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Autore: Shee    27/06/2006    1 recensioni
"si, insomma, perché impedire al suo cuore di vivere? Di battere? Di correre? Di provarci? Perché impedirsi di guardarlo? Perché impedirsi di sognarlo, perché impedirsi di vivere, perché impedirsi di credere, di illudersi, magari, perché impedirsi di dirlo, perché impedirsi di fare tante cose, perché impedirselo? In fondo, seriamente, perché? C’è veramente un motivo? C’è davvero?"
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre.

Tutto come al solito, niente di nuovo. Come sempre.

Ecco, appunto. Perché doveva essere sempre tutto come sempre. Quel sempre che noioso già da principio finisce per sfinire e lacerare tutti quei buoni propositi, o meglio tutte quelle belle speranze che uno cova dentro. Quel sempre che diventa sempre più insopportabile. Sempre più temibile, sempre più prigione.

In quella gabbia, appunto, in quel “sempre” o meglio ancora, in quel “come sempre” viveva Lucia.

Appunto, Lucia, è un nome comune, che le ragazze portano da sempre. Da sempre esistono miliardi di Lucie che sgomitano per farsi ricordare. Ma lei no. Lei non ne aveva bisogno. Spieghiamoci, non che fosse una tipo che non si dimentica, solo che lei sapeva che era tutto inutile. Era praticamente invisibile. Sconosciuta. Passata, ormai. Vista, salutata (forse), dimenticata. Lei non ne aveva bisogno perché sapeva che sarebbe stato inutile. O almeno questo era quello che pensava.

Sbagliava, forse. Chi può dirlo? Forse se quel giorno la fortuna, o forse la sfortuna, chi lo sa, non le avesse dato una spintarella, un soffio, un alito di vita… Un battito in più del normale allora forse avrebbe avuto ragione, ancora per un po’ almeno. Allora forse sarebbe rimasto tutto come sempre.

Come sempre ingabbiata, come sempre dimenticata, come sempre in silenzio. Come sempre.



Ecco, appunto, come sempre quel giorno passeggiava per il centro con le amiche. Come al solito invisibile e silenziosa, accanto alle amiche che le volevano bene, che le vogliono bene, ma che in fondo non la ascoltavano, che non la consideravano. Quasi fosse una bambina, una cugina di una di loro, che non ha il diritto di essere se stessa, come fosse una semisconosciuta, come fosse nuova, come non ci fosse, come non fosse capace di avere dei pensieri, emozioni, paure. Come se fosse di cristallo.

Nessun di loro sapeva.

Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. E forse ancora non lo sanno, concentrate su loro stesse. Forse alcune l’avevano intuito. Forse alcune avevano cercato di farle confessare qualcosa. Forse avevano ignorato.

Forse, forse.

Fatto sta che quel giorno passeggiava con loro, lo sguardo perso tra la folla in cerca di qualcuno.

Qualcuno chi?

Qualcuno che non dovrebbe cercare. Qualcuno che probabilmente dovrebbe essere off limits. qualcuno che probabilmente non era lì.

Qualcuno, semplicemente. O meglio ancora qualcuno che era figlio degli stessi genitori di Clara, la sua migliore amica. Insomma, il fratello di Clara, la sua migliore amica. Di Clara, la stessa persona che gelosa del fratello ogni tanto sbirciava i messaggi curiosa ed indagatrice. Quella stessa Clara che alla fine cedeva. Quella stessa Clara che rideva di suo fratello. Quella stessa Clara che lo amava. Quella stessa Clara che forse aveva capito tutto. Fin da subito. Fin da quel primo sguardo.

Quello sguardo. Quelle gote arrossate. Quegli occhi abbassati in fretta colpevoli, quasi, di un reato inesistente. Quei capelli che scivolano in fronte. Quel gesto di ravviarli dietro l’orecchia, la testa china. Quel sorriso imbarazzato e compiaciuto. Quel “grazie” tremolante. Quell’entusiasmo insolito per i compiti di matematica.

Insomma. Camminavano. Lucia immersa nel suo mondo speciale seguiva le amiche, dando qua e là pareri richiesti, oppure calmando qualche eccessiva dimostrazione di sentimenti. Belli o brutti che siano. Diciamo che aveva anche un ruolo da paciere. L’aveva sempre avuto. In ogni discussione. In ogni scelta. In ogni battibecco. Quando arrivava lei era tutto finito, passato, dimenticato. Di nuovo amici come prima. Di nuovo conoscenti come eravamo. Di nuovo innamorati, più di prima.

-ehi, testolina bacata!- la chiama Alice, non risponde, non se ne accorge neanche. Guarda attorno a lei.

La città è avvolta in quel caos da pre-festività, ma c’è poca di quell’aria frizzante e calda che le accompagna di solito o che dovrebbe accompagnarle. Vetrine e negozi adornati di luminarie, siamo sotto natale, e quelle luci intermittenti servono per far divertire i bambini, per tenerceli un po’ impegnati. Per creare l’atmosfera. Che atmosfera poi? Quella del natale? Certo, e con le luci si crea l’atmosfera del natale. > pensa ironica < Diciamo piuttosto che bisognerebbe chiudere le porte al mondo e non guardare i Tg, allora forse non penseremmo più alle disgrazie di questo mondo disastrato, almeno per qualche giorno. Ma poi servirebbe? Forse che la prima mattina di lavoro dopo Natale non ci sarebbero ingorghi, incidenti, litigi, clacson che spaccano i timpani, gente assonnata con in mano il terzo caffè e già i nervi a fior di pelle? Non credo. Però un po’ di rilassamento ci vorrebbe. Senza dimenticare, senza scordarci del male che esiste. Semplicemente facendo finta che non esista. Per un giorno. Così, tanto per provare come si sta, se si vive lo stesso. Chissà che effetto. Forse per un giorno niente urla…no,questo no, ma magari niente corrucciati di fronte alla tv a dire “guarda che mondo…che male che c’è” e c’è. Ma c’è sempre stato. Ma prima era più quotidiano, prima non spaventava. Prima c’era… e basta. Niente ricami, niente trame ordite sotto gli occhi bendati di tutti. Niente cose che coinvolgono tutto il mondo. Il male era quello fisico, magari qualche pugnalata al cuore, anche, un ladro, un egoista. Non bombe nucleari, o forse si, ma magari non si sapeva neanche. Beata ignoranza…



All’improvviso si rende conto che sta pensando a cose assurde. Assurde come concetti, assurde per la situazione nella quale le pensa. Certo, ma se Fabio non arriva la sua mente può vagare ore, senza fermarsi senza volerlo, senza doverlo fare. Senza farlo.

Perché, alla fine…,che c’è di male? Magari i suoi sono ragionamenti strani, magari sono contorti, magari sono pure sbagliati, ma una cosa è certa. Può farlo. Può pensare quello che vuole. Quindi, perché smettere? Chi le impedisce di continuare?

Perché impedirlo?

Sta pensando proprio questo quando intravede Fabio di spalle. È un attimo. Tutti i suoi pensieri sul mondo e sul suo male scompaiono, come per incanto.

E quell’ultima domanda, quel quesito che le increspa le labbra, quasi come una domanda da porre a qualcuno. Che vola in un soffio, all’indirizzo di qualcuno che non sa nemmeno che esiste, forse.



“perché impedirlo?”

si, insomma, perché impedire al suo cuore di vivere? Di battere? Di correre? Di provarci? Perché impedirsi di guardarlo? Perché impedirsi di sognarlo, perché impedirsi di vivere, perché impedirsi di credere, di illudersi, magari, perché impedirsi di dirlo, perché impedirsi di fare tante cose, perché impedirselo? In fondo, seriamente, perché? C’è veramente un motivo? C’è davvero?

No, non c’è.

E allora perché te l’impedisci, Lucia?

Puoi farlo, davvero, puoi. Credici. Puoi dirlo, puoi farlo capire. Puoi. Puoi tanto, anche solo volendolo. Puoi. Lucia. Puoi.

- e così mi dice che meglio che non ci vediamo più, crede che mi abbia ferito, forse, ma qui casca male!- ride Manuela - Non vi immaginate che faccia ha fatto quando si è reso conto che gli stavo dicendo che sto con un altro da due settimane. Non ci credeva! Ma io non lo so! Ti pare che ti vengo a dire una cazzata?- conclude gesticolando, con un sorriso sbarazzino sul volto e lo sguardo acceso, mentre le amiche ridono divertite dalla storia della compagna. Dopotutto questo è il cameratismo femminile. Vogliamo bene agli uomini, ma poi se si possono prendere per il culo perché non approfittarne? Tanto sono insensibili, o quasi. Le poche volte che ci capita tra le mani uno sensibile allora siamo noi che caschiamo male. E ci stiamo pure male. Ma finché sono questi bori ad essere le vittime…beh di sensi di colpa neanche l’ombra. Dopotutto anche loro non fanno altro che cercare di fregarci. Solo che noi siamo più abili. Subdole, meschine, acide, calcolatrici, infide, ambigue, eccelse, misteriose, perfide, maligne, malefiche e chi più ne ha più ne metta. Poi in due secondi torniamo lo zucchero di sempre. Zucchero con le unghie, non c’è che dire.Piccoli pasticcini armati di spine.

D’improvviso Clara si stacca dal gruppo, che la segue velocemente, e si avvicina a suo fratello, dandogli una manata dietro la nuca, mentre le amiche si fermano. Anche lui e i suoi amici si fermano, più o meni divertiti.

- Clara, sempre tu a rompere, eh?- dice con un sorrisetto ironico, scompigliandole teneramente i capelli, da bravo fratello maggiore, mentre Clara gli da uno schiaffo sulla mano, che le sta arruffando in modo indegno i capelli.

- smettila, idiota- ma lui non le da retta, però alla fine, le unghie di Clara hanno la meglio e la mano di Fabio lascia la testa di Clara.

- allora cosa vuoi piccola rompi?- chiede incrociando le braccia sul petto, Clara solleva due dita.

- allora, uno: hai qualche spicciolo da prestarmi? Due: a che ora vai tu?- Fabio, sarcastico fa lo stesso gesto con la mano.

- uno: no e anche se li avessi non te li darei. Due: alle otto meno cinque, ci vediamo al parcheggio, così partiamo insieme a mamma non scassa, okay? Vedi di non arrivare, come sempre, dieci minuti dopo- Clara fa segno di sì con la testa, pensando che la poca fiducia che i suoi familiari ripongono nella sua guida è vergognosa, poi con la mano fa ciao e prendendo sottobraccio l’amica più vicina supera la combriccola del fratello, lanciando uno sguardo strano a Lucia. Lucia. Quella ragazza che silenziosa ha osservato tutta la scena. Senza staccare gli occhi di dosso a Fabio, senza che nessuno se ne accorgesse. Senza che il suo viso prendesse fuoco, solo perché in ombra, solo perché ignorata, solo perché lei non era lì. O meglio c’era, ma nessuno se ne era reso conto. Meglio così una figuraccia in meno.

Cammina sul bordo del marciapiede, quasi in equilibrio su quella linea bianca che delimita la banchina, come sempre d’altronde. Come sempre.

Certo, eppure per un attimo le era sembrato di sentire lo sguardo di Fabio sul suo, ma solo per un istante, non se ne era quasi resa conto. Forse era soltanto un’illusione, un gioco fatto di luci e stanchezza. Quasi che quei sui occhi chiari sempre così attenti, soprattutto a lui…forse se l’era sognato. Sente che è ancora dietro di lei, o meglio dietro il loro gruppetto. Le sembra ancora di sentire uno sguardo su di se. Magari sembra pazza. Stare in centro con le amiche e rimanere sempre in silenzio, o quasi. Forse qualcuno si è pure accorto che esiste ma lei non se n’è resa conto.

Sfila il braccio da quello dell’amica portandosi le mani alla bocca, per riscaldarle. Fa davvero freddo. Ha le mani congelate. In molti corrono, alcuni cadono rovinosamente a terra, suscitando qualche sorriso divertito, e qualche sguardo vivo, che poi sparisce negli sbuffi di vapore che scaturiscono dalle labbra gelide. È davvero uno degli inverni più freddi, almeno per quello che si ricorda lei.

È praticamente in bilico tra la strada, dove circolano occasionali macchine che vanno dritte e veloci per quella strada appena spazzata dalla neve.

Giungono ad una curva, il marciapiede insegue la strada che fa una curva verso destra e si divide, lasciando parecchio spazio nel quale passano i pedoni.

Pedoni, o corridori forse?

No, perché sono molti quelli che si affrettano, forse hanno freddo, forse hanno lasciato qualcosa di caldo sui fornelli, forse hanno posteggiato l’auto in divieto di sosta.

E uno, forse più maleducato, o più affrettato, o più incurante degli altri, spezza la loro ordinata fila, facendole andare a cozzare una contro l’altra, mentre tira dritto e scompare dietro l’angolo.

Ma guarda che gente! Incivili, ecco cosa. Pensa Lucia mentre si rialza. Nell’accozzaglia delle ragazze accanto a lei, amiche di amiche di amiche, tra le quali Viviana che le era andata dosso, la più vicina a lei l’aveva involontariamente spinta, e così lei aveva messo un piede in fallo ed era caduta dal marciapiede, nella strada fredda.

Forse era il caso di alzarsi, era quasi in mezzo alla strada, una macchina l’avrebbe centrata in pieno se fosse arrivata. Pensa due secondi dopo, tirandosi in piedi.

Poi senza rendersene conto si ritrova a terra, schiacciata sotto qualcosa di più grande di lei,scivolata lontano dalla strada; lontana, qualche metro scarso, da quella macchina grigia metallizzata che era appena passata a tutto velocità dove lei era qualche attimo prima. Il peso di alza da lei, tossendo, imbarazzato, forse.

Lucia alza gli occhi e incontra quelli scuri di lui, puntandosi sui gomiti. Un istante che sembra un eternità. Solo un istante. Ma non sembra proprio. Lucia si tira in ginocchio mentre le amiche le corrono vicine, ma lei non ci fa caso. Guarda solo lui. Fabio.

- stai bene?- chiede preoccupato, vedendola un po’ intontita. Lei scuote la testa appena, per riscuotersi.

- tutto bene, non ho capito bene che è successo, però- dice alla fine, confusa.

- non ti preoccupare, ti stava solo prendendo sotto una macchina- replica lui con un sorriso ampio, mentre Lucia lo guarda seccata.

- guarda che fin lì c’eri arrivata anche io-

- cosa vuoi che ti dica? Vuoi che ti racconti nei minimi particolari che ti ho vista a terra, poi che ti ho vista sorridere alla tua amica, che ti alzavi e che una macchina ti stava praticamente addosso ad una velocità un po’ pericolosa in centro. Poi ti posso dire che ti sono praticamente saltato addosso per spostarti, visto che tu non ti eri accorta della macchina. Se vuoi ti dico come mi sono sentito facendolo- conclude guardandola negli occhi, lei lo guarda sfidandolo quasi.

- ti sei sentito un grande, un mito, un…- non la lascia finire.

- no, hai toppato. Mi sono sentito male- dice sinceramente, mentre lei alza gli occhi al cielo, tirandosi in piedi, mentre lui fa altrettanto.

- paura? O forse che ti sei pentito di avermi salvato la vita?- dice sarcasticamente, facendosi male da sola, senza volerlo, unghie troppo lunghe, un coltello a doppio taglio.

- no, - risponde alzando le spalle, le mani in tasca –più che altro avevo paura di perderla, la tua vita- ancora, la guarda ancora, un istante di più, come se non bastasse. Come se lei non fosse innamorata di lui, come se lei non sapesse che lui l’ama. E infatti non lo sa. Non lo sa ancora. Anche se il suo cuore, forse l’aveva già capito.

Come se quest’amore non fosse “per sempre”, come invece è stato poi. Come se non fosse sempre più bello, come se non fosse impegnativo, come se non fosse che l’ama da anni, come se non fosse che quell’amore ancora c’è, e ci sarà per chissà quanto.

Come se la sua vita non fosse più importante di quella di lei. Almeno secondo lui

Come se non fosse da sempre.

E come se tutto, da quel momento non fosse stato “sempre amore”



beh che dire...è la mia prima fanfiction originale... piaciuta?di solito sguazzo nella sezione harry potter XD spero che un pochino-ino-ino si... ^^ beh aspetto qualche commento... soprattutto per migliorare!!!



ciaociao

carillon

  
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