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Autore: DK in a Madow    14/10/2011    0 recensioni
Christian e Gloria volevano amarsi. Niente di più. Volevano aggiungere solo un po' d'amore a questo mondo fin troppo inebriato d'odio. Ma quanto è breve il passo tra sogno e realtà?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Billie J. Armstrong
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Little girl, inside your reastless soul your heart is dying.

 

 

Brividi.

Le mani affondate nel gelo nonostante il caldo infernale che luglio aveva portato con sè. A malapena i miei pensieri riuscivano a delinearsi.

-"Christian"; il suo nome in un soffio d'aria.

Respirare sembrava la cosa più difficile e al contempo più dolorosa da fare. Immobile, ecco la parola giusta! Il mio corpo, l'aria intorno a me, le nuvole che attraversavano il cielo della California; tutto ricordava un film in bianco e nero messo in pausa. Mi obbligai a respirare e lentamente realizzai cosa accadeva.
Solo tre mesi e mezzo fa Christian aveva lasciato il vuoto dietro di sè partendo per andare in guerra. Ora, tra le mani, stringevo un pezzo di carta che lui stesso aveva scritto. Una lettera, l'inchiostro sbavato. Piangeva. Piangeva mentre confessava le sue paure, raccontava i giorni di guerra, svelava le sue speranze. Gli mancavo e anche se non l'avesse scritto esplicitamente l'avrei capito. Ogni sua parola era carica di nostalgia, di dolore, d'amore.
Mi amava ancora e, non so perchè, ne rimasi sorpresa. Ero certa che niente era così importante per impedirgli di andare al fronte, niente era così sicuro e prezioso per convincerlo a restare. Nemmeno io.
Mi sbagliavo.
Eppure qualcosa non quadrava; l'annuncio del suo ritorno avrebbe dovuto farmi gioire. Eppure non ne ero capace. Le sue parole avevano un retrogusto amaro.
"Prega per me, Gloria". Quelle parole bruciavano come se il mio cuore l'avessero marchiato a fuoco. In effetti mi sentivo un animale da macello, anche se colui che rischiava di doversi sacrificare era Christian. Ma nella più orrenda delle ipotesi, colei che avrebbe avuto la morte nel cuore e una tomba su cui piangere sarei stata io. Il solo pensiero mi bagnò gli occhi e le guance e la bocca si piegò in una smorfia di dolore.
Ero ancora in piedi, ferma davanti alla cassetta delle lettere nel mio giardino. Mia madre era in casa a preparare il pranzo, mio padre sarebbe tornato a momenti dal lavoro. In questo periodo tremendo i miei genitori mi erano stati accanto come mai avevano fatto prima. Io avevo abbandonato gli amici, avevo concluso l'anno scolastico e per miracolo ero stata promossa. La mia vita sarebbe stata fottuta senza di loro.
Abortire un amore non è facile, lascia il freddo in grembo e il rimpianto nel cuore; ma grazie a loro avevo recuperato la forza per ricominciare a sopravvivere. Si, sopravvivere, perchè senza Christian non potevo dire di vivere. Ma Christian stava per tornare e solo allora mi accorsi che quell'amore che credevo d'aver ucciso, cresceva sano e forte dentro di me.
Le lacrime continuavano a scorrere fuori senza che potessi fermarle, mentre sentì mio padre parcheggiare sul vialetto alle mie spalle. Io rimasi immobile mentre sentivo i suoi passi avvicinarsi dietro di me, non volevo che mi vedesse piangere.
-"Hey Gloria, che ci fai qui?"
"Troppo tardi", pensai, mentre mio padre mi poggiava una mano sulla spalla.
-"Niente!" risposi, restando di spalle.
-"Ti sento strana", la preoccupazione nella voce.
-"Davvero, non c'è niente!" cercai di rassicurarlo e nascosi la lettera nei jeans, prima che mio padre mi facesse girare per guardarlo negli occhi.
-"Piccola, perchè piangi?"
Il mio debole tentativo di non piangere e nascondere tutto si infranse appena incontrai lo splendore dei smeraldi incastonati nel volto di mio padre, spalancati dalla preoccupazione. Mi si strinse il cuore; non volevo essere una preoccupazione per lui. William, sessant'anni di cui quaranta passati in una fabbrica a costruire auto, le mani consumate dalla fatica e ricamate dai calli. Eppure mio padre aveva il volto della giovinezza, le guance paffute increspate da un perenne sorriso, i capelli colorati dalla cenere costantemente elettrizzati come una specie di criniera. Il tatuaggio del nome di mia madre spiccava sul braccio destro, disegnato pochi giorni prima del matrimonio. Matrimonio perfetto, tranne me.
-"Papà, C-Christian sta per tornare"
Una sfumatura di tristezza attraversò quegli occhi che avrei tanto voluto ereditare, ma che in quel momento si muovevano frenetici, in cerca probabilmente delle parole giuste da dirmi.
-"Ragazzina, so che dentro alla tua anima irrequieta il tuo cuore sta morendo. So che in questo momento anche il cielo sta crollando su di te, ma devi esser forte, piccola. Sai bene che questa è la tua vita e devi essere tu a fare le tue scelte. In ogni caso, io e tua madre ci saremo, sempre e comunque. Anche se tutto dovesse volgere al peggio, sai perfettamente che non c’è nessun posto migliore di casa tua quando non avrai un posto dove andare! Ti voglio bene piccola."
Le parole di mio padre non contribuirono a far smettere la pioggia nei miei occhi e l'abbraccio che seguì il suo discorso si strinse prepotentemente intorno al cuore. E fu nel calore forte e sicuro di quelle braccia che trovai la soluzione alle mie incertezze.
Avrei aspettato, si. Non potevo abbandonare Christian anche questa volta.
Tra una settimana sarò lì, in quella fottuta stazione ad aspettare di vederlo scendere dal treno che lo avrebbe riportato da me. E anche qualora una tragica notizia avrebbe impedito il suo ritorno avrei raccolto tutto il coraggio possibile per poter pregare per la sua anima.
Io e mio padre tornammo in casa abbracciati ed entrando in cucina vedemmo mia madre che fissava la TV con occhi spalancati. Mi ritrovai a tremare, il peggio si stava realizzando, ne ero certa. Mia madre volse la testa verso di me e fissò il vuoto dei suoi occhi neri nei miei così identici ai suoi, il fiato corto.

-"Hanno attaccato la base americana in Afghanistan".

 

 

   
 
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