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Autore: dily___    13/10/2011    3 recensioni
“E chi è?”
“Non lo conosci.”
“Parlamene. E’ bello?”
Il viso di Mary Anne si distese in un sorriso.
“Oh sì. E’ alto, i capelli color nocciola, e un lieve accenno di barba. E’ vestito sempre elegante e curato, con la camicia sotto un golfino.”
La faccia dell’amica era l’emblema del disgusto.
“Come si chiama?”
“E chi lo sa…Però va a messa! E fa del volontariato. Ed è sempre gentile e garbato con tutti.”
“Dov’è il bagno?”
Mary Anne assunse un’espressione delusa.
“Ma mi ascolti?”
“Oh sì, è che ho come l’impressione che sto per vomitare.”
La ragazza si alzò in piedi ravvivandosi i lunghi capelli e stirandosi, per poi dirigersi verso l’enorme specchio che dominava la stanza e aggiustarsi l’ombretto nero con le dita. Mary Anne ne ammirò la figura alta e slanciata, e una fitta di gelosia le trapassò il petto. Non sarebbe mai stata come lei.

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Ci sono essenzialmente due tipologie di ragazze.
Quelle insicure di sé, che vivono la loro vita nella paura di non piacere, quelle che aspettano un cambiamento che – ne sono sicure – non avverrà mai. Perché le cose belle non accadono mai a loro, ma sempre a qualche ragazza più bella, più interessante, più fortunata. Come Mary Anne: la sua è un'esistenza trascorsa in silenzio, perchè a volte cambiare fa troppo paura.
E poi invece ci sono quelle ragazze che lottano per rimanere sempre in superficie, quelle che devono costantemente essere al centro dell’attenzione per non cadere nell’abisso, quelle che urlano il loro bisogno degli altri e lo ottengono con una maschera perfetta che indossano ogni giorno della loro esistenza.
Come Nikyta: che graffia ogni giorno pur di non perdere neanche un attimo della sua vita, ma tuttavia questa sembra sfuggirle tra le dita ogni giorno di più. Senza che lei possa farci niente.
E l’amore, forse, non è sempre la cosa migliore da aspettare. Perché quando lui arriva, distrugge tutto.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella che state per leggere è la riscrittura di una storia scritta tempo fa, pubblicata, cancellata e poi dimenticata, come si fa sempre con le cose vecchie. Eppure un po' mi dispiaceva, così eccola qui. Spero che vi piaccia. Accetterò con vero entusiasmo qualsiasi commento mi vogliate lasciare, perchè sono sempre un'ottima occasione per crescere e migliorare, e soprattutto adoro vedere cosa la gente ne pensa: a volte mi fanno guardare con occhi diversi la mia stessa storia. :)
Buona lettura!



"Se la mia vita fosse un libro, nessuno certo si prenderebbe mai il disturbo di leggerlo. Poco ma sicuro.

Lo abbandonerebbe a metà, dopo poche pagine, lasciandolo sul comodino a prender polvere.

Qualche temerario potrebbe arrivare perfino a concludere qualche capitolo, chissà, prima di tirare il volume in un angolo dell'armadio indignato per aver perso il proprio tempo.

Questo perchè si tratta di una storia senza trama. Chi mai potrebbe esserne interessato, se nemmeno io lo sono?"

 
Le dita affusolate scivolavano abilmente sui tasti del pianoforte, sprigionando una melodia dai tratti leggermente malinconici. Le piccole ballerine nere premevano i pedali ogniqualvolta una nota richiedesse una maggiore durata, come le avevano sempre raccomandato di fare.
Erano cose importanti, quelle.

Suonava fin da piccola, adorava farlo. Era l'unica cosa che la facesse sentire in qualche modo diversa. Non così mediocre come appariva, dopotutto. Perché era questa la sua più grande paura: la consapevolezza dell’apatia che contaminava la sua vita, ormai data quasi per scontata. Ogni giorno si susseguiva uguale all’altro, una lunga fila di lembi sbiaditi di esistenza. 

Solo a pensarci, le saliva un’incontenibile tristezza.


La musica si affievolì fino a spegnersi e le mani si fermarono, quasi incerte, poi si posarono delicatamente in grembo. Aggiustandosi le pieghe della gonna, Mary Anne si alzò e mise a posto lo spartito in un cassetto, richiudendolo dolcemente. Gli occhi verde chiaro brillavano di una luce particolare, quasi fossero il riflesso della delicatezza della melodia che fino a poco tempo prima aveva riempito la stanza. 

Ma nessuno se ne sarebbe mai accorto. Nessuno la guardava mai negli occhi.

Quasi a passo di danza, si diresse verso l’immensa finestra che donava all’ambiente una considerevole luminosità, e scostando le tendine di pizzo, dominando un senso di pacata impazienza, guardò giù in strada con aria lievemente preoccupata.
Sospirando impercettibilmente, si scostò poi dal vetro.
Rimase qualche istante sovrappensiero, poi si sedette lentamente sul letto, accarezzando la coperta dalle tonalità pastello e prendendo un classico del novecento da sotto il cuscino. 

Sarebbe arrivata a momenti, lo sapeva. Lo sapeva sempre, quando lei arrivava.

 

Qualche isolato più in là, in periferia, la vita continuava nella sua chiassosa vivacità. Una donna, carica di borse della spesa, cercava di convincere sbuffando il bambino che teneva per mano a non saltare nelle numerose pozzanghere causate dall’ultimo acquazzone primaverile; un gruppo di operai si chiamava a gran voce mentre cercava di sistemare un’enorme crepa che solcava l’asfalto; una ragazza come tante camminava lentamente, persa nella sua vita. 
Un passo, un altro. Non avrebbe saputo più dire se fosse stata lei a camminare o il marciapiede a muoversi in senso opposto sotto di lei. A volte non se ne rendeva più conto.

Ehi bella… perché non ci fai vedere cos’hai sotto quella gonna? Ehi, Larry, guarda che splendore.”

Certo, prima mettiti in fila.”
Lo sguardo indifferente, Nikyta passò oltre senza degnarli di uno sguardo, senza neanche affrettare il passo. Niente da stupirsi. Camminava a grandi falcate e sembrava non accorgersi delle occhiate curiose, talvolta ammirate, dei passanti; era occupata a sistemare la spilla da balia che teneva attaccata la sua manica sinistra, e questa operazione le richiedeva il massimo della concentrazione. Maledetta manica. Continuava a staccarsi, e lei non ci poteva fare niente, proprio niente.

Sputò la gomma da masticare, evitando di qualche centimetro un anziano signore, e dando un calcio ad una lattina rifletté su quanto certa gente fosse inutile. Le capitava spesso di pensarci. Era un pensiero profondamente narcisista e se ne rendeva conto, ma forse non aveva voglia di provare a sistemare i suoi difetti quando la gente non aveva il minimo interesse a soffermarsi sui loro.

Svoltò in un quartiere dai giardini ordinati e le siepi curate, attraversato da immacolati vialetti. Se non fosse stato per la strada ancora bagnata, si sarebbe potuto tranquillamente pensare che la pioggia del giorno prima avesse risparmiato questa area della città.  

Si fermò per soffiarsi rumorosamente il naso, imprecando a bassa voce contro il raffreddore, puntuale ogni primavera. Forse era un’allergia. Non lo sapeva, ma concentrarsi sull’odio verso quei sintomi sconosciuti era molto più facile che andare dal dottore. 

Arrivò ben presto al portone che occupava quasi mezza facciata della candida villa in fondo alla via; il buco in cui lei abitava avrebbe potuto svolgere benissimo la funzione di ripostiglio per le scope in una casa come quella. 
Scosse la testa. Era convinta che tantissime persone risultassero patetiche nel cercare ad ogni costo di avere una vita felice.  

Esitò qualche istante, cercando di tirare un po’ più in giù la stretta minigonna di jeans, poi bussò impazientemente. 
Mary Anne aprì con un sorriso.
“Temevo non arrivassi più. Entra pure.”
“Scusa, ma ho avuto problemi a casa. E ho incontrato un branco di deficienti per strada.”
Mary Anne richiuse delicatamente il portone e si diresse in camera sua senza commentare. 

Nikyta si guardò intorno con aria ammirata. Non era la prima volta che entrava in quella casa, ma i suoi occhi non potevano mai fare a meno di soffermarsi sui quadri impressionisti che decoravano le pareti, i vasi di ceramica sopra i mobili di mogano antico, le fotografie luminose che davano all’ingresso una dimensione irreale. Si impose di non fare paragoni. I paragoni fanno sempre stare male. Lei lo sapeva bene.
Cercò di assumere un’aria vivace e spensierata, volutamente superficiale. Lo faceva sempre.
“Cavolo, ogni volta che entro qui non posso fare a meno di pensare che ai tuoi escano proprio i soldi dal buco del c-”
“Hai reso l’idea,” la interruppe precipitosamente Mary Anne, spingendola decisa in camera sua e richiudendo la porta dietro di sé.

Togliendosi le Converse logore – avrebbe dovuto seriamente comprarsene un paio nuove, era ora di smettere di rimandare - Nikyta si gettò sul letto con un balzo, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli tinti di un bianco platino e dal taglio asimmetrico. Si sforzò di sorridere, ma in realtà pensava ancora ai vasi di porcellana e alle fotografie.
“Marilù, queste lenzuola rosa mi mettono ansia,” esclamò, fingendosi inorridita.
“A me piacciono. E trovo che Marilù sia un nome da prostituta.” 

La voce di Mary Anne era ferma e impassibile, come al solito.
“Cos’hai contro le prostitute? Si guadagnano il pane onestamente.”
Mary Anne non rispose, e si sedette sul tappeto ai piedi del letto, incrociando compostamente le gambe. Nikyta si sdraiò sul bordo e le accarezzò i capelli tagliati a caschetto.
“Sai, penso che dovresti farteli crescere.”
L’amica annuì distrattamente. Ancora silenzio. 
“Ad ogni modo, come mai mi hai chiamata con tanta fretta?”
Mary Anne esitò per diversi secondi, mordendosi il labbro e aggrottando le sopracciglia sottili e perfette.
“Niky, mi sono innamorata. Pesantemente.”

Nikyta smise di accarezzarle i capelli, presa alla sprovvista. Una scarica di pensieri le folgorò la mente – no, tu no, risparmiati questo male, almeno tu che ancora puoi – lasciandola confusa. Si sforzò di apparire entusiasta.
In realtà aveva sempre come pensato che Mary Anne fosse inadatta alla vita. Troppo fragile, troppo sensibile, troppo ingenua e…pura. Lei non doveva innamorarsi.

Eccolo di nuovo, quel narcisismo che la portava a risultare antipatica a tanta gente, ma ne era sempre più convinta. Mary Anne no, non poteva innamorarsi. L’amore era per le persone che non hanno più nulla da perdere, per quelle a cui una nuova cicatrice non sfregia più il cuore.
   
 
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