Little girl, inside your
reastless soul your heart is dying.
Brividi.
Le mani affondate nel gelo
nonostante il caldo
infernale che luglio aveva portato con sè. A malapena i miei
pensieri
riuscivano a delinearsi.
-"Christian"; il suo nome in un
soffio
d'aria.
Respirare sembrava la cosa
più difficile e al contempo
più dolorosa da fare. Immobile, ecco la parola giusta! Il
mio corpo, l'aria
intorno a me, le nuvole che attraversavano il cielo della California;
tutto
ricordava un film in bianco e nero messo in pausa. Mi obbligai a
respirare e
lentamente realizzai cosa accadeva.
Solo tre mesi e mezzo fa Christian aveva lasciato il vuoto dietro di
sè
partendo per andare in guerra. Ora, tra le mani, stringevo un pezzo di
carta
che lui stesso aveva scritto. Una lettera, l'inchiostro sbavato.
Piangeva.
Piangeva mentre confessava le sue paure, raccontava i giorni di guerra,
svelava
le sue speranze. Gli mancavo e anche se non l'avesse scritto
esplicitamente
l'avrei capito. Ogni sua parola era carica di nostalgia, di dolore,
d'amore.
Mi amava ancora e, non so perchè, ne rimasi sorpresa. Ero
certa che niente era
così importante per impedirgli di andare al fronte, niente
era così sicuro e
prezioso per convincerlo a restare. Nemmeno io.
Mi sbagliavo.
Eppure qualcosa non quadrava; l'annuncio del suo ritorno avrebbe dovuto
farmi
gioire. Eppure non ne ero capace. Le sue parole avevano un retrogusto
amaro.
"Prega per me, Gloria". Quelle parole bruciavano
come se il
mio cuore l'avessero marchiato a fuoco. In effetti mi sentivo un
animale da
macello, anche se colui che rischiava di doversi sacrificare era
Christian. Ma
nella più orrenda delle ipotesi, colei che avrebbe avuto la
morte nel cuore e
una tomba su cui piangere sarei stata io. Il solo pensiero mi
bagnò gli occhi e
le guance e la bocca si piegò in una smorfia di dolore.
Ero ancora in piedi, ferma davanti alla cassetta delle lettere nel mio
giardino. Mia madre era in casa a preparare il pranzo, mio padre
sarebbe
tornato a momenti dal lavoro. In questo periodo tremendo i miei
genitori mi
erano stati accanto come mai avevano fatto prima. Io avevo abbandonato
gli
amici, avevo concluso l'anno scolastico e per miracolo ero stata
promossa. La
mia vita sarebbe stata fottuta senza di loro.
Abortire un amore non è facile, lascia il freddo in grembo e
il rimpianto nel
cuore; ma grazie a loro avevo recuperato la forza per ricominciare a
sopravvivere. Si, sopravvivere, perchè senza Christian non
potevo dire di
vivere. Ma Christian stava per tornare e solo allora mi accorsi che
quell'amore
che credevo d'aver ucciso, cresceva sano e forte dentro di me.
Le lacrime continuavano a scorrere fuori senza che potessi fermarle,
mentre
sentì mio padre parcheggiare sul vialetto alle mie spalle.
Io rimasi immobile
mentre sentivo i suoi passi avvicinarsi dietro di me, non volevo che mi
vedesse
piangere.
-"Hey Gloria, che ci fai qui?"
"Troppo tardi", pensai, mentre mio padre mi poggiava una mano sulla
spalla.
-"Niente!" risposi, restando di spalle.
-"Ti sento strana", la preoccupazione nella voce.
-"Davvero, non c'è niente!" cercai di rassicurarlo e nascosi
la lettera
nei jeans, prima che mio padre mi facesse girare per guardarlo negli
occhi.
-"Piccola, perchè piangi?"
Il mio debole tentativo di non piangere e nascondere tutto si infranse
appena
incontrai lo splendore dei smeraldi incastonati nel volto di mio padre,
spalancati dalla preoccupazione. Mi si strinse il cuore; non volevo
essere una
preoccupazione per lui. William, sessant'anni di cui quaranta passati
in una
fabbrica a costruire auto, le mani consumate dalla fatica e ricamate
dai calli.
Eppure mio padre aveva il volto della giovinezza, le guance paffute
increspate
da un perenne sorriso, i capelli colorati dalla cenere costantemente
elettrizzati come una specie di criniera. Il tatuaggio del nome di mia
madre
spiccava sul braccio destro, disegnato pochi giorni prima del
matrimonio.
Matrimonio perfetto, tranne me.
-"Papà, C-Christian sta per tornare"
Una sfumatura di tristezza attraversò quegli occhi che avrei
tanto voluto
ereditare, ma che in quel momento si muovevano frenetici, in cerca
probabilmente delle parole giuste da dirmi.
-"Ragazzina, so che dentro alla tua anima irrequieta il tuo cuore sta
morendo. So che in questo momento anche il cielo sta crollando su di
te, ma
devi esser forte, piccola. Sai bene che questa è la tua vita
e devi essere tu a
fare le tue scelte. In ogni caso, io e tua madre ci saremo, sempre e
comunque.
Anche se tutto dovesse volgere al peggio, sai perfettamente che non
c’è nessun
posto migliore di casa tua quando non avrai un posto dove andare! Ti
voglio
bene piccola."
Le parole di mio padre non contribuirono a far smettere la pioggia nei
miei
occhi e l'abbraccio che seguì il suo discorso si strinse
prepotentemente
intorno al cuore. E fu nel calore forte e sicuro di quelle braccia che
trovai
la soluzione alle mie incertezze.
Avrei aspettato, si. Non potevo abbandonare Christian anche questa
volta.
Tra una settimana sarò lì, in quella fottuta
stazione ad aspettare di vederlo
scendere dal treno che lo avrebbe riportato da me. E anche qualora una
tragica
notizia avrebbe impedito il suo ritorno avrei raccolto tutto il
coraggio
possibile per poter pregare per la sua anima.
Io e mio padre tornammo in casa abbracciati ed entrando in cucina
vedemmo mia
madre che fissava la TV con occhi spalancati. Mi ritrovai a tremare, il
peggio
si stava realizzando, ne ero certa. Mia madre volse la testa verso di
me e
fissò il vuoto dei suoi occhi neri nei miei così
identici ai suoi, il fiato
corto.
-"Hanno attaccato la base americana in Afghanistan".