CAPITOLO II
New York, 7 anni dopo…
Da diversi minuti Micheal
Fox giocherellava nervosamente con un prezioso portasigari d’oro massiccio con
sopra incise le sue illustri iniziali, ultimo regalo fattogli dalla sua ex
moglie, prima di ricevere l’istanza di divorzio. Appoggiò il pesante oggetto
sul ripiano della grande scrivania di mogano lucidissimo che troneggiava al
centro del suo ufficio al trentasettesimo piano dell’Empire State Building.
Sospirò ancora una volta mentre, incredulo e perplesso, posava per l’ennesima
volta, il suo temibile sguardo sul fax giunto quella mattina dal Giappone. La
sua fedele segretaria, nonché passionale amante, glielo aveva diligentemente
appoggiato al centro della scrivania, con attaccato un vistoso post-it fucsia,
con su scritto a lettere cubitali “URGENTE”. Ma quel messaggio era del
tutto superfluo, il fax era chiaro e sufficientemente esplicito:
“Spettabile studio legale Fox and Co.,
La federazione calcio
giapponese richiede con urgenza il miglior avvocato disponibile per una
delicata questione di abuso di sostanze dopanti che vede coinvolti quattro
giocatori della nazionale nipponica. I particolari della questione saranno
rivelati in appropriata sede all’avvocato che la vostra ditta, famosa e
rispettata a livello mondiale, riterrà opportuno inviarci. Non vi sono limiti
di compenso, la Federazione si impegna a pagare qualsiasi cifra, purché la
questione venga risolta prima dell’inizio del campionato mondiale e permetta al
Giappone di partecipare con la formazione titolare alle selezioni. Attendiamo
con urgenza una vostra risposta. Cordiali saluti. Il Presidente della
federazione calcio giapponese F. Y. Marshall”
Non c’era altro da
aggiungere, né tanto meno tempo da perdere. Le selezioni per i mondiali erano
imminenti, per quel che ne sapeva lui, questione di un mese o poco più, giusto
il tempo di bloccare la causa alle indagini preliminari. E non vi era dubbio
che fosse proprio quella la richiesta implicita del presidente nipponico:
bloccare lo scandalo, impedirgli di varcare le soglie del tribunale ed
insabbiare il tutto con nauseante nonchalance.
Una questione delicata. Estremamente delicata. Gli esperti del settore
parlavano del Giappone come la grande rivelazione di quei nuovi mondiali, i
nomi dei calciatori nipponici, finalmente degni di essere accostati a quelli
dei grandi campioni europei e sudamericani, erano nelle mire di tutti i
maggiori club calcistici internazionali. Un futuro pieno di gloria che
rischiava di trasformarsi in un orribile incubo per l’incauto gesto di qualche
sportivo fasullo.
Chi poteva inviare?
Esperto di doping, che sapesse districare la matassa in silenzio e celermente,
senza sbagliare, senza tanti scrupoli di coscienza, che sapesse sfoderare con
maestria una massiccia dose di ipocrisia… Ma sì certo, indubbiamente vi era tra
i suoi dipendenti la persona giusta!
Spietata, decisa, perspicace, dura, cinica, inflessibile,
ambiziosa, capace, tutte doti adatte a quel caso!
Si trattava di
riabilitare quattro giocatori colti in flagrante come bambini con le mani
impastate di marmellata, questi con il sangue e le urine zeppi di schifezze.
Drogati per vincere qualche coppa in più! Far sparire nel nulla le prove delle
loro colpe e permettere che continuassero indisturbati a mostrare al mondo di
tifosi creduloni, l’incredibile talento che madre natura aveva loro “generosamente donato”. Questo era un
compito che nauseava molti dei suoi collaboratori, ma non l’avvocato a cui
pensava. Lui la coscienza la dimenticava fuori dalle porte del palazzo di
giustizia.
Beh… forse esagerava,
come era suo solito di fronte a casi di doping che nauseavano la sua coscienza
di appassionato spettatore sportivo, non era proprio droga in senso lato, ma
sostanze anabolizzanti, che gonfiavano i muscoli, aumentandone la potenza, la
resistenza e l’elasticità, morfina, nandrolone, eritropoietina… Tutti termini
per lui senza senso, ma c’era chi sapeva dare loro il giusto significato.
Schiacciò il pulsante
grigio dell’interfono accanto al telefono.
-Dica Avvocato Fox- la
voce professionale di Gwen gli giunse all’orecchio deliziandolo, quella donna
lo faceva letteralmente impazzire, prima o poi doveva decidersi a sposarla.
Nonostante i quattro matrimoni falliti alle spalle e la continua ripromessa i
non sposarsi mai più, l’avvocato Fox era un inguaribile romantico e non
riusciva proprio ad avere una relazione scevra di complicazioni sentimentali.
-Gwen, l’avvocato
Takigawa immediatamente nel mio ufficio-
Un paio di minuti dopo,
un deciso bussare alla massiccia porta di rovere, preannunciò l’entrata
dell’avvocato che infatti fece capolino nella stanza, attraversandola in fretta
con la sua andatura elegante.
-Ciao Fox cos’è tutta
quest’urgenza?- esordì l’avvocato attendendo un cenno del superiore prima di
accomodarsi in una delle due morbide poltrone di pelle antistanti all’imponente
scrivania presidenziale.
-Come stai? Ti vedo in
splendida forma- prese tempo Micheal Fox, soffermandosi ad esaminare con occhio
critico ogni particolare della bella donna di fronte a lui.
Indossava, come al
solito, un impeccabile tailleur grigio perla, dal taglio raffinato, che
esaltava in modo particolare i famigerati occhi color cenere, ormai incubo e
sogno di tutti i tribunali degli USA. Lasciò scivolare lo sguardo sul petto
rigonfio dell’avvocato senza farsi troppi problemi di etichetta, in fondo
l’aveva vista nascere ed una volta aveva persino assistito ad un poco
edificante cambio di pannolino in qui l’avvocato, più cinico e freddo
d’America, strillava infastidito dai bruschi maneggiamenti della balia.
Decisamente avrebbe
preferito che quella donna fosse più generosa con il sesso maschile e lasciasse
ammirare qualche centimetro in più del suo splendido decolté, allietando le
lunghe e stressanti giornate di lavoro che si susseguivano ininterrotte nel
famoso studio legale. Ma non vi era nulla da fare, quelle grazie erano celate
con austero rigore e lui aveva avuto il privilegio di osservarne la portata,
solo perché era riuscito a coglierla di sorpresa in qualche situazione
extraprofessionale. E come tutti gli uomini dello studio, poi, doveva resistere
all’impulso di afferrare il primo paio di forbici che gli capitava a tiro, ed
accorciare di almeno dieci centimetri la gonna castigata che perennemente
portava. Per non parlare dei lunghi capelli castani che teneva prigionieri in
complicatissimi chignon, nessuno sospettava che splendidi riflessi dorati
avessero, quando volteggiavano liberi nell’aria.
Ventitre anni. L’avvocato
Takigawa aveva soli ventitre anni, ma possedeva il rigore e la condotta di una fredda
zitella di sessant’anni, anche se il volto delicato e soprattutto la pelle
incredibilmente liscia, non lasciavano dubbi sulla sua giovanissima età. Bella
ed inavvicinabile, ecco i due aggettivi più adatti per descrivere l’avvocato
Andree Takigawa.
Ma in fondo Micheal non
faticava a comprendere il motivo di quell’aspetto sempre controllato ed
inappuntabile. Non le doveva essere stato facile farsi strada in un mondo
prettamente maschile, dominato da un’obsoleta mentalità antifemminista, con lo
svantaggio non solo di essere donna, ma anche di essere esageratamente giovane,
per non parlare del fatto che, in molte situazioni, essere così attraente
doveva essere stato più un impiccio che non una marcia in più. Ma Andree aveva
lottato per meritarsi la stima ed il rispetto dei colleghi, dimostrando che non
erano i suoi seni alti ed invitanti o il suo fondoschiena sodo, i suoi pregi
maggiori, ma la sua acuta intelligenza che, unita alla sua capacità di lottare,
l’avevano portata in brevissimo tempo ai vertici della carriera legale. Andree
sapeva come vincere, sempre e comunque. Leale a modo suo, con solidi principi
nei quali credeva fermamente, ma anche cinica e spietata all’occorrenza, pronta
a colpire anche il più indifeso degli uomini, se riteneva il fine abbastanza
importante da giustificare il mezzo. Un cocktail esplosivo di arguzia ed
efficienza, condito da una dose massiccia di ferrea determinazione e, perché
negarlo, sfacciata arroganza. A conferma di ciò, aveva da poco concluso una
causa di doping sulla quale nessun avvocato avrebbe scommesso un dollaro. E non
era neanche la prima volta che arricchiva il suo curriculum con imprese
titaniche di quel tipo, semplicemente per avere la soddisfazione di riuscire
dove altri avrebbero sicuramente fallito.
-Grazie ma veniamo al
sodo. Di che si tratta stavolta?- chiese Andree con tono incolore, accettando
con filiale rassegnazione l’esame accurato di Fox. Permetteva a Micheal certe
confidenze solo perché era per lei un padre vicario, presente nei momenti in cui
il suo latitava, eventualità non rara per la verità. Ma se qualsiasi altro uomo
avesse solo accennato a scrutarla in quel modo indagatore, gli avrebbe fatto
passare il peggiore quarto d’ora della sua vita.
-Doping- rispose laconico
l’uomo studiandola con rinnovata ammirazione, questa volta esclusivamente
professionale. Nonostante fosse la figlia di uno dei suoi migliori amici, non
vi era falsità o affettazione nel suo giudizio. La sua stima era sincera,
sapeva riconoscere un buon avvocato ad un chilometro di distanza, e Andree
Takigawa era la migliore nel suo campo.
-Uhm
interessante…giochiamo in casa…allora vediamo la nazionale di softball? No?
Pallanuoto? Pallavolo? Mi arrendo…-
-Calcio-
-Ah…- commentò la donna
mordendosi involontariamente il labbro pieno e roseo coperto da un leggero
strato di lucidalabbra.
-Che c’è, non ti piace il
calcio?-
-Decisamente no. Io sono
piuttosto impegnata in questo periodo, non potresti chiedere a Braiton?-
-Balle. Non sei per
niente impegnata, hai appena concluso con successo il caso di doping della
nazionale di basket. A proposito non ti ho ancora fatto i miei complimenti …-
-Grazie…comunque non
scherzo. Questo caso non mi interessa-
-Andree non approfittare
della mia benevolenza. Ho deciso che questo caso lo seguirai tu e nessuno,
ripeto nessuno, può permettersi di mettere in discussione una mia decisione.
Sono stato chiaro?- affermò accentuando il timbro duro ed autoritario della sua
voce in genere pacata.
Andree gli scoccò
un’occhiata intimidatoria ma Micheal non si fece prendere in contropiede e
sostenne lo sguardo magnetico dell’avvocato apparentemente senza alcun
problema. Il presidente della Fox and Co.
era, infatti, una delle pochissime
persone in grado di reggere per più di qualche secondo il glaciale sguardo dell’avvocato
Takigawa. E questo lei lo sapeva bene ed indubbiamente il fatto conferiva al
presidente dei punti importanti nella sua rigorosissima classifica personale in
cui incasellava le rare persone degne della sua ammirazione.
Andree incrociò le belle
mani davanti alla bocca, mordicchiando leggermente l’unghia del pollice
perfettamente curata, gesto che solo pochi eletti sapevano voler significare
profonda indecisione.
Ed infatti due forze
contrastanti si stavano dando battaglia nella bella testolina della donna. Se
non fosse stato per Micheal, ora lei non sarebbe stata uno degli avvocati più
pagati e famosi d’America. Nessun’altro avrebbe scommesso una lira su una
giovane ventunenne laureata prematuramente in legge con il massimo dei voti in
una delle scuole più selettive degli Stati Uniti. Un po’ di riconoscenza gliela
doveva, e poi cos’erano tutte quelle storie? Solo perché quel figlio di puttana
era un calciatore non poteva odiare tutto il calcio….no non aveva senso, e fare
cose irrazionali non rientrava nella sua natura, non più almeno.
-Chiarissimo Fox. Dimmi
di che si tratta- capitolò infine gratificando il suo capo con uno dei suoi
rarissimi sorrisi.
-Tieni leggi questo-
replicò asciutto Micheal Fox porgendole il fax giunto quella mattina.
L’uomo si riappoggiò con
apparente noncuranza all’alto schienale della sua imponente poltrona imbottita,
sbirciando il volto della donna concentrato nella lettura del foglio mentre, in
segreto, gongolava felice per aver
avuto la meglio in quella piccola lotta, che non era stato poi certo di
vincere. Sapeva, per diretta esperienza personale, che quando ci si trovava di
fronte ad Andree era impossibile prevedere in anticipo la piega che avrebbero
preso gli eventi. Ma per fortuna la ragazza rispettava l’autorità che lui
indubbiamente rappresentava.
Andree scorse in fretta
le poche righe e aggrottò la fronte perplessa -Giappone? Ora capisco…il fatto
che io sia giapponese per metà c’entra qualcosa?-
-Certo il fatto che il
giapponese sia la tua madre lingua, che tu conosca le leggi di quel paese e le
sue strane usanze, è indubbiamente un enorme vantaggio, ma non si tratta solo
di questo e tu lo sai. Quando pensi di poter partire?-
-Discrezione, velocità,
proibito fallire. La mia parcella sarà stratosferica…- celiò sorridendo
divertita - Ok, concedimi solo due giorni per sistemare le cose con la scuola
…- aggiunse ritornando al suo freddo tono professionale.
-Porterai Josh con te?-
chiese sorpreso il presidente mentre si affrettava a sistemare le carte
necessarie in un cartellina azzurra.
-Tanto vale che te lo
dica adesso. Avevo intenzione di chiederti il trasferimento nella sede di
Tokyo. Come hai detto tu, conosco le usanze di quello “strano paese” e ci tengo che anche Josh le apprenda…vorrei che
crescesse in Giappone…-
-E i tuoi che dicono?-
-I miei? Ma fammi un
piacere, Fox. I miei non lo possono soffrire mio figlio- sbottò Andree,
lasciando trapelare, suo malgrado, una punta di dolore.
-Non dire così. Cerca di
metterti nei loro panni e….-
-Già fatto Capo. Vuoi il risultato? La raffinata e snob
signora Takigawa non lo riesce proprio ad accettare che a 16 anni la sua unica
figlia si sia fatta mettere incinta da uno sconosciuto di cui non vuole
rivelare nulla. Il temuto imprenditore Takigawa ama la sua tenera bambina, ma
una marachella così grossa non gliela può proprio perdonare. In fondo, forse,
un po’ di affetto per il piccolo bastardo lo prova anche, ma non riesce a
sostenere lo sguardo colmo di rimprovero della moglie, che lo aggredisce ogni
volta che prova solo ad accennare al piccolo Joshua. Per quanto riguarda quella
figlia degenere, non ha potuto fare altro che lottare strenuamente per far
nascere quel figlio che la buona società non voleva ed il buon senso le
suggeriva di rinnegare. Quello scottante fardello, che contro tutti e tutto, si è ostinata
a tenere, ha scatenato in lei un fortissimo desiderio di rivalsa che l’ha
portata ad affogare l’amarezza e la mancanza di sostegno nello
studio, laureandosi nella metà del tempo che le persone normali ci impiegano,
diventando una feroce macchina da guerra in grado di vincere le battaglie più
impossibili, trincerata sempre dietro una maschera di fredda superiorità, mai paga dei risultati raggiunti. Sai
come mi chiamano in tribunale? Sei perplesso? Credi che non lo sappia? La “macchina infernale”…ma… mi sta bene. Mi
sta bene…- disse concludendo quello sfogo assurdo con un sospiro di sofferta
rassegnazione.
Micheal la scrutò
pensoso. Non era facile assistere ad un cedimento della fredda Andree. Ma era
unicamente in momenti come quelli che era possibile andare appena oltre le
apparenze e scorgere, dietro la facciata di donna in carriera, la vera persona
che lei celava con tanta cura agli occhi della gente. Non occorreva essere
dotati di particolare acume per capire che il marchio di ragazza madre, gli
anni di recriminazioni e la totale insensibilità dei genitori verso il nipote,
avevano contribuito a farla diventare la donna glaciale che era adesso, ma
bastava vederla giocare con il figlio per comprendere tutta la dolcezza e l’amore
di cui era capace.
-Andree…salutami la
piccola peste-
-Sarà fatto Fox. Tu sei
l’unica persona che mi mancherà quando sarò in Giappone-
-L’unica? Ed il dottor
Lee?-
-Noam? Come non lo sai?
Lui è già in Giappone da due settimane, ha chiesto ed ottenuto il trasferimento
all’ospedale di Tokyo, è il nuovo medico legale ora-
-Oh devo dedurre che la
donna di ghiaccio non sia poi così ghiacciata…-
-No ti sbagli. Le
maldicenze su me e Noam dilagano, ma ti assicuro che vi sbagliate tutti quanti-
-Ok non sono affari miei.
Ti prenoto il volo per dopodomani e Gwen si occuperà di tutto il resto. Tienimi
informato Andree-
-Certo capo. A presto