The Devil Inside Me
Capitolo tre
Takanori
«
mamma io esco, ci vediamo per l’ora di cena! » urlo dal salotto dove cerco di
infilarmi il giaccone.
Mia
madre fa capolino dalla cucina, sul suo volto un sorriso smagliante.
«
vai di nuovo da Akira e Kouyou? » mi chiede, ormai conosce entrambi e gli sono
anche simpatici.
«
sì, oggi dobbiamo provare un pezzo su cui stiamo lavorando da un po’ » le
comunico.
«
va bene, mi raccomando state attenti » le sue solite raccomandazioni.
«
non ti preoccupare, ci vediamo dopo » le dico mentre mi avvio verso la porta.
«
a dopo, ciao » mi saluta.
Con
passo svelto mi avvio verso la nostra sala prove, sicuramente sia Kouyou sia
Akira saranno già arrivati; credo che solo io riesco a fare più tardi di
Suzuki.
Dopo
una decina di minuti scorgo il magazzino, accelero di poco il passo per fare
ancora prima.
«
eccomi sono arrivato, scus- » entrando non scorgo nessuno, sono arrivato per
primo.
Poggio
il giaccone e la sciarpa su uno scatolone e mi siedo poco distante, dove
abbiamo sistemato un divano; lo abbiamo trovato gettato al lato della strada e
noi lo abbiamo trasportato fin qui. Sicuramente è più comodo delle sedie che
c’erano prima, ma per trasportarlo a mano sin qui ci siamo ammazzati, io non
gli sono stato di molto aiuto ma ho fatto ciò che potevo.
Akira
non ha smesso per tutto il tempo di prendermi in giro, dicendomi che ero una
schiappa e che non sarei riuscito ad alzare nemmeno una lumaca da terra;
inutile dire che Kouyou in tutto questo rideva come un matto.
La
porta si apre ed io mi alzo dal divano, per andare incontro ai due ritardatari.
«
finalmente siete arrivati! » dico prima di vedere di chi si tratti in realtà.
«
ciao Matsumoto, ti eri dimenticato di noi? »
Ueda
insieme ai suoi due teppisti, entrano chiudendo la porta alle loro spalle, io
indietreggio avendo una paura fottuta di ciò che potrebbe accadere.
Proprio
ora che le cose andavano bene, che finalmente dopo tanto tempo avevo una vita
normale e con degli amici; in questo mese Kouyou e Akira hanno saputo risanare
ciò che era stato spezzato in me, senza sapere ciò che mi è accaduto.
Quello
proprio non ho saputo dirglielo, se penso a quell’avvenimento, le parole mi
muoiono in bocca e poi, ho paura di cosa potrebbero pensare su di me.
«
lasciatemi in pace »
«
credo proprio che non sia possibile, no » è sempre Ueda a parlare, mentre loro
si avvicinano a me io, indietreggio sempre di più.
«
io non vi ho fatto niente! »
«
lo hai picchiato, non ti ricordi più? » con la mano indica il ragazzo alla sua
destra.
«
aveva cominciato lui, mi sono solo difeso » ringhio, ma tanto so che non
servirà a nulla, loro vogliono picchiarmi e niente glielo impedirà.
Faccio
un altro passo indietro e il muro freddo viene a contatto con la mia schiena,
impreco mentalmente.
«
più di lì non puoi andare » ghigna lui trionfante.
Quando
sono a due centimetri da me, chiudo gli occhi, potrei umiliarmi implorandoli di
lasciarmi stare o, potrei tentare di difendermi; non so quale tra le due mi
spaventi di più.
Mi
sento afferrare per il collo, la presa si stringe e istintivamente porto
entrambe le mani su quelle di Ueda nel disperato tentativo di fargli lasciare
la presa.
«
ti ricordi quando volevi strangolarmi? Ora me la pagherai » soffia lui sulla
mia faccia.
La
presa intorno al mio collo si allenta, piano scivolo verso terra tossendo, i
polmoni mi fanno male mentre cercano disperatamente di riempirsi di nuovo
d’aria.
Un
calcio in pieno stomaco blocca di nuovo i miei polmoni, il dolore è
allucinante; Ueda mi afferra per i capelli in modo da farmi alzare il volto e
un calcio si assesta sulla mia bocca.
Sputo
sangue, il sapore ferroso mi da la nausea e vomito tutto ciò che ho mangiato
sul pavimento.
I
loro calci e i loro pugni si abbattono sul mio corpo, fino a che esausto e
dolorante non perdo i sensi; la mia vita è un completo disastro.
♣ ♥ ♠ ♦
Piano apro gli occhi, un forte dolore all’altezza
dell’addome mi colpisce appena riprendo i sensi. Non sento freddo e sembra come
se io stia su qualcosa di soffice, forse sono morto, ma se lo sono, non dovrei
sentire dolore.
Mi guardo attorno cercando di mettere a fuoco il
magazzino, ma ciò che i miei occhi vedono è una piccola stanza da letto; non ho
la più pallida idea di dove sia finito.
Con uno scatto che mi provoca dei dolori allucinanti,
mi porto a sedere, addosso ho dei vestiti che non sono i miei, sono coperto da
delle pesanti coperte, ecco perché non sentivi freddo.
Il cuore batte impazzito, non so cosa mi sia
successo né dove mi trovi ora, devo andarmene di qui!
Solo quando intercetto un oggetto all’angolo della stanza,
mi quieto, in un secondo il cuore riprende a battere decentemente; il basso di
Akira, sono certo che è il suo, quindi dovrei essere a casa sua e nella sua
stanza.
La porta si apre e la figura di Akira fa il suo
ingresso nella stanza, subito i suoi occhi si posano su di me; ha il volto
tirato in una smorfia tra dolore e ira, non mi piace vederlo così.
« ti sei svegliato » la sua voce è tutto il
contrario di ciò che traspare dal volto, è dolce e tranquilla.
Non so perché, per quale motivo in questo istante
vorrei abbracciarlo e dirgli che va tutto bene, forse è solo perché sono
abituato a rassicurare i miei e ora voglio farlo anche con lui. Ma qualcosa in
quegli occhi mi fa capire che c’è qualcosa di più, un qualcosa che io non so e
che invece dovrei sapere su di lui.
« mi dispiace » sussurro abbassando lo sguardo
sulle coperte azzurre.
« baka » la sua voce è dolce e vicina, alzo lo
sguardo e lo trovo in prossimità del letto.
Si siede al mio fianco e mi scompiglia i capelli,
in mano stringe una tazza fumante.
« tieni bevi, è tè l’ha fatto mia madre per te » mi
sussurra.
Sorrido e nel farlo sento una fitta di dolore,
portandomi una mano alle labbra le sento gonfie e tumefatte.
« grazie » allungo una mano in sua direzione e
afferro la tazza calda, la sensazione che ne ricavo è piacevole.
« bevine un po’, ma stai attento che è caldo » si
alza, ma io lo trattengo afferrandolo per la manica della maglia che indossa.
« resta qui » riesco a dire solo questo.
Sorseggiando la bevanda calda provo un po’ di
dolore, ma ciò che il calore mi dona al corpo mi fa continuare a berla.
Akira si siede di nuovo al mio fianco, resta in silenzio,
anche se percepisco che di parole da dire ne ha tante.
« chiedimi ciò che vuoi sapere Aki, non restare in
silenzio » alzo lo sguardo su di lui, ad attendermi trovo i suoi occhi
affilati.
« sono stati Ueda e i suoi vero? » alla fine decide
di parlare, ma io non posso rispondere a questa domanda; se glielo dicessi, ho
paura che faccia una stupidaggine, che li vada a cercare per vendicarsi.
« Aki.. » non so come continuare.
« Taka ti prego, dimmi se sono stati loro » la sua
mano si posa sulla mia, la osservo notando le dita lunghe che la compongono, le
unghie leggermente schiacciate e l’ossatura pronunciata; sono bellissime.
Poggio la tazza sul comodino vicino a me, mentre
lui in silenzio osserva i miei movimenti; con entrambe le mani prendo la sua e
la porto al mio viso facendogli poggiare il palmo contro la mia guancia. Il
dolore è insistente, non devo avere una bella cera, credo di avere il volto
completamente gonfio e livido, ma il contatto della sua mano con la mia pelle
mi da sollievo.
Mi sembra quasi di non essere in questa stanza, di
non essere stato picchiato da tre dementi senza cervello, di non essere stato
violentato da tre individui dai volti scuri e indecifrabili all’età di quindici
anni.
Con lui riesco a essere un altro, insieme a lui
riesco a essere solo un ragazzino di sedici anni innamorato cotto del suo
migliore amico e questo, mi piace tanto.
Akira
Se
ne resta in silenzio, come a volermi proteggere dalle mie stesse azioni; forse
ha capito che se mi dà la conferma che sono stati loro, io andrei a prenderli a
calci nel culo.
Lo
vedo prendere la mia mano e portarsela al viso, non la ritraggo ma lo lascio
fare, anche se, mi dona dolore sentire la sua pelle così gonfia e calda.
Ha
il volto gonfio e livido, non si sono risparmiati nel picchiarlo; se solo fossi
arrivato prima, tutto ciò non sarebbe accaduto, chi sa come mai arrivo sempre
in ritardo, sembra che nella mia vita non riesca a proteggere nessuno a cui
tengo.
Piano
faccio scivolare via la mano e lui non oppone resistenza, gli sollevo il mento
caratterizzato da quello strano neo e faccio in modo che i nostri occhi
s’incontrino. I suoi sono marroni, le lenti dal colore artificiale non ci sono
e in questo modo, tutte le emozioni che prova non riescono a essere celate.
Vi
leggo dolore, angoscia, incertezza, insofferenza, preoccupazione, tutti
sentimenti bui ma in fondo a quegli stessi occhi riesco a vedere amore.
Vedo
l’amore che ha per la vita quando insieme a me e Kouyou proviamo, oppure quando
sempre insieme a noi due, facciamo gli stupidi per le strade di Kanagawa.
Dopo
un mese di amicizia ancora non so cosa gli faccia provare tutti quei brutti
sentimenti, cosa scateni i suoi silenzi e le lacrime che gli ho visto versare
di nascosto; non gli ho mai detto di averlo sentito singhiozzare, come non gli
ho mai detto, che ogni sua lacrima versata mi spezza l’anima.
Vorrei
cullarlo, essere in grado di farlo guarire da qualunque cosa lo opprima, ma
forse non sono in grado di farlo, come non sono stato in grado di proteggerlo.
Lentamente
avvicino il mio volto al suo, posso giurare di sentire il momento esatto in cui
smette di respirare; forse è un tremendo sbaglio ma voglio baciarlo.
Un
leggero bussare alla porta ci interrompe, con uno scatto mi porto in piedi e
lui assume una posizione più naturale.
La
porta si apre e Takanori prende in mano la tazza ancora fumante, mia madre
entra accompagnata da Kouyou e la madre di Takanori; vedendola sbarra gli
occhi, non potevo non avvertirla, specialmente dopo averlo portato qui.
«
ma-mma » sussurra lui.
«
amore mio » la madre si siede dove poco fa c’ero io e lo abbraccia.
Alzo
gli occhi su Kouyou e lo trovo a osservarmi, quello sguardo intenso mi fa
abbassare gli occhi a terra; ha capito, ne sono sicuro.
Piano
sorpasso tutti, mi fermo solo vicino a mia madre per avvertirla che esco.
«
esco a fare due passi mamma, torno tra un po’ » la avverto.
Appena
scendo le scale, sento dei passi dietro di me, non ho bisogno di voltarmi per
capire che si tratta di Kouyou; in completo silenzio ci infiliamo le scarpe e i
giacconi prima di uscire all’aria aperta.
Ormai
fuori è buio, sono le sette di sera passate e la temperatura è abbastanza
rigida, però una boccata d’aria fresca ci voleva proprio.
Camminiamo
in silenzio, entrambi fumando le nostre amate sigarette.
Arrivati
al parco dove da piccoli giocavamo di consueto tutti i pomeriggi, ci sediamo
sulle altalene troppo piccole per noi ora.
Volgo
lo sguardo verso il cielo, incredibile ma vero si riescono a scorgere le stelle
questa sera; il vento forte che ha soffiato ha spazzato via tutte le pesanti
nuvole che lo coprivano.
«
me ne vuoi parlare? » sapevo che non avrebbe resistito a lungo.
Sorrido
al cielo « di cosa? » chiedo soffiando fuori il fumo della sigaretta.
Sento
distintamente la sua debole risata « lo hai sempre fatto e continui a farlo »
«
cosa? » mi volto verso di lui e lo trovo sorridente, anche se triste per ciò
che è capitato a Takanori, anche lui gli vuole bene e non è certo un sentimento
che nasconde.
Kouyou
è fatto così, se si affeziona a una persona, non può fare a meno di
dimostrarlo.
«
mi chiedi sempre di cosa parlo, anche se in realtà lo sai benissimo ».
È
vero, lo facevo quando eravamo piccoli e lo faccio tutt’ora, ma solo perché lui
mi capisce meglio di quanto faccia io stesso. E quando lui mi parla, capisco
cose su di me che altrimenti rimarrebbero ignote.
«
già » sorrido amaro portando gli occhi sui ciottoli bianchi.
«
te ne sei innamorato vero? » se ne esce tranquillamente con questa domanda, come
se rispondere fosse una cosa semplice, sentendo il mio silenzio continua il suo
monologo.
«
se ti fossi visto quando lo abbiamo trovato, non esiteresti a rispondermi. So
per certo che lo ami e non da oggi, lo sapevo anche prima. Credo che tu abbia
cominciato a innamorarti di lui dal primo giorno che lo hai visto in classe, è
scattato subito qualcosa in te e sai cosa penso? »
«
cosa? » a questo posso rispondere con facilità almeno.
«
che sei ricambiato »
A
queste parole mi volto verso di lui, sapeva che lo avrei guardato quindi non si
fa trovare in fallo e mi attende con il suo sguardo dolce.
«
dici? » gli chiedo, ho bisogno di una conferma.
«
sì, penso proprio che lui ti ami. Ne abbiamo parlato tante volte su cosa
potesse essergli accaduto in passato per renderlo in questo modo, ma penso che
tu l’abbia aiutato a guarire almeno un po’ » questa volta è lui che osserva le
stelle luminose.
Guardo
il suo profilo, come se in esso potessi trovare tutte le risposte alle
innumerevoli domande che mi volano per la testa.
Non
sono arrabbiato con Takanori perché non vuole parlare con me, anch’io ho i miei
scheletri nell’armadio che tengo ben chiusi; so cosa vuol dire tenersi un
segreto doloroso per se e non posso giudicarlo per questo.
Però,
forse farebbe bene a entrambi aprirsi.
«
andiamo? » chiedo a Kouyou alzandomi dall’altalena.
«
sì » risponde lui facendo lo stesso.
Insieme
ci incamminiamo verso casa mentre la notte cala su di noi, spero che per questa
notte Takanori dorma nel mio letto.
♣ ♥ ♠ ♦
Insonnolito
raggiungo la cucina, dove sono certo di trovare mia madre, invece al posto suo
trovo un foglietto rosa poggiato sul tavolo, lo afferro per leggere cosa ci sia
scritto sopra.
Ciao
tesoro, sono andata a lavoro.
Oggi
puoi saltare la scuola, la madre di Takanori mi ha chiesto se può restare da
noi fino il pomeriggio, visto che lei lavora.
Gli
ho detto di sì, mi raccomando prenditene cura tu.
Ti
amo, mamma.
Poggio
il foglio dove l’ho trovato e mi volto verso il frigorifero, ho la schiena
dolorante per aver dormito sul divano ma non m’importa; l’importante è che
Takanori abbia dormito bene.
Un
rumore alle mie spalle mi fa voltare, sulla soglia della cucina vedo la piccola
figura di Takanori.
«
buongiorno » gli dico sorridente.
«
buongiorno » risponde sedendosi su una delle sedie.
«
come hai dormito? » nel frattempo scaldo la colazione che ci ha lasciato mia
madre.
«
il tuo letto è comodissimo » sorride per poi storcere la bocca in una smorfia
di dolore.
«
stai attento, sei ancora gonfio » vorrei prendere Ueda e ucciderlo con le mie
mani.
«
mi sono visto, sono orribile »
«
non è vero e poi passerà, hai bisogno solo di un po’ di tempo » dico sincero.
«
Kouyou verrà? » mi chiede cambiando discorso, probabilmente non vuole ricordare
l’accaduto.
«
probabilmente dopo la scuola, se la salta sua madre lo uccide » sorrido
divertito.
Anche
lui sorride e questo mi fa piacere « sì, in effetti, sua madre fa un po’ paura ».
«
solo un po’? »
«
ok, tanto » ammette ridendo insieme con me.
«
cosa vuoi fare dopo? » gli chiedo porgendogli il piatto con la sua colazione,
il mio lo poggio sul tavolo di fronte a lui.
«
tutto ciò che possiamo fare in casa, non ho voglia di uscire. Però se tu vuoi
puoi andare in giro, non devi preoccuparti per me »
«
lo fai spesso? » chiedo serio in sua direzione.
«
cosa? »
«
preoccuparti per gli altri, quando invece dovresti pensare un po’ più a te »
Abbassa
lo sguardo e osserva il cibo nel piatto, con le asashi muove un po’ di riso e
del pesce, io resto in silenzio aspettando che voglia parlarmene.
«
non voglio essere di peso a nessuno » non alza il volto per parlare.
«
non penso che tu lo sia per nessuno »
Un
sorriso amaro lascia le sue labbra per tornare subito serie, quanto vorrei che
mi parlasse.
«
questo perché non sai tutto, non sai cosa hanno dovuto passare i miei a causa
mia » la sua voce è piatta.
«
parlamene » la mia brama di sapere sta diventando un’ossessione.
Scuote
leggermente la testa « no » la sua debole risposta.
«
perché? »
Alza
gli occhi posandoli nei miei, sono lucidi e una lacrima scende sulla gota
gonfia e viola.
«
mi odieresti… » sussurra.
Mi
trovo senza volerlo a scuotere la testa, questo non sarebbe mai possibile, il
legame che si è creato tra di noi è troppo forte, troppo profondo per
permettere che ciò accada.
«
no Taka, ti sbagli » dico allungando una mano e posandola sulla sua.
«
non puoi dirlo questo, perché non sai »
«
e allora dimmelo, in modo che possa dimostrartelo »
Esita,
ciò vuol dire che sta prendendo sul serio in considerazione la probabilità di
confidarsi con me; aspetto paziente, non voglio calcare la mano.
Takanori
Vorrei
davvero tanto parlargliene, confidarmi con lui sul mio passato buio ma la paura
di perderlo è forte; ho il terrore che possa giudicarmi e lasciarmi da solo.
Alzo
lo sguardo su di lui e come al solito il suo volto è dolce, questo m’incoraggia
un poco ma lui non può immaginare ciò che nascondo.
Ho
ucciso un uomo, ho affondato quel coltello nel suo petto talmente in profondità
che per poco non lo perforava dall’altra parte; sono un mostro e nessuna
giustificazione al mondo può sollevarmi da questa condanna.
Il
tribunale mi ha assolto perché hanno giudicato il fatto come difesa personale,
in fin dei conti mi avevano stuprato ed io mi sono difeso come potevo; gli
altri due sono fuggiti via urlando mentre io uccidevo il loro amico.
Stringo
gli occhi come ogni volta che ricordo quei momenti, è stato un incubo terribile
che vorrei dimenticare.
«
non ce la faccio Aki, scusa » mi alzo per lasciare la cucina ma vengo
trattenuto dalla sua mano.
Mi
sento tirare verso di lui e subito vengo avvolto nel suo abbraccio, resto così
immobile tra le sue braccia, incapace di muovermi e godendomi le emozioni belle
che mi regala.
Con
lui non ho paura, credo che sia l’unico ragazzo al mondo che possa toccarmi
senza che io tremi di terrore.
«
se non vuoi dirmelo, non fa nulla » dice con le labbra tra i miei capelli.
Porto
le mie mani sulle sue spalle e lo stringo forte, non voglio che pensi che lui
non sia abbastanza importante per me da non parlargliene.
«
te lo dirò Aki.. giuro che saprai tutto su di me, ma non a parole… » dico
affondando il volto sul suo petto.
To Be Continued….
Note:
che intenderà dire con non a parole?
Non
ve lo dico, altrimenti che gusto c’è? XD
A
Venerdì…
Ja ne! <3