“Non
è possibile discendere
due volte nello stesso fiume, né toccare due volte una
sostanza mortale nello
stesso stato; per la velocità del movimento, tutto si
disperde e si ricompone
di nuovo, tutto viene e va”
Eraclito.
Se gli spilli scuri che vi fluttuavano all'interno si fossero contratti come le pupille di un gatto non sarebbe parso strano a nessuno, tanto quello sguardo assorto assomigliava a quello di un micio.
Oz osservava gli avvenimenti che si verificavano attorno a lui con placida lucidità, registrando ogni minimo dettaglio, dai granelli di pulviscolo che danzavano in caduta libera tra i raggi del sole alle scarpe di vernice lucida e color pece delle cameriere che si affrettavano lungo i corridoi.
Niente era uguale a niente, ogni singolo avvenimento era scomponibile in miliardi di particolari, frazioni di secondo, battiti di ciglia, respiri, vita.
Vita che evolveva di continuo, senza mai fermarsi, lasciandosi ammirare nel suo corso sinuoso dalle due grandi iridi verdi.
Oz non avrebbe saputo quantificare il tempo che impiegava a osservare semplicemente la natura, immobile e contemporaneamente immerso fino al collo nella corrente, ma la risposta più plausibile sarebbe stata "parecchie ore".
Le parecchie ore che non avevano il privilegio di essere illuminate dalla presenza della sorellina o di Gil, il suo servo di nome e compagno di giochi di fatto.
Negli spensierati attimi che trascorreva in loro compagnia, il primogenito dei Bezarius riemergeva dall'impetuoso torrente da cui si era lasciato travolgere e rimaneva a scherzare sulla sua riva, vagamente cosciente della forza che continuava ad agire attorno a lui, il rombo del cambiamento a riecheggiargli nelle orecchie e le sue onde a bagnargli le caviglie.
Ma si respirava, con Gilbert e Ada si respirava.
Negli occhi ambrati e pacifici di Gil si respirava.
Le labbra di Oz si distendevano in un sorriso, si schiudevano e lasciavano entrare l'aria quasi con foga, come dopo l'apnea.
Per quanto tempo era rimasto nell'Abisso?
Qualche ora, un giorno?
Di sicuro non più di questo, ne era sicuro.
Il fiume scorreva anche lì, torbido e insinuante come ogni aspetto di quel luogo lugubre, le sue acque erano viscide e fredde, inumidivano e marcivano le ossa.
Erano fangose, sporche.
Oz si chiese distrattamente se il divenire dell'Abisso fosse più cupo, lento e pesante di quello del suo mondo, ma fu un pensiero di un attimo, poi riemerse dall'apnea.
Le palpebre vibrarono, il petto si alzò e abbassò freneticamente in cerca di aria, le labbra erano tese.
Sarebbe morto annegato, ne era sicuro, finito a capofitto sotto il torrente tremendamente veloce che scorreva sulla terra.
Eppure i suoi polmoni ripresero a respirare normalmente quasi subito, gli occhi si abituarono in un battito di ciglia alla potenza travolgente del tempo.
Il giovane Bezarius si guardò intorno stordito, poi le vide: due iridi ambrate lo scrutavano corrucciate, strette, terribilmente preoccupate, ma allo stesso tempo quiete.
Ed ecco che il fiume si allontanò, come succedeva sempre quando le incontrava, deviava il suo corso lontano da loro e sciabordava sommessamente contro la riva di acciottolato bianco che la mente di Oz si figurava nella sua perpetua osservazione.
Ma quelli non potevano essere gli occhi di Gilbert, appartenevano a un uomo adulto, il viso segnato da privazione e dolore, il fisico da battaglie estenuanti.
Sharon e Break erano rimasti gli stessi, quasi come se galleggiassero appena sopra il livello dell'acqua.
No, non poteva essere Gil. Non doveva esserlo.
L'aveva toccato.
Aveva sfiorato la sua pelle, la lunga e frastagliata cicatrice che aveva lasciato su di lui dieci anni prima.
Le parole del Baskerville non l'avevano neanche sfiorato, nelle sue orecchie il rombo del tempo era troppo, troppo forte.
Le sue dita avevano percepito in un istante anni di sofferenza, veglie, allenamenti, rimpianti, tutti condensati in un'unica ondata travolgente, che gli aveva tolto il fiato.
Le acque impantanate dell'Abisso l'avevano trattenuto per così tanto tempo, senza che lui se ne rendesse neanche conto.
E ora era lì, in balia delle onde, trascinato verso il fondo dall'immagine del giovane servo che copriva rassegnato ogni sua marachella e quella di un uomo dall'aria troppo stanca e dilaniata dal dolore.
E
sopra gli opposti, bellissima armonia.
Ma i
suoi occhi rimanevano sempre gli stessi, no?
Che fossero di Gilbert o di Raven, quelle due chiare pozze d'oro
l'avrebbero
accolto comunque nel loro lido tranquillo e riparato, e così
fecero.
Perché c'era una cosa che non sarebbe mai cambiata, uno
scoglio nel fiume, un
appiglio che Oz aveva sempre disperatamente cercato; l'anima del suo
migliore
amico.
Yu's corner.
Zolfo, sodio e qualsiasi altro elemento della tavola
periodica a voi,
carissimi~!
Bene, veniamo al dunque di tutta questa faccenda.
Io adovo i filosofi greci ed era da tanto che volevo scrivere qualcosa
ispirato
a Eraclito, il mio preferito. (MI MANCHI, ERIUCCIO. ;A;)
Bene, crisi da
il-programma-di-adesso-è-noioso-chissene-di-Agostino a
parte,
oggi è anche il compleanno di una persona zpecialeh, mia
moglie!
Bella puzzona, ti voglio un bene iiiiimmenso come le lampadine di
Ungaretti e,
dato che la mia stupida tavoletta ha deciso di darsi all'ippica, ti
dovrai
accontentare di questa cosetta qui e il concerto se riesci a far
funzionare la
radio. -trolla-
Ah, ovviamente oltre al mio amore incondizionato, lo sai. -ritrolla-
Okay, se avete letto fino a qui e non avete chiuso prima in preda ad
attacchi
di diabete (cosa abbastanza probabile, volete insulina?), vi ringrazio
tutti
per aver letto questa ff fino alla fine e mando tante benedizioni a
chiunque
recensirà.
Bye bye, Yu.