Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: danish    11/10/2011    8 recensioni
parafrasando il titolo della mitica canzone del supermolleggiato, ecco uno spaccato dei pensieri di Kei Yuki, prigioniera insieme all'equipaggio dell'Arcadia nel penitenziario di Panopticon fino al momento della liberazione e al ritorno sull'astronave di Harlock. Ispirato alla serie Endless Odyssey. Buona lettura e fatemi sapere la vostra opinione (critiche e consigli sono sempre ben accetti).
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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mattone
" Quando vago da sola in questo sconfinato spazio, vengo assalita da un'indescrivibile paura che il vuoto possa inghiottirmi interamente...soltanto chi fuggì nello spazio rifiutando il sistema che era venuto a costituirsi lo conosce. E' trascorso molto tempo e  l''unico vero uomo in grado di sopportare un simile vuoto....è ormai scomparso..."

Questo era ciò che mi ritrovavo a pensare nei momenti di pausa quando, in qualità di capitano della Fluorite,  non ero impegnata a  compiere scorribande piratesche nello spazio in compagnia di un pugno di uomini.
Senza l'adrenalina in circolo, sdraiata mollemente nella mia vasca da bagno, venivo avvolta da questi sconfortanti pensieri che sembravano trascinarmi a fondo, come le spire di un gorgo marino.

Ero l'unico membro ancora in libertà dell' ex equipaggio del temibile e famigerato Capitan Harlock che tutti ormai credevano morto.

Io invece speravo che, da qualche parte nell'universo sconfinato, lui viaggiasse ancora a bordo della sua  nave, in compagnia del suo amico.

Per questo motivo, ne sono certa, continuavo a vivere da pirata e ad assaltare le navi nella speranza che, in qualche angolo remoto dello spazio, un giorno o l'altro,  mi sarei trovata faccia a faccia con lui, l'unico uomo che occupava incessantemente i miei pensieri.
E vivere in quella maniera, secondo le sue regole ed i suoi insegnamenti, era il mio modo di mantenere vivo il suo ricordo e di testimoniare all'universo intero che Harlock non era solo un pirata ma soprattutto un uomo, capace di battersi fino alla morte per difendere i suoi ideali.

Ma la mia improvvisa cattura, avvenuta a mezzo di un piano ben congegnato da Irita, Direttore del Dipartimento per la preservazione della quiete nello spazio, mise fine all'epoca dei pirati spaziali.

Quell'uomo, oltre ad avermi presa in trappola, mi schernì ma al contempo mi sorprese dicendo che presto mi avrebbe fatto incontrare "l'uomo che tanto ami " e che in tal modo avrebbe avuto l'opportunità di giustiziarci entrambi.
Quell'affermazione mi fece balzare il cuore in gola. Harlock era dunque tornato??
Come poteva sapere Irita dei miei sentimenti per il capitano?
Era così palese che io continuassi a comportarmi da pirata e a vivere come tale unicamente per amor suo?
Probabilmente si, almeno per il Direttore.

Mi rinchiuse nel penitenziario di Panopticon ed in breve ottenne la condanna a morte per me e per tutti gli alti membri della ciurma che si trovavano lì già da tempo. Ci radunò dopo poche ore nella sala delle esecuzioni.

Rivedere tutti i vecchi amici fu fonte di immensa gioia per me. 
Guardai i miei vecchi compagni che, senza alcun timore, ridevano e scherzavano tra di loro.
Solo il primo ufficiale Yattaran sembrava pensieroso: disse che se il capitano era comparso proprio in quel momento significava una sola cosa: la presenza di un nuovo nemico da combattere e sconfiggere.
E noi non avevamo certo paura di lottare nuovamente al suo fianco anzi, eravamo pronti a dargli tutto il nostro sostegno.

La frase sbattutami in faccia da Irita risuonava ancora nella mia testa : "l'uomo che tanto ami".
Desideravo rivederlo con tutto il cuore ma se per lui, venire a salvarci in quel luogo, significava cadere in una trappola pericolosa, allora avrei preferito morire all'istante, giustiziata dagli uomini di Irita.

Ma qualcosa, all'esterno, stava accadendo poiché venne dato improvvisamente l'ordine di esecuzione nei nostri confronti.

Yattaran, apparentemente il più tranquillo fino a quel momento, cambiò espressione.
Segno che stesse architettando qualcosa.
Mise in atto uno dei suoi marchingegni, un espediente che ci avrebbe permesso di guadagnare una manciata di secondi, il tempo necessario, disse,  che sarebbe servito al Capitano per venirci a salvare.
Quell'uomo, piccolo di statura ma grande di intelletto, era certo che lui sarebbe arrivato per tempo.
E se lui diceva così, non avevo motivo di dubitare. Tra lui e il capitano c'era sempre stata una sorta di telepatia.
Lo guardai soffrire mentre sacrificava la sua amata collezione di modellini di aerei da guerra che aveva messo insieme durante la prigionia. Li guidò affinché questi si schiantassero contro le armi puntate contro di noi, deviando la traiettoria di alcune e distruggendone completamente altre.

Le pareti della stanza che cominciarono a vibrare paurosamente e le vetrate che si infransero andando in mille pezzi furono per noi il segnale che qualcosa stava accadendo.
Alzai il viso verso la cupola metallica che ci sovrastava e con enorme stupore la vidi spaccarsi in due, squarciata da un'immensa lama d'acciaio installata sull'inconfondibile prua, adornata da un teschio, di un'astronave da guerra.

Era lui.
Aveva speronato le pareti del penitenziario con il rostro di prua dell'Arcadia, lacerandole come fossero di latta.
Harlock era tornato ed era subito accorso a salvarci.
Ne ero certa! La mia fiducia in lui non aveva vacillato nemmeno per un istante.
Sentii il cuore battere all'impazzata nel petto e gli occhi inumidirsi di lacrime ma non piansi.
Un vero capitano mantiene il sangue freddo, non si lascia travolgere dalle emozioni.
Ed io lo ero diventata. Ero il comandante della Fluorite.

Tra nuvole di fumo e frantumi di vetri ci incamminammo veloci, verso la salvezza.
Anche questa volta ce l'avevamo fatta.
Ero talmente presa dall'emozione, frastornata dagli eventi, che non mi resi nemmeno conto che qualcuno degli uomini mi appoggiò
sulle spalle la giacca della mia uniforme da capitano. 
Il fumo mi bruciava in gola e mi riempiva i polmoni ma non m'importava. L'unico pensiero che ronzava nella mia testa era che presto l'avrei rivisto.
Tra breve sarei stata nuovamente al suo cospetto.
Come avrei reagito? Che cosa gli avrei detto?
 
Dall'Arcadia inviarono un raggio ascensionale che ci avrebbe condotti a bordo in breve tempo.
Durante il tragitto che conduceva dal piano inferiore al ponte di comando cercai di sistemarmi come meglio potei.
Mi passai una mano tra i capelli e stirai le pieghe dell'uniforme carceraria con le mani. Per fortuna avevo la giacca da capitano sulle spalle a coprire almeno in parte quella umiliante divisa da prigioniera.
Mi rimproveravo ancora di essermi fatta catturare da Irita come un'ingenua.
Caduta in trappola nel più banale dei modi.
Mi domandai se Harlock ne fosse a conoscenza e sperai che non mi giudicasse una ragazzina immatura.

Giunti al livello superiore, Yattaran si dileguò andando a rifugiarsi in quella che un tempo era stata la sua cabina.
Avevamo tutti una gran voglia di tornare a calpestare il pavimento del ponte di comando.
Io rallentai il passo e cominciai a respirare profondamente per calmare i battiti del cuore, lasciando che gli altri mi passassero avanti. Le gambe mi tremavano come foglie al solo pensiero che tra pochi istanti lo avrei rivisto.

In cinque entrarono di corsa attraverso le pesanti porte scorrevoli che, aprendosi, mi permisero di intravedere
un ragazzino che venne spintonato in malomodo da alcuni di loro. Non lo conoscevo ma vidi dipingersi sul suo viso  un'espressione stupita e disgustata al medesimo tempo mentre osservava allibito i miei amici prendere possesso delle loro vecchie postazioni e gridare senza ritegno.

Appena poco più avanti vidi l'esile figura di Mimeh ed accanto a lei il pacato dottor Zero.

Quei due non erano cambiati affatto.

Avevo sempre pensato a loro come al gatto e la volpe: Mimeh aveva l' espressione angelica di sempre sul viso e il dottore la sua solita aria bonaria e l'immancabile bottiglia di alcool accanto. Affiorarono immediatamente i ricordi delle loro scaramucce per aggiudicarsi l'ultimo sorso di vino o l'ultima bottiglia della dispensa.

Provai immediatamente un senso di conforto.
Era come tornare a casa dopo tanto tempo e trovare ogni cosa al proprio posto, immutata nel tempo. O quasi perchè l'amabile dottore era un po' invecchiato ma sempre in gran forma.

Entrai lentamente sul ponte. Nessuno sembrava aver notato la mia presenza.
Il dottore domandò dove fosse Yattaran ed io risposi di rimando che era andato nella sua cabina.
Vidi gli occhi del medico brillare e la sua voce tremare mentre pronunciava il mio nome.
Era sinceramente felice di vedermi e rimase imbambolato a guardarmi.
Il tempo era trascorso anche per me e, dall'espressione dipinta sul suo viso, ebbi la conferma che mi avesse migliorata.
Sorrisi appena, prima che la mia attenzione venisse inesorabilmente attratta dalla figura ferma in piedi poco più avanti.

Mi voltai leggermente verso destra in direzione del timone, dove stava Harlock che fino a quel momento era rimasto impassibile e di spalle rispetto alla porta d'ingresso.
Lo guardai quasi timorosa mentre in me sembrava essere scoppiata una tempesta di emozioni che riuscivo appena a tenere a bada. Per fortuna i capelli mi cadevano scomposti sugli occhi, nascondendo in parte la mia trepidazione.

Harlock , udendo il dottore pronunciare il mio nome, accennò un lieve movimento, ruotando il busto verso la mia direzione e guardandomi dritta negli occhi da dietro il bavero del suo mantello.
Non aprì bocca , limitandosi a fissarmi per un istante interminabile con il suo occhio castano.

Incapace di dire qualsiasi cosa e fatalmente rapita dal suo sguardo, inclinai il viso di lato sorridendogli appena.
Avrei dato tutto in quel momento per conoscere i suoi pensieri.
Non avevo dubbi riguardo ai miei.
Non potevo averne, giacché il  cuore sembrava volermi saltar fuori dal petto.
Avrei voluto corrergli incontro e abbracciarlo, stringermi a lui e non lasciarlo mai più.
Avrei voluto dirgli quanto fossi felice di vederlo in buona salute, vivo e vegeto a dispetto delle voci terribili che circolavano sulla sua sorte.
Avrei voluto dirgli mille e mille altre cose......ma solo una uscì dalle mie labbra:

"Sono tornata....capitano!"

Dissi quelle tre parole sussurrando, in preda alla commozione, con gli occhi lucidi e le lacrime ad un passo dall'esondazione.

Harlock continuò a fissarmi per qualche istante e poi, lentamente, si portò la mano destra alla tempia, omaggiandomi con il  suo saluto militare.
Notai con orgoglio l'angolo delle sue labbra incresparsi lievemente, in un accenno di sorriso.
Non aprì bocca, non gli sfuggì un suono.
Ma molto spesso non servono parole a trasmettere un'emozione.
Uno scambio di sguardi come il nostro racchiude in sé tutto quello che talvolta si vorrebbe dire ma che le circostanze impediscono.

E improvvisamente
su questa astronave, accanto all'uomo che tanto amo  e che sa placare con la sola presenza l'indescrivibile paura di essere ingoiata dal vuoto, mi sento in pace con me stessa, finalmente a casa.
Non importa quale sarà il nemico che dovremo affrontare.
L'importante è aver ritrovato la mia famiglia.
L'importante è aver ritrovato lui.





I personaggi appartengono al loro papà Matsumoto e io li ho solo presi in prestito per raccontare questa storia senza alcun scopo di lucro.
Lunga vita al Maestro.


 





 

 





   
 
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