For what will divide us?
Polvere.
Da giorni non vedo altro. Panorami
monotoni si aprono di fronte a me, gli occhi abbagliati dal sole del
deserto. La distruzione si realizza giorno per giorno; sangue, piscio,
sudore. Morte. Questa è la guerra. Una discarica di anime e
una boutique dell’odio. Tra tutte queste cose che riempiono
quelle che un tempo chiamavo le mie “giornate”,
l’unico modo per vincere la morte è continuare a
vivere nei miei pensieri.
Sono esattamente tre mesi, due settimane e un giorno che sono lontano
da casa, disperso in una terra dimenticata da Dio. Già, Dio.
Dov’è Dio? Per caso si è trasferito?
E’ andato in vacanza? Ha smesso di prendere appuntamenti con
i fedeli che gli chiedono di porre fine a quest’inferno?
Già, il mio inferno. Ho il fuoco nelle vene. Si, mi sento un
demone e nonostante io stia soffrendo, sono in uno stato di grazia che
mi permette di riflettere sulla vita, l’amore, la morte.
Tutto ciò diventa immensamente importante quando la tua
esistenza è in bilico tra un respiro e una pallottola.
Penso sempre, specialmente quando mi trovo nel capannone che da mesi
è diventato il nostro punto di ristoro, una mensa che ti
serve brodaglie insipide e pane raffermo e un dormitorio che puzza di
muffa. Ma nella morte e nella distruzione, questa è
diventata la nostra casa. In questi giorni avrei anche ingoiato il
piombo se necessario. Guerra e fame ti lacerano talmente infondo che
per assurdo la cosa più importante che senti nascere dentro
di te è la voglia di vivere.
-“John! Posta!”
-“Arrivo!!! Da parte di chi??”
-“Ma dalla tua “piccola”, e chi dovrebbe essere?? Cristo, ti scrive ogni santo giorno”
-“Dai qui coglione!”; John sta sorridendo, il compiacimento sul viso mentre prende posto alla mia destra.
-“Buongiorno Christian!”; l’omone che ha portato la posta sta gracchiando il mio nome.
-“ ‘Giorno Fred!”; riesco a malapena ad aprir bocca.
-“Quando avrò l’onore di darti una lettera?? Possibile che tutti si siano scordati di te?”; a Fred piace scherzare, per questo non mi offendo.
-“Beh, amico, esiste un aggeggio chiamato ‘cellulare’, hai presente??”
-“Giusto! Beh, buon appetito allora!”
-“Anche a te!”
Fred si lascia cadere
pesantemente sulla sedia alla mia sinistra, addentando una mela e
imprecando perché tardavano a servire la cena.
Già, nessuno mi scriveva. Soprattutto, da quando sono
arrivato qui, non avevo notizie di Gloria. Non una lettera, non un
messaggio. Nulla.
Gloria. Nei momenti in cui la stanchezza inizia a farsi sentire, credo
di vederla nel deserto ed è come vedere la salvezza sul
punto di morte. I suoi occhi neri bruciano all’orizzonte,
più forti del sole, più neri della notte. Si, la
notte. Il tocco delle sue mani e delle sue labbra sono sogni frequenti,
destinati a rimanere tali; ormai Gloria non c’è.
Non l’avrei ritrovata al mio ritorno così come non
la vidi un’ultima volta prima di partire. Non sarebbe venuta
a cercarmi e io non l’avrei mai ritrovata, nascosta
chissà dove.
Gloria, la mia Gloria. La più dolce, la più
coraggiosa. Lei che significa tutto per me, lei che ho perso per
combattere nel deserto.
Forse avrei dovuto pensarci, forse avrei dovuto considerare cosa fosse
davvero fondamentale per me.
-“Mangia che si fredda”
Fred mi sta ridestando bruscamente dai miei pensieri e senza accorgermene mi ritrovo in piedi.
-“Non ho fame, devo andare”
Ormai mancano poche
settimane al mio ritorno e non posso viverle nella sconfitta,
consapevole che non ho fatto nulla per tenermi stretta la mia Gloria.
Un pugno alla porta del dormitorio e inizio a rovistare nella mia
valigia finché non trovo una penna e un quaderno dove da
tempo annotavo i miei giorni al fronte. Strappo un foglio, mi siedo sul
letto e con le parole ben chiare in mente, inizio a scrivere una
lettera per Gloria.
La mia Gloria.