocco che riecheggiò nel corridoio deserto.
« Piccola strega…» le mormorò dolcemente Philiph all’orecchio.
Le serrò la vita, e l’attirò a sé, aspirando avidamente il profumo dei suoi capelli. Jenny posò il capo sul suo torace, lasciandosi inebriare dal contatto con il corpo di lui, in un abbraccio che aveva il sapore dell’urgente necessità.
« Uhm… Effettivamente…» replicò Benji, soprappensiero. « Le medie e le superiori le ho fatte in Germania, e lì una figura come la manager con si usava… E di sicuro avere una ragazza carina e gentile che ti porta l’asciugamano e che ti lava le magliette rende meno pesanti gli allenamenti… Eh sì, io non ho avuto la fortuna di voialtri! E smettetela di pomiciare, voi due!»
L’ultima esclamazione era diretta a Jenny e Philiph, stretti l’una nelle braccia dell’altro.
« Che c’è, Benji?» domandò Philiph. « Ti ricordo che la mia manager è anche la mia fidanzata!»
« Price, tu e Phil siete amici, no? Con Tom e Julian dividete tutto, no? Allora fatti dare la metà di questo!»
Jenny attirò a sé il viso di Philiph, e lo baciò, sotto gli sguardi divertiti di tutti, compreso quello di Benji.
« Price, per quanto tu possa essere amico mio, scordati che te ne dia metà!» esclamò Philiph.
« Ma mica la volevo da te, scemo! La mia metà la riscuoterò dalla dolce Jenny…» rispose Benji, serafico.
« Scordatelo!» ribatté Philiph, serissimo.
Tom scoppiò in una fragorosa risata, che contagiò tutti i ragazzi.

Tom aveva ragione… I suoi amici sono completamente pazzi! E simpaticissimi… Mi piacerebbe molto inserirmi tra loro…

Benji rivolse un’occhiata distratta al suo orologio, e proruppe in un’esclamazione non proprio ortodossa.
« Cazzo! Le 16.10! Juls questa volta mi ammazza sul serio! Carotina, ti prego, distrailo tu mentre io filo in porta!»
« E’ certo: stavolta non la scampiamo! Julian ci fa la pelle a tutti e tre!» appoggiò Philiph.
« E sicuramente la situazione non migliora se ce ne stiamo qui a perdere tempo!» affermò Tom.
« Io però ho un’idea! Voi ragazze, seguiteci agli allenamenti. Julian non potrà dirci niente davanti a voi, e speriamo che entro stasera sbollisca la rabbia e si dimentichi del discorsetto che adesso sicuramente starà rimuginando…»
« Tom, sei un genio! Se tu non fossi un uomo, ti bacerei!» esclamò Benji, entusiasta dell’idea.
« Sì, il genio del male!» commentò Philiph, sarcastico.
« Hai qualche idea migliore?» domandò Tom, seccato.
« Solo un’aggiunta alla tua: anziché sperare in un miracolo, perché Juls ha un’ottima memoria e se non ce lo fa adesso il cazziatone è solo rimandato a stasera, organizziamo una cena a casa nostra! Avevo già deciso di festeggiare il ritorno di Jen invitandola fuori, ma credo che a lei non spiacerà se invece restiamo a casa… Tesoro, hai qualcosa in contrario?»
« Certo che no! Sembra impossibile, ma non ho mai visto casa vostra, e sono molto curiosa!» rispose Jenny, con un sorriso.
« Allora è deciso! Ragazze, siete invitate tutte a casa Price, stasera!» proruppe Benji, con enfasi.
« Cosa vuol dire “casa Price”?» domandarono all’unisono Tom e Philiph, rivolgendo all’amico uno sguardo torvo.
« Proprio quello che ho detto!» ribatté Benji, impassibile. « Carotina, Jenny, Lorelei, andiamo! Grazie della vostra gentile collaborazione, ragazze!»
« Ma guarda tu che farfallone…» commentò Tom.
Gli eccessi di Benji avevano ancora il potere di stupirlo, qualche volta.
« Lascialo stare, lo sai com’è fatto!» rispose Philiph, con uno sguardo accondiscendente.
« Allora, ci muoviamo?!» li riprese Benji, che insieme alle ragazze aveva già raggiunto la fine del corridoio.
Philiph e Tom sospirarono, e li raggiunsero camminando a grandi falcate, rassegnati. Tom non poté fare a meno di notare che Lola chiacchierava piacevolmente con Amy e Benji, e sorrise, soddisfatto.
« Ehi! Un momento! Tom, hai tardato agli allenamenti perché eri in dolce compagnia? TU avevi appuntamento con una ragazza, e IO no?!» esclamò d’un tratto Benji, sconvolto dall’ingegnosa deduzione.
« Guarda che nessuno qui aveva appuntamento con nessuno!» replicò Tom, visibilmente seccato, mentre Lola arrossiva violentemente.
Amy e Jenny si scambiarono uno sguardo significativo, carico di sottintesi.

FINE TERZO CAPITOLO.

N.B. Le leggende riportate non sono di mia invenzione (e come potrebbe essere altrimenti?), ma sono realmente esistenti.
*Leggenda legata alla mitologia greca.
**Leggenda della mitologia sassone (credo^^).
  
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