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Autore: SmokingRum    21/10/2011    0 recensioni
Un viaggio. Un vacanza di una settimana a cosa può portare? Cosa può far scoprire? Cosa può far amare?
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo sedici anni quando io e la mia famiglia andammo una settimana in un agriturismo vicino a Viterbo, a Civita Castellana.
Era il sedici giugno di un estate calda e torrida.
Mia madre aveva sempre desiderato fare una vacanza rustica e alla fine io, mio padre e i miei due fratellini avevamo acconsentito.
Paolo, il mio fratellino di otto anni, e Greta, la mia sorellina di due anni e mezzo erano felicissimi di quella vacanza all’ aria di campagna.
Meno lo ero io.
In macchina, durante il tragitto, continuavo a chiedermi cosa avrei fatto per una settimana intera in un casale sperduto ai limiti di una cittadina minuscola.
Arrivati lì, non ebbi nemmeno il tempo per guardarmi intorno e capire dove mi trovassi.
Dai retta ai tuoi due fratelli, aiuta tuo padre a scaricare i bagagli, sistema gli abiti nella tua stanza e così via.
Mi rallegrai quando scoprii che avevo una stanza tutta per me.
Feci per aprire le persiane in legno e guardare il panorama ma non ne ebbi il tempo, poiché mia madre subito mi chiamò.
Scesi le scale consumate dal tempo e arrivai fino al cortile. Finalmente mi fu concesso di guardare il casale. Era molto antico, con diverse finestre (la maggior parte chiuse) e l’ intonaco scolorito.
Sul tetto si vedeva una bella terrazza dalla quale scendevano delle verdissime piante rampicanti.
Mia madre mi chiamò e mi presentò la padrona del casale, colei che ci avrebbe ospitato per tutta la settimana.
Era una donna panciuta, con delle guance rosate e uno dei sorrisi più cordiali che io avessi mai visto.
Elogiò a lungo me e mia madre dicendo che Dio, quanto eravamo belle. Ad ogni complimento io rispondevo passiva con un sorriso.
Si avvicinava l’ora di pranzo e la padrona di casa ci aveva preparato il pasto, che avremmo consumato insieme a la sua famiglia.
Prima del pranzo, però, decisi di salire in camera mia e ultimare gli ultimi preparativi.
Sistemati gli ultimi vestiti dentro l’ armadio il legno antico e bucato dalle termiti, decisi di aprire finalmente le persiane.
Quasi mi si mozzò il fiato alla vista di… di… di quei colori.
Scesi di corsa le scale, quasi senza toccare i gradini e saettai nel cortile. Feci il giro della casa e mi attaccai alla rete che separava l’ area del casale e i colori che avevo visto prima.
Di fronte a me si allungava quasi verso l’ infinito un campo fiorito dai mille e più colori.
Era uno spettacolo meraviglioso. Per un chilometro buono era solo erba, alta più o meno fino a metà del mio polpaccio, che variava dai verdi più scuri fino a quelli più chiari. Poi iniziavano i colori: si partiva dai fiori gialli e arancione che poi sfumavano piano piano al rosso delicato dei tulipani fino a quello di meravigliosi papaveri; dal rosso poi si arrivava al blu  e al bianco delle margherite, che poi si tramutavano in viole e glicini e ortensie! Da lì, all’ improvviso, c’era di nuovo erba… ma era erba strana, color verde acqua. Quell’ erba verde acqua circondava un salice piangente che regnava solenne in mezzo a quella moltitudine di colori. Non mi stetti nemmeno a chiedere come era possibile che tutti quei fiori giacessero lì insieme. Non volli chiedermelo, perché mi avevo il sentore che se l’ avessi fatto la magia di quel luogo sarebbe scomparsa.
L’ unica cosa che pensai fu: Io DEVO andarci.
Quando ci ritrovammo riuniti a pranzo, quasi non toccai cibo, talmente ero emozionata.
mi feci coraggio e mi rivolsi a mia madre.
-Mamma… accanto al casale ci sarebbe un bellissimo campo fiorito. Più tardi avrei l’intenzione di andarci. 
Mia madre mi guardò esterrefatta.
-Neanche per idea! E se ci fossero delle vipere?! L’ erba lì è alta e senza contare che ti sporcheresti tutta!
Abbassai lo sguardo. Ripensai alla lunghezza dell’ erba e ribattei, sorridendo.
-Guarda che non è alta l’ erba! Ho visto, mi arriva a metà polpaccio e…
-Viola... –mi disse, mentre io guardavo terrorizzata la sua espressione indurirsi e i suoi occhi diventare severi –Mi stai contraddicendo, forse?
-Io… no. –smisi di guardarla –Scusa.
Mentre sentivo le lacrime graffiarmi gli occhi, mi sentii osservata da occhi estranei.
Alzai lo sguardo e vidi, esattamente davanti a me, un ragazzo. Non lo conoscevo e, vedendolo seduto accanto alla padrona del casale, dedussi che era suo figlio.
Aveva la testa più riccia e nera che io avessi mai visto! Ricci su ricci neri, che gli incorniciavano il viso. E quel viso mi catturò. Lineamenti duri, squadrati. Gli occhi color terracotta, che mi scrutavano.
Ci guardammo a lungo, poi abbassò lo sguardo e sbuffò.
Rimasi sconcertata. “Perché diavolo ha sbuffato?!” mi chiesi…
Passai il resto della giornata seduta sul muretto davanti alla rete a fissare quel prato fiorito. Mi sembrava quasi che mi chiamasse… Sì, sentivo che il vento, mentre sibilava fra le fronde del salice, mi dicesse di venire.
Mi accorsi, soltanto mentre il sole tramontava, che delle lacrime mi rigavano il viso. Perché stavo piangendo? Forse perché sapevo che non sarei mai riuscita ad entrare in quel campo?


La cena fu maledettamente noiosa… Ovviamente solo per me: mia madre e mio padre continuavano ad intrattenere una deliziosa conversazione con la padrona di casa e i miei due fratelli giocavano felicemente con dei pezzi di pane.
Soltanto io e il figlio della padrona di casa continuavamo a giocherellare con il nostro cibo, mandando giù solo qualche boccone  e deglutendo con fatica.
Verso mezzanotte e mezza, nella casa regnava il silenzio.
Tutti stavano ormai dormendo. Io, invece, mi rigiravo nel letto senza riuscire a prendere sonno. Nella mia mente continuavano a galleggiare le immagini di quel prato meraviglioso che, non importa quanto avessi bramato, non sarei mai riuscita a raggiungere…
Un momento… Perché non lo avrei mai raggiunto? Mi misi seduta sul letto e guardai verso la finestra. Avevo lasciato le persiane aperte e vedevo la luce della luna filtrare nella stanza.
Sentii un desiderio sempre più forte di raggiungere quel posto incantevole e all’ improvviso si fece incontenibile.
Mi alzai di scatto e corsi verso la finestra. La spalancai e guardai in baso, affacciandomi. Non era affatto alto… un metro e poco più. Ma anche se fossi riuscita a saltare, ormai era troppo buio, non sarei riuscita  a vedere nulla.
Guardai verso il prato e quasi scoppiai a ridere. Non sapevo come ma era così… Il prato era illuminato. Si, i colori brillavano come oggi durante la giornata ma qualcosa li illuminava dal basso… Non stetti a farmi troppe domande.
Corsi all’ armadio e mi misi un paio di jeans, le scarpe da ginnastica e una t-shirt.
Presi dalla mia borsa il pacchetto di sigarette che avevo accuratamente nascosto e me lo misi nella tasca dei jeans.
Andai alla finestra e mi misi seduta sul piccolo cornicione.
Presi fiato e poi mi lasciai cadere. La caduta fu breve e atterrai in ginocchio, senza fare troppo rumore e senza nemmeno farmi troppo male. Mi alzai, mi guardai intorno circospetta e sorrisi.
Corsi verso la rete che separava il casale e la mia meta e mi scroccai le dita.
Feci più o meno dieci passi indietro, poi corsi di nuovo verso la rete e saltai. Mi attaccai al metallo freddo e scavalcai. Caddi in mezzo all’ erba e, quando riaprii gli occhi, mi misi in ginocchio.
Sentivo l’ adrenalina scorrermi nelle vene. Il sorriso si allargò sempre di più. Ero riuscita a passare. Mi trovavo lì… in quel giardino meraviglioso! Cominciai a correre, sempre più felice della magia che lasciava illuminato tutto il campo. Era ancora più bello di notte. I fiori non erano chiusi, come ci si aspetterebbe. Lo vedevo da lontano mentre correvo che erano aperti e morbidi come se fosse giorno! Corsi e corsi per non so quanto e, superata l’area erbosa mi resi conto che piano piano essa si era fatta più fitta e alta. Mi arrivava infatti fino al seno e non riuscivo nemmeno  a vedermi i piedi. Ma non mi importava minimamente.
Vidi che anche i fiori erano incredibilmente lunghi. La prima parte dell’ arcobaleno di fiori comprendeva tulipani, denti di leone, margherite gialle e, cosa sempre più incredibile, dei girasoli. E i girasoli erano rivolti alla luna piena, che sembrava enorme e vicinissima a me.
“Fiori di specie così diverse tutte insieme in un unico campo! Che cosa incredibile! E i girasoli… rivolti alla luna! Che sia finita nel paese delle meraviglie?” mi chiesi. Poi cominciai a camminare in mezzo a quei fiori così alti e rigogliosi. Li carezzavo con le mani, con la meta del salice piangente ben piantata in testa.
Seguirono poi tulipani, rose rosse (di nuovo mi chiesi come era possibile) e i papaveri più alti e bellissimi che io avessi mai visto.
Arrivai ai ciclamini blu e alle margherite bianche. Oltre ai fiori menzionati ce ne erano altri di ogni tipo che però non riconoscevo.
Arrivai al viola delle violette e dei glicini e delle margherite con solo l’ interno del colore come il mio nome.
Poi mi trovai davanti alla distesa d’ erba verde acqua… Che spettacolo meraviglioso, che incredibile vista. Davanti a me, finalmente, il salice piangente. Era ancora più grande visto da vicino, quasi inquietante. Ti sovrastava sovrano e tu non potevi che prostrarti alla sua incredibile presenza.
Poi, ci fu qualcosa che distolse la mia attenzione.
Vidi come una linea rossa in mezzo all’ aria che scompariva e ricompariva.
Guardando meglio mi resi conto che c’era qualcun’ altro… e stava fumando.
Mi avvicinai a quel qualcuno e rimasi scioccata.
-TU che ci fai qui?! –urlai al figlio della padrona di casa.
Lui si girò all’ improvviso e mi guardò sorpreso.
-Tu che ci fai qui?! Non posso credere che sei arrivata fin qui! –mi disse. Poi mi sorrise. Sembrava quasi orgoglioso.
-Io… io volevo venire qui ma… mia madre non me lo ha permesso quindi…
-Quindi sei sgattaiolata fuori dalla tua camera… -concluse lui.
Io annuii.
Scoppiò a ridere e mi fece posto accanto a lui.
-Dai, siediti.
Io, felice, mi sedetti accanto a lui e presi il mio pacchetto di sigarette. Mi misi la stecca di tabacco in bocca e vidi saettare di fronte a me una fiamma, proveniente dall’ accendino di quel ragazzo.
Accesi la sigaretta e sentii il suo sguardo posarsi sul mio viso illuminato dalla piccola fiammella.
Ispirai e chiusi gli occhi. Mi sentivo bene… benissimo! Mai stata più felice di così! L’ aria che ci carezzava intorno, i fiori che ogni tanto si piegavano sotto il peso della lieve brezza… La luna che ci baciava con i suoi raggi.
Era tutto perfetto.
-Non so il tuo nome. –mi disse lui.
-Viola. Tu?
-Alessandro.
Gli sorrisi e lui sorrise a me.
-Senti… tu sai qualcosa di questo posto?-gli chiesi, speranzosa.
-Intendi se so perché è illuminato da qualcosa che non so cosa sia e come sia possibile che ci siano tutte queste specie di fiori tutti insieme? Oh, senza dimenticare i girasoli che sono rivolti alla luna! –Buttò fuori il fumo –Non ne ho idea. Anche se una teoria ce l’ ho… ma è più improbabile di questo stesso posto.
-Dimmela. Sono curiosa.
Lui mi guardò a lungo. Poi chiuse gli occhi  e sospirò.
-Io ho sempre avuto l’ impressione che questi fiori siano stati creati dalla Luna stessa. Fiori della luna, capisci? Tutti i fiori più belli che si riuniscono sotto la luna di un solo meraviglioso cielo stellato e che restano illuminati tutto il giorno perché meritano di essere sempre visti! E solo sotto la luna fanno vedere il loro vero splendore!
Seguì un lungo silenzio, durante il quale lui non aprì gli occhi e nessuno dei due disse niente.
-Non è improbabile la tua teoria. E’ solo poetica…
-E questo cosa vorrebbe dire?
Io gli sorrisi.
Mi alzai e gli tesi la mano.
-Corriamo, ti va?
Lui sbuffò.
-Oh, andiamo! Non dirmi che hai paura!
-Paura di che?!
-Di non riuscire a raggiungermi!
Lui scoppiò a ridere, poi mi guardò agguerrito.
-Preparati a correre, ragazzina!
Io scattai nella corsa più bella e magica di tutta la mia vita. Corremmo e corremmo in mezzo a quella distesa di fiori e erba. Sotto la luna continuammo a correre e a ridere come dei pazzi, fregandocene di ogni cosa.
Noi correvamo in tondo, in mezzo ai colori!
In un certo momento mi sentii prendere per i fianchi e mi tirò a terra.
Sprofondammo tutti e due in mezzo ai fiori e ci rotolammo abbracciati.
Arrivammo, sempre rotolando, fino alle viole e ai glicini.
Continuammo a ridere, come se fossimo impazziti, a lungo.
Mi resi conto che io mi trovavo sopra di lui, che stava sdraiato e rideva, tenendo gli occhi chiusi.
Lo osservai a lungo… Le due piccole rughe che si creavano intorno agli occhi mentre rideva, i denti bianche, le labbra sottili. Tutto di lui, tutto mi piaceva.
-Mio Dio, sei bellissimo… -non so nemmeno io perché lo dissi. Non riuscii a tenermelo dentro.
Lui smise di ridere e mi guardò, senza capire, con ancora l’ ombra della risata sul viso.
Mi spostò una ciocca di capelli castani dal viso e mi sorrise.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi si bloccò. Gli occhi si dilatarono e cominciarono a guardarsi intorno.
-Viola, Viola alzati! Guarda, alzati!
Io mi spostai da lui e sentii il cuore perdere un battito.
Dalla landa di fiori, dall’ erba, da dietro l’albero e dalle sue fronde uscivano piccoli esseri luminosi… Centinaia… migliaia di piccole bellissime lucciole brillavano intorno a noi, creando un’ atmosfera ancora più magica di quanto non fosse prima… 
Ci mettemmo entrambi in ginocchio, quasi piangendo di fronte a quello spettacolo di luci e colori!
Lui poi spostò lo sguardo su di me e mi carezzò il collo.
-Anche tu sei bellissima.
Vidi il suo viso avvicinarsi e mi lasciai andare a lui. Ci baciammo in mezzo a quel mare di fiaccole e fiori, mentre il loro odore ci intorpidiva i sensi.
Sempre baciandoci ci sdraiammo a terra, continuando a non pensare.
Come si può pretendere di pensare quando ti trovi in una situazione simile?
Non so quanto tempo passò. So solo che io mi addormentai sul suo petto. Quando mi risvegliai lui stava fumando, sempre nella stessa posizione di come lo avevo lasciato. Con un braccio mi cingeva i fianchi e il mento era poggiato sulla mia testa. Io  mi mossi poco, per fargli capire che ero sveglia.
-Sai… -iniziò lui –Sono un po’ triste.
-Perché? –gli chiesi, guardandolo dritto negli occhi.
-Perché abbiamo svelato il mistero della luce. Ed è incredibile! Mai prima d’ora le lucciole si erano fatte vedere. Sei arrivata tu e… e loro sono semplicemente comparse! E la cosa più incredibile è che appena ti sei addormentata loro si sono di nuovo nascoste… Chissà, magari stavano aspettando te.
-O magari gli abbiamo rotto talmente le palle, correndo da una parte all’ altra, che non Hanno avuto altra scelta che quella di uscire allo scoperto. Ah! –mi misi dritta, e sentii le lacrime rigarmi gli occhi –Adesso sono io ad essere triste…
Lui si alzò allarmato. Mi guardò preoccupato.
-Viola, che hai?!
-Io me ne vado fra una settimana…
Lui rimase in silenzio molto, molto a lungo, fissandomi negli occhi. Vedevo il suo viso indurirsi al solo pensiero che io me ne sarei andata.
Alla vista di quel viso contrito, le lacrime mi scesero sempre più in fretta.
Mi sorrise forzatamente.
-Abbiamo una settimana, no? E poi continueremo a sentirci, a tenerci in contatto! Potrai venire qui ogni volta che vorrai, te lo garantisco!
- E’ vero… -mi dissi –E’ vero. Verrò ogni volta che vorrò!
Intanto l’ alba cominciò a nascere, dicendo addio alla notte e salutando il nuovo giorno che si stava creando.
Mentre l’ alba cresceva sempre di più, le lucciole si spegnevano gradualmente, lasciando che fosse il sole ad illuminare quel paradiso.
Tornammo al casale; non si era svegliato ancora nessuno e decidemmo di andare ognuno nelle rispettiva camere. Sulla soglia della mia, lui mi diede un lungo bacio, poi mi abbracciò forte, come se non avesse potuto farlo mai più. Poi mi sorrise e mi guardò sparire dietro la porta.
Erano le cinque del mattino e io, ignara di ciò che stava per accadere, mi addormentai con un bel sorriso sul volto.


-Viola! Viola,svegliati!
Mi sentii scuotere e mi svegliai.
-Mamma?
-Dobbiamo andare.
Mia madre mi diede le spalle e io mi guardai attorno. L’ armadio era aperto e vuoto.
Sugli scaffali non c’ era nessuno degli oggetti che vi avevo poggiato la sera prima.
-Che cosa?! –strillai.
-Dobbiamo tornare a Roma. Tuo fratello ha un’ intossicazione alimentare e dobbiamo portarlo all’ ospedale.
Io, che ero andata a dormire vestita, mi alzai e corsi verso mia madre.
-Mamma ti prego, no. Fammi restare, ti scongiuro! Non voglio andarmene!
Mia madre mi guardò irritata e mi prese per un braccio, tirandomi via dalla stanza vuota, facendomi scendere per le scale a forza.
-Simili capricci non ti si addicono! Andiamo subito via!
-NO! MAMMA,NO!
Urlai e, come risposta, mi arrivò uno schiaffo fortissimo sulla bocca. La forza fu tale che mi fece sbattere addosso al muro. Ancora stordita, mia madre continuò a tirarmi giù per le scale. Sempre a forza mi fece entrare nell’ auto già accesa.
Mise la sicura, e io non potei uscire.
Abbassai il finestrino e, con tutto il fiato che avevo in gola, urlai.
-ALESSANDRO! ALESSANDRO!
Mio padre cominciò a far muovere la macchina. LE lacrime mi inondarono il viso e mi strozzarono la voce in gola.
Continuai a urlare il suo nome, per quanto potevo.
Poi lo vidi uscire dal portone. Si guardò intorno spaesato e poi vide la macchina allontanarsi.
Cominciò a inseguirci, correndo più veloce che poteva.
Vedevo le sue labbra chiamare il mio nome. Sempre piangendo, io mi affacciai dal finestrino, lasciando solo le gambe dentro la vettura.
-TORNERò! TI GIURO CHE TORNERò! TE LO GIURO, ALESSANDRO! TE LO GIURO!
Lui forse non mi sentii, come io non sentii lui. Se non fosse stato impossibile, però, avrei giurato che avesse gridato: “ti amo”.



Mi risveglio bruscamente. Mi stiracchio nel sedile scomodo del treno.
Sono passati tre anni da quell’ unica, meravigliosa notte.
Sorrido e frugo nel mio borsone. Prendo una lettera stropicciata e la leggo di nuovo.


Ciao, Viola.

Sono passati quasi tre anni da quel giorno, eh? Il tempo è passato con una lentezze inesorabile.
Mentre scrivo queste righe sono sotto quel salice meraviglioso che tanto ha significato per noi…
Sai, da quando te ne sei andata sono venuto qui nel campo fiorito ogni giorno, sia d’ inverno che ora. Sempre più incredibile ma vero, i fiori non sono mai appassiti. Ma la cosa ancora più incredibile è che, da quando te ne sei andata, le lucciole non si sono più fatte rivedere… Come dicevo io, eri tu la causa della loro comparsa improvvisa.
Avrei voluto scriverti prima, ma mia madre mi proibì di farlo siccome i tuoi genitori furono molto sgarbati con lei, dicendole che il fatto che tuo fratello si fosse sentito male dipendeva dai piatti cucinati da lei.
Mia madre è una donna orgogliosa… Quindi mi proibì di cercare il nome della tua famiglia nel registro dei clienti che avevano alloggiato da noi. Ma quando è morta, un mese fa, ho potuto finalmente trovarti… Non sai che emozione quando ho visto il tuo nome segnato sotto la data 16 giugno 2010…
Da lì sono risalito al tuo indirizzo e ho potuto scriverti questa lettera… Avrei voluto telefonarti, ma il numero non era segnato.
Viola, non vorresti tornare? Torna da me, ti prego. Appena vuoi, appena te la sentirai! Io sono sempre in quel casale così vecchio e malconcio, che aspetto il  tuo ritorno. Sarò lì ad aspettarti sotto il nostro salice piangente.
Quindi torna, ti prego. Torna, Viola.
E’ qui che devi stare. E poi, non sono ancora riuscito a dirti che ti amo.

14 giugno 2013


                  Tuo unico Alessandro.
  
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