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Autore: Aster Malenkaya    12/10/2011    0 recensioni
Come a volte una semplice lettera possa aiutare ad esprimere parole tanto difficili da pronunciare. Fritz e Gilbert, con la presenza di un piccolo Lud.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Passi risuonarono nel corridoio vicino alla porta.
La maniglia compì un giro di quarantacinque gradi prima di aprirsi con uno scatto metallico.
-Fritz posso entrare?-
Nessuna risposta.
-Fritz?-
Il volto di Gilbert apparse da dietro la porta ma all'interno della stanza non c'era nessuno.
Il ragazzo entrò dentro lo studio del suo governatore.
Si  guardò intorno e tutto ciò che riuscì a vedere fu la fiamma fioca di una candela poggiata sulla scrivania.
Gilbert vi si avvicinò per posare i documenti che, nonostante l'ora tarda, aveva finito di compilare.
Una busta poggiata sul mogano nero attirò però la sua attenzione.
Il ragazzo fece il giro della scrivania e la osservò .
Poche parole in una calligrafia conosciuta.
"A Gilbert"
Uno strano brivido gli  percorse la schiena.
Diede un'occhiata alla porta semichiusa prima di raccogliere la busta con mano tremante.
Deglutì e si apprestò ad aprirla.
Dentro vi era una lettera; una lettera di Fritz.
Si sedette sulla poltrona del governatore avvicinando la candela per poter leggere meglio.
 
 
"Che splendida giornata oggi, non è vero Gilbert?
Il sole splende nel cielo e gli alberi ondeggiano piacevolmente secondo la leggera brezza che tira.
Hai visto ultimamente il mio roseto? L'ho piantato quando sei nato.
All'inizio era un piccolo seme marrone che si confondeva fra la terra, ma dopo pochi mesi era già cresciuto.
Ogni giorno andavo ad annaffiarlo personalmente; volevo che crescesse sano e forte così che un giorno non avrebbe più avuto bisogno di alcun aiuto.
Dopo alcuni anni era diventato quasi il doppio e cominciava a far vedere dei piccoli boccioli.
Ad ogni primavera quei piccoli boccioli si trasformavano in rose bianche, ed io non le raccoglievo, anzi, donavo loro ogni tipo di cura, affinchè nè il tempo nè la mano dell'uomo le potesse ferire.
Non ci volle molto perchè il roseto crescesse ancora ed imparasse a difendersi da solo con le sue spine appuntite.
Crebbe, crebbe e crebbe ancora Gilbert.
Divenne grandissimo ma le sue rose bianche cominciarono a morire.
Ogni giorno uno dei suoi petali si staccava da quei fiori magnifici.
Stava morendo ed io non me ne ero accorto in tempo."
 
 
Gilbert strinse il foglio fra le mani per evitare che il loro tremore gli impedisse di leggere bene, anche se una parte di lui gli implorava di smettere.
Tirò su col naso e continuò.
 
 
"Pensavo che sarebbe durato per sempre.
Quel roseto aveva ancora bisogno di me ed io l'avevo trascurato.
Lo diedi per spacciato ormai e così me ne disinteressai.
Pochi giorni fa sono tornato a quel roseto e sai cosa era successo nel frattempo?
In mezzo alle rose bianche, ormai morte da tempo, ne era nata una rossa e bellissima.
Si distingueva fra le altre per la sua floridezza, per il suo colore vivace, per la sua vita fra le altre per le quali era ormai giunta l'ora di appassire.
Il roseto era riuscito a sopravvivere, non era mai morto, aveva solo lasciato spazio al cambiamento. Alla vita nuova.
E vedendo il mio roseto che dopo anni era finalmente riuscito ad essere autosufficiente sai cosa ho capito? Che non era il roseto ad aver bisogno di me per sopravvivere, ma che io avevo bisogno di lui per non morire.
Gilbert, mia splendida rosa rossa, fin dalla nascita sei riuscito a darmi una ragione per la quale vivere senza mai rimpianti, ed anche adesso che la morte mi sta cogliendo posso dire di essere orgoglioso.
La rosa bianca è morta, ma dalle sue ceneri la rosa rossa è pronta per vivere.
In questo modo anche la morte diventa un piccolo seme da piantare, così che un giorno sarà nuova vita.
 
 
                                                                                   Con amore infinto,
                                                                                  Frederich               "
 
 
Gilbert rimase immobile, gli occhi fissi sulla carta, mentre un'improvvisa sensazione di vuoto s'impossessò di lui.
Ed insieme alla consapevolezza di essere rimasto solo, un'incontrollabile voglia di piangere si riversò fuori dai suoi occhi sottoforma di lacrime.
Cadde in ginocchio ai piedi della scrivania mentre i singhiozzi spezzarono il silenzio lungo i corridoi.
-Fratello...-
La voce del suo fratellino dietro la porta dello studio lo destarono da quel momento di dolore.
Il proprio pianto lo aveva svegliato.
-Perchè piangi fratello?-
Gilbert scuotendo la testa  si apprestò ad asciugarsi il volto con le mani.
-Non sto piangendo Lud-
-Non piangere fratello...adesso c'è il tuo fratellino...-
Il bambino corse veloce dove il fratello si era accasciato e non facendogli nemmeno finire di parlare che l'abbracciò il più forte che poteva.
Gilbert sorrise a quella frase tanto premurosa ricambiando l'abbraccio.
Ma ecco che la domanda che tanto temeva fu formulata.
-Fratello, dov'è Fritz?-
Gilbert guardando il bambino non disse niente ma le lacrime che a quel nome si accumularono ai bordi dei suoi occhi e scesero fino al mento parlarono per lui.
Il piccino se ne accorse e ormai anche lui sull'orlo delle lacrime si strinse forte al fratello.
Gilbert si maledì più volte per l'esempio ridicolo che gli stava dando ma stringendo Ludwig fra le braccia non poteva fare a meno di piangere con lui in silenzio.
 
 
 
La notte era calata a Berlino.
La candela si era ormai consumata.
Una rosa rossa brillò alla luna ed il suo bocciolo con essa splendette.
  
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