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Autore: Querthe    23/06/2006    3 recensioni
Le Sailors non esistono, ma i personaggi sì. Non so se sono esattamente degli OOC, ma non sono le ragazze che conoscete, come età e come ambientazione. Una base lunare, degli esoscheletri potenzianti e dei demoni venuti dal nulla (oltre a un pizzico di follia da parte dell'autore). E' la mia prima FF SF sulle Sailor. Sappiatemi dire.
29/12/2015: su gentile informazione dell'utente _Agata_87 del forum, specifico che il titolo non ha nulla a che vedere o rimanda all'omonimo romanzo di Pasquale Festa Campanile del 1984 vincitore del premio Campiello.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Minako/Marta, Rei/Rea | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sailor soldiers'
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Makoto era di fronte al vetro perfettamente trasparente della sala di ricreazione esterna, il guanto destro appoggiato alla fredda superficie che rifletteva debolmente le figure alle sue spalle, intente a divertirsi o almeno a svagarsi tra una battaglia e l’altra. Vide un’ombra riflessa nel vetro, e fu quasi certa di chi fosse.
- Anche tu non dormi, vero Rei? - disse sorridendo tristemente senza voltarsi.
- Già. Ormai sono così abituata a svegliarmi nel cuore della notte per qualche allarme che anche se non c’è nulla preferisco muovermi e fare un giro di controllo. - rispose la donna, che dimostrava non più di venticinque, ventisette anni come l’amica.
- Non ti manca? - chiese l’alta brunetta, muovendo la testa nella direzione del grande globo azzurro che riempiva quasi totalmente il cielo lunare. I lunghi capelli ondulati raccolti in una stretta coda di cavalo ondeggiarono sinuosi da un lato all’altro del collo.
- La Terra intendi? Sì, mi manca. Quanti anni sono trascorsi da quando siamo state portate sulla Luna, su questa base, per combattere? Tre, quattro?
- Quasi quattro. Il numero di giorni precisi dovremmo chiederlo ad Ami, lei ti saprebbe dire anche i minuti e con qualche approssimazione i secondi.
- Già. A volte mi sembra più un androide che una ragazza.
Entrambe risero, ma senza convinzione, e si spostarono ad uno dei tavoli liberi, accanto al bancone del bar. Rei ordinò un whisky, senza ghiaccio, mentre Makoto preferì un succo di frutta ghiacciato.
- Non dovresti bere, anche se non sei in servizio. Se ci dovessero attaccare…
- Che andassero al diavolo, loro e il nostro capo! - sbottò la ragazza dai lunghi capelli neri raccolti a coda e legati con un nastro di seta rossa alla base del collo. - Anche ubriaca potrei vincerli facilmente, quei maledetti Yoma. Non è certo un po’ di alcool che mi fa perdere il controllo…
- D’accordo, d’accordo, non volevo farti scaldare tanto. - la calmò con un sorriso tirato Makoto.
Si guardarono mentre aspettavano di essere servite. Entrambe, anche se non era necessario, avevano indossato la loro tuta da combattimento, l’indumento che più di tutti utilizzavano in quegli ultimi mesi, da quando i mostri che abitavano la parte oscura della Luna avevano intensificato gli attacchi. Le tute, colorate in maniera differente per le due donne, rossa per Rei e verde per Makoto, erano fatte di un materiale intelligente che riconosceva il loro profilo genetico per adattarsi a loro come una seconda pelle, dotandole inoltre di forza e velocità leggermente superiori alla media, necessarie per controllare gli esoscheletri da combattimento Soldier Moon. Con quelli loro due, assieme alle loro compagne Minako e Ami, avevano fino ad allora sconfitto gli esseri che da una decina di anni assaltavano l’avamposto lunare del Giappone, l’unico rimasto sulla Luna.
- E’ che sei troppo mamma chioccia, certe volte. Sembra sempre che tu voglia proteggerci sempre, anche in combattimento, e non solo perché il tuo è il Soldier più corazzato e pesante.
- Se vogliamo vedere, anche il tuo è perfetto per te, armato fino ai denti, scattante e letale…
- Già. Se i cani assomigliano ai padroni, anche i Soldiers non scherzano…
Le loro ordinazioni arrivarono, ma non furono toccate per alcuni minuti, che le due passarono semplicemente ad osservare la cinquantina di persone che affollavano il locale, tutti dipendenti del governo giapponese o di qualche compagnia di ricerca statale. C’erano molti soldati, gente alle dipendenze delle giovani o che avevano il compito di supportarle in combattimento, gente pronta a morire per mano di esseri che sembravano fatti di nebbia, roccia e polvere tenute assieme dall’odio del loro padrone, il Principe Nero, come lo chiamavano tutti alla base di Neo Tokyo due.
- Alla salute… - disse Makoto, sollevando il bicchiere pieno di succo di pesca.
Rei stava per afferrare il suo, quando vide una debolissima onda concentrica formarsi nel liquido giallognolo.
- Yoma. E tanti…
- Scusa?
- Yoma. Sento le vibrazioni, come le sente il bicchiere. Sono qua sotto, sono sotto la base.
Makoto aveva imparato a fidarsi delle sensazioni di Rei. Non aveva mai sbagliato.
- Ommiodio! Bisogna avvertire immediatamente Lady Chibiusa!
Una luce rossa intermittente e il suono di una sirena riempirono l’aria del locale e di tutta la base.
- Credo che lo sappia già. Andiamo.
Corsero come delle pazze, i tacchi dei loro stivali a risuonare nei corridoi. Attesero con ansia un ascensore che le portasse nei sotterranei, al piano dove risiedeva il comando operativo e l’accesso ai loro Soldiers, e finalmente la porta si aprì sulla grande sala buia illuminata solo dai monitors e gremita di operatori e tecnici. Ami e Minako erano già accanto al loro capo.
- Vi stavamo aspettando. - disse fredda la donna, di alcuni anni più anziana di loro. Aveva lunghi capelli rosa, le due code che partivano dai lati della testa sfioravano il pavimento. Il suo corpo tornito e atletico era inguainato da una tuta nera completa di guanti e di stivali dal tacco un po’ più alto di quello normale, e alla vita una lunga fascia rosa cupo dava un tocco di colore ad un insieme altrimenti funereo come l’umore di chi la indossava. - Siete in ritardo. - Disse voltandosi.
Sebbene abituate, sia Makoto che Rei ebbero un attimo di sussulto perfettamente celato nel vedere il volto sfigurato della donna, a cui mancava totalmente l’occhio destro a causa di una lunga e profonda cicatrice che attraversava la guancia di Chibiusa dalla bocca ai capelli.
- Eravamo… - iniziò Makoto.
- Non mi interessa. Ora siete qui. Dirigetevi all’ultimo livello del blocco D, gli Yoma stanno tentando di penetrare da uno dei condotti in disuso che collegano la vecchia base a quella nuova.
- Subito. Se riusciamo a raggiungerli prima della paratia quindici, abbiamo il settantatre per cento di probabilità di sconfiggerli senza danni alla base, altrimenti le stesse probabilità scenderanno a…
- Ami, lascia perdere, sono già nervosa così. - mormorò la bionda vestita di arancione toccando con una mano guantata il braccio dell’amica, che sfoggiava una tuta identica alle altre ma in un blu scuro che somigliava la colore dei suoi capelli, tagliati a caschetto.
- Era solo per informazione. - sembrò scusarsi lei, ma senza espressione.
Le quattro ragazze si diressero a quattro porte aperte la cui intelaiatura era colorata come le loro tute, e entrarono nella piccola stanzina che era in realtà un ascensore. Le porte si richiusero con un fischio sommesso e le giovani sparirono nel sottosuolo, ognuna diretta ad un ben specifico Soldier Moon.
- Sono venuti per loro… - mormorò Lady Chibiusa, scuotendo la testa. - sono venuti per i Desideri. Ma non glielo permetterò. I Desideri non devono realizzarsi. Mai.
- Soldiers Moon Mars e Jupiter pronti all’azione. - disse deciso uno dei tecnici, controllando il suo schermo.
- Soldiers Moon Venus e Mercury operativi. - annunciò il suo vicino.
- Bene. Rimuovete tutti i blocchi di sicurezza. Ragazze, sono tutti vostri.
-Andiamo! - gridarono in coro le quattro, ognuna di fronte al suo esoscheletro da combattimento, al momento simile al cadavere alto quasi tre metri di un mostro il cui petto era squarciato rivelando un interno luccicante e colorato di luci intermittenti.
Soldier Mars era l’esoscheletro di Rei Hino. Era stato strutturato per i combattimenti in corpo a corpo, una sorta di lama semovente infinitamente cattiva. Aveva un corpo sottile, non eccessivamente corazzato, dotato di lunghe gambe artigliate per permettere all’occupante di muoversi in completa sicurezza alle alte velocità. Le braccia, leggermente sproporzionate rispetto al resto, terminavano con artigli affilati lunghi quasi mezzo metro, perfetti per squarciare e distruggere. Essendo il Soldier da combattimento per eccellenza, due cannoncini da trenta millimetri al plasma erano montati sugli avambracci e collegati al serbatoio di materia e antimateria montato sulla schiena. Il volto, in realtà il casco dove trovava alloggiamento la testa del pilota, era sagomato a somigliare al volto di un essere mostruoso e fiabesco dotato di corna ricurve e di corti corni sotto il mento. La ragazza saltò nel busto aperto, sistemò le braccia e le gambe nelle sedi apposite e diede il segnale di chiusura del tronco, che con un fischio meccanico sigillò Rei all’interno del lucido esoscheletro rosso fuoco. L’armatura fece alcuni passi e stirò le braccia, facendo rientrare e fuoriuscire nuovamente gli artigli con un secco rumore.
- Pronta e operativa. Andiamo ad uccidere… - ghignò la ragazza, dirigendosi a grandi passi verso l’uscita.
- Piccola, sei pronta a batterti? - sorrise Makoto, toccando il suo esoscheletro verde scuro e nero, Soldier Jupiter. Era massiccio, alto quasi tre metri, il più alto dei cinque fino ad allora costruiti, con robuste gambe e braccia coperte come il busto da spesse lastre di protezione di ultima generazione. Creato per il supporto tattico a lunga distanza, montava sulle braccia due mitragliatrici a canne rotanti i cui nastri delle munizioni scomparivano nella spessa schiena, dove erano montate anche le bocche da fuoco per dei missili a frammentazione. Gli arti e il busto erano stati concepiti per resistere a tremendi urti e per sollevare pesi simili a quelli di un camion, per cui Makoto aveva già provato con successo a schiacciare il corpo di uno Yoma con le mani provando la stessa sensazione di sforzo che un adulto prova spaccando un grissino. Amava quel momento, e appena poteva usava i potenti pistoni idraulici delle braccia e delle gambe per schiacciare e frantumare i nemici. Un luccichio sul volto, un parallelepipedo allungato dotato solo di una sottile feritoia per gli occhi e i sensori di visione, parve risponderle. - Bene. - esclamò convinta la brunetta, saltando nell’alloggiamento del pilota e facendo chiudere la corazza sopra di lei. - Non ditemi che sono l’ultima come al solito…
- Direi di no. - rispose nel microfono del Soldier Minako. - Io sto chiudendo adesso il mio Venus.
L’armatura della bionda era stata studiata per il supporto alle truppe non corazzate e per l’attacco a media distanza. Era una riproduzione in scala di un essere umano, apparentemente una donna, viste le proporzioni, con sottili e delicate mani e lunghe gambe, che permettevano movimenti sicuri e veloci, oltre a nascondere nelle dita piccole mitragliatrici. I due grossi cilindri dietro la schiena contenevano le munizioni per l’esoscheletro e degli speciali missili teleguidati che potevano essere controllati singolarmente da Minako durante il combattimento, permettendo una adeguata protezione delle truppe in campo. Nelle braccia erano inoltre presenti speciali sistemi di diagnostica, di riparazione e di pronto intervento che potevano essere utilizzati sia sui mezzi meccanici che sui soldati feriti, grazie anche alle spiccate capacità mediche della giovane.
- Se avete finito di parlare, direi che sarebbe meglio metterci in marcia. Vi sto aspettando all’ascensore cinque, è la via più veloce per raggiungere il blocco D. - le riprese Ami, il suo esoscheletro, Soldier Mercury, già adeguatamente sigillato sul suo corpo. Era un’armatura blu scuro, leggera e agile, adatta alla ricognizione e all’analisi del terreno di combattimento. Nonostante fosse armata con due cannoncini di piccolo calibro sulle spalle, il suo punto di forza erano le tre paia di braccia meccaniche che al momento erano in riposo dietro la schiena, ma sempre pronte a scattare in azione per permettere alla giovane di muoversi in qualunque terreno e con qualunque condizione, oltre che essere utili in combattimento come vere e proprie armi bianche. Sia il casco sia il resto del corpo erano disseminati di sensori di ogni genere, oltre che di distorsori per rendere il Soldier virtualmente invisibile a qualsiasi sistema di scansione, compreso quello visivo. Era inoltre equipaggiato con un generatore di cortina fumogena e con dei falsi bersagli per sfuggire all’eventuale fuoco nemico.
- Come vuoi. Ti odio quando hai ragione.
- Quindi, Mako, tu mi odi sempre…
- Ami… - ridacchiò la donna mentre i quattro esseri metallici aspettavano che l’ascensore si fermasse al piano.
- Attente. Dai dati che ci sta passando Lady Chibiusa possiamo trovare dalla porta in avanti qualsiasi tipo di problema... - esclamò Rei.
- Inizierei a preoccuparmi se trovassi uno Yoma di livello tre. Quelli si che sono duri da abbattere…
- Ma più son grossi, più è bello sentirli morire quando cadono. - rispose alla bionda la donna vestita di rosso, le mani del suo Soldier a muoversi lentamente come per testare la loro forza.
Il rumore elettronico dell’ascensore indicò che avevano raggiunto l’ultimo livello del blocco D. Le porte si aprirono lentamente, con uno strusciare che sembrò un urlo nel silenzio che si era formato. Il corridoio era al buio, solo leggere e velocissime scariche elettriche nei neon del soffitto illuminavano per qualche istante delle zone.
- Sembra deserto. Non rilevo nessuna attività… - avvertì Ami. - Ma prudenza. E’ troppo tranquillo.
- Vado avanti io. Sono quella meglio equipaggiata. - decretò Makoto, muovendo alcuni passi nel tunnel. Dietro di lei si pose Rei, e Minako chiuse la fila.
Il corridoio continuava per una decina di metri, per poi curvare verso sinistra e fermarsi ad una porta metallica chiusa con un codice di accesso.
- Non riesco ad avere informazioni della stanza. - borbottò Ami. - Lady Chibiusa, avete dei dati sulla stanza?
- Nessuno. E’ il primo magazzino che si incontra nel blocco . Da esso ci si può muovere in tutto il livello, ma a parte il segnale di intrusione che abbiamo già ricevuto, non abbiamo notizie. Potrebbe essere vuoto come essere straripante di Yoma.
- Notizie sempre confortanti, eh? - mormorò cupa Rei. - Entriamo e scopriamolo.
Ami avvicinò la mano metallica alla tastiera e digitò un codice, ma la porta rispose con un segnale rosso sul display sopra la tastiera e un suono elettronico.
- Il codice non mi autorizza ad accedere.
- Ma è un codice passpartout. Nessuna porta dovrebbe rimanere bloccata…
- A meno che non abbiano rotto il sistema dall’interno. In questo caso funziona solo lo sbloccaggio manuale.
- Ho capito. - sospirò Makoto. Dobbiamo usare le maniere forti, piccolina…
I pesanti arti meccanici di Soldier Jupiter artigliarono la porta, piegando l’acciaio delle lamiere esterne come se fosse carta velina. I pistoni si misero in azione, iniziarono a sforzare, a trasmettere alla porta tutta la forza di cui era capace l’esoscheletro, che moltiplicava per migliaia di volte quella dell’occupante. Le due parti della porta scorrevole si mossero, urlarono mentre uno ad uno i fermi si spezzavano, finché anche l’ultimo cedette e le due parti si mossero all’interno delle pareti, andando a battere pesantemente.
- Siamo nei guai… - mormorò Ami, impallidendo.
- Perché? Non vedo nessuno nell’area…
- Dietro quella struttura, tre Yoma di livello cinque, dietro quella alla tua destra, Mako, altri cinque, ma il problema sono quelli che stanno arrivando dal corridoio otto dritto di fronte a te. Sono tutti di classe quattro.
- Un attacco in grande stile. - sorrise Rei,
- E il bello deve ancora venire. Se i dati sono esatti, ma spero vivamente che siano completamente sbagliati, nell’area in disuso ho un riscontro di un livello due.
- Cosa? - gridò Minako. - Un livello due. Ma erano solo teorizzati, mostri come quello…
- Te l’ho detto. I sensori sono troppo imprecisi a questa distanza, ma sembrerebbe un livello due. Forse un tre molto potente.
- Beeene, di male in peggio. Eccoli che arrivano. Tenetevi pronte, ragazze, si balla. - disse la brunetta, avanzando e iniziando a far girare le canne delle mitragliatrici per scaldarle.
- Io sono già pronta! - gridò Rei, lanciandosi in avanti come una predatrice, un’ombra rossa nel buio della stanza, solo gli artigli lucenti che trapassarono senza nessuno sforzo il corpo di uno degli Yoma alla sua destra. Il mostro si sgretolò in una sabbia nera e fine, come erano soliti fare, per poi sparire nel nulla, come se non fossero mai esistiti.
Sebbene non pericolosi, i mostri tennero occupate le quattro per parecchio tempo, impedendo loro di avanzare troppo nella stanza, come se volessero proteggere qualche cosa nel corridoio o nelle altre stanze da cui si poteva arrivare dal magazzino.
- A che distanza è il livello due?
- Costante Rei. Sembrerebbe non muoversi. Anzi, no, aspetta, si è mosso.
- Dalla nostra parte, Ami.
- No, al contrario, sembra che abbia deciso di allontanarsi nel vecchio complesso.
- Ma cosa?
- Inseguitelo! Inseguitelo immediatamente! - tuonò la voce del loro capo nelle loro orecchie. - Se non riuscirete a fermarlo non avremo speranze!
- Cosa sta succedendo? - chiese Makoto, schiacciando la testa di uno Yoma di livello cinque con una mano, mentre con l’altra ne lanciava un altro con un muro, crepandolo.
- Ora non c’è tempo. Dovete fermarlo.
- E va bene, ma ci deve una spiegazione! - esclamò Minako, che con Ami erano riuscite ad evitare l’attacco di alcuni mostri e a portarsi vicino alla prete distrutta da cui partiva un tunnel scavato con gli artigli.
- Hanno usato questa stanza solo perché vicina al corridoio della vecchia ala. Non volevano attaccare noi, volevano solo trovare la via più veloce. - borbottò Ami analizzando i dati in suo possesso e confrontandoli con le piantine nel database del suo Soldier. - Ma cosa stanno cercando in quei tunnel chiusi da dieci anni?
- Via, via presto, prima che ci blocchino di nuovo… - gridò Rei arrivando assieme a Makoto alle loro spalle.
Le quattro corsero quanto era loro possibile finché non arrivarono in una sala rovinata dal tempo, piena di polvere, ruggine e pezzi ormai rotti di apparecchiature. Una piccola luce rossa stava lampeggiando su un pannello corroso.
- Ancora sta funzionando qualcosa qui dentro? - si sorprese Minako.
- E’ un sistema di alimentazione. Sembrerebbe simile alle celle a fusione controllata che alimentano i nostri Soldiers. E’ autonoma rispetto al reattore principale, e sembra dedicata al mantenimento di una cella criogenia. Ma ora il segnale dice che la cella non è nei parametri.
- Lo Yoma!
- Concordo, Rei. La cartina che ho davanti allo schermo mi dice di proseguire lungo questo tragitto per raggiungere la sala di contenimento. Lo Yoma è già là. Vi sto mandando la mappa sullo schermo secondario del Soldier.
La porta del laboratorio era stata divelta come se fosse stata fatta di plastilina e non di acciaio rinforzato. Un brivido di puro terrore corse lungo la schiena delle donne, mentre entravano. Un ombra nera come la notte, più buia del buio attorno a lei stava dando loro le spalle.
- Miodio quanto è alto. - mormorò senza fiato Makoto.
- Ti ho già detto come la penso, no? - le chiese Rei, lanciandosi contro il mostro con gli artigli, ma la pelle coriacea del mostro emanò solo delle scintille mentre le lame scivolavano senza fargli nessun danno. - Mmmm, tipo tosto, eh? Va bene, proviamo con il plasma, scaldiamo un po’ l’ambiente.
Il crepitio del plasma surriscaldato e incanalato riempì l’aria, colpendo alla schiena lo Yoma, che inarcò il tronco e si voltò, visibilmente arrabbiato ma apparentemente incolume. In una delle molteplici zampe che spuntavano dal grande busto stringeva una capsula azzurrastra.
- I Desideri. Non fateglieli portare via. Fermatelo ad ogni costo, anche della vostra vita! - gridò quasi isterica Lady Chibiusa. C’era terrore e odio nella sua voce.
- Desideri? - pensò Ami, come se qualcosa le avesse solleticato i ricordi, ma scosse la testa. - Ci penserò dopo. Ora dobbiamo trovare il suo punto debole.
Ad eccezione del Soldier Marcury, gli altri tre attaccarono con qualsiasi mezzo il mostro, ma dopo pochi minuti Minako dovette staccarsi dal gruppo per proteggere l’entrata dagli Yoma di basso livello che si stavano riversando da chissà dove per aiutare il loro compagno.
- Ami, allora, quanto ci metti?
- Credi che sia facile Rei? E’ sconosciuto a tutti i database, e posso solo teorizzare.
- Fallo in fretta.
- Le gambe, provate con le gambe. Come il Colosso di Rodi.
- Le gambe Hai detto? Subito. - gridò Makoto, sparando le ultime raffiche di colpi che aveva alle ginocchia del mostro, che cadde a terra, disgregandosi lentamente. Come colpiti da mani invisibili, anche gli altri si distrussero immediatamente, lasciando nella stanza solo gli esoscheletri ad osservare la disfatta dell’essere.
- Arrivederci all’inferno, bastardo! - esultò Rei.
Lo Yoma sembrò sorridere, una sottile vena rossa in quella che avrebbe dovuto essere la testa, prima di scomparire, e con la mano schiacciò, distruggendolo, il contenitore azzurrastro, da cui si liberò una sottile nube lattiginosa che si diresse come dotata di vita propria verso i bersagli più vicini che trovò, i quattro Soldiers. Tutte le luci di allarme delle armature da combattimento si accesero all’unisono.
- Maledizione, e ora che cavolo sta succedendo? - urlò Rei.
- Non lo so, non lo so. Tutti i sistemi sono saltati, anche il supporto vitale. - le rispose terrorizzata Ami. - Lady Chibiusa, cosa dobbiamo fare?
- Nulla, non potete fare nulla. Addio, ragazze. - mormorò la donna, chiudendo il collegamento.
   
 
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