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Autore: BBambi    11/10/2011    5 recensioni
Lui era un PiGreco. Un numero diverso da qualsiasi altro numero, un numero speciale.
Un quadrato in un universo di cerchi.
Almeno così si sentiva, ma forse si prendeva troppo sul serio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PiGreco




« Dato un cerchio di circonferenza C e raggio R, si definisce
πc = C/2R


π è un numero irrazionale,
non può cioè essere scritto come quoziente di due interi[…].
Di conseguenza, è impossibile esprimere π usando un numero finito di interi. »
¹




Era la legge del π.
Lui era un π. Un numero diverso da qualsiasi altro numero, un numero speciale.
Un quadrato in un universo di cerchi.
Almeno così si sentiva, ma forse si prendeva troppo sul serio.
Aveva un dono, un dono che le persone consideravano speciale e lui maledetto.
Un dono che stava aiutando tutti coloro che lo circondavano, tranne uno, lui stesso.
Si chinò sull’ennesimo cadavere, annusandolo e scrutandolo da ogni prospettiva alla ricerca del dettaglio sfuggito ai suoi colleghi del CBI, ma l’unica cosa della quale si era accorto era la mancanza di quella presenza che sempre vegliava su di lui come un’intollerante maestrina.
Lisbon era intenta a discutere con un poliziotto locale e gli dava le spalle.
Aveva spalle piccole da donna, ma precise, sicure, perfettamente simmetriche col resto del suo corpo, armoniche col suo collo sottile e bianco.
Guardò ancora un attimo le spalle fasciate dalla consueta giacca scura, sempre sbottonata davanti; ormai poteva accontentarsi di ammirare solo la linea retta di quell’anatomia complessa.
Lisbon aveva deciso di far finta che non esistesse, ma forse se l’era proprio cercata.

*** 10 giorni prima ***


Era un maledettissimo saccente. Con una stramaledettissima tazza di tè.
Stava lì appollaiato sul divano come un gatto sornione dall’aspetto sopito, silenziosamente guardingo. Un gatto con due piccoli occhi blu piegati all’ingiù, graffiati da impercettibili rughe.
Quantunque sorridesse, quella piega insolita dava sempre un tono triste al suo viso.
Aveva ormai assimilato ogni particolare, ogni sfumatura di quel volto e si accorse che forse stava iniziando ad indugiarvi troppo. Stava decisamente esagerando.
C’erano moltissimi buoni motivi per non farlo.
Guardò all’interno dell’ufficio attraverso il vetro.
Numero uno.
Erano colleghi. Non gli importava proprio niente se Rigsby e Van Pelt quasi segretamente si rotolassero nelle stesse lenzuola, questa non era una legittimazione.
Numero due.
Lei era il capo. Aveva lavorato tanto per quella posizione e doveva rendere a se stessa l’onore di tutto quell’impegno. Se non manteneva lei per prima l’ordine, dove sarebbero andati a finire?
Numero tre.
Jane.
E con questo era come se avesse avanzato altri mille motivi.
Non volle neppure tentare di rammentarli a se stessa.
Probabilmente va bene così” pensò “Nessuno si farà male”.
Lui le lanciò un'occhiata ammiccante, piegando lievemente le labbra in un sorriso e sollevando un poco la tazza fumante in un brindisi silenzioso.
Lisbon sospirò ed entrò.
« Già imbronciata di prima mattina?» chiese ironicamente il consulente, allontanando il bordo di porcellana dalle labbra. Lo ignorò sorridendo « Dove sono tutti?».
L’uomo nel divano alzò un sopracciglio « Sono dove hai detto loro di andare!» le lanciò un’occhiata divertita « Stanno seguendo il caso Tomphson!»
« Ma io…» provò a ribattere.
« Sì, sì, pensavo di accelerare i tempi mandandoli a raccogliere le prove che mi servono per incastrare il colpevole!»
« Il colpevole?» gli fece eco la donna in piedi di fronte a lui.
« Ma certo, non dirmi che non l’hai ancora capito?» trattenne un sorriso, ancora incerto sulla reazione della collega.
Lei, esasperata, si lasciò cadere accanto a lui sul divano di pelle « Avresti dovuto dirmelo!»
« Avanti, non è successo nulla! Il CBI avrà risolto un altro caso e…tutti felici e contenti!» tagliò corto.
« Voglio essere avvisata sui movimenti della mia squadra, Jane!» continuò la sua arringa, guardando dritto davanti a sé, forse il pavimento, forse la luce che vi danzava in mille strisce brillanti. Sapeva che se si fosse voltata e l’avesse guardato ora, tutta la sua determinazione sarebbe crollata, lei sarebbe crollata e non desiderava accadesse.
Quell’uomo la stava forse manipolando? Stava forse cercando di imbonirla per aggirare il suo controllo? L’unica cosa certa era che doveva darsi un contegno, era insopportabilmente fastidioso sentirsi così fragili e vulnerabili.
« Lisbon? Tutto bene?» quella voce vellutata la riportò alla realtà.
Lui la stava guardando, incuriosito dal suo silenzio e della sua mansuetudine.
Attraverso gli occhi del consulente l’immagine di Lisbon si traduceva in quella di un goffo generale, attento a mantenere un’aria austera.
Lui non si prendeva gioco di lei, ma gli piaceva metterla in difficoltà, incrinare quell’apparenza che alcuni avrebbero definito “da donna tutta d’un pezzo”.
Jane sapeva bene che lei era molto più friabile di quanto non apparisse, molto più fragile, ormai restava solo da capire fino a che punto.
« Tutto bene» balbettò Teresa continuando a lasciar vagare lo sguardo nella stanza « Non mi piace perdere il controllo dei miei casi o della mia squadra!»
« Sai che siamo tutti dalla tua parte!» la sua mano calda coprì quella di Lisbon, adagiata pigramente sul divano.
La donna sobbalzò e si drizzò a sedere, arrossendo violentemente. I suoi occhi severi si appuntarono sulla faccia stranita di Jane.
« Ora devo andare, ho un appuntamento col procuratore» sfilò la mano e alzandosi in silenzio uscì.
Jane sorseggiò il te, il suo sguardo divenne improvvisamente serio.

Le parve che la sua mano stesse andando a fuoco, che il braccio stesso fosse ricoperto di fiamme.
Controllo della squadra?” si domandò tra sé e sé “Qui l’unico controllo perso è quello di me stessa!
Si maledì per la sua impulsività. Nel giro di un attimo aveva abbattuto quella perfetta fortezza di apparenze all’interno della quale si era rinchiusa.
Ora non poteva più nascondersi, ma poteva ancora tentare di negare l’apparenza, nonostante il suo comportamento irragionevole fosse difficile da spiegare.
Si bloccò nel corridoio, i colleghi camminavano freneticamente avanti e indietro, portando documenti, imprecando nei cellulari, lamentandosi sommessamente.
Girò i tacchi e tornò in ufficio, doveva scusarsi e trovare una valida giustificazione per il suo bizzarro atteggiamento.
Il corridoio non le era mai sembrato così lungo. Affrettò il passo.
Spalancò la porta dell’ufficio, era vuoto. Lisbon si appoggiò allo stipite della porta demoralizzata.
Respirò a fondo “Non è poi così grave, non ho fatto niente di strano! Devo smetterla di preoccuparmi! Nulla di fraintendibile…” continuò a formulare valide motivazioni per cui non doversi allarmare.
Richiuse la porta di vetro e andò nell’angolo cottura del CBI. La tazza da tè di Jane era abbandonata nel lavandino, riempita per metà di acqua pulita.
Teresa preparò il caffè e riempì un bicchiere di carta fino all’orlo, quindi si diresse con andatura rilassata verso il suo ufficio.
Quando aprì la porta, per la sorpresa, la mano con cui reggeva il caffè le tremò così violentemente che la bevanda calda traboccò, finendo per scottarle il polso scoperto.
Lisbon soffocò un gemito di dolore e si limitò a sbottare « Che diavolo ci fai nel mio ufficio?»
L’uomo, che ancora le dava le spalle, finalmente si voltò verso di lei.
Lisbon notò subito gli occhi seri e le labbra perfettamente distese in una linea inespressiva « Volevo parlarti».
« Di cosa, Jane?».
« Di te, presumo».
« Di me?»
« Che ti prende?» l’uomo esordì con una domanda così generica che lei non capì effettivamente a cosa si stesse riferendo.
Ma doveva aspettarselo da lui, era una creatura troppo attenta, troppo acuta per essersi lasciato sfuggire tutti quei particolari, tutti quei piccoli indizi che lei involontariamente aveva lasciato cadere dietro di sé.
Lui rimase in silenzio a guardarla serio ed ora pareva lui l’austero maestro in attesa della risposta giusta, mentre lei era la scolara che non aveva ancora studiato la lezione.
« Non capisco di che diavolo stai parlando, quindi puoi andare, ho del lavoro da sbrigare.» circumnavigò la scrivania e si sedette. Lui non si mosse, continuò a fissarla.
Lisbon posò il caffè e con un klenex si pulì il polso e il polsino della camicia, quindi radunò dei fogli sparpagliati sulla scrivania ed iniziò ad esaminarli.
« So che non stai leggendo!» la incalzò « Vuoi rispondermi?».
Lei sollevò gli occhi dai documenti e li puntò dritti nei suoi « Non capsico a cosa ti stai riferendo» sorrise con aria di sfida « Vorresti essere più chiaro?»
Sorrise “Non si permetterebbe mai…” , ma i suoi pensieri vennero bruscamente interrotti.
« Potremmo arrivare direttamente alla tua fuga di poco fa...» il suo viso si rilassò e accennò un breve sorriso « o potrei dilungarmi in altra maniera, ma potrebbe risultarti imbarazzante»
Lisbon spalancò gli occhi e avvampò, ma decise di non mollare « Senti, io davvero non capisco..»
Lui la interruppe « Lisbon» ora i suo occhi erano di nuovo quelli che sorridevano tristemente « non posso permettere che qualcuno si faccia male per colpa mia, non più, lo sai.»
«Jane questo…» ma ribattere era impossibile e ora le parole di lui erano un treno in corsa che non poteva essere fermato. Lisbon ebbe paura.
« Io sto bene qui con voi. Qui con te. Ma io…» si passò una mano dietro la nuca, accarezzandosi il collo, prendendo tempo « …insomma, Lisbon, io mi sento talmente vuoto, talmente vuoto che mi viene da dire che non ci sia alcuno spazio dentro di me» la guardò accigliato, incerto sull’effetto e sulla chiarezza delle sue parole.
Lei era incredula e non del tutto certa di aver capito « Io non capisco, noi ti abbiamo sempre trattato come parte della nostra squadra, come parte di una vera famiglia » sottolineò quest’ultima parola «cosa significa che non c’è spazio?».
Jane sospirò e non parlò immediatamente, la sua mente era alla ricerca di parole che gli sfuggivano, parole che si facevano rincorrere e poi spiccavano il volo. Non si lasciavano afferrare, o forse non voleva afferrarle.
Ma doveva dirglielo subito, se avesse aspettato ancora il risultato sarebbe stato solo peggiore.
Le prese di nuovo la mano, quella bruciata dal caffè, e lei non si ritrasse « Io non parlo di voi» fece una breve pausa in cui lei scrollò la testa « parlo di te, Lisbon. »
Rimasero in silenzio, guardandosi, mentre lei aveva la sensazione che il suo corpo si stesse sgretolando al suono di quelle parole.
Si lasciò stringere la mano ancora qualche istante, senza distogliere lo sguardo dall’uomo di fronte a lei.
Improvvisamente gli occhi chiari di Lisbon sembrarono intorbidirsi - proprio come quella superficie d’acqua che viene increspata dalle onde - e la sua mascella si contrasse.
Batté le palpebre e si liberò della stretta. Allontanò la sedia dalla scrivania alzandosi in piedi e altrettanto fece lui « Tutto chiaro, signor Jane» allungò la mano, come per suggellare un patto.
Lui la strinse e abbassò lo sguardo « Ora può andare, riferisca all’agente Cho di aggiornarmi sul caso Tomphson!» si accomodò nuovamente sulla sedia e lo congedò.
Patrick si chiuse la porta alle spalle e rimase in piedi davanti a quell’ufficio.
Si chiese ancora una volta perché lo aveva fatto, per quale ragione aveva deciso di distruggere Lisbon?
Si rispose per la millesima volta che sarebbe stato per il suo bene, che continuando così avrebbe solo lasciato che alimentasse delle false speranze.
Quella era un’equazione impossibile, un π non poteva stare in mezzo ad un calcolo di numeri razionali, essendo lui per definizione irrazionale.
Non sarebbe mai stato libero dalla sua condanna, non avrebbe mai espiato il suo peccato, con quale diritto quindi lui poteva tornare a vivere e ad amare?
Il suo cuore era stato sotterrato molto tempo prima, insieme ad altri due. Per questo non c’era spazio, non doveva esserci altro spazio.
Ma come aveva potuto lui dire quelle cose a Lisbon? Chi era lui per arrogarsi un tale diritto? Per decidere chi poteva amare chi? S’incamminò nel lungo corridoio.

Lisbon guardò i documenti abbandonati sulla scrivania.
Non si farà male nessuno, eh, Teresa?
La carta si costellò di piccole gocce.

***


Erano passati dieci giorni dall’accaduto.
Tutti si erano accorti che qualcosa era successo: Lisbon non rivolgeva quasi la parola al consulente e lui era un po’ più serio e meno sbruffone del solito. Alcuni lo avrebbero definito quasi rispettoso.
Era mercoledì e pioveva.
Il cielo era un agglomerato plumbeo che non lasciava spazio al chiarore del sole, sembrava già notte, benché fossero le diciasette.
Lisbon e Cho si trovavano a Sacramento per un nuovo caso, un uomo deceduto in seguito a colpi di proiettile all’interno della sua proprietà.
Erano stati chiamati poco prima, non appena i vicini avevano udito i boati degli spari.
Quando arrivarono, la casa non era ancora stata delimitata dal nastro giallo e si poteva vedere una piccola folla attorno al cancello che racchiudeva un giardinetto.
Cho e Lisbon scesero dall’auto senza ombrelli, la pioggia appiccicava capelli e vestiti.
I due si fecero largo nel capannello di curiosi e vennero ammessi al giardino da un poliziotto locale « Buonasera agenti» li accolse l’uomo « Vi abbiamo chiamato subito, l’uomo è deceduto da poco, dobbiamo ancora entrare in casa, sto aspettando i rinforzi!»
Lisbon lanciò un’occhiata a Cho che iniziò un breve interrogatorio « Cos’è accaduto?»
Mentre il collega apprendeva i primi dettagli della dinamica, Lisbon si chinò sul corpo riverso in mezzo al prato.
Sotto quel cielo scuro persino l’erba sembrava aver assunto una tonalità grigia.
L’uomo, corporatura robusta e colorito rosaceo, era riverso col volto a terra, dai tre fori aperti sulla camicia si allargavano chiazze rosse.
Improvvisamente la pioggia smise di cadere sulla sua testa.
Teresa si alzò in piedi e si voltò, incontrando quel viso ormai sconosciuto.
Quegli occhi piccoli si erano colorati del grigio del cielo, mentre un sorriso mesto faceva capolino sulle labbra sottili.
Jane teneva l’ombrello sulle loro teste, mentre le gocce precipitando si schiantavano tutt’intorno a loro.
« Non ce n’è bisogno, grazie» disse lei con voce piatta.
Lui sorrise e le lasciò l’ombrello, mentre si chinava ad esaminare il corpo a sua volta.
Lei levò gli occhi al cielo e andò ad affiancare Cho.
Mentre arrivavano altri agenti per perlustrare la casa, Cho e Lisbon appresero che l’uomo era Sam Carver, pensionato sui settanta. Viveva in quella casa con la moglie e l’unico vicino interrogato fino a quel momento non aveva segnalato alcuna anomalia nella coppia.
Ma proprio in quel momento, mentre un gruppo di agenti tentava di introdursi nell'abitazione, la porta si aprì violentemente dall’interno e una donna in camicia da notte corse fuori.
I capelli le si appiccicarono immediatamente sulle spalle a causa della pioggia, mentre i lineamenti del viso sembravano stravolti dalla follia. Sventolò in aria una pistola, gridando incomprensibili minacce.
Lisbon estrasse rapidamente la sua arma e lanciò un rapido sguardo a Jane che stava ancora vicino al corpo con le mani alzate in segno di resa.
« Signora» disse con la voce più ferma che poteva « getti la pistola o sarò costretta a sparare!»
« Quel bastardo, no, quel bastardo deve morire!» gridò la donna con la voce venata di pazzia « Non mi farà più del male!»
« Ci penseremo noi, ora posi la pistola!» disse ancora Lisbon tenendola sotto tiro, mentre Jane si era portato accanto di lei.
« Allontaniamoci» le disse « E’ completamente fuori di senno, sparerà a chiunque la intralci!»
« Potrebbe ferire qualcuno dei passanti» insistette Teresa « Devo cercare di farla ragionare!»
« Lisbon… »
« Andatevene!» la donna con la veste da notte torreggiava sul cadavere, premendo un piede nudo sulla schiena già crivellata del marito.
« Abbassi l’arma!» gridò Lisbon al culmine dell’esasperazione.
Ma la vecchia premette il grilletto.
In seguito al boato, la gente che passava e quella che si era radunata in precedenza si gettò a terra gridando, mentre una raffica di colpi trapassava il corpo in vestaglia.
Lisbon lasciò cadere la sua pistola ed afferrò quel corpo che ora si accasciava contro il suo.
Quel corpo che le aveva fatto scudo.
Il proiettile sparato dalla signora Carver era penetrato all’altezza del torace e il sangue usciva copiosamente dal foro d’ingresso.
« Dov’è l’ambulanza? Chiamate subito un’ambulanza!» Lisbon credeva di gridare, ma dalla sua bocca usciva solo un filo di voce, mentre crollava sulle ginocchia sotto il peso di quel corpo quasi inerme.
Cercò di adagiarlo come meglio poteva, ma stava perdendo la sua fredda razionalità. Cho la allontanò e, con la sua stessa giacca, cercò di tamponare la ferita impedendo la fuoriuscita di sangue.
Jane era lì sdraiato con il viso rivolto al cielo. E sorrideva. Come sempre.
« Ma che diavolo ti è saltato in testa?» gridò Lisbon in preda all’isteria « Cos’hai fatto?»
« Capo, tenga premuto qui » le disse Cho « Vado a chiamare l’ambulanza»
Lei rimase lì in silenzio, mentre il tampone di stoffa si tingeva di rosso e anche la sua mano.
« Hey, Lisbon» lei posò il suo sguardo su di lui, cercando di contenere quel torrente di emozioni che la stava pervadendo « So che avresti preferito sparami tu, però…»
« Sta zitto» gli lanciò uno sguardo gelido « Credi di sapere tutto delle persone, di saper leggere le loro menti, beh, Patrick Jane, ti sbagli di grosso» una lacrima rotolò giù per la sua guancia e si confuse nella pioggia « Ti sbagliavi su di me, non ho bisogno che tu abbia spazio per me, quindi cerca di sopravvivere, il CBI ha bisogno di te!»
« Il CBI?»
« Esatto. E io come tuo capo ho bisogno che tu continui a risolvere casi per me!»
Lui sorrise.
« Mi dispiace» le sfiorò la guancia « Ma spero che tu avrai sempre un po’ di posto per me».
La mano scivolò giù, fredda e senza fare alcun rumore toccò l’erba.
Quell’uomo era stato crudele fino all’ultimo.
Crudele con lei.
Crudele con se stesso.
E ora non poteva più frenare le lacrime e non gliene fregava niente se qualcuno la guardava aggrappata a quel maledetto uomo, chiamandolo, e battendo i pugni su quel corpo.
Tutto era nullo intorno a loro.
Tutto si era cancellato intorno a quell’equazione impossibile.

«[…] è impossibile esprimere π usando un numero finito di interi, di frazioni e delle loro radici. Questo risultato stabilisce l'impossibilità della quadratura del cerchio, cioè la costruzione, con soli riga e compasso, di un quadrato della stessa area di un dato cerchio.»²



Note:

¹ nozioni matematiche ricavate da wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pi_greco)
² nozioni matematiche ricavate da wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Pi_greco)



Non so a sto giro mi piaceva intervenire alla fine :P
Questa storia è fine a se stessa, non ha una vera e propria collocazione temporale, anche perchè non ha alcun legame con momenti specifici della serie!
Insomma, io adoro questa coppia e come molti di voi vorrei che Bruno ci desse qualche speranza più concreta ;) continuiamo a sperare (anche se forse la cosa che mi piace di più sono i flirt che non portano da nessuna parte XD).
per quanto riguarda questa storia insultatemi pure =) non so come e da dove sia uscita, è la prima che scrivo su The Mentalist...non so sono dubbiosa...ho scritto di getto e non mi piace l'idea di cambiare l'esito della storia....quindi a voi il giudizio =)

Un caro saluto
BB



  
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