Capitolo 18
soundtrack
“Buon Natale signor Hawkins, piacere
di conoscerla!”
“Buon Natale a lei Allison” rispose
educatamente mio padre.
Sapevo bene, tuttavia, quanto fosse
irritato da quella visita. Non tanto per la conoscenza in sé, che poteva anche
tollerare, quanto per non avere la situazione perfettamente sotto controllo.
Non c’era cosa che lo mandasse più in bestia, del resto, dell’imprevedibilità,
da pazzo maniaco del controllo qual era.
“La prego signor Hawkins” ribatté
Allison, le cui guance si erano fatte tutte rosse, imbarazzata e con lo sguardo
basso “mi dia del tu, non sono abituata a tutte queste formalità”.
“Molto bene Allison, come vuoi” le
disse mio padre, che sembrava stranamente interessato a lei. “E così sei la ragazza
di Tyler …” sentenziò, fintamente interessato e per nulla toccato.
“Ehm no … papà” mi affrettai a
prendere posto di Allison nella conversazione, ben sapendo quanto la
imbarazzasse rispondere a quel tipo di domande “Allison è solo un’amica.”
Sapevo talmente bene quel copione ormai che se anche fosse stata una bugia
completa, e non per metà, non avrei avuto difficoltà a reggere il gioco. “Al
momento abita a casa di mamma” continuai “e così lei l’hai invitata a passare
il Natale con noi.” Sembrava ad entrambi il modo migliore per aggirare
l’argomento più ostico senza generare grande curiosità o domande inopportune.
“E così abiti con la cara Diane, eh?” Allie annuì. “Ti trovi bene?” domandò mio
padre, proseguendo il suo terzo grado.
“Sì molto bene signore, grazie”
rispose lei, decisamente convinta; avrei sottoscritto anche io, se fosse stato
necessario. Non c’era stata decisione migliore di quella, per l’umore ed il
benessere generale di Allison. E anche del mio.
“Diane e Les sono due persone
estremamente cordiali ed ospitali” aggiunse Allie “Les poi è simpaticissimo!”.
Chiunque le avrebbe creduto, con quel sorriso che parlava da se. E chiunque
conoscesse Les e mia madre avrebbe concordato. Chiunque tranne mio padre,
ovviamente. Vidi Allison guardarmi e mordersi la lingua subito dopo quella sua
ingenua confessione, ma con un cenno le feci intendere che non doveva
assolutamente prendersi pena per ciò che aveva detto. Avrebbe dovuto essere
contento mio padre, se era vero, come lui sosteneva, di essere ancora innamorato
di nostra madre, di sapere che nostra madre aveva trovato un uomo per bene e di
saperla finalmente felice. Peccato che Charles non sopportasse nemmeno che si
nominasse Leslie davanti a lui; una volta lo sentii persino accusarlo di averlo
fatto becco, mentre invece mia madre gli era rimasta fedele fino all’ultimo
giorno. Non dava a vederlo Charles Padronanza-della-situazione Hawkins, ma
covava ancora dentro la rabbia per non essere riuscito a tenersi stretto sua
moglie.
“E come mai stai da lei?” proseguì
l’interrogatorio, prima che il pensiero di Les e mia madre potesse infastidirlo
più del dovuto; questa volta nella sua espressione era istillata una vena di
sospetto, ed anche i suoi occhi sembrarono diventare più piccoli e scuri, dei
piccoli radar fatti per scrutare ed indagare al meglio.
“Ho perso il lavoro e la casa” rispose
lei, in fondo sincera e tranquilla “e così Diane si è gentilmente offerta di
ospitarmi fin quando non troverò un lavoro che mi permetta di affittare un
appartamento per conto mio. Nel frattempo l’aiuto in casa e mi sono anche
rimessa a studiare per il diploma da privatista”
“Purtroppo questa crisi sta colpendo
tutti” commentò lui, fingendo di sapere di cosa stesse parlando Allie. Il
problema era il grande dislivello tra l’alta finanza dei ricchi sempre più
ricchi, ed i pochi soldi che permettono a gente normale, come Allison, di
sopravvivere. Non avrebbe mai potuto capire. “E quindi devi ancora diplomarti …
ma sei giovanissima, non avrai più di 18 anni?”
“In effetti non li ho ancora compiuti
… ne saranno 18 a gennaio.”
Mio padre rimase un attimo in silenzio,
immerso nelle sue teorie e impegnato ad elaborare accuse che aveva da
rivolgermi. Immaginavo che non si sarebbe bevuto la storia dell’amicizia, in
fondo era un uomo anche lui, e forse nemmeno credeva che Allison abitasse
veramente con mia madre.
Guardai Allison per un attimo,
incrociando il suo sguardo. Era sicuramente nervosa, ma non mostrò un minimo di
esitazione. Era bravissa in quel genere di cose, dissimulare le sue emozioni,
incredibilmente padrona com’era della sua mimica facciale.
“E come vi siete
conosciuti tu e Tyler … raccontami un po’ …”
Non capivo tutto l’interesse di mio
padre. Chissà, forse voleva andare a fondo e cercare il marcio che era sicuro
di poter trovare. Se c’era una cosa che dovevo riconoscergli, infatti, era
l’estrema capacità intuitiva insieme ad un’abilità incredibile nel servirsene,
nella vita privata come nel lavoro; era un cane da caccia, pronto a fiutare e
stanare ogni sua preda. Dote che, da pezzo di pane qual ero, evidentemente non
avevo ereditato.
Allie non sembrava però impensierirsi,
forse confidava ancora nella buona fede del suo interlocutore. “Oh beh, sa come
succedono queste cose” disse lei, briosa “ci
si incontra di sera per caso in un locale, si beve qualcosa e si
finisce a letto insieme …”
Se mio padre era rimasto di sasso, io
ero invece un involucro porpora al cui interno era rimasto solo un cuore in
supersonica accelerata, tamburellante e rimbombante nel vuoto più assoluto.
“Stai scherzando, vero?” osò domandare
mio padre, utilizzando la riserva d’aria che aveva inglobato poco prima, ai
limiti dello shock. Io ero invece in preda ad un legittimo attacco di panico ed
ero troppo impegnato a valutare tutte le uscite di sicurezza, pronto a fuggire
in caso di furia cieca di mio padre, per occuparmi dell’omicidio di Allison. Se
fossimo sopravvissuti a Charles Hawkins, avrei sicuramente avuto tutto il tempo
del mondo per farle passare un brutto, bruttissimo, quarto d’ora. Dio, mi ha
fatto perdere cent’anni di vita! Ma come poteva esserle venuto in mente di dire
certe cose davanti ad un puritano come mio padre, un repubblicano metodista e
fariseo come pochi?
Mentre ogni secondo nella mia mente
sembrava durare dozzine di minuti, la risata canterina di Allison risuonò per
l’intera stanza: “Ma naturalmente signore!!! … ci siamo conosciuti sì in un bar,
ma l’unico interesse comune che abbiamo sono i libri, mi creda!”
Vidi mio padre
ridere assieme a lei, ma non ero sicuro che fosse una risata onesta, di
spirito. Io ripresi a respirare, ed il mio pensiero corse immediatamente a
Caroline, che era seduta alla scrivania di nostro padre, intenta a disegnare.
Quanto aveva captato dell’exploit di Allie? Di solito tendeva ad estraniarsi mentre
si dedicava al disegno, ma sapevo che quando si trattava di cose piccanti o
pettegole, era sempre pronta con le antennine ritte e pronte all’ascolto. 10
anni e mezzo … ho detto tutto.
Andai verso di lei, mentre mio padre
spiegava ad Allison che le sembrava un volto conosciuto.
“Ehi” sussurrai all’orecchio di mia
sorella, piegandomi su di lei “cosa disegni di bello?”
Era ancora un primissimo scheletro, ma
già si distinguevano Allison e mio padre al centro, in piedi di fronte al camino,
che ridono e conversano amabilmente.
“E poi ci sarai tu” mi rivelò
“all’angolo del camino, più indietro, con il tuo solito broncio e le mani nelle
tasche dei pantaloni”
Ogni visita di Caroline a nostro padre
terminava sempre così: con lui che la manda a disegnare, così da poter
occuparsi di ciò che gli interessa davvero. Pensava così di assolvere al suo
ruolo di padre, scaricarsi la coscienza dal peso di un assenteismo reiterato e
intenzionale una volta ogni due settimane – nonostante il giudice avesse deliberato
la custodia congiunta – e mandando l’autista sotto casa ogni mattina per
portarla a scuola. Ma il risultato era solo una figlia sempre più distante e
confusa, offesa nella sua grande intelligenza. “Mi creda signore” tornai di
nuovo a focalizzare la mia attenzione su Allison “a meno che lei non sia un
frequentatore di locali notturni, non credo che ci siamo mai incontrati prima.
Oltretutto non sono qui da molto … in realtà sono di Indianapolis”
“Indianapolis?!” esclamò mio padre,
stavolta davvero sorpreso, ma solo perché in qualche modo si toccavano i suoi
interessi “c’è una filiale della nostra società. Lo sapevi?”
“Sì, signore, lo sapevo” disse, senza
mostrare il briciolo di emozione per aver evocato, anche se per vie traverse,
la figura di suo padre “Tyler deve avermelo accennato.” Straordinariamente
politically correct, brava la mia Allison.
“Ma dove sono finite le mie buone
maniere? Prego Allison, accomodati!” la invitò mio padre, indicandole il divano
e una delle due poltrone in pelle marrone-rossiccio di fronte al camino. Mentre
Allison si sedeva, mio padre mi lanciò un’occhiata intollerante, inquisitoria,
che tutto pareva dire fuorché sono
contento, figliolo, che tu abbia incontrato questa brava e simpatica
ragazza,trattala bene.
Falsità, recite e menzogne: questa era
la vita di Charles Hawkins e non riusciva mai a smentirsi. Prima che potessimo
tornare alla conversazione, però, dei colpi alla porta della stanza
annunciarono l’arrivo di Eve. Entrò nella stanza con un carrellino da servizio,
pieno di leccornie per tutti i gusti, che sembrava essere uscito dal Regno dei
Dolci. Cioccolata calda con cannella e panna, praline, bacchette di zucchero,
la tipicissima Christmas cake, biscotti di pan di zenzero … c’era persino una
casetta di pasta frolla tutta decorata, che sembrava uscita direttamente dalla
fiaba di Hansel e Gretel: tutto quello che potevi desiderare era in quei vassoi
e Caroline, per quanto matura, restava pur sempre una bambina nel giorno di
Natale così, nonostante gli abbondanti pasti degli ultimi due giorni sembrò
ritrovare il sorriso e finì col fiondarsi sul carrello e la povera Eve, che a
stento riuscì a contenere la sua golosità.
“Vogliate scusarmi un attimo” si
congedò mio padre, mentre la signora Hill era riuscita a catturare l’attenzione
di Allison. Dovevo riconoscere che anche io non ero rimasto indifferente a
tutto quel ben di Dio, e non seppi dire proprio di no ad uno di quei cupcakes
con le divertenti decorazioni natalizie, dalle renne di marzapane ai pupazzi di
neve di zucchero, disposti su un’alzatina a forma di albero di Natale. Chissà
perché a Natale basta davvero poco per rallegrare l’aria e far tornare tutti
bambini.
“Come va?” chiese premurosa Eve ad
Allison.
“Bene, grazie” le sorrise, cordiale.
“Bene …” ironizzai “figuriamoci! Puoi
dirla la verità … dille che ti sta spellando viva …”
“Ma perché dovrei mentire Ty?!” si
oppose “sono solo una sconosciuta per lui, è normale che mi faccia un po’ di
domande. È una persona un po’ formale, su questo siamo d’accordo, ma non per
questo è sgarbato o altro”
“Se lo dici tu …” mi arresi;
d’altronde lei non poteva conoscerne l’animo subdolo e manipolatore, non poteva
apprezzare le sue doti di giudice implacabile e censore della moralità
nazionale. Lo conosceva del resto solo da cinque minuti, quel tanto che basta
ad ammaliare con classe e charme dal tocco europeo. È a lungo andare che i
difetti verrebbero a galla.
D’altro canto però dovevo dargli atto che
non si era lasciato distrarre dal suo lavoro o non si era immerso in un elogio
auto celebrativo dei suoi, del tipo: io ho fatto, io ho detto.
“Oh Tyler” mi rimproverò la signora
Hill “Allison ha perfettamente ragione … se solo non ti ostinassi a vedere in
tuo padre il marcio che non c’è …”
Il marcio che non c’era? Come lo
chiamavano loro uno che impone ai proprio figli una vita che non vogliono,
anche a costo di sacrificarli pur di averla vita, nel rispetto del buon nome
della famiglia e non della loro felicità e autorealizzazione. Poteva anche
essersi redento agli occhi degli altri, ma per me rimaneva solo uno sporco
dittatore egoista.
Non feci in tempo ad oppormi che Charles rientrò nella stanza. Senza dire una
parola d’affetto o anche solo d’augurio, consegnò a me e Caroline due grossi
pacchi regalo, mentre ad Allie ne diede uno più piccolo.
“Se Tyler mi avesse avvisato per tempo
che saresti venuto anche tu avrei provveduto diversamente” le disse, mettendomi
come sempre in mezzo e come sempre in cattiva luce.
“Oh signor Hawkins!” lo bloccò Allie
“non ce n’è bisogno davvero! Non posso accettare!”
“Ah!” la riprese lui,
sorridendole “non accetto che mi si dica di no!” Mi vantavo di sapere
distinguere alla perfezione gli atteggiamenti di mio padre, le sue recita, ma
questa volta era davvero difficile, il limite tra realtà e finzione era
particolarmente labile.
Rimasi a guardare Allison che, ancora
meravigliata, apriva il piccolo cadeau. All’interno c’era un fermaglio
impreziosito da cristalli a forma di fiocco di neve e mi scappò da ridere a
pensare che, per un attimo, quasi avevo creduto alla buona disposizione di mio
padre nei suoi confronti. Quel fermacapelli era la versione femminile del
regalo aziendale che mio padre ogni anno distribuiva ai dipendenti. Per anni,
infatti, mia madre aveva scelto personalmente il modello della spilla, o del
ciondolo o del fermaglio di turno. Riconoscevo ora la carta regalo ed il logo
della bigiotteria di lusso che li forniva. Nemmeno il fiocco del pacchetto era
cambiato negli anni. E conoscevo anche bene l’abitudine di mio padre di
riportarsene sempre un paio a casa, nel caso fosse capitato un regalo
dell’ultimo minuto.
Allison ne era entusiasta e lui era
riuscito nel suo intento e me ne aveva messa un’altra contro, sul fronte della
nostra guerra privata. Il suo sorriso soddisfatto e compiaciuto ne era una
prova lampante.
Caroline invece era rimasta senza
fiato davanti al piccolo carosello meccanico, evidentemente di altissima
fattura artigianale, che aveva ricevuto in dono. Era un pezzo di grandissimo
valore, che si andava ad aggiungere alla sua già grande collezione di giostrine
simile che aveva iniziato da piccolina e che ora era diventata una vera e
propria città dei balocchi. Caroline partire la carica e la musica del carillon
interno era sognante, incantevole. Sembrava d’immergersi in un sogno d’altri
tempi.
“E tu Tyler?” mi chiamò mio padre “tu
non apri il tuo regalo?”
Ero indeciso se accettarlo o meno, ma
pensai che se lo avessi restituito avrei fatto ancor di più il suo gioco,
specialmente con Allison presente. Avevo in mente un altro genere di smacco per
lui.
Aprii la shopping bag, che portava la
firma del più grande store di abbigliamento vintage di New York, e quello che
vi trovai andava ben oltre ogni aspettativa, oltre ogni peggiore previsione. Fu
un colpo terribile.
“So che ami il vintage” disse mio
padre “mi hanno detto che questo è un pezzo incredibilmente raro”
Era una giacca originale di Bob Dylan,
un mito per Michael. Stava per ore ad ascoltarlo e per lui quella giacca era
come l’Eldorado, una miniera d’oro e di fortuna. Durante i suoi anni di college
abbiamo girato mezz’America ogni estate per trovarla, visitato ogni negozio
possibile, ma nessuna replica che fosse come quella. E ora davanti a me, tra le
mie mani, avevo l’originale.
E mio fratello gliel’aveva persino
chiesta per i suoi diciotto anni, l’unica preghiera della sua vita a nostro
padre … ma lui preferì regalargli l’orologio del nonno. Banale e insensibile;
ma lui aveva detto che non voleva vedere suo figlio come uno di quei pezzenti
che stanno alla YMCA.
“Eve” mi rivolsi alla governante,
sperando che recepisse il messaggio dal mio sguardo eloquente e corrucciato
“perché non porti Caroline con te?” Mio padre rimase sconcertato, lo vedevo dai
suoi occhi come il sangue gli s’era raggelato nelle vene. Ed anche Allison sembrò
essere colpita dalla stessa preoccupazione, lo percepivo dalla sensazione
sgradevole di avere i suoi occhi puntati addosso. Rimasi tuttavia con lo
sguardo fisso su mio padre, con aria di sfida, ma con la cosa dell’occhio
mantenni la situazione sotto controllo; vidi Allison spostarsi verso Caroline
ed andarle vicino, aiutandola a raccogliere i fogli ed il materiale da disegno.
Mia sorella dal canto suo non batté ciglio; sapeva che tra me e mostro padre
finiva sempre a quel modo e non ne faceva più un dramma, era moralmente
preparata a sostenere l’urto.
“Vengo con te Caroline” le disse Allie,
dolce e attenta nei suoi confronti.
“Non c’è niente che io abbia da dire
che tu non possa sentire Allison” la fermai, anche un po’ bruscamente e
vagamente autoritario, sperando che decidesse di rimanere al mio fianco. Ne
avevo bisogno come l’aria i polmoni, come spiraglio d’aria fresca in una camera
piena di gas.
“Sono affari di famiglia Tyler, non mi
sembra il caso” sentii la sua voce tenace e ferma, che suonava alle mie
orecchie come un rimprovero per aver rovinato tutto-
“Eh no Allison” la corresse mio padre,
tagliente “a quanto pare fai parte della
famiglia molto più di quanto tu stessa voglia ammettere. Perciò rimani”. Quelle
ultime due parole suonarono come un obbligo per Allison, che non poté fare
altrimenti.
Eccolo lì il vero Charles, quello che
tutti tranne me facevano finta di non vedere, quello cinico, autoritario,
prevaricatore.
La sua voce tuonava
imperiosa,offensiva,denigratrice; ma non era più capace di ferirmi. Ne avevo
prese talmente tante, che ormai ero in grado di farmi scudo e proteggermi da
qualsiasi angolazione e con qualsiasi arma colpisse. Solo tre miei punti
deboli: la famiglia, quella vera, la memoria di Michael ed Allison. Ma non gli
conveniva colpire lì: se solo ci avesse provato, sarebbe finito in cenere.
“qual è il tuo problema Tyler?” chiese, non appena Eve e Caroline ebbero chiuso
la porta alle loro spalle.
“Bob Dylan era il cantante preferito
di Michael … quella giacca doveva essere il suo regalo perfetto, non il mio” lo
accusai, arrancando con la voce man mano che i ricordi tornavano a galla
prepotenti e dolorosi “non fingere con me di essere il padre generoso e attento
che non sei mi stato … che mai potrai essere”
Anni di frustrazioni, di bocconi amari
inghiottiti per forza, lacrime trattenute per dimostrare di essere il più forte,
schiaffi morali e rifiuti subiti stavano consumando la loro vendetta in quel
momento; eppure non aveva il sapore dolce che si dice l’accompagni. E non era
fredda. Aveva il sapore acre del sangue e bruciava dentro come il fuoco, senza
vederne l’estinzione. Lui sembrava persin più forte di me, non curandosi delle
mie accuse,, arroccato nella sua torre di pietra, alta ed ermetica al punto da
non sentire né vedere più nessuno eccetto sé stesso.
“Lo farai credere a Caroline”
proseguii “ma a me non lo nascondi che ogni anno è Janine ad occuparsi dei
regali di Natale”
Ricordo ancora quando Michael ed io
scoprimmo nostra madre al telefono con la segretaria di nostro padre, per
accordare i regali di Natale, lo sdegno da parte mia, allora solo uno
studentello di liceo, nel sapere che neanche durante la festa più importante
dell’anno quell’uomo era capace di dedicare cinque minuti ai suoi figli.
“Ma tu che ne vuoi sapere di come
funziona la mia vita … il mio lavoro … che ne puoi sapere di quello che faccio
io per farvi fare la vita che fate?” mi rimproverò. Ma erano parole al vento,
gridate all’aria e volate via, di cui rimaneva solo un’eco destinato
evitabilmente a svanire. Io non ricevevo più un dollaro da lui da una vita, non
mangiavo alla sua tavola da almeno un anno ed i suoi regali li ripagavo ogni
volta fino all’ultimo centesimo. Non mi poteva comprare così.
Del suo lavoro sapevo d’altronde che
non l’avrei mai fatto: una vita di lusso ed esclusività a discapito dei
rapporti interpersonali? No, grazie. Povero in canna ma felice con amici e
famiglia suona decisamente meglio. Morto Michael mi ero riproposto di
continuare per lui, ma dall’incontro con Allison molte cose erano cambiate, io
stesso mi sentivo profondamente diverso, finalmente vivo dopo mesi e mesi di
torpore. C’era in me una nuova consapevolezza di me stesso, pronta a
rivendicare i propri diritti, pur nella memoria di mio fratello. Ma c’è Tyler
sulla Terra, sembrava ripetermi ogni giorno la coscienza.
“Tu l’unica responsabilità che hai è
quella di cambiarti le mutande al mattino … cosa ne puoi sapere di aziende come
la mia? Sei solo un ragazzino …” insinuò “che si diverte tra alcool e
puttanelle. Come la paghi lei … a ricariche telefoniche?”
Vidi Allison crollare di getto in
ginocchi sopra il tappeto di fronte alla finestrone in fondo alla stanza, che
dominava l’intera New York notturna, totalmente illuminata a festa. Le andai
vicino e la trovai pallida e muta, senza lacrime o parole per potersi indignare
e difendersi dal fango uscito dalla bocca di quello che, solo sulla carta,
rimaneva mio padre.
“Ma che cazzo dici!!!” scattai,
rivolgendomi a quella figura di bronzo che stava davanti a me, immobile ed
saldo, come se nulla di ciò che dicesse o facesse lo toccasse minimamente “come
cazzo ti permetti???”
Mi alzai repentinamente e gli andai
incontro con veemenza, vedendo tutto nero attorno a me. Questa volta aveva
superato ogni limite di decenza, rispetto, educazione. Il primo peccatore del
mondo che scagliava pietra su pietra contro una vittima della fame de della
violenza. Senza provare nemmeno per un attimo a capirla, ad immedesimarsi. Solo
per sentito dire, solo per il suo giudizio dall’alto di un piedistallo.
Lo spinsi contro una parete, prendendolo
per il bavero della camicia. Nella mia vita avevo fatto tante cazzate, tanti
errori di cui poi mi ero puntualmente pentito,ma quella non era certo
nell’elenco: per la prima volta , forse, usare la violenza mi era sembrata la
cosa più giusta da fare, forse addirittura l’unica.
“Credi … credi” tentò Charles di
parlare, annaspando nella morsa delle mie mani. Non volevo fargli male davvero,
solo fargli capire che il suo era solo un delirio di Onnipotenza che anni di
adulazione da parte dei suoi dipendenti lecchini e paraculi avevano contribuito
a consolidare Doveva darsi una svegliata e quale miglior strategia se non
quella di fargli sentire la terra mancargli sotto i piedi, fargli capire che è
un signor nessuno.. Doveva scendere dal trono, prima che potesse trasformarsi
in un patibolo e ritorcersi contro di lui. Non volevo ferirlo, solo istillare
in lui un sano terrore della fine, la sua fine. Placai la stretta e lo lasciai
parlare: “Credi che io non sappia niente … di te, di Caroline … ma io so tutto
di voi. So quando starnutisci … figurati se non so dove l’hai raccattata
quella lì”
“Noto con piacere che non hai perso il
vizio di farci controllare a vista come se fossimo dei ricercati …” lo lasciai
andare e mi tirai indietro, ridendo sardonico mentre lui divorava letteralmente
l’aria e respirava voracemente. Non potevo credere che l’incubo di Michael
stesse prendendo vita con noi di nuovo e lui stesse ripetendo di nuovo lo
stesso errore con me e Caroline, sorvegliati speciali da un pull di agenti
segreti e guardie del corpo come quando Michael cominciò a lavorare per lui e
la sera andava a suonare comunque di nascosto. Non gli era servita ancora di
lezione la perdita del suo figlio preferito? Mi lavai le mani di lui e le
scossi, platealmente, per ripulirmi dallo schifo di aver anche solo tocaato i
suoi abiti, sporchi del sangue del suo primo figlio e di quello che avremmo
versato io e mia sorella quando sarebbe giunto il nostro turno. Ma volevo salvarci entrambi da
lui prima che fosse troppo tardi. Fosse stata l’ultima cosa che avrei fatto in
vita mia.
Allison in tutto questo se n’era
rimasta accasciata al suolo, sconvolta ancor più dalla mia frenesia che
dall’onta ricevuta. Avevo sentito infatti i suoi continui richiami ed i suoi
inutili sforzi a calmarmi, nonostante i riguardi poco cavallereschi che Charles
aveva avuto nei suoi confronti; ma tutto era arrivato alle mie orecchie
ovattato, come se l’adrenalina che circolava nel mio organismo avesse fatto di
me un sordo, almeno temporaneamente.
Corsi di nuovo da lei che mi guardò
severa, arrabbiata quasi. “Sai che te ne pentirai” mi sussurrò. “Sai che non
accadrà mai” le risposi, serio ma risollevato.
L’aiutai a rialzarsi e guardai mio
padre, con il fuoco che ancora divampava dentro di me. Solo avere Allison
vicina mi ritraeva dalla voglia di strappargli i coglioni, perché uno che parla
e si comporta così … che uomo è?”
“Forse non ti conosco bene come dovrei
… ma so bene che non sei il gentiluomo che fingi di essere … e so che tra noi
non sono io a dover dispensare regali per farmi amare da chi mi circonda.
Andiamo via Allison” la trascinai per un braccio di peso “lo sapevo che non
dovevamo venire qui oggi …”
L’accompagnai fuori dallo studiolo e
andai a chiamare Caroline, che era in cucina con la signora Hill ed il signor Smith,
l’autista, a finire la sua cioccolata.
“Non si preoccupi Smith” tranquillizzai
l’autista che si stava affrettando a risistemarsi la divisa “non c’è bisogno
che ci accompagni. La metro andrà benissimo”
“Ma signor Hawkins” replicò lui –
dello staff di mio padre, infatti, solo Janine e la signora Hill che ci
conoscevano da una vita erano abituate a trattarci con confidenza, per gli
altri eravamo solo i figli del capo “fa freddo fuori e la stazione più vicina è
lontana. In più avete i pacchi regalo con voi, quello della signorina Caroline
è fragile, non vorrei si rompesse …”
“Allora accompagnerà solo Caroline ed
Allison.” Mi sembrava la cosa più giusta da fare. “E non prenda il mio regalo”
aggiunsi “quello rimane qui.” Se non lo volevo prima, Charles Hawkins mi aveva
dato un ulteriore buon motivo per lasciarlo dov’era.
Andai insieme a Caroline all’ingresso,
dove Allison si era già rivestita. Aiutai mia sorella con il cappottino e mi
chinai a darle un bacio in fronte prima di abbassarle bene il cappellino sulle
orecchie; mi rialzai e sistemai bene anche la sciarpa di Allison. L’abbracciai
ai fianchi e la attirai a me in modo da averla più vicina che potevo e far sì
che mi guardasse bene negli occhi. “Passerà anche questa” le dissi,
massaggiandole energicamente le braccia. “È già passata” rispose e sorrise,
seppur sommessamente. Se la sua era la verità ne ero contento; era tanto forte
la mia Allie, una guerriera. Speravo ardentemente che non lo dicesse per farmi
stare tranquillo.
“Voi andate … io ho ancora qualcosa in
sospeso” dissi loro, guardando verso lo studio, dove le luci s’erano spente e
da cui provenivano solo i bagliori del focolare e delle sue fiamme.
“Tyler, non fare niente di cui potrai
pentirti” si raccomandò Allison, puntando lo sguardo verso Caroline. Capivo a
cosa si riferisse: non era solo mio padre e Caroline nel bene e nel male gli
voleva bene, e lo ammirava molto.
“Tranquilla …” la rassicurai e sembrò
fidarsi di me. Avrei lottato contro me stesso per ripagarla del suo sostegno e
della fiducia a volte cieca che mi accordava; non potevo prometterle che non l’avrei
più rivisto dopo quella sera, ma non avrei permesso che il nostro astio
rovinasse il suo rapporto con Caroline e nemmeno che lui trovasse un pretesto
per parlarle male di me. “Non so se tornerò da mamma stasera. Al limite ti
chiamo” le feci l’occhiolino e mi rispose con un sorriso timido dei suoi. Ed io
mi sentii riscaldato e avvolto da un’aura protettrice e corroborante.
Alle
persone basta davvero poco per stare bene insieme, anche nei momenti meno facili
e felici. Se solo mio padre fosse stato in grado di capirlo, forse tante cose
sarebbero andate in maniera diversa.
Tornai dove lo avevo lasciato e lo
trovai seduto alla scrivania, riverso totalmente su qualche documento o
qualcosa di simile. Mi avvicinai a lui ma non se ne accorse, i passi attutiti
dai tappeti che ricoprivano l’intero parquet.
Quello che stava studiando era il
regalo di Caroline, un ritratto ad acquerelli di nostro padre a Martha’s
Vineyard, alla casa al mare dei nonni, preso da una foto di qualche anno fa,
quando lei, forse, non era nemmeno nata.
Forse era il suo modo per dirgli che
avrebbe desiderato vederlo in quel modo, sereno e rilassato, senza quei gessati
super costosi e fuori dai grattacieli claustrofobici e vertiginosi fuori da un mondo che per lei era il mostro
che le rapisce il padre per intere settimane.
“Lo vedi che hai sbagliato tutto?!”
Alzò lo sguardo alla mia voce e non
appena si accorse che ero lì, si affrettò a ricomporsi e a ridarsi il suo
solito aplomb. Tuttavia per un istante colsi nei suoi occhi non solo sorpresa,
nel vedermi ancora lì, ma anche e soprattutto quella che avrei detto essere
disperazione. Ma fu un nanosecondo, prima che potesse calarsi nuovamente nei
panni dell’orco.
“Quando Janine mi ha fatto vedere
quella giacca l’ho riconosciuta subito” confessò “ho pensato che potesse farti
piacere avere qualcosa che sarebbe piaciuto a Michael … non dimentico quanto
gli fossi legato”
L’avevo quasi preso a botte e lui
parlava della giacca, ancora. Guai a non conservare le apparenze in casa
Hawkins, che squallore! Ma non mi intontiva con le sue chiacchiere, così decisi
di riprendere l’argomento che mi stava più a cuore. “Spero proprio che tu
capisca che dopo quanto è accaduto io e te abbiamo chiuso. Non è mettendoci
appresso dei segugi che ti dimostri attento. Spero che questo consiglio possa
aiutarti con Caroline … lo vedi” dissi, prendendo in mano il lavoro che gli
aveva dedicato “per lei conti moltissimo!”
Mi scrutò con attenzione e incrociammo
i nostri sguardi; non più da padre a figlio ma da uomo ad uomo, da perfetti
pari. Non avevo paura a reggere il suo sguardo, non c’era più nessuna reverenza
filiale che potesse frenarmi: era diventato un estraneo, in tutto e per tutto. “Forse
ti starai divertendo a fare l’eroe ora” dichiarò, senza perdere la sua natura
sfrontata e sprezzante “ma prima o poi ti stancherai.” Era chiaro come il sole
che stava parlando di Allison. “Ma chiudila qui questa pagliacciata, Tyler.
Prima che sia io a decidere che può bastare. Sei un Hawkins, da te ci si
aspetta un certo comportamento. E quella sgualdrina deve uscire dalla tua vita
e da quella di Caroline. Subito. Te lo dico con le buone anche per il bene di
tua madre. Non mi costringere a passare alle cattive ... non vuoi che si ritrovi
la polizia in casa, vero? Non ci vuole niente a far scoppiare uno scandalo,
Tyler”
Per quanto quelle minacce suonassero
terribile non mi facevano minimamente paura. Sapevo che non ci sarebbe mai
riuscito. Era talmente interessato a mantenere la facciata immacolata, che
scatenare uno scandalo che lo avrebbe risucchiato inevitabilmente era l’ultima
delle sue aspirazioni. E poi, se era vero che ancora provava qualcosa per mia
madre, non l’avrebbe mai esposta a tal punto o messa nei guai.
“Io non sono uno dei direttori dei
tuoi giornali, a cui fai cambiare colore politico per conservare il posto di
lavoro. Non sono nemmeno Michael, che hai omologato ai tuoi canoni di
perfezione. Non mi piego, io.” Purtroppo questa era la verità. Mio fratello non
era stato abbastanza forte da resistergli. Bisognava essere altrettanto forti
per tenergli forza e forse era questo, purtroppo, il punto. Talmente uguali da
respingerci, io e mio padre eravamo della stessa pasta.
“E mi aspetto” continuai “che nei prossimi
giorni arrivi a casa di mamma una lettera di scuse formali alla signorina
Allison Eugenia Riley.” Doveva capirlo che in vita mia non ero mai stato tanto
serio.
“Avrà anche fatto la spogliarellista
per sopravvivere” era inutile mentire, dal momento che
probabilmente ne sapeva
anche più di me sul suo conto “ma è soprattutto una
povera ragazza sfortunata,
a cui la vita ha riservato prove persino più dure delle nostre.
Suo padre era oltretutto un tuo dipendente ad Indianapolis, se ti
può interessare. Viene da una
buona famiglia … è solo una vittima delle tante
cattiverie di questo mondo di
merda”
Detto questo gli voltai le spalle, prima
che potesse prendersi la briga di rispondermi. Svuotai il mio portafoglio – più
o meno 300 dollari tra i regali in denaro che avevo ricevuto negli ultimi
giorni – sulla giacca di pelle che doveva essere il mio regalo, abbandonata sul
divano dello studiolo e me ne andai, senza salutare, senza nemmeno la minima
tentazione di voltarmi indietro.
Non ho molto da dire per congedarmi da questo capitolo. Forse nessuna di voi (e nemmeno io) si aspettava un Tyler così.
Ma è stato colpito laddove fa più male, nei suoi affetti più cari e nella memoria di suo fratello.
è pero questo il capitolo dove ci accorgiamo che Tyler è
cambiato molto dall'inizio della storia. ma la vita è
così, ci modella a partire dalle nostre esperienze.
Mi preme come al solito ricordarvi di fare attenzione al testo della
canzone che ci accompagna. Mai scelta a caso...e in questo capitolo di
più delle altre volte.
Dove ci porterà tutto questo? Non credo per ora di poter aggiungere altro se non...dateci dentro con le recensioni =)))
Grazie mille per la vostra gentilezza ed il favore che sempre mi accordate
à bientot
Federica