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Autore: Kiyomi    10/10/2011    5 recensioni
When this world seems mean and cold, our love comes shining red and gold.
"Roy allenta la presa spostando le mani sulle sue guance arrossate da pianto e furore, muovendosi con la tipica calma di chi ha ore, giorni, tempo infinito da perdere. Si gode il calore emanato dalla pelle ancora immatura, assaporando del tutto il piacevole odore che essa secerne; osserva col fare curioso dell’appena nato bambino tutto quel che lo circonda; apre infine la bocca, deciso finalmente a parlare.
«Tutto si può superare, ogni sbaglio commesso, ogni ingiustizia subita» comincia con lentezza, scandendo ogni parola «Devi solamente trovare una forza che ti sostenga, che ti aiuti a rialzarti.»"
Storia scritta per il contest Pair520 RoyEd Day e classificatasi sesta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We are just a Light in the Darkness

 

 

When this world seems mean and cold, our love comes shining red and gold.

 

 

L’oscurità della notte accende ogni luce. Fari, torce, lampioni. Qualunque scintilla risplende nel buio inebriando di calore il giorno ormai andato.

Quando il sole sparisce la gente ha paura, teme le tenebre, paventa l’ignoto, per questo con ogni mezzo illumina strade, stanze e locali.

L’uomo non accetta l’oscuro, pertanto combatte la notte.

Arriva un momento in cui però i bambini vanno a dormire e gli adulti si rintanano in casa,  tutto si spegne e la luce sparisce. È proprio in quel momento che gli incubi peggiori prendono forma e diventano concreti, e solo chi ha una luce immortale, che splende davvero, riesce a salvarsi.

Loro quella luce l’hanno trovata e la stringono stretta per non farla scappare, perché non sopporterebbero un’esistenza nell’oblio.

 

                                                                  

Le braccia di Roy stringono il suo amato in un abbraccio interminabile governato dalla passione che guida i loro gesti. Posa baci prima lievi e poi voraci sul suo collo, desideroso di lasciare un segno su quella pelle immacolata. È assalito dalla brama di quel corpo che fino a pochi minuti prima ha posseduto concedendosi il piacere proprio della notte.

Nulla riesce a interrompere quei gesti, tranne le parole che discrete li accompagnano. Sono poche ma intense frasi quelle che accostano il loro amarsi quando la luna li osserva e li ascolta parlare.

«Non te ne andare, Roy, resta con me.» mormora Edward col grande sforzo dovuto alla mancanza di fiato.

Annaspa tra i propri respiri con il tepore che le dolci carezze gli concedono, mentre un velo di malinconia ricopre i suoi occhi riportando alla mente sventurati ricordi.

«Non me ne vado, Ed, non ti lascerò mai» risponde Roy sorridendo.

Cerca di portare conforto con le parole sicure, ma spostando le mani sul suo viso, si accorge di aver fallito. Il calore delle dita viene attenuato, così come la fiamma che inarrestabile avvampava nel suo cuore.

L’acqua spegne sempre il fuoco, è una legge senza eccezioni.

«Ehi, no, non piangere... cosa è successo?»

Le mani cominciano a muoversi prima lentamente, poi con l‘avventata frenesia di chi è colmo di disperazione. Cerca di fermare qual processo nella piena consapevolezza del suo ruolo. Non vuole vederlo soffrire, anche se in fondo lo sa, sono le sue fiamme che stanno fondendo quell’oro.

Quando avevano dato inizio a quel rapporto lo aveva giurato a sé stesso, l’avrebbe protetto da tutto e da tutti, anche dall’intero mondo se fosse stato necessario. Ma ora, a distanza di qualche mese, si accorge di non aver tenuto fede alla sua promessa, di aver miseramente fallito. La campana di vetro che aveva creato intorno a lui era divenuta sempre più fragile creando crepe da ogni parte, e così il nemico era penetrato, infrangendo la sua quasi impenetrabile muraglia.

Dopotutto è impossibile combattere qualcosa di invisibile, di astratto.

 

 

Edward non era mai stato dotato di un temperamento calmo, né tantomeno di una grande ragionevolezza, poiché, da testa calda qual’era, non perdeva un minuto ad infuriarsi per la benché minima cosa; deteneva in compenso, a discapito di ciò che si poteva intuire dai suoi infantili comportamenti, un’intelligenza fuori dal comune, che a pochi era data utilizzare. Diventare alchimista di stato all’età di soli dodici anni non era di certo una cosa da tutti, e la sua capacità di trasmutazione non si poteva definire affatto ordinaria, soprattutto se considerata la – seppur fallita – trasmutazione umana. Era quindi inconcepibile per lui non riuscire a trovare la risposta a una domanda tanto semplice.

Cosa diavolo stava accadendo?

Certo, era consapevole di trovarsi abbracciato al Colonnello Mustang, come era consapevole del contatto che stava avvenendo tra le loro bocche e delle loro lingue che, inibite dalla passione, continuavano ad amoreggiare tra loro, ma ciò che non riusciva proprio a capire era come una semplice frase, poche e insignificanti parole, gli avesse fatto perdere totalmente la coscienza delle proprie azioni. Gli era bastato quel “Credo di amarti” e un’espressione un po’ dispiaciuta per cadere ai suoi piedi, ennesima vittima di quel fascino tanto ribelle quanto misterioso. Già da qualche tempo i battiti del suo cuore avevano cominciato ad accelerare in presenza del Colonnello, e il suo animo non poteva far altro che provare tensione ogni volta che si ritrovavano soli, ma mai si sarebbe potuto immaginare di poter arrivare a tanto.

Roy dal canto suo, avendo comunque una maggiore maturità ed un numero incalcolabile di relazioni, aveva subito riconosciuto quel sentimento, inizialmente troppo giovane, ma che con il passare del tempo si era trasformato in amore. Lui stesso in un primo momento aveva rifiutato con razionalità le proprie emozioni, accorgendosi solo dopo di non poter sopprimere i sentimenti, né di fronte ad uno specchio, né di fronte ad Acciaio.

Ciò che aveva fatto era stato azzardato, sciocco, ma estremamente riflettuto: non sarebbe più riuscito a trattenersi.

C’era chi una cosa del genere non l’avrebbe mai fatta, e chi invece non ci pensava sopra due volte a dichiararsi, e lui, come quest’ultima categoria di persone, aveva preso coraggio e compiuto quel mirabile gesto, consapevole del fatto che l’oggetto del suo amore fosse un altro uomo, un ragazzino di quindici anni per giunta. Forse era sbagliato, forse immorale, ma in quel momento non gliene importava nulla di ciò che menti benpensanti potessero ritenere. In quel momento c’erano solo loro due.

Si staccò per riprendere fiato, mantenendo però gli occhi fissi sul suo collo. Una piccola macchia rosea lo deturpava su un lato lasciando facilmente intendere la sua natura, richiedendo quindi, per giorni a venire, la presenza di una sciarpa.

«Si rende conto di ciò che ha detto?» chiese Edward con voce ferma.

Sulla faccia di Roy comparve un sorriso che in meno di un secondo si trasformò in una fragorosa risata.

«E tu ti rendi conto di ciò che abbiamo fatto?» rispose divertito.

Era difficile per entrambi capacitarsi della situazione in cui si trovavano, persino per il Colonnello, che mai si era visto ad affrontare un sentimento così forte. Le sue erano state tutte fugaci storie guidate da passione ed eccitazione, il romanticismo era sempre stato messo da parte e lì dimenticato. Nessuna parola dopo un rapporto, nessuna colazione in compagnia, neanche un saluto alla separazione, ciò che la sua mente ricordava erano solo numerosi ed infiniti ansimi. Aveva sempre vissuto una vita costruita da attimi frugali e brevi avventure, senza mai fermarsi veramente a riflettere sulla sua condizione. Pochi progetti, nessuna preoccupazione. Viveva alla giornata, e gli andava bene così.

Qualcosa però era cambiato negli ultimi tempi, lui stesso si era scoperto diverso. Continuava a pensare ad un futuro non imminente, facendo piani su piani, costruendo impossibili utopie. Un progetto lo aveva, ma bisognava lavorare ancora molto per realizzarlo.

«Forse abbiamo sbagliato» mormorò Edward incrociando le braccia. Aveva riassunto quell’atteggiamento un po’ distaccato ed orgoglioso.

«E perché mai, se mi è concesso saperlo?» chiese di rimando.

Vide i suoi occhi assottigliarsi e farsi subito più duri. Era abituato ai repentini cambi d’umore di quel ragazzino e la sua scontrosità non lo sorprese. Nel tempo aveva imparato a conoscere i motivi che lo spingevano ad assumere un comportamento così duro verso chiunque ogni qual volta si presentasse una minaccia, poiché era quello per lui l’unico modo per apparire più forti, meno fragili. Creava un muro per difendersi dal mondo.

«Siamo due uomini!» urlò il biondo in faccia al suo superiore.

Dopo quello strillo il silenzio regnò sovrano per qualche secondo, fino a quando, poi, la risata di Roy tornò a farsi viva ancora più forte e rumorosa di prima.

«Se fosse stata una buona ragione non mi avresti baciato».

Portò la mano dietro la nuca, accarezzando i biondi capelli, stringendolo a sé, ed ormai coscienzioso dei suoi atti riprese a bacialo con ancora più brama,

Lo avrebbe protetto lui dal mondo, era una promessa.

 

 

Riesce quasi a sentirla, Roy, il sofferenza che attanaglia il suo amato, la percepisce da ogni suo gesto. Il respiro affannato, il volto bagnato, tutto è colmo di quel male che gli appassisce l’animo. Hanno visto la luce della vita attenuarsi troppe volte, e mantenerla accesa è ancora così arduo.

Edward d’altronde la conosce bene, la vita, come conosce bene anche la sensazione che dal calar del sole lo tiene stretto nella sua morsa fatale. È la paura per il futuro, la consapevolezza del proprio passato e quella pericolosa conoscenza del mondo che, ne è convinto, lo porterà alla rovina.

Sa che non sempre l’ignoranza è causa di dolore, poiché come ogni genio lui soffre ed è infelice.

Ode appena la voce del Colonnello e si riprende dai suoi pensieri spostando lo sguardo verso il firmamento che il velo della notte ha reso oscuro, beandosi del lieve chiarore emanato dagli astri.

«Ho freddo.» constata solamente.

Non ci sono più lenzuola a coprirlo, né tantomeno il piumone che sin dall’inizio di quella serata era venuto a mancare, scaraventato in qualche recondito angolo della stanza dalla passione che alimentava i loro gesti. Dopotutto l’autunno è appena iniziato e le temperature non si sono ancora abbassate.

«Ti sei raffreddato?» chiede Roy riassumendo la calma. Poche volte prima di questa il panico si era così impadronito della sua mente, cacciando la ragione che sempre l’aveva governata.

Sente ancora quel brivido d’angoscia risalirgli la schiena mentre tutti gli altri sentimenti vanno attenuandosi. Il suo cuore è vagabondo nel terrore, ma il volto rimane sereno, complice della pantomima che questa notte sta mettendo in atto.

Sposta appena la mano sulla sua schiena trasformando il movimento in una carezza leggera, quasi a volerlo riscaldare con la discrezione di quell’atto.

«Hai mai provato la sensazione di sentirti terribilmente inadeguato? Di non meritare ciò che hai?»

Sente il sentimento di inquietudine tornare, non come un brivido, solamente un forte e prolungato tremore che lo porta a vacillare. Lo scuote dall’interno mentre il respiro diventa più veloce.

«Credo di aver sbagliato tutto. Sono stato tracotante, egoista, ho fatto soffrire troppe persone.»

Edward stringe le mani a pugno, infilando le unghie nella carne nel disperato tentativo di sfogare la sua rabbia.

«La vita mi è sempre stata ostile, ma probabilmente non fatto abbastanza.»

 

 

Roy Mustang non era mai stato un uomo malinconico, né tantomeno aveva mai amato perdersi negli sconfinati meandri dei suoi ricordi, ritenendo ragionevole la decisione non riportare alla mente episodi negativi che avrebbero potuto nuocere al suo buon umore. Era una persona decisa, che portava avanti le sue battaglie senza mai guardarsi indietro. Quando gli capitava di imbattersi in persone, giovani o anziane, prese nel leggere una vecchia lettera o nel riguardare fotografie, la sua mentre di colpo si riempiva di turbamento ed una domanda, prima delle altre, sopraggiungeva. Perché?

Rimembrare avvenimenti passati, tornare sui propri passi, non considerava queste tattiche vincenti né tantomeno vantaggiose, ma solamente futili ed improduttive perdite di tempo. Quando quella mattina però, cercando alcuni documenti in scaffali impolverati si era imbattuto in una vecchia lettera giallognola all’apparenza molto banale, non era riuscito a desistere nella tentazione di aprirla e rileggere così, forse per la centesima volta, le parole che al tempo che fu non ebbe il coraggio di dire.

Ripensandoci in quel momento, più che una lettera, sembrava la trama di uno di quei romanzi di protesta scritti da oppositori politici, o più propriamente una dichiarazione, un’ammissione delle proprie colpe.

Ad una lettura veloce le parole che risaltavano agli occhi erano sicuramente diverse e numerose, forse perché scritte con una grafia meno precisa, forse per il loro significato. In particolare però, a distinguersi dalle altre, c’era una determinata frase, che più di tutte gli era costata tempo e fatica, e che mai sarebbe riuscito a pronunciare.

Ho ucciso così tante persone che ormai una in più non farebbe nessuna differenza. Non provo nulla quando do fuoco a qualcuno.

La lesse con lentezza, ad alta voce, scandendo ogni parola. Un brivido lo percorse per tutto il corpo, fermandosi solo in cima: nonostante il tempo non riusciva ancora ad accettare la realtà dei fatti.

Il Colonnello Mustang era sempre stato una persona dalla forte  personalità e dai saldi ideali; deciso, risoluto e ribelle a tempo debito. Venuto al mondo con un grande senso di giustizia insito un lui, era entrato a far parte dell’esercito grazie a chiari obietti e ad una determinata e forse infantile utopia di uno stato perfetto, senza soprusi e iniquità. Mai si sarebbe aspettato di divenire lui stesso la causa di quelle ingiustizie che tanto detestava.

Appena sentì il rumore di una mano che batteva sulla salda porta di legno si riprese dai suoi pensieri, mormorando un “avanti” appena avvertibile.

«Colonnello, c’è qui Edward Elric di ritorno da Resembool» disse a gran voce una donna dalla soglia della stanza. Dietro di lei l’Alchimista d’Acciaio, ancor prima di udire il consenso del superiore, entrò a grandi marce raggiungendo la sua scrivania. Braccia incrociate e gran broncio sul volto.

«Felice di rivederti Acciaio. Ti sei goduto le tue vacanze?»

Non vide l’auto-mail nuovo di zecca sbattere sulla scrivania di ciliegio, ne sentì solo il rumore, e ciò bastò per capire l’intensità, non certo discreta, del colpo. Era un miracolo che non fosse crollato nulla.

«Vacanze? Lei le chiama vacanze?! Ha idea delle atroci sofferenze che ho dovuto subire durante le mie vacanze?» enfatizzò volontariamente l’ultima parola, caricandovi dentro tutta la rabbia che aveva in corpo. «Non immagina cosa significhi sopportare per così tanto tempo il Maggiore Armstrong!»

Roy conosceva Edward ormai abbastanza bene da sapere tutto su di lui, e non si sorprese infatti di quell’atteggiamento, ma l’ilarità che spesso infondeva con i suoi comportamenti certamente discutibili innescava nella gente reazioni ben difficili da controllare e del tutto succubi del velo di follia che accompagnava ogni azione dell’alchimista. In parole povere, era difficile desistere dal ridere.

Si sorprese quindi lui stesso di aver mantenuto in faccia la serietà con la quale aveva cominciato quella conversazione partita all’apparenza come tante altre, trasmettendo inoltre il turbamento all’Elric davanti a sé.

«E’ successo qualcosa, Colonnello?» chiese Edward assumendo una maggiore compostezza. Gli era capitato poche volte di vedere Mustang in quelle condizioni, e ciò non presagiva nulla di buono.

I suoi occhi dorati, ancor prima di ascoltare la risposta, furono indirizzati verso la lettera che il Colonnello teneva tra le mani. Dal colore e dalla quantità di polvere che la ricopriva ne si poteva facilmente intuire la vecchiaia.

Anche gli occhi di Roy si spostarono andandosi a posare sul chiaro firmamento oltre la finestra spoglia da tendine.

«Riflettevo, nulla di importante, solo vecchi fatti lasciati marcire nel dimenticatoio.»

Il cigolare dell’auto-mail si allontanò un poco dalla scrivania, fermandosi poi di fronte alla finestra sulla quale era puntato il suo sguardo.

«Secondo me non si dovrebbe cercare di eliminare dai ricordi fatti spiacevoli» cominciò l’altro con un tono tra il deciso e il discreto, come se avesse importanti cose da dire, ma il timore di parlare «La gente dovrebbe imparare ad accettarli per poi poter andare avanti.»

Nella stanza si era improvvisamente creata un forte tensione, accompagnata però da un’altra intensa emozione. Forse imbarazzo, forse vergogna. Non era insolito per i due avere conversazioni così inusuali, costituite da pensieri disconnessi, frasi fatte e profonde riflessioni, ma in quel momento ebbero entrambi la sensazione di essersi esposti più del dovuto, o di aver scavato anche troppo nell’animo altrui.

«Ci sono fatti, Acciaio, che sarebbe meglio dimenticare, fatti di cui il solo pensiero incuterebbe terrore e disprezzo» disse Roy con voce pacata «Non si può superare una vita costruita da sbagli quando il peso della coscienza diventa insostenibile.»

Edward rimase fermo a fissarlo. Scrutò con intensità i suoi occhi e solo dopo qualche secondo cominciò a parlare.

«Tutto si può superare, ogni sbaglio commesso, ogni ingiustizia subita. Deve solamente trovare una forza che la sostenga, che l’aiuti a rialzarsi.»

 

 

Roy lo osserva con sguardo interessato. Nei suoi occhi non vi è più quell’amarezza, quel dispiacere tipico di chi viene a conoscenza della menzogna in cui è sempre vissuto, vi domina invece una dolcezza quasi stucchevole ed un forte sentimento di comprensione. Ha capito, ha scoperto la sua Verità.

Nell’animo aleggia una beata letizia, forse fin troppo gioiosa per risultare reale, mentre nella sua mente girovaga libera una lieta sorpresa. Non si capacita ancora della rapidità con cui ha raggiunto il nirvana, né del modo, né della stessa realtà. Ha scoperto nel dubbio la risposta, nelle sue parole la verità. Ha finalmente riacceso la Luce.

Sposta il suo corpo nel letto per andarlo ad abbracciare, ma nell’atto di muoversi il suo buffo sorriso si trasforma in una fragorosa risata atta a sciogliere il silenzio che si era andato a creare. Quando vanno a cingere il corpo dell’altro, le sue braccia vengono prontamente scacciate da mani potenti, ma eccessivamente permalose, che si scontrano poi col suo nudo torace.

«Ti sembra il momento di ridere?» dice Edward con voce stizzita regalandogli un ultimo pugno. Solo un bacio dell’amante riesce a placare la sua catastrofica ira.

«Sei proprio uno sciocco» riceve solo come risposta.

Roy lo imprigiona col copro prima che egli, in preda alla rabbia, possa scappare, donandogli il mansueto piacere dei brividi sopra il suo collo. Tremano entrambi prima di riprender parola.

«Sei davvero, davvero uno sciocco» ripete con voce divertita, ricevendo un’astiosa occhiataccia dal biondo alchimista. Riesce solamente a sentire un banale “Ti odio” di risposta, detto con fin troppa indolenza per risultare credibile.

«Non posso credere che il grande Alchimista d’Acciaio si demoralizzi per così poco.» dice continuando a sorridere.

Quando l’altro si gira riesce a leggergli in volto una catastrofica combinazione di rabbia e disperazione, di quelle che lacerano dentro se non vengono bloccate.

«Sto parlando della mia vita! Delle azioni che ho compiuto, del modo in cui il fato abbia sempre giocato sporco nei miei confronti come io nei suoi, di tutti peccati che ho commesso. Non mi sembra affatto cosa da poco!»

Roy allenta la presa spostando le mani sulle sue guance arrossate da pianto e furore, muovendosi con la tipica calma di chi ha ore, giorni, tempo infinito da perdere. Si gode il calore emanato dalla pelle ancora immatura, assaporando del tutto il piacevole odore che essa secerne; osserva col fare curioso dell’appena nato bambino tutto quel che lo circonda; apre infine la bocca, deciso finalmente a parlare.

«Tutto si può superare, ogni sbaglio commesso, ogni ingiustizia subita» comincia con lentezza, scandendo ogni parola «Devi solamente trovare una forza che ti sostenga, che ti aiuti a rialzarti.»

Edward apre appena la bocca, ricomponendosi subito dopo nell’inutile tentativo di dissimulare l’invadente stupore. Quasi si era dimenticato di quelle profonde parole da lui stesso pronunziate, così veritiere, ma al contempo così astratte.

«E se questa forza non l’avessi trovata? Se non esistesse?» chiede con reale interesse, ponendo una domanda che di retorico non ha niente.

Va alla ricerca di risposte nel volto lieto dell’amato, che però rimane composto nella sua maschera di impassibilità. Convivono in lui due contrastanti sentimenti: prima la paura di sentire le parole, poi la curiosità di ascoltarne il contenuto.

Roy avvicina la sua bocca senza ancora toccarlo, ascoltando solamente il sublime rumore dei loro respiri, e lo accarezza infine in un casto bacio, infondendogli coraggio, sicurezza, tranquillità.

«Questa forza siamo noi, io e te, e la nostra luce che risplenderà eternamente.»

 

 

Il buio della notte tutto sovrasta, rendendo ogni cosa invisibile agli occhi; ha solo la Luna come nemica che superba ha voluto cacciare il Sole potente, rendendo così iniqua la partita. Nulla può il suo fioco candore contro la forza dell’immensa oscurità.

In questa lotta che si ripete da sempre persino il calore è andato scemando, rendendo il mondo un posto più freddo. Niente più fuochi, niente più luce, nulla riscalda le ore più nere. Sono poche le persone che realmente cercano una fuga da questa trappola fatale, che troppi a suo tempo ha ucciso e troppi rischia di eliminare: solo i coraggiosi, i ribelli, combattono il potere che la notte ha conferito.

Usano armi potenti, strategie certamente vincenti, ma c’è qualcosa di più che sostiene la loro battaglia. Alcuni lo chiamano Dio, altri amore, altri ancora ragione, ma tutti, nessuno escluso, ne percepisce la forza.

Molti la chiamano Luce.

 

 

Quando questo mondo sembra cinico e freddo, il nostro amore splenderà di rosso e d'oro.


  
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