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Autore: Setsuka    10/10/2011    9 recensioni
E Havoc, sapendo di essere indelicato, che quell'uomo aveva argomenti tabù, osò. Osò fargli male, per quella che però non era una semplice curiosità.
"Lei invece la sta aspettando quella persona, dico bene?" Vide un bagliore di vitalità nell'occhio nero, uno sprazzo di vita che si mostrò come espressione di un colpo subito, una ferita che veniva toccata. Durò solo un istante, tanto breve che il Tenente pensò di esserselo immaginato, e poi quegli occhi di tenebra si illuminarono di una luce che mai gli aveva visto e ebbe la sensazione che fossero lucidi, mentre le labbra si stendevano in un sorriso che non era di quelli impudenti che aveva da anni caratterizzato Roy Mustang, non era un sorriso di una persona che stava bene, era l'espressione di un nostalgico che in bocca non aveva più alcun sapore se non l'amarezza di un rimpianto, come un attore che non aveva avuto il suo finale perfetto nonostante ne avesse avuta la possibilità.
"Dici bene. Sto aspettando".
Fanfiction scritta per il RoyEd Day
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Havoc, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don't Forget Per due setimane ho tentato di scrivere qualcosa che potesse sembrare grandioso per il mio ritorno al RoyEd. Non ci sono riuscita.
Alle 6.15 di questa mattina, in un lampo di ispirazione, in mezz'ora ho scritto questa breve one-shot, senza pretese. Senza pretese perché al momento non mi è importato di scrivere nulla di grandioso, solo quello che mi dettava il cuore, solo la pretesa di omaggiare il mio amore a Roy e Edward, nient'altro.
Spero vi piaccia.
 





                   Don't Forget ( love )                    





Sussultò dalla sorpresa quando rivide il Tenente Havoc fare capolino, a distanza di un mese, nella sua fredda ed inospitale baita. Ma sorrise, perché era segno che il mondo non si era dimenticato di Roy Mustang, anche tra le nevi del Nord per qualcuno continuava ad esistere, qualcuno che affrontava il gelo per rivederlo e gli dava segno che in fondo, nonostante quel che pensasse, non era affatto solo come credeva.
"Colonnello... dovrebbe accendere un fuoco migliore, lo sa?", Cercò di essere spiritoso l'ospite mentre si sedeva su uno sgabello di legno per niente comodo, davanti al camino e si lasciava servire del whisky che lo avrebbe riscaldato meglio di quel modesto fuocherello. 
"A cosa servirebbe Havoc? Il freddo mi è entrato nelle ossa ormai al punto che ho scordato cos'è il calore" non era vittimismo quello di Roy Mustang, era una semplice constatazione, per quanto triste, che lui cercava di far sembrare poco importante sorridendoci sopra.
Ma a Jean Havoc non veniva da sorridere, piuttosto quelle parole gli causavano dolore, proprio lì, al centro del petto. Gli mancava il viziato Roy Mustang, l'unico militare al quale aveva giurato fedeltà e che avrebbe chiamato con rispetto Colonnello anche se quei gradi erano scomparsi dalla divisa blu. Ancora ricordava con un certo piacere la volta che Mustang aveva esternato il suo desiderio di minigonne per tutte le donne se fosse diventato Comandante Supremo, in quel frangente gli aveva detto -strusciandosi alla sua gamba- che l'avrebbe seguito per tutta la vita, per il suo obbiettivo. Ora non aveva più quello scopo, l'aveva gettato via assieme ad ogni onore militare, in una sorta di auto-punizione; era un uomo senza sogni di gloria, con una benda enorme che copriva non solo l'occhio sinistro che più non vedeva, se non il passato, le sue colpe e fantasmi che lo avrebbero accompagnato per sempre in quella che più che vita era diventata un travaglio, ma non un inferno, un purgatorio piuttosto: lui voleva redimersi da ogni colpa, voleva servire con umiltà il suo Paese, anche se lì, dimenticato dai più e ricordato da una sola persona. Andava bene anche così.
Era diventato generale, la fedele e premurosa Hawkeye gli era stata a fianco per tutta la sua convalescenza e non era stata fraintendibile: se lui lo avesse voluto gli sarebbe stata a fianco per tutta la vita e non in veste di subordinata.
Arrivato a quel punto doveva sentirsi realizzato, il suo sogno era vicino, tutti acclamavano la sua ascesa al comando ma era proprio davanti a quella folla fiduciosa, davanti lo sguardo commosso e amorevole di Hawkeye, davanti all'assenza dell'alchimista d'Acciaio che aveva capito: quella non era felicità. La gloria intorpidisce i sensi, coccola l'ego, fa credere cose che non esistono.
Maes era morto per il suo sogno e il suo sogno era quello di un Paese senza guerre. La democrazia avrebbe fatto il suo dovere, una dittatura militare si sarebbe piegata ai suoi desideri, per l'arco del suo mandato, ma Amestris avrebbe comunque indossato i regali e sporchi panni di nazione di guerra e chi avrebbe preso il posto dopo di lui sarebbe potuto tornare a commettere crimini e lui non desiderava quello, Maes non era morto per quello. Col suo occhio sinistro, nelle ombre, lo vedeva sempre, lo vedeva sorridergli ed era l'unica cosa che allietava i suoi giorni, che gli dava forza per poter continuare e sperare; non in una vita migliore, non in un futuro brillante, ma semplicemente in un mondo in cui l'alchimista d'Acciaio viveva. Questo era il suo unico sogno, perché Acciaio era vivo, lo sapeva, e non era una sua mera fantasia, non era solo una fantasticheria in cui solo lui e la Rockbell credevano per continuare a vivere: loro sapevano, perché amavano.
E ora che Roy si rendeva conto che per vivere bastava l'amore, che senza esso qualsiasi sogno perde valore, non poteva fare a meno che chiedersi perché Jean Havoc era lì, a perdere tempo con lui, piuttosto che a tenere stretta tra le braccia la sua donna, la metà che negli anni precedenti aveva cercato con insistenza invece di lasciarci abbagliare a sogni di vana gloria.
"Tenente Havoc, ho saputo che vi siete finalmente fidanzato..." l'interlocutore fu sorpreso dall'uscita del Colonnello e si chiese se forse non lo diceva perché non aveva argomenti e solo tanto imbarazzo. "Dovresti essere con lei, piuttosto che qui, a gelare" forse Mustang non sapeva più accendere fuochi con la sua alchimia, ma le sue parole riuscivano ad accendere un calore confortante per chi gli era ancora vicino e gli occhi azzurri di Jean, a quella premura, rischiarono di diventare lucidi. Il Colonnello non meritava di essere lì.
"Una donna che non incoraggia il proprio uomo a far visita a un amico lontano," non un superiore, ma un amico, una persona a lui cara, importante "non sarebbe la donna per me. Ma lei mi ha spronato e per questo so che è quella giusta" e entrambi forzarono un sorriso; Jean per l'imbarazzo, Roy perché era contento per lui ma purtroppo aveva scordato come si sorrideva, il Grande Freddo probabilmente aveva gelato i suoi muscoli facciali.
"Ti ringrazio, Tenente. Sono felice che tu abbia trovato la persona giusta per te."
E Havoc, sapendo di essere indelicato, che quell'uomo aveva argomenti tabù, osò. Osò fargli male, per quella che però non era una semplice curiosità. 
"Lei invece la sta aspettando quella persona, dico bene?" Vide un bagliore di vitalità nell'occhio nero, uno sprazzo di vita che si mostrò come espressione di un colpo subito, una ferita che veniva toccata. Durò solo un istante, tanto breve che il Tenente pensò di esserselo immaginato, e poi quegli occhi di tenebra si illuminarono di una luce che mai gli aveva visto e ebbe la sensazione che fossero lucidi, mentre le labbra si stendevano in un sorriso che non era di quelli impudenti che aveva da anni caratterizzato Roy Mustang, non era un sorriso di una persona che stava bene, era l'espressione di un nostalgico che in bocca non aveva più alcun sapore se non l'amarezza di un rimpianto, come un attore che non aveva avuto il suo finale perfetto nonostante ne avesse avuta la possibilità.
"Dici bene. Sto aspettando".
"E quella persona non è il Tenente Hawkeye, dico bene?".
Alzarono gli occhi dalle assi di legno a terra e si guardarono condividendo il silenzio.
Negli occhi Havoc c'era un'empatica tristezza che sembrava per lo più comprensione. Nell'occhio di Mustang vi fu un lampo di stupore, che si sostituì a uno sguardo sognante, di una persona che nonostante il dolore non si è ancora arresa. Jean lo sapeva: il Colonnello era un uomo forte.  
A quel punto Havoc portò una mano guantata nella sua tasca, mentre con l'altra prendeva la destra dell'ex-superiore che non nascose stupore e curiosità.
Nella sua mano cadde un orologio d'argento, sporco, lacerato, che sembrava un pezzo d'antiquariato e Roy, a quella vista, sentì un brivido sulla schiena diverso da quelli a cui era abituato a causa di temperature rigide. Era certo che il suo l'aveva lasciato, nella sua lucentezza, nelle mani del Generale Grumman, quindi alzò gli occhi alla ricerca di un responso.
"E' stato trovato a Reole. A quanto pare non è di alcun Alchimista di Stato in servizio. Con questo voglio dire che..." alzando la mano in segno di silenzio, fermò alla gola le parole di Havoc. 
Aprì con una certa facilità quell'oggetto così fragile che un gesto sbagliato avrebbe potuto ridurlo in frantumi.
L'ora era fissa sul numero sei e sul fondo in argento del coperchio vide qualcosa, dei segni, incisioni, calcati da una mano forte e per niente elegante. Ci soffiò sopra, per levargli la polvere e lo avvicinò al fuoco per poter leggere.
In un attimo l'occhio del lettore brillò come brillano le stelle prima di morire.
Il Tenente Havoc vide chiaramente qualcosa di argenteo, liquido, scivolare via dalla guancia dell'altro e si sentì una presenza pachidermica, ingombrante e inopportuna. Roy strinse a se quel cimelio, in un pugno protettivo e tremante come le sue interiora che sembravano solleticate da voli di ali di farfalla.

Don't Forget, 3 Oct. '10.

Finalmente aveva in mano qualcosa di suo, finalmente qualcosa di lui gli apparteneva. Qualcosa che sembrava parlare direttamente alle sue speranze, al suo cuore lacerato che non aveva più bisogno di pioggia per versare le sue emozioni.
"Grazie."
Mormorò emozionato poggiando la fronte sul freddo argento. Gli sembrò caldo, vivo, pulsante; volle illudersi che ancora ticchettava. 
E lo vide, con l'occhio sinistro, vide l'ultima immagine che aveva scolpito nella sua memoria: un colpo di mani, uno sguardo che bruciava come fuoco ma non ostile, determinato e grato, per poi scappare via sotto i deboli raggi di un roseo tramonto.
"Non dimenticherò..." sussurrò estraneo alla presenza di altro, ai suoi ricordi, a quell'orologio tra le mani.
No, non avrebbe dimenticato Edward Elric, non avrebbe dimenticato di sperare, perché tutto può finire nell'oblio della dimenticanza, anche i peccati, ma non la propria ragione di vita.

Havoc si allontanò, con passo e respiro discreto, lasciando Roy Mustang all'unica presenza che desiderava.
Ora, col vento che gli sputava in faccia la neve, ne fu certo: non era il Tenente la persona che Roy Mustang aspettava.








     
Nonostante tutto sono totalmente soddisfatta di quello che ho scritto, che -preferisco precisare- non vuole provocare il fandom RoyAi, semplicemente vuole rendere omaggio alla citazione che ha esplicitato l'esistenza effettiva del RoyEd nell'anime 2003.
So che forse può sembrare solo che un racconto triste ma io voglio vedervi speranza in quest'attesa, l'ispirazione mi è venuta ripensando a una Doujinshi di Daen ambientata in cui rivede i fatti di Conqueror of Shambala.
E detto questo auguro Buon RoyEd Day a tutti.



   
 
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