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Autore: crazyfred    18/10/2011    13 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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When you crash in the clouds - capitolo 18
When you crash in the clouds

Capitolo 18 

Long Lost Memory of Mine












soundtrack

“Buon Natale signor Hawkins, piacere di conoscerla!”
“Buon Natale a lei Allison” rispose educatamente mio padre.
Sapevo bene, tuttavia, quanto fosse irritato da quella visita. Non tanto per la conoscenza in sé, che poteva anche tollerare, quanto per non avere la situazione perfettamente sotto controllo. Non c’era cosa che lo mandasse più in bestia, del resto, dell’imprevedibilità, da pazzo maniaco del controllo qual era.
“La prego signor Hawkins” ribatté Allison, le cui guance si erano fatte tutte rosse, imbarazzata e con lo sguardo basso “mi dia del tu, non sono abituata a tutte queste formalità”.
“Molto bene Allison, come vuoi” le disse mio padre, che sembrava stranamente interessato a lei. “E così sei la ragazza di Tyler …” sentenziò, fintamente interessato e per nulla toccato.
“Ehm no … papà” mi affrettai a prendere posto di Allison nella conversazione, ben sapendo quanto la imbarazzasse rispondere a quel tipo di domande “Allison è solo un’amica.” Sapevo talmente bene quel copione ormai che se anche fosse stata una bugia completa, e non per metà, non avrei avuto difficoltà a reggere il gioco. “Al momento abita a casa di mamma” continuai “e così lei l’hai invitata a passare il Natale con noi.” Sembrava ad entrambi il modo migliore per aggirare l’argomento più ostico senza generare grande curiosità o domande inopportune. 
“E così abiti con la cara Diane, eh?” Allie annuì. “Ti trovi bene?” domandò mio padre, proseguendo il suo terzo grado.
“Sì molto bene signore, grazie” rispose lei, decisamente convinta; avrei sottoscritto anche io, se fosse stato necessario. Non c’era stata decisione migliore di quella, per l’umore ed il benessere generale di Allison. E anche del mio.
“Diane e Les sono due persone estremamente cordiali ed ospitali” aggiunse Allie “Les poi è simpaticissimo!”. Chiunque le avrebbe creduto, con quel sorriso che parlava da se. E chiunque conoscesse Les e mia madre avrebbe concordato. Chiunque tranne mio padre, ovviamente. Vidi Allison guardarmi e mordersi la lingua subito dopo quella sua ingenua confessione, ma con un cenno le feci intendere che non doveva assolutamente prendersi pena per ciò che aveva detto. Avrebbe dovuto essere contento mio padre, se era vero, come lui sosteneva, di essere ancora innamorato di nostra madre, di sapere che nostra madre aveva trovato un uomo per bene e di saperla finalmente felice. Peccato che Charles non sopportasse nemmeno che si nominasse Leslie davanti a lui; una volta lo sentii persino accusarlo di averlo fatto becco, mentre invece mia madre gli era rimasta fedele fino all’ultimo giorno. Non dava a vederlo Charles Padronanza-della-situazione Hawkins, ma covava ancora dentro la rabbia per non essere riuscito a tenersi stretto sua moglie.
“E come mai stai da lei?” proseguì l’interrogatorio, prima che il pensiero di Les e mia madre potesse infastidirlo più del dovuto; questa volta nella sua espressione era istillata una vena di sospetto, ed anche i suoi occhi sembrarono diventare più piccoli e scuri, dei piccoli radar fatti per scrutare ed indagare al meglio.
“Ho perso il lavoro e la casa” rispose lei, in fondo sincera e tranquilla “e così Diane si è gentilmente offerta di ospitarmi fin quando non troverò un lavoro che mi permetta di affittare un appartamento per conto mio. Nel frattempo l’aiuto in casa e mi sono anche rimessa a studiare per il diploma da privatista”
“Purtroppo questa crisi sta colpendo tutti” commentò lui, fingendo di sapere di cosa stesse parlando Allie. Il problema era il grande dislivello tra l’alta finanza dei ricchi sempre più ricchi, ed i pochi soldi che permettono a gente normale, come Allison, di sopravvivere. Non avrebbe mai potuto capire. “E quindi devi ancora diplomarti … ma sei giovanissima, non avrai più di 18 anni?”
“In effetti non li ho ancora compiuti … ne saranno 18 a gennaio.”
Mio padre rimase un attimo in silenzio, immerso nelle sue teorie e impegnato ad elaborare accuse che aveva da rivolgermi. Immaginavo che non si sarebbe bevuto la storia dell’amicizia, in fondo era un uomo anche lui, e forse nemmeno credeva che Allison abitasse veramente con mia madre.
Guardai Allison per un attimo, incrociando il suo sguardo. Era sicuramente nervosa, ma non mostrò un minimo di esitazione. Era bravissa in quel genere di cose, dissimulare le sue emozioni, incredibilmente padrona com’era della sua mimica facciale. 
“E come vi siete conosciuti tu e Tyler … raccontami un po’ …”
Non capivo tutto l’interesse di mio padre. Chissà, forse voleva andare a fondo e cercare il marcio che era sicuro di poter trovare. Se c’era una cosa che dovevo riconoscergli, infatti, era l’estrema capacità intuitiva insieme ad un’abilità incredibile nel servirsene, nella vita privata come nel lavoro; era un cane da caccia, pronto a fiutare e stanare ogni sua preda. Dote che, da pezzo di pane qual ero, evidentemente non avevo ereditato.
Allie non sembrava però impensierirsi, forse confidava ancora nella buona fede del suo interlocutore. “Oh beh, sa come succedono queste cose” disse lei, briosa “ci si incontra di sera per caso in un locale, si beve qualcosa e si finisce a letto insieme …”
Se mio padre era rimasto di sasso, io ero invece un involucro porpora al cui interno era rimasto solo un cuore in supersonica accelerata, tamburellante e rimbombante nel vuoto più assoluto.
“Stai scherzando, vero?” osò domandare mio padre, utilizzando la riserva d’aria che aveva inglobato poco prima, ai limiti dello shock. Io ero invece in preda ad un legittimo attacco di panico ed ero troppo impegnato a valutare tutte le uscite di sicurezza, pronto a fuggire in caso di furia cieca di mio padre, per occuparmi dell’omicidio di Allison. Se fossimo sopravvissuti a Charles Hawkins, avrei sicuramente avuto tutto il tempo del mondo per farle passare un brutto, bruttissimo, quarto d’ora. Dio, mi ha fatto perdere cent’anni di vita! Ma come poteva esserle venuto in mente di dire certe cose davanti ad un puritano come mio padre, un repubblicano metodista e fariseo come pochi?
Mentre ogni secondo nella mia mente sembrava durare dozzine di minuti, la risata canterina di Allison risuonò per l’intera stanza: “Ma naturalmente signore!!! … ci siamo conosciuti sì in un bar, ma l’unico interesse comune che abbiamo sono i libri, mi creda!” 
Vidi mio padre ridere assieme a lei, ma non ero sicuro che fosse una risata onesta, di spirito. Io ripresi a respirare, ed il mio pensiero corse immediatamente a Caroline, che era seduta alla scrivania di nostro padre, intenta a disegnare. Quanto aveva captato dell’exploit di Allie? Di solito tendeva ad estraniarsi mentre si dedicava al disegno, ma sapevo che quando si trattava di cose piccanti o pettegole, era sempre pronta con le antennine ritte e pronte all’ascolto. 10 anni e mezzo … ho detto tutto.
Andai verso di lei, mentre mio padre spiegava ad Allison che le sembrava un volto conosciuto.
“Ehi” sussurrai all’orecchio di mia sorella, piegandomi su di lei “cosa disegni di bello?”
Era ancora un primissimo scheletro, ma già si distinguevano Allison e mio padre al centro, in piedi di fronte al camino, che ridono e conversano amabilmente.
“E poi ci sarai tu” mi rivelò “all’angolo del camino, più indietro, con il tuo solito broncio e le mani nelle tasche dei pantaloni”
Ogni visita di Caroline a nostro padre terminava sempre così: con lui che la manda a disegnare, così da poter occuparsi di ciò che gli interessa davvero. Pensava così di assolvere al suo ruolo di padre, scaricarsi la coscienza dal peso di un assenteismo reiterato e intenzionale una volta ogni due settimane – nonostante il giudice avesse deliberato la custodia congiunta – e mandando l’autista sotto casa ogni mattina per portarla a scuola. Ma il risultato era solo una figlia sempre più distante e confusa, offesa nella sua grande intelligenza. “Mi creda signore” tornai di nuovo a focalizzare la mia attenzione su Allison “a meno che lei non sia un frequentatore di locali notturni, non credo che ci siamo mai incontrati prima. Oltretutto non sono qui da molto … in realtà sono di Indianapolis”
“Indianapolis?!” esclamò mio padre, stavolta davvero sorpreso, ma solo perché in qualche modo si toccavano i suoi interessi “c’è una filiale della nostra società. Lo sapevi?”
“Sì, signore, lo sapevo” disse, senza mostrare il briciolo di emozione per aver evocato, anche se per vie traverse, la figura di suo padre “Tyler deve avermelo accennato.” Straordinariamente politically correct, brava la mia Allison.
“Ma dove sono finite le mie buone maniere? Prego Allison, accomodati!” la invitò mio padre, indicandole il divano e una delle due poltrone in pelle marrone-rossiccio di fronte al camino. Mentre Allison si sedeva, mio padre mi lanciò un’occhiata intollerante, inquisitoria, che tutto pareva dire fuorché sono contento, figliolo, che tu abbia incontrato questa brava e simpatica ragazza,trattala bene.
Falsità, recite e menzogne: questa era la vita di Charles Hawkins e non riusciva mai a smentirsi. Prima che potessimo tornare alla conversazione, però, dei colpi alla porta della stanza annunciarono l’arrivo di Eve. Entrò nella stanza con un carrellino da servizio, pieno di leccornie per tutti i gusti, che sembrava essere uscito dal Regno dei Dolci. Cioccolata calda con cannella e panna, praline, bacchette di zucchero, la tipicissima Christmas cake, biscotti di pan di zenzero … c’era persino una casetta di pasta frolla tutta decorata, che sembrava uscita direttamente dalla fiaba di Hansel e Gretel: tutto quello che potevi desiderare era in quei vassoi e Caroline, per quanto matura, restava pur sempre una bambina nel giorno di Natale così, nonostante gli abbondanti pasti degli ultimi due giorni sembrò ritrovare il sorriso e finì col fiondarsi sul carrello e la povera Eve, che a stento riuscì a contenere la sua golosità.
“Vogliate scusarmi un attimo” si congedò mio padre, mentre la signora Hill era riuscita a catturare l’attenzione di Allison. Dovevo riconoscere che anche io non ero rimasto indifferente a tutto quel ben di Dio, e non seppi dire proprio di no ad uno di quei cupcakes con le divertenti decorazioni natalizie, dalle renne di marzapane ai pupazzi di neve di zucchero, disposti su un’alzatina a forma di albero di Natale. Chissà perché a Natale basta davvero poco per rallegrare l’aria e far tornare tutti bambini.
“Come va?” chiese premurosa Eve ad Allison.
“Bene, grazie” le sorrise, cordiale.
“Bene …” ironizzai “figuriamoci! Puoi dirla la verità … dille che ti sta spellando viva …”
“Ma perché dovrei mentire Ty?!” si oppose “sono solo una sconosciuta per lui, è normale che mi faccia un po’ di domande. È una persona un po’ formale, su questo siamo d’accordo, ma non per questo è sgarbato o altro”
“Se lo dici tu …” mi arresi; d’altronde lei non poteva conoscerne l’animo subdolo e manipolatore, non poteva apprezzare le sue doti di giudice implacabile e censore della moralità nazionale. Lo conosceva del resto solo da cinque minuti, quel tanto che basta ad ammaliare con classe e charme dal tocco europeo. È a lungo andare che i difetti verrebbero a galla.
D’altro canto però dovevo dargli atto che non si era lasciato distrarre dal suo lavoro o non si era immerso in un elogio auto celebrativo dei suoi, del tipo: io ho fatto, io ho detto.
“Oh Tyler” mi rimproverò la signora Hill “Allison ha perfettamente ragione … se solo non ti ostinassi a vedere in tuo padre il marcio che non c’è …”
Il marcio che non c’era? Come lo chiamavano loro uno che impone ai proprio figli una vita che non vogliono, anche a costo di sacrificarli pur di averla vita, nel rispetto del buon nome della famiglia e non della loro felicità e autorealizzazione. Poteva anche essersi redento agli occhi degli altri, ma per me rimaneva solo uno sporco dittatore egoista.
Non feci in tempo ad oppormi che  Charles rientrò nella stanza. Senza dire una parola d’affetto o anche solo d’augurio, consegnò a me e Caroline due grossi pacchi regalo, mentre ad Allie ne diede uno più piccolo.
“Se Tyler mi avesse avvisato per tempo che saresti venuto anche tu avrei provveduto diversamente” le disse, mettendomi come sempre in mezzo e come sempre in cattiva luce.
“Oh signor Hawkins!” lo bloccò Allie “non ce n’è bisogno davvero! Non posso accettare!” 
“Ah!” la riprese lui, sorridendole “non accetto che mi si dica di no!” Mi vantavo di sapere distinguere alla perfezione gli atteggiamenti di mio padre, le sue recita, ma questa volta era davvero difficile, il limite tra realtà e finzione era particolarmente labile.
Rimasi a guardare Allison che, ancora meravigliata, apriva il piccolo cadeau. All’interno c’era un fermaglio impreziosito da cristalli a forma di fiocco di neve e mi scappò da ridere a pensare che, per un attimo, quasi avevo creduto alla buona disposizione di mio padre nei suoi confronti. Quel fermacapelli era la versione femminile del regalo aziendale che mio padre ogni anno distribuiva ai dipendenti. Per anni, infatti, mia madre aveva scelto personalmente il modello della spilla, o del ciondolo o del fermaglio di turno. Riconoscevo ora la carta regalo ed il logo della bigiotteria di lusso che li forniva. Nemmeno il fiocco del pacchetto era cambiato negli anni. E conoscevo anche bene l’abitudine di mio padre di riportarsene sempre un paio a casa, nel caso fosse capitato un regalo dell’ultimo minuto.
Allison ne era entusiasta e lui era riuscito nel suo intento e me ne aveva messa un’altra contro, sul fronte della nostra guerra privata. Il suo sorriso soddisfatto e compiaciuto ne era una prova lampante.
Caroline invece era rimasta senza fiato davanti al piccolo carosello meccanico, evidentemente di altissima fattura artigianale, che aveva ricevuto in dono. Era un pezzo di grandissimo valore, che si andava ad aggiungere alla sua già grande collezione di giostrine simile che aveva iniziato da piccolina e che ora era diventata una vera e propria città dei balocchi. Caroline partire la carica e la musica del carillon interno era sognante, incantevole. Sembrava d’immergersi in un sogno d’altri tempi.
“E tu Tyler?” mi chiamò mio padre “tu non apri il tuo regalo?”
Ero indeciso se accettarlo o meno, ma pensai che se lo avessi restituito avrei fatto ancor di più il suo gioco, specialmente con Allison presente. Avevo in mente un altro genere di smacco per lui.
Aprii la shopping bag, che portava la firma del più grande store di abbigliamento vintage di New York, e quello che vi trovai andava ben oltre ogni aspettativa, oltre ogni peggiore previsione. Fu un colpo terribile.
“So che ami il vintage” disse mio padre “mi hanno detto che questo è un pezzo incredibilmente raro”
Era una giacca originale di Bob Dylan, un mito per Michael. Stava per ore ad ascoltarlo e per lui quella giacca era come l’Eldorado, una miniera d’oro e di fortuna. Durante i suoi anni di college abbiamo girato mezz’America ogni estate per trovarla, visitato ogni negozio possibile, ma nessuna replica che fosse come quella. E ora davanti a me, tra le mie mani, avevo l’originale.
E mio fratello gliel’aveva persino chiesta per i suoi diciotto anni, l’unica preghiera della sua vita a nostro padre … ma lui preferì regalargli l’orologio del nonno. Banale e insensibile; ma lui aveva detto che non voleva vedere suo figlio come uno di quei pezzenti che stanno alla YMCA.
“Eve” mi rivolsi alla governante, sperando che recepisse il messaggio dal mio sguardo eloquente e corrucciato “perché non porti Caroline con te?” Mio padre rimase sconcertato, lo vedevo dai suoi occhi come il sangue gli s’era raggelato nelle vene. Ed anche Allison sembrò essere colpita dalla stessa preoccupazione, lo percepivo dalla sensazione sgradevole di avere i suoi occhi puntati addosso. Rimasi tuttavia con lo sguardo fisso su mio padre, con aria di sfida, ma con la cosa dell’occhio mantenni la situazione sotto controllo; vidi Allison spostarsi verso Caroline ed andarle vicino, aiutandola a raccogliere i fogli ed il materiale da disegno. Mia sorella dal canto suo non batté ciglio; sapeva che tra me e mostro padre finiva sempre a quel modo e non ne faceva più un dramma, era moralmente preparata a sostenere l’urto.
“Vengo con te Caroline” le disse Allie, dolce e attenta nei suoi confronti.
“Non c’è niente che io abbia da dire che tu non possa sentire Allison” la fermai, anche un po’ bruscamente e vagamente autoritario, sperando che decidesse di rimanere al mio fianco. Ne avevo bisogno come l’aria i polmoni, come spiraglio d’aria fresca in una camera piena di gas.
“Sono affari di famiglia Tyler, non mi sembra il caso” sentii la sua voce tenace e ferma, che suonava alle mie orecchie come un rimprovero per aver rovinato tutto-
“Eh no Allison” la corresse mio padre, tagliente “a quanto pare  fai parte della famiglia molto più di quanto tu stessa voglia ammettere. Perciò rimani”. Quelle ultime due parole suonarono come un obbligo per Allison, che non poté fare altrimenti.
Eccolo lì il vero Charles, quello che tutti tranne me facevano finta di non vedere, quello cinico, autoritario, prevaricatore.
La sua voce tuonava imperiosa,offensiva,denigratrice; ma non era più capace di ferirmi. Ne avevo prese talmente tante, che ormai ero in grado di farmi scudo e proteggermi da qualsiasi angolazione e con qualsiasi arma colpisse. Solo tre miei punti deboli: la famiglia, quella vera, la memoria di Michael ed Allison. Ma non gli conveniva colpire lì: se solo ci avesse provato, sarebbe finito in cenere. “qual è il tuo problema Tyler?” chiese, non appena Eve e Caroline ebbero chiuso la porta alle loro spalle.
“Bob Dylan era il cantante preferito di Michael … quella giacca doveva essere il suo regalo perfetto, non il mio” lo accusai, arrancando con la voce man mano che i ricordi tornavano a galla prepotenti e dolorosi “non fingere con me di essere il padre generoso e attento che non sei mi stato … che mai potrai essere”
Anni di frustrazioni, di bocconi amari inghiottiti per forza, lacrime trattenute per dimostrare di essere il più forte, schiaffi morali e rifiuti subiti stavano consumando la loro vendetta in quel momento; eppure non aveva il sapore dolce che si dice l’accompagni. E non era fredda. Aveva il sapore acre del sangue e bruciava dentro come il fuoco, senza vederne l’estinzione. Lui sembrava persin più forte di me, non curandosi delle mie accuse,, arroccato nella sua torre di pietra, alta ed ermetica al punto da non sentire né vedere più nessuno eccetto sé stesso.
“Lo farai credere a Caroline” proseguii “ma a me non lo nascondi che ogni anno è Janine ad occuparsi dei regali di Natale”
Ricordo ancora quando Michael ed io scoprimmo nostra madre al telefono con la segretaria di nostro padre, per accordare i regali di Natale, lo sdegno da parte mia, allora solo uno studentello di liceo, nel sapere che neanche durante la festa più importante dell’anno quell’uomo era capace di dedicare cinque minuti ai suoi figli.
“Ma tu che ne vuoi sapere di come funziona la mia vita … il mio lavoro … che ne puoi sapere di quello che faccio io per farvi fare la vita che fate?” mi rimproverò. Ma erano parole al vento, gridate all’aria e volate via, di cui rimaneva solo un’eco destinato evitabilmente a svanire. Io non ricevevo più un dollaro da lui da una vita, non mangiavo alla sua tavola da almeno un anno ed i suoi regali li ripagavo ogni volta fino all’ultimo centesimo. Non mi poteva comprare così.
Del suo lavoro sapevo d’altronde che non l’avrei mai fatto: una vita di lusso ed esclusività a discapito dei rapporti interpersonali? No, grazie. Povero in canna ma felice con amici e famiglia suona decisamente meglio. Morto Michael mi ero riproposto di continuare per lui, ma dall’incontro con Allison molte cose erano cambiate, io stesso mi sentivo profondamente diverso, finalmente vivo dopo mesi e mesi di torpore. C’era in me una nuova consapevolezza di me stesso, pronta a rivendicare i propri diritti, pur nella memoria di mio fratello. Ma c’è Tyler sulla Terra, sembrava ripetermi ogni giorno la coscienza.
“Tu l’unica responsabilità che hai è quella di cambiarti le mutande al mattino … cosa ne puoi sapere di aziende come la mia? Sei solo un ragazzino …” insinuò “che si diverte tra alcool e puttanelle. Come la paghi lei … a ricariche telefoniche?”
Vidi Allison crollare di getto in ginocchi sopra il tappeto di fronte alla finestrone in fondo alla stanza, che dominava l’intera New York notturna, totalmente illuminata a festa. Le andai vicino e la trovai pallida e muta, senza lacrime o parole per potersi indignare e difendersi dal fango uscito dalla bocca di quello che, solo sulla carta, rimaneva mio padre.
“Ma che cazzo dici!!!” scattai, rivolgendomi a quella figura di bronzo che stava davanti a me, immobile ed saldo, come se nulla di ciò che dicesse o facesse lo toccasse minimamente “come cazzo ti permetti???”
Mi alzai repentinamente e gli andai incontro con veemenza, vedendo tutto nero attorno a me. Questa volta aveva superato ogni limite di decenza, rispetto, educazione. Il primo peccatore del mondo che scagliava pietra su pietra contro una vittima della fame de della violenza. Senza provare nemmeno per un attimo a capirla, ad immedesimarsi. Solo per sentito dire, solo per il suo giudizio dall’alto di un piedistallo.
Lo spinsi contro una parete, prendendolo per il bavero della camicia. Nella mia vita avevo fatto tante cazzate, tanti errori di cui poi mi ero puntualmente pentito,ma quella non era certo nell’elenco: per la prima volta , forse, usare la violenza mi era sembrata la cosa più giusta da fare, forse addirittura l’unica.
“Credi … credi” tentò Charles di parlare, annaspando nella morsa delle mie mani. Non volevo fargli male davvero, solo fargli capire che il suo era solo un delirio di Onnipotenza che anni di adulazione da parte dei suoi dipendenti lecchini e paraculi avevano contribuito a consolidare Doveva darsi una svegliata e quale miglior strategia se non quella di fargli sentire la terra mancargli sotto i piedi, fargli capire che è un signor nessuno.. Doveva scendere dal trono, prima che potesse trasformarsi in un patibolo e ritorcersi contro di lui. Non volevo ferirlo, solo istillare in lui un sano terrore della fine, la sua fine. Placai la stretta e lo lasciai parlare: “Credi che io non sappia niente … di te, di Caroline … ma io so tutto di voi. So quando starnutisci … figurati se non so dove l’hai raccattata quella lì”
“Noto con piacere che non hai perso il vizio di farci controllare a vista come se fossimo dei ricercati …” lo lasciai andare e mi tirai indietro, ridendo sardonico mentre lui divorava letteralmente l’aria e respirava voracemente. Non potevo credere che l’incubo di Michael stesse prendendo vita con noi di nuovo e lui stesse ripetendo di nuovo lo stesso errore con me e Caroline, sorvegliati speciali da un pull di agenti segreti e guardie del corpo come quando Michael cominciò a lavorare per lui e la sera andava a suonare comunque di nascosto. Non gli era servita ancora di lezione la perdita del suo figlio preferito? Mi lavai le mani di lui e le scossi, platealmente, per ripulirmi dallo schifo di aver anche solo tocaato i suoi abiti, sporchi del sangue del suo primo figlio e di quello che avremmo versato io e mia sorella quando sarebbe giunto il nostro turno. Ma volevo salvarci entrambi da lui prima che fosse troppo tardi. Fosse stata l’ultima cosa che avrei fatto in vita mia.
Allison in tutto questo se n’era rimasta accasciata al suolo, sconvolta ancor più dalla mia frenesia che dall’onta ricevuta. Avevo sentito infatti i suoi continui richiami ed i suoi inutili sforzi a calmarmi, nonostante i riguardi poco cavallereschi che Charles aveva avuto nei suoi confronti; ma tutto era arrivato alle mie orecchie ovattato, come se l’adrenalina che circolava nel mio organismo avesse fatto di me un sordo, almeno temporaneamente.
Corsi di nuovo da lei che mi guardò severa, arrabbiata quasi. “Sai che te ne pentirai” mi sussurrò. “Sai che non accadrà mai” le risposi, serio ma risollevato.
L’aiutai a rialzarsi e guardai mio padre, con il fuoco che ancora divampava dentro di me. Solo avere Allison vicina mi ritraeva dalla voglia di strappargli i coglioni, perché uno che parla e si comporta così … che uomo è?”
“Forse non ti conosco bene come dovrei … ma so bene che non sei il gentiluomo che fingi di essere … e so che tra noi non sono io a dover dispensare regali per farmi amare da chi mi circonda. Andiamo via Allison” la trascinai per un braccio di peso “lo sapevo che non dovevamo venire qui oggi …”
L’accompagnai fuori dallo studiolo e andai a chiamare Caroline, che era in cucina con la signora Hill ed il signor Smith, l’autista, a finire la sua cioccolata.
“Non si preoccupi Smith” tranquillizzai l’autista che si stava affrettando a risistemarsi la divisa “non c’è bisogno che ci accompagni. La metro andrà benissimo”
“Ma signor Hawkins” replicò lui – dello staff di mio padre, infatti, solo Janine e la signora Hill che ci conoscevano da una vita erano abituate a trattarci con confidenza, per gli altri eravamo solo i figli del capo “fa freddo fuori e la stazione più vicina è lontana. In più avete i pacchi regalo con voi, quello della signorina Caroline è fragile, non vorrei si rompesse …”
“Allora accompagnerà solo Caroline ed Allison.” Mi sembrava la cosa più giusta da fare. “E non prenda il mio regalo” aggiunsi “quello rimane qui.” Se non lo volevo prima, Charles Hawkins mi aveva dato un ulteriore buon motivo per lasciarlo dov’era.
Andai insieme a Caroline all’ingresso, dove Allison si era già rivestita. Aiutai mia sorella con il cappottino e mi chinai a darle un bacio in fronte prima di abbassarle bene il cappellino sulle orecchie; mi rialzai e sistemai bene anche la sciarpa di Allison. L’abbracciai ai fianchi e la attirai a me in modo da averla più vicina che potevo e far sì che mi guardasse bene negli occhi. “Passerà anche questa” le dissi, massaggiandole energicamente le braccia. “È già passata” rispose e sorrise, seppur sommessamente. Se la sua era la verità ne ero contento; era tanto forte la mia Allie, una guerriera. Speravo ardentemente che non lo dicesse per farmi stare tranquillo.
“Voi andate … io ho ancora qualcosa in sospeso” dissi loro, guardando verso lo studio, dove le luci s’erano spente e da cui provenivano solo i bagliori del focolare e delle sue fiamme.
“Tyler, non fare niente di cui potrai pentirti” si raccomandò Allison, puntando lo sguardo verso Caroline. Capivo a cosa si riferisse: non era solo mio padre e Caroline nel bene e nel male gli voleva bene, e lo ammirava molto.
“Tranquilla …” la rassicurai e sembrò fidarsi di me. Avrei lottato contro me stesso per ripagarla del suo sostegno e della fiducia a volte cieca che mi accordava; non potevo prometterle che non l’avrei più rivisto dopo quella sera, ma non avrei permesso che il nostro astio rovinasse il suo rapporto con Caroline e nemmeno che lui trovasse un pretesto per parlarle male di me. “Non so se tornerò da mamma stasera. Al limite ti chiamo” le feci l’occhiolino e mi rispose con un sorriso timido dei suoi. Ed io mi sentii riscaldato e avvolto da un’aura protettrice e corroborante.
Alle persone basta davvero poco per stare bene insieme, anche nei momenti meno facili e felici. Se solo mio padre fosse stato in grado di capirlo, forse tante cose sarebbero andate in maniera diversa.
Tornai dove lo avevo lasciato e lo trovai seduto alla scrivania, riverso totalmente su qualche documento o qualcosa di simile. Mi avvicinai a lui ma non se ne accorse, i passi attutiti dai tappeti che ricoprivano l’intero parquet.
Quello che stava studiando era il regalo di Caroline, un ritratto ad acquerelli di nostro padre a Martha’s Vineyard, alla casa al mare dei nonni, preso da una foto di qualche anno fa, quando lei, forse, non era nemmeno nata.
Forse era il suo modo per dirgli che avrebbe desiderato vederlo in quel modo, sereno e rilassato, senza quei gessati super costosi e fuori dai grattacieli claustrofobici e vertiginosi  fuori da un mondo che per lei era il mostro che le rapisce il padre per intere settimane.
“Lo vedi che hai sbagliato tutto?!”
Alzò lo sguardo alla mia voce e non appena si accorse che ero lì, si affrettò a ricomporsi e a ridarsi il suo solito aplomb. Tuttavia per un istante colsi nei suoi occhi non solo sorpresa, nel vedermi ancora lì, ma anche e soprattutto quella che avrei detto essere disperazione. Ma fu un nanosecondo, prima che potesse calarsi nuovamente nei panni dell’orco.
“Quando Janine mi ha fatto vedere quella giacca l’ho riconosciuta subito” confessò “ho pensato che potesse farti piacere avere qualcosa che sarebbe piaciuto a Michael … non dimentico quanto gli fossi legato”
L’avevo quasi preso a botte e lui parlava della giacca, ancora. Guai a non conservare le apparenze in casa Hawkins, che squallore! Ma non mi intontiva con le sue chiacchiere, così decisi di riprendere l’argomento che mi stava più a cuore. “Spero proprio che tu capisca che dopo quanto è accaduto io e te abbiamo chiuso. Non è mettendoci appresso dei segugi che ti dimostri attento. Spero che questo consiglio possa aiutarti con Caroline … lo vedi” dissi, prendendo in mano il lavoro che gli aveva dedicato “per lei conti moltissimo!”
Mi scrutò con attenzione e incrociammo i nostri sguardi; non più da padre a figlio ma da uomo ad uomo, da perfetti pari. Non avevo paura a reggere il suo sguardo, non c’era più nessuna reverenza filiale che potesse frenarmi: era diventato un estraneo, in tutto e per tutto. “Forse ti starai divertendo a fare l’eroe ora” dichiarò, senza perdere la sua natura sfrontata e sprezzante “ma prima o poi ti stancherai.” Era chiaro come il sole che stava parlando di Allison. “Ma chiudila qui questa pagliacciata, Tyler. Prima che sia io a decidere che può bastare. Sei un Hawkins, da te ci si aspetta un certo comportamento. E quella sgualdrina deve uscire dalla tua vita e da quella di Caroline. Subito. Te lo dico con le buone anche per il bene di tua madre. Non mi costringere a passare alle cattive ... non vuoi che si ritrovi la polizia in casa, vero? Non ci vuole niente a far scoppiare uno scandalo, Tyler”
Per quanto quelle minacce suonassero terribile non mi facevano minimamente paura. Sapevo che non ci sarebbe mai riuscito. Era talmente interessato a mantenere la facciata immacolata, che scatenare uno scandalo che lo avrebbe risucchiato inevitabilmente era l’ultima delle sue aspirazioni. E poi, se era vero che ancora provava qualcosa per mia madre, non l’avrebbe mai esposta a tal punto o messa nei guai.
“Io non sono uno dei direttori dei tuoi giornali, a cui fai cambiare colore politico per conservare il posto di lavoro. Non sono nemmeno Michael, che hai omologato ai tuoi canoni di perfezione. Non mi piego, io.” Purtroppo questa era la verità. Mio fratello non era stato abbastanza forte da resistergli. Bisognava essere altrettanto forti per tenergli forza e forse era questo, purtroppo, il punto. Talmente uguali da respingerci, io e mio padre eravamo della stessa pasta.
“E mi aspetto” continuai “che nei prossimi giorni arrivi a casa di mamma una lettera di scuse formali alla signorina Allison Eugenia Riley.” Doveva capirlo che in vita mia non ero mai stato tanto serio.
“Avrà anche fatto la spogliarellista per sopravvivere” era inutile mentire, dal momento che probabilmente ne sapeva anche più di me sul suo conto “ma è soprattutto una povera ragazza sfortunata, a cui la vita ha riservato prove persino più dure delle nostre. Suo padre era oltretutto un tuo dipendente ad Indianapolis, se ti può interessare. Viene da una buona famiglia … è solo una vittima delle tante cattiverie di questo mondo di merda”
Detto questo gli voltai le spalle, prima che potesse prendersi la briga di rispondermi. Svuotai il mio portafoglio – più o meno 300 dollari tra i regali in denaro che avevo ricevuto negli ultimi giorni – sulla giacca di pelle che doveva essere il mio regalo, abbandonata sul divano dello studiolo e me ne andai, senza salutare, senza nemmeno la minima tentazione di voltarmi indietro.











NOTE FINALI

Non ho molto da dire per congedarmi da questo capitolo. Forse nessuna di voi (e nemmeno io) si aspettava un Tyler così.
Ma è stato colpito laddove fa più male, nei suoi affetti più cari e nella memoria di suo fratello.
è pero questo il capitolo dove ci accorgiamo che Tyler è cambiato molto dall'inizio della storia. ma la vita è così, ci modella a partire dalle nostre esperienze.
Mi preme come al solito ricordarvi di fare attenzione al testo della canzone che ci accompagna. Mai scelta a caso...e in questo capitolo di più delle altre volte.
Dove ci porterà tutto questo? Non credo per ora di poter aggiungere altro se non...dateci dentro con le recensioni =)))

Grazie mille per la vostra gentilezza ed il favore che sempre mi accordate

à bientot

Federica

   
 
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