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Autore: alicehorrorpanic    13/10/2011    3 recensioni
Benedetta Cerri, venticinquenne responsabile e con la testa sulle spalle, almeno all'apparenza, poiché nessuno è veramente come si mostra, c'è sempre una parte che si cerca di nascondere per pudore o paura del giudizio.
Di certo non sta mostrando la sua matura età scuotendo la testa da una parte all'altra con i suoi lunghi capelli scuri a fare da infiniti lampi di tempesta, il corpo che si muove a ritmo ancheggiando e le mani in alto a sfiorare la testa in una posa sensuale.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Benedetta Cerri, venticinquenne responsabile e con la testa sulle spalle, almeno all'apparenza, poiché nessuno è veramente come si mostra, c'è sempre una parte che si cerca di nascondere per pudore o paura del giudizio.
Di certo non sta mostrando la sua matura età scuotendo la testa da una parte all'altra con suoi i lunghi capelli scuri a fare da infiniti lampi di tempesta, il corpo che si muove a ritmo ancheggiando e le mani in alto a sfiorare la testa in una posa sensuale.
Questa forse può sembrare una scelta sbagliata, avventata, fuori dai canoni per lei.
Ma quando si fanno scelte giuste? 
Mai, appunto.
Si è così presi dalla foga del momento che si fanno e si dicono le prime risposte che ci passano per la mente, senza pensare al dopo, senza esitazioni.
Il fatto è che le conseguenze si capiscono alla fine, quando la testa l'hai già sbattuta, quando in brandelli ci sei già finita.
È stato un gesto di libertà, quasi di ribellione come a sottolineare la ragazzina dentro di lei, che ancora scorrazza e fa danni.
Il vestito attillato fascia perfettamente ogni curva del suo corpo dove la natura ha deciso di abbondare, le gambe lunghe e lattee sono lasciate scoperte fin da sopra il ginocchio, e si muovono con leggiadria ed eleganza.
E i tacchi, che dire, dei trampoli degni di essere indossati solo da Lady Gaga, non certo da Benedetta, che già risultava instabile su delle semplicissime zeppe.
Si muove e si scatena disinvolta e senza pensieri per la testa, svuotata di ogni cosa.
Balla.
Urla.
Si scatena.
E beve da un bicchiere che un qualsiasi ragazzo le porge, rischiando di versarsi il  liquido addosso — si passa le nocche sul mento per pulirsi e guarda davanti a sè.
Si umidifica le labbra in una mossa che vuole essere sexy e seducente ma che lei sa che, su di lei, ogni atteggiamento apparentemente suadente la mostra nella sua ridicolità e impacciataggine.
Alto, capelli biondi spettinati, non troppo lunghi, occhi color nocciola, con una giacca di pelle a coronare quelle spalle larghe.
Mentre il liquore le passa attraverso il corpo confondendole la testa pensa di avere di fronte un Brad Pitt, all'italiana, bello e affascinante in qualunque modo si vesta o si tagli i capelli.
Si sporge verso quel ragazzino misterioso e gli si appoggia quasi addosso biascicando una domanda quasi incomprensibile alle sue stesse orecchie ma che arrivano a quelle di lui «mi chiamo Filippo» si ferma per qualche secondo per poi aggiungere un «ma puoi chiamarmi Lip» la fissa, senza distogliere lo sguardo.
Senza pensarci, come ogni volta, lo afferra per un braccio e se lo porta addosso, gli circonda le spalle con le braccia in un muto invito a ballare insieme.
Lui la asseconda senza tirarsi indietro, senza indugiare, sfiorando i loro corpi senza esitazione, senza vergogna, senza pudore alcuno.
I loro visi a pochi centimetri di distanza, respiri nei respiri, occhi negli occhi, e fu un attimo.
Le loro labbra si scontrano a metà strada, senza bisogno di parole, ne di gesti per capirsi.
E fu un attimo.
Bocche che si cercano.
Braccia che si stringono.
Corpi che si attaccano.

Si sente intorpidita, sbatte le palpebre velocemente e la luce colpisce i suoi occhi chiari come le nuvole.
Aggrotta la fronte confusa e se la massaggia pesantemente con le mani, per cercare di fare mente locale.
Sposta la testa da una parte all'altra non riconoscendo né la camera né il letto che avvolge le sue membra addormentate.
Si mette diritta e si copre col lenzuolo bianco arrotolato nell'altra parte del letto.
Guarda al suo fianco ma non c'è nessuno, solo il segno di una figura che vi ha dormito.
Sola in un letto.
Disorientata.
E sola.
Sente sbattere la porta e alza gli occhi.
Un ragazzo in boxer neri, con l'asciugamano sulla testa ad asciugarsi quei capelli biondi spettinati umidi.
Posa lo sguardo sulla figura nel letto e si immobilizza «ehi»
La sua voce risveglia i ricordi di Benedetta in un'istante — come se fosse starà catapultata indietro nel tempo senza via di fuga.


“Sei bellissima” il suo respiro soffia delicato sul suo collo, provocandole la pelle d'oca e un leggero giramento di testa.
“Anche tu” del resto, come si fa a non pensarlo di un Brad Pitt all'italiana.
Stringe i suoi fianchi e si avvicina al suo orecchio sussurrando parole che non riesce a cogliere a causa della musica assordate che fa loro da sottofondo ma quattro le entrano nel cuore, senza passare per il cervello “stai con me stanotte” e lei annuisce solo con la testa, prima di essere trascinata via da lì.


«Sai» esordisce il ragazzo avvicinandole e sedendosi sul bordo del letto «non ti ho ancora chiesto come ti chiami»
«Benedetta» balbetta lei, la gola secca e un mal di testa insopportabile che sta per nascere.
Lui sembra pensarci sopra — come se un nome andrebbe analizzato nello stesso modo di una poesia — e d'un tratto sorride ammiccando «Betta nel mio letto»
e le accarezza una guancia dolcemente, ammirando ogni possibile lembo di pelle nuda di lei.
«E tu..» chiede titubante, consapevole di star facendo la figura della ragazzina che non regge neanche due bicchieri di alcool.
«Lip» sospira «nel mio letto» aggiunge malizioso.
Quindi quella fuori posto è lei, che si è intrufolata nel suo letto, senza farsi problemi che sicuramente sarà occupata ad affrontare più tardi.
Si schiarisce la voce e sposta lo sguardo alla sveglia digitale sul comodino nero: le sei e quaranta.
E deve uscire da lì.
«Devo..» borbotta a disagio «andare in bagno» 
«Prima porta a destra» risponde lui senza scomporsi, e senza smettere di osservarla.
Respira e si tira dietro il lenzuolo, raccattando dalla sedia, dalla cassettiera e dal pavimento ogni lembo di tessuto che sembra appartenerle.
E lo lascia solo, sul letto della sua stanza, senza lenzuola e in boxer.

È in ritardo.
Per la prima volta Benedetta Cerri è in ritardo, con un vestito attillato e tacchi in  pieno giorno.
Scende dal taxi cercando di coprirsi e di allungare magicamente quello straccio di vestito ancora più corto di prima.
Dopo essersi sistemata in bagno, aver tolto ogni traccia di trucco sbavato da quel viso pallido, se l'era defilata, e il ragazzo non si era opposto anche se era visibilmente scocciato.
Ha chiamato un taxi e ora è arrivata a destinazione — buttando fuori quasi quindici euro — davanti a un portone di legno antico che lei ha sempre odiato a morte.
Istituto tecnico Cardano.
Attraversa velocemente lo spiazzo non dando attenzione agli sguardi maliziosi che quei ragazzini le stanno sicuramente lanciando, senza risparmiarsi in commenti piccanti.
E se non fosse stata così impegnata a correre sui quei tacchi vertiginosi si sarebbe accorta di qualcuno che, vedendola passare — con quelle sue gambe lunghe e lattee — si era zittito di botto.
Prende il corridoio e sale frettolosamente la scalinata in marmo, nascondendosi nella sala professori — lontana da ogni occhio indiscreto.
Deve fare supplenza alla professoressa di italiano, la signora Sandra Adriani che si assenterà per malattia qualche settimana— caschetto di capelli biondi sempre perfetti, mai un giorno che avesse qualcosa fuori posto o una piega sulla gonna. 
E lei odia fare supplenza, ma si vede costretta se vuole guadagnare anche solo un misero stipendio.
Con il suono della campanella si chiude la porta alle spalle mischiandosi alla massa disordinata degli studenti, tiene la testa abbassata e percorre l'intero corridoio fino all'ultima porta: 5F — recita la targhetta affissa alla parete di fianco.
E fu un attimo.
Il respiro le mancò.
Il corpo le tremò.
E la mandibola le cadde a terra.



I loro occhi si scontrarono, si incatenarono, cozzarono e — in preda a un qualche strano magnetismo da stregone — non si abbandonarono neanche per un respiro.





[l'ho modificata, riscritta in modo più decente spero, ditemi voi]
  
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