Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Bran Lovecraft    13/10/2011    2 recensioni
Nel buio della notte una vita è in pericolo. La foresta trema di terrore perchè qualcosa di malvagio sta per abbattersi. Un'antica vendetta sta per compiersi, ma il fato è crudele e sordo ai dolori e alle sofferenze di tutti.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le tenebre della notte divoravano il paesaggio. Solo una flebile luce rischiarava di speranza quel bosco altresì immerso nel buio della disperazione. Era la luce della Luna, pallida e nascosta tra le fitte nubi insieme alle sue ritrose ancelle le stelle. Qualcosa di malvagio stava per accadere. Anche gli alberi lo percepivano e tentavano di raggiungere la salvezza della Luna tendendo i loro rami spogli verso di essa, come mani scheletriche pronte ad acciuffare quella Dea così bella e lontana. Ma invano, perché loro erano creature della Terra e alla Terra dovevano rimanere radicate. In lontananza si udiva il canto minaccioso di un gufo e il battito delle ali di pipistrelli in caccia di insetti era udibile nel silenzio della foresta. Anche i lupi erano troppo timorosi per lasciare i loro rifugi ed ululare ad una Luna quasi assente nel cielo tenebroso. L'aria emanava un odore insopportabile di zolfo. A rendere lo scenario ancora più macabro e sinistro c'era il cadavere putrefatto di un cervo le cui carni erano state dilaniate da qualche animale, probabilmente un lupo. Ora giaceva lì, stramazzato sul suolo umido della foresta, già tana di molti insetti famelici dei suoi organi e tessuti. La quiete disturbante del bosco venne strappata via da un grido disumano, di orrore e paura. In una grotta, immersa nella fittezza della foresta, qualcuno stava urlando di terrore. Era una donna. Ella si trovava immobile su un masso, posizionato a mo' di altare. Il suo corpo non era legato da alcunché di visibile, ma la donna non era in grado di muoversi. Solo le pupille, che scattavano a destra e a sinistra in cerca di aiuto, e la bocca tremante e urlante erano libere da quella forza invisibile che impediva alla donna qualsiasi movimento. Era giovane, non doveva avere più di vent'anni. Era molto bella. Anche nell'ora del dolore e della paura, i suoi lineamenti delicati non tradivano la sua bellezza. Era una bellezza magnetica, da femme fatele. Quegli occhi ambrati, rapiti dal panico, riuscivano lo stesso ad emanare una luce che avrebbe ammaliato qualsiasi uomo e donna. I capelli, neri come le piume dei corvi, erano dominati da ricci ribelli. Il viso era pallido, così come il corpo; un pallore candido per cui la stessa Luna provava invidia. Vestiva un abito bianco, di seta, che la faceva apparire creatura d'altro regno, riemersa da una fiaba d'altri tempi. Però l'incanto di quell'abito era rovinato da inquietanti macchie cremisi. Era sangue. Più rosso dei papaveri, fiori della morte. La donna continuava ad emettere suoni disumani, grida di sofferenza. All'improvviso nella grotta rimbombò il suono di una voce femminile. “Taci! Taci, ti ho detto!”. La voce apparteneva ad una figura immersa nel buio, la cui sagoma si fece man mano più chiara mentre si avvicinava verso la donna immobilizzata sull'altare di pietra. Alcuni cristalli, color giallo limone, erano appoggiati sul masso ed erano l'unica fonte di luce nella grotta oscura. La prigioniera poté dunque osservare la responsabile dello stato in cui si trovava. Orrore! Si trattava di una vecchia, un'orribile vecchia. Sulla pelle rugosa erano disegnati strani simboli arcani, le labbra erano perforate da un anello che dava alla vecchia l'aspetto di una giovenca, e si passava tra le mani un misterioso oggetto sferico. Ma il dettaglio più raccapricciante della sua persona non erano neanche i lunghi capelli grigi, sporchi di fango e intrecciati con ramoscelli, né le ossa di cinghiale che portava al collo come collana, né il suo abito fatto di pelli di animali morti che emanava un fetore straziante. No, l'elemento di quella visione raccapricciante che disturbava di più erano le iridi. Bianche, bianche come il chiarore della luna. Vuote, prive di espressione. La vecchia non poteva vedere. Dopo un attimo di pausa, la vecchia cominciò a strofinare sul corpo della ragazza l'oggetto sferico che teneva in mano. Era freddo e viscido. E con orrore, la donna imprigionata si accorse, quando la sfera toccò il suo viso, che si trattava di un occhio. Un occhio umano. La donna non poté trattenere un grido di disgusto. La vecchia rimase indifferente e questa volta non le ordinò di tacere. Invece prese l'occhio e lo portò nella sua bocca e, con la sua lingua, lo leccò avidamente. “Oh, sì. Oh, sì.”, disse. “Proprio come pensavo. Marcia, antica, torrida, pericolosa. Un mostro.” La ragazza scoppiò in lacrime. Cercando di soffocare i singhiozzi, implorava la vecchia di lasciarla andare, di liberarla. “Perché non riesco a muovermi?”, chiese infine, il bel volto rigato dalle lacrime. “Grazie a questi!”, esclamò la vecchia prendendo in mano uno dei cristalli gialli adagiati sull'altare e portandolo alla vista della donna. Poi lo appoggiò di nuovo da dove lo aveva preso. Erano cristalli di zolfo; i responsabile dell'odore che opprimeva l'aria nel bosco. La vecchia ne aveva posizionati alcuni anche ai confini della caverna, come una sorta di scudo magico. “Che cosa vuoi da me? Chi sei?”, disse la prigioniera cercando invano di liberarsi. “Non importa chi sono io.”, le rispose bruscamente la vecchia. “Importa chi sei tu. Anzi cosa sei. E tu sei un mostro!”. La ragazza non capiva. Non aveva mai incontrato prima questa vecchia e ora era lì, in cattività come un fiera del bosco catturata da un cacciatore, a sentirsi chiamare mostro. Poi un ricordò riaffiorò nei meandri più remoti della sua mente e il suo sguardo si dipinse di stupore. “Non può essere, non è possibile.”, disse con un filo di voce. “Alla fine mi hai riconosciuta.”, intervenne la vecchia. “No, tu non puoi... tu sei... Tu sei morta!”, disse la giovane alzando il tono della sua voce. L'anziana fattucchiera non disse nulla, ma prese l'occhio che prima aveva assaporato e lo introdusse nella bocca della ragazza. Al tocco del bulbo oculare con la lingua, la giovane ebbe una visione di quello che era accaduto diversi anni prima. C'era una donna, giovane e dall'aria felice. Aveva morbidi capelli castano ramati e occhi azzurri come due fiordalisi. Correva su un prato di fiori di campo, i piedi nudi che volavano leggeri sull'erba verde. La prigioniera riconobbe nella giovane donna del passato l'orrenda vecchia del presente. Non era sola, con lei c'era un uomo. Un bel giovane, capelli color del grano e gli occhi nocciola. I due sembravano innamorati, mentre giacevano a terra tra i fiori colorati, sull'erba soffice del prato. Poi lo scenario cambiava. Era il crepuscolo e i due innamorati si incamminavano nel bosco. Gli alberi erano fitti e la luce del giorno stava lasciando posto alle tenebre della notte. La ragazza era impaurita, ma il giovane le dava conforto prendendole la mano. Ad un tratto qualcosa cambiò nella visione. C'era sangue, molto sangue. Sgorgava dalla gola recisa del giovane come l'acqua zampillante di una fontana. La fanciulla piangeva, accasciata sul corpo privo di vita del suo amato. Poi la stessa creatura che aveva ucciso l'uomo si accanì anche sulla sua compagna. Grida confuse e alla fine il buio. La prigioniera era tornata alla realtà. “Io sopravvissi all'attacco”, spiegò la vecchia narrando il fatto come un araldo racconta storie di tempi antichi. “Ma ero davvero malridotta, in fin di vita.” Mentre parlava, frugava con le mani all'interno del suo vestito di pelli. “Per fortuna mio padre era uno stregone molto potente e sapeva cosa andava fatto affinché avessi salva la vita.” Finalmente estrasse un oggetto appuntito. Era una specie di pugnale di legno. “Egli si sacrificò per donare a me la sua vita. E quando morì, non solo le mie ferite mortali guarirono, ma assorbii anche tutti i suoi poteri. L'unica parte del mio corpo che non riuscì a salvare furono i miei occhi. Tuttavia aveva pensato anche a questo: mi fece dono del suo occhio di veggente così io potessi vedere ciò che agli altri non era permesso.” Dopodiché la vecchia sussurrò alcune parole incomprensibili anche all'udito più acuto di un pipistrello. “Ed ora avrò la mia vendetta sulla creatura malefica responsabile delle mie sciagure!”, e punto il pugnale di legno contro la donna magicamente incatenata all'altare di pietra. Ma nell'impeto la vecchia fece cadere con la sua lunga veste di pelli alcuni cristalli e la giovane fu libera dalla sua prigione di zolfo. Con uno scatto rapido della mano scaraventò contro una parete della grotta la vecchia. “No, sarò io a finire ciò che ho negligentemente trascurato anni fa!”, disse la ragazza. E avvicinandosi alla sua preda, mostrò la sua vera natura. Canini affilati spuntarono nella sua bocca, mentre il suo corpo di donna fatalmente bella lasciava posto all'aspetto di un orripilante creatura animalesca, simile ad un pipistrello. In pochi secondi il terribile vampiro fu alla gola della vecchia strega e con scatto felino le morse la giugulare fino a ridurla in fin di vita, morta dissanguata. Inebriata del sangue della sua vittima, il vampiro si diresse all'uscita della grotta. Purtroppo i cristalli di zolfo le impedivano il passaggio e lei non poteva toccarli. Come un topo in trappola, la donna vampiro cadde in preda al panico. Il motivo della sua paura era l'arrivo del giorno. In poco tempo il cielo passò dalle mani della Luna a quelle del Sole, i cui raggi penetrarono la caverna e per il vampiro fu la fine. La luce bruciava. Bruciava la sua pelle diafana, i suoi selvaggi capelli neri. Dove fino a qualche minuto prima sorgeva una famelica creatura della notte, ora c'erano delle ceneri, trionfo del giorno. E nella foresta era tornata la calma.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Bran Lovecraft