Come sempre.
Tutto come al solito, niente di nuovo. Come sempre.
Ecco, appunto. Perché doveva essere sempre tutto come sempre. Quel sempre che
noioso già da principio finisce per sfinire e lacerare tutti quei buoni
propositi, o meglio tutte quelle belle speranze che uno cova dentro. Quel sempre
che diventa sempre più insopportabile. Sempre più temibile, sempre più prigione.
In quella gabbia, appunto, in quel “sempre” o meglio ancora, in quel “come
sempre” viveva Lucia.
Appunto, Lucia, è un nome comune, che le ragazze portano da sempre. Da sempre
esistono miliardi di Lucie che sgomitano per farsi ricordare. Ma lei no. Lei non
ne aveva bisogno. Spieghiamoci, non che fosse una tipo che non si dimentica,
solo che lei sapeva che era tutto inutile. Era praticamente invisibile.
Sconosciuta. Passata, ormai. Vista, salutata (forse), dimenticata. Lei non ne
aveva bisogno perché sapeva che sarebbe stato inutile. O almeno questo era
quello che pensava.
Sbagliava, forse. Chi può dirlo? Forse se quel giorno la fortuna, o forse la
sfortuna, chi lo sa, non le avesse dato una spintarella, un soffio, un alito di
vita… Un battito in più del normale allora forse avrebbe avuto ragione, ancora
per un po’ almeno. Allora forse sarebbe rimasto tutto come sempre.
Come sempre ingabbiata, come sempre dimenticata, come sempre in silenzio. Come
sempre.
Ecco, appunto, come sempre quel giorno passeggiava per il centro con le amiche.
Come al solito invisibile e silenziosa, accanto alle amiche che le volevano
bene, che le vogliono bene, ma che in fondo non la ascoltavano, che non la
consideravano. Quasi fosse una bambina, una cugina di una di loro, che non ha il
diritto di essere se stessa, come fosse una semisconosciuta, come fosse nuova,
come non ci fosse, come non fosse capace di avere dei pensieri, emozioni, paure.
Come se fosse di cristallo.
Nessun di loro sapeva.
Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. E forse ancora non lo sanno, concentrate
su loro stesse. Forse alcune l’avevano intuito. Forse alcune avevano cercato di
farle confessare qualcosa. Forse avevano ignorato.
Forse, forse.
Fatto sta che quel giorno passeggiava con loro, lo sguardo perso tra la folla in
cerca di qualcuno.
Qualcuno chi?
Qualcuno che non dovrebbe cercare. Qualcuno che probabilmente dovrebbe essere
off limits. qualcuno che probabilmente non era lì.
Qualcuno, semplicemente. O meglio ancora qualcuno che era figlio degli stessi
genitori di Clara, la sua migliore amica. Insomma, il fratello di Clara, la sua
migliore amica. Di Clara, la stessa persona che gelosa del fratello ogni tanto
sbirciava i messaggi curiosa ed indagatrice. Quella stessa Clara che alla fine
cedeva. Quella stessa Clara che rideva di suo fratello. Quella stessa Clara che
lo amava. Quella stessa Clara che forse aveva capito tutto. Fin da subito. Fin
da quel primo sguardo.
Quello sguardo. Quelle gote arrossate. Quegli occhi abbassati in fretta
colpevoli, quasi, di un reato inesistente. Quei capelli che scivolano in fronte.
Quel gesto di ravviarli dietro l’orecchia, la testa china. Quel sorriso
imbarazzato e compiaciuto. Quel “grazie” tremolante. Quell’entusiasmo insolito
per i compiti di matematica.
Insomma. Camminavano. Lucia immersa nel suo mondo speciale seguiva le amiche,
dando qua e là pareri richiesti, oppure calmando qualche eccessiva dimostrazione
di sentimenti. Belli o brutti che siano. Diciamo che aveva anche un ruolo da
paciere. L’aveva sempre avuto. In ogni discussione. In ogni scelta. In ogni
battibecco. Quando arrivava lei era tutto finito, passato, dimenticato. Di nuovo
amici come prima. Di nuovo conoscenti come eravamo. Di nuovo innamorati, più di
prima.
-ehi, testolina bacata!- la chiama Alice, non risponde, non se ne accorge
neanche. Guarda attorno a lei.
La città è avvolta in quel caos da pre-festività, ma c’è poca di quell’aria
frizzante e calda che le accompagna di solito o che dovrebbe accompagnarle.
Vetrine e negozi adornati di luminarie, siamo sotto natale, e quelle luci
intermittenti servono per far divertire i bambini, per tenerceli un po’
impegnati. Per creare l’atmosfera. Che atmosfera poi? Quella del natale? Certo,
e con le luci si crea l’atmosfera del natale. > pensa ironica < Diciamo
piuttosto che bisognerebbe chiudere le porte al mondo e non guardare i Tg,
allora forse non penseremmo più alle disgrazie di questo mondo disastrato,
almeno per qualche giorno. Ma poi servirebbe? Forse che la prima mattina di
lavoro dopo Natale non ci sarebbero ingorghi, incidenti, litigi, clacson che
spaccano i timpani, gente assonnata con in mano il terzo caffè e già i nervi a
fior di pelle? Non credo. Però un po’ di rilassamento ci vorrebbe. Senza
dimenticare, senza scordarci del male che esiste. Semplicemente facendo finta
che non esista. Per un giorno. Così, tanto per provare come si sta, se si vive
lo stesso. Chissà che effetto. Forse per un giorno niente urla…no,questo no, ma
magari niente corrucciati di fronte alla tv a dire “guarda che mondo…che male
che c’è” e c’è. Ma c’è sempre stato. Ma prima era più quotidiano, prima non
spaventava. Prima c’era… e basta. Niente ricami, niente trame ordite sotto gli
occhi bendati di tutti. Niente cose che coinvolgono tutto il mondo. Il male era
quello fisico, magari qualche pugnalata al cuore, anche, un ladro, un egoista.
Non bombe nucleari, o forse si, ma magari non si sapeva neanche. Beata
ignoranza…
All’improvviso si rende conto che sta pensando a cose assurde. Assurde come
concetti, assurde per la situazione nella quale le pensa. Certo, ma se Fabio non
arriva la sua mente può vagare ore, senza fermarsi senza volerlo, senza doverlo
fare. Senza farlo.
Perché, alla fine…,che c’è di male? Magari i suoi sono ragionamenti strani,
magari sono contorti, magari sono pure sbagliati, ma una cosa è certa. Può
farlo. Può pensare quello che vuole. Quindi, perché smettere? Chi le impedisce
di continuare?
Perché impedirlo?
Sta pensando proprio questo quando intravede Fabio di spalle. È un attimo. Tutti
i suoi pensieri sul mondo e sul suo male scompaiono, come per incanto.
E quell’ultima domanda, quel quesito che le increspa le labbra, quasi come una
domanda da porre a qualcuno. Che vola in un soffio, all’indirizzo di qualcuno
che non sa nemmeno che esiste, forse.
“perché impedirlo?”
si, insomma, perché impedire al suo cuore di vivere? Di battere? Di correre? Di
provarci? Perché impedirsi di guardarlo? Perché impedirsi di sognarlo, perché
impedirsi di vivere, perché impedirsi di credere, di illudersi, magari, perché
impedirsi di dirlo, perché impedirsi di fare tante cose, perché impedirselo? In
fondo, seriamente, perché? C’è veramente un motivo? C’è davvero?
No, non c’è.
E allora perché te l’impedisci, Lucia?
Puoi farlo, davvero, puoi. Credici. Puoi dirlo, puoi farlo capire. Puoi. Puoi
tanto, anche solo volendolo. Puoi. Lucia. Puoi.
- e così mi dice che meglio che non ci vediamo più, crede che mi abbia ferito,
forse, ma qui casca male!- ride Manuela - Non vi immaginate che faccia ha fatto
quando si è reso conto che gli stavo dicendo che sto con un altro da due
settimane. Non ci credeva! Ma io non lo so! Ti pare che ti vengo a dire una
cazzata?- conclude gesticolando, con un sorriso sbarazzino sul volto e lo
sguardo acceso, mentre le amiche ridono divertite dalla storia della compagna.
Dopotutto questo è il cameratismo femminile. Vogliamo bene agli uomini, ma poi
se si possono prendere per il culo perché non approfittarne? Tanto sono
insensibili, o quasi. Le poche volte che ci capita tra le mani uno sensibile
allora siamo noi che caschiamo male. E ci stiamo pure male. Ma finché sono
questi bori ad essere le vittime…beh di sensi di colpa neanche l’ombra.
Dopotutto anche loro non fanno altro che cercare di fregarci. Solo che noi siamo
più abili. Subdole, meschine, acide, calcolatrici, infide, ambigue, eccelse,
misteriose, perfide, maligne, malefiche e chi più ne ha più ne metta. Poi in due
secondi torniamo lo zucchero di sempre. Zucchero con le unghie, non c’è che dire.Piccoli
pasticcini armati di spine.
D’improvviso Clara si stacca dal gruppo, che la segue velocemente, e si avvicina
a suo fratello, dandogli una manata dietro la nuca, mentre le amiche si fermano.
Anche lui e i suoi amici si fermano, più o meni divertiti.
- Clara, sempre tu a rompere, eh?- dice con un sorrisetto ironico,
scompigliandole teneramente i capelli, da bravo fratello maggiore, mentre Clara
gli da uno schiaffo sulla mano, che le sta arruffando in modo indegno i capelli.
- smettila, idiota- ma lui non le da retta, però alla fine, le unghie di Clara
hanno la meglio e la mano di Fabio lascia la testa di Clara.
- allora cosa vuoi piccola rompi?- chiede incrociando le braccia sul petto,
Clara solleva due dita.
- allora, uno: hai qualche spicciolo da prestarmi? Due: a che ora vai tu?-
Fabio, sarcastico fa lo stesso gesto con la mano.
- uno: no e anche se li avessi non te li darei. Due: alle otto meno cinque, ci
vediamo al parcheggio, così partiamo insieme a mamma non scassa, okay? Vedi di
non arrivare, come sempre, dieci minuti dopo- Clara fa segno di sì con la testa,
pensando che la poca fiducia che i suoi familiari ripongono nella sua guida è
vergognosa, poi con la mano fa ciao e prendendo sottobraccio l’amica più vicina
supera la combriccola del fratello, lanciando uno sguardo strano a Lucia. Lucia.
Quella ragazza che silenziosa ha osservato tutta la scena. Senza staccare gli
occhi di dosso a Fabio, senza che nessuno se ne accorgesse. Senza che il suo
viso prendesse fuoco, solo perché in ombra, solo perché ignorata, solo perché
lei non era lì. O meglio c’era, ma nessuno se ne era reso conto. Meglio così una
figuraccia in meno.
Cammina sul bordo del marciapiede, quasi in equilibrio su quella linea bianca
che delimita la banchina, come sempre d’altronde. Come sempre.
Certo, eppure per un attimo le era sembrato di sentire lo sguardo di Fabio sul
suo, ma solo per un istante, non se ne era quasi resa conto. Forse era soltanto
un’illusione, un gioco fatto di luci e stanchezza. Quasi che quei sui occhi
chiari sempre così attenti, soprattutto a lui…forse se l’era sognato. Sente che
è ancora dietro di lei, o meglio dietro il loro gruppetto. Le sembra ancora di
sentire uno sguardo su di se. Magari sembra pazza. Stare in centro con le amiche
e rimanere sempre in silenzio, o quasi. Forse qualcuno si è pure accorto che
esiste ma lei non se n’è resa conto.
Sfila il braccio da quello dell’amica portandosi le mani alla bocca, per
riscaldarle. Fa davvero freddo. Ha le mani congelate. In molti corrono, alcuni
cadono rovinosamente a terra, suscitando qualche sorriso divertito, e qualche
sguardo vivo, che poi sparisce negli sbuffi di vapore che scaturiscono dalle
labbra gelide. È davvero uno degli inverni più freddi, almeno per quello che si
ricorda lei.
È praticamente in bilico tra la strada, dove circolano occasionali macchine che
vanno dritte e veloci per quella strada appena spazzata dalla neve.
Giungono ad una curva, il marciapiede insegue la strada che fa una curva verso
destra e si divide, lasciando parecchio spazio nel quale passano i pedoni.
Pedoni, o corridori forse?
No, perché sono molti quelli che si affrettano, forse hanno freddo, forse hanno
lasciato qualcosa di caldo sui fornelli, forse hanno posteggiato l’auto in
divieto di sosta.
E uno, forse più maleducato, o più affrettato, o più incurante degli altri,
spezza la loro ordinata fila, facendole andare a cozzare una contro l’altra,
mentre tira dritto e scompare dietro l’angolo.
Ma guarda che gente! Incivili, ecco cosa. Pensa Lucia mentre si rialza.
Nell’accozzaglia delle ragazze accanto a lei, amiche di amiche di amiche, tra le
quali Viviana che le era andata dosso, la più vicina a lei l’aveva
involontariamente spinta, e così lei aveva messo un piede in fallo ed era caduta
dal marciapiede, nella strada fredda.
Forse era il caso di alzarsi, era quasi in mezzo alla strada, una macchina
l’avrebbe centrata in pieno se fosse arrivata. Pensa due secondi dopo, tirandosi
in piedi.
Poi senza rendersene conto si ritrova a terra, schiacciata sotto qualcosa di più
grande di lei,scivolata lontano dalla strada; lontana, qualche metro scarso, da
quella macchina grigia metallizzata che era appena passata a tutto velocità dove
lei era qualche attimo prima. Il peso di alza da lei, tossendo, imbarazzato,
forse.
Lucia alza gli occhi e incontra quelli scuri di lui, puntandosi sui gomiti. Un
istante che sembra un eternità. Solo un istante. Ma non sembra proprio. Lucia si
tira in ginocchio mentre le amiche le corrono vicine, ma lei non ci fa caso.
Guarda solo lui. Fabio.
- stai bene?- chiede preoccupato, vedendola un po’ intontita. Lei scuote la
testa appena, per riscuotersi.
- tutto bene, non ho capito bene che è successo, però- dice alla fine, confusa.
- non ti preoccupare, ti stava solo prendendo sotto una macchina- replica lui
con un sorriso ampio, mentre Lucia lo guarda seccata.
- guarda che fin lì c’eri arrivata anche io-
- cosa vuoi che ti dica? Vuoi che ti racconti nei minimi particolari che ti ho
vista a terra, poi che ti ho vista sorridere alla tua amica, che ti alzavi e che
una macchina ti stava praticamente addosso ad una velocità un po’ pericolosa in
centro. Poi ti posso dire che ti sono praticamente saltato addosso per
spostarti, visto che tu non ti eri accorta della macchina. Se vuoi ti dico come
mi sono sentito facendolo- conclude guardandola negli occhi, lei lo guarda
sfidandolo quasi.
- ti sei sentito un grande, un mito, un…- non la lascia finire.
- no, hai toppato. Mi sono sentito male- dice sinceramente, mentre lei alza gli
occhi al cielo, tirandosi in piedi, mentre lui fa altrettanto.
- paura? O forse che ti sei pentito di avermi salvato la vita?- dice
sarcasticamente, facendosi male da sola, senza volerlo, unghie troppo lunghe, un
coltello a doppio taglio.
- no, - risponde alzando le spalle, le mani in tasca –più che altro avevo paura
di perderla, la tua vita- ancora, la guarda ancora, un istante di più, come se
non bastasse. Come se lei non fosse innamorata di lui, come se lei non sapesse
che lui l’ama. E infatti non lo sa. Non lo sa ancora. Anche se il suo cuore,
forse l’aveva già capito.
Come se quest’amore non fosse “per sempre”, come invece è stato poi. Come se non
fosse sempre più bello, come se non fosse impegnativo, come se non fosse che
l’ama da anni, come se non fosse che quell’amore ancora c’è, e ci sarà per
chissà quanto.
Come se la sua vita non fosse più importante di quella di lei. Almeno secondo
lui
Come se non fosse da sempre.
E come se tutto, da quel momento non fosse stato “sempre amore”
beh che dire...è la mia prima fanfiction originale... piaciuta?di solito
sguazzo nella sezione harry potter XD spero che un pochino-ino-ino si... ^^ beh
aspetto qualche commento... soprattutto per migliorare!!!
ciaociao
carillon