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Autore: fiorediloto87    28/06/2006    0 recensioni
L'erede del regno di Shohoku, Kiminobu Kogure, deve unirsi in matrimonio per ragioni politiche all'arrogante e crudele Akira Sendo, erede di Ryonan. E se avesse già un altro amore?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hiroaki Koshino, Hisashi Mitsui, Kiminobu Kogure
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO: HIROAKI


Hiroaki Koshino si destò all’alba. Aveva volutamente lasciato spalancate le imposte della sua finestra, cosicché la luce del primo mattino lo svegliò con il suo bagliore insistente. Ripensando alla sera prima, l’agitazione che l’aveva lasciato solo per poche ore – quelle in cui era riuscito a dormire – ritornò prepotente.
Vestì la divisa in fretta, assestò la spada alla cintura e uscì a passo sostenuto dalla sua camera.
Aperta. Avevano lasciato la porta aperta, senza giri di chiave. Quei due dovevano essere impazziti. Hiroaki calcò la maniglia con forza, entrò e se la richiuse alle spalle facendola sbattere.
L’immagine idilliaca dei due amanti che aveva trovato a dormire abbracciati s’infranse immediatamente.
«Cosa… chi è?» mormorò Mitsui, con voce assonnata.
«La fatina del buon risveglio» rispose Koshino, ironico. Si piazzò davanti al baldacchino, incrociando le braccia al petto. «Lor signori hanno dormito bene?»
Kiminobu, che per abitudine aveva subito indossato gli occhiali, arrossì abbondantemente. Ma a Mitsui il tono sarcastico dell’amico diede solo fastidio.
«Che accidenti vuoi, Kosh?»
«Ma siete impazziti?» gridò Koshino. «Capisco che tu abbia la segatura nel cervello, ma voi! Altezza!»
Mitsui si tirò a sedere, indispettito. «Ehi, ma tu come facevi a sapere che…»
Hiroaki arrossì appena.
«Ci hai spiati?»
«Ti stavo cercando, pezzo d’idiota, ti stavo cercando per… maledizione, per consolarti! Ma vedo che ci hai già pensato da solo! E va bene, d’accordo, va bene, fate quel che volete… ma potevate almeno chiudere quella stramaledetta porta!»
Kiminobu avvampò. «Non… ci abbiamo pensato.»
«Me ne sono accorto! E se non fossi passato io, ma vostro padre?»
«Senti, è inutile che tu ci faccia la ramanzina» disse Mitsui. «È andata così. Che altro vuoi?»
Hiroaki si costrinse a moderare il tono. La rabbia non l’avrebbe portato da nessuna parte. «Sapere cosa avete in mente. Non credo che vorrete ancora sposare Akira Sendo, dico bene, Altezza?»
«Dici bene» ammise il principe, con calma.
«Allora?»
«Dobbiamo farlo scappare» disse Mitsui.
«D’accordo, ma come? E quando?»
«Questo è il problema» sospirò Kiminobu, abbandonandosi sul cuscino.
Hiroaki strinse il pugno, con decisione. «A quando la partenza?»
«Oggi pomeriggio, dopo la nona.»
«Perché dopo la nona?»
«La tradizione del Ryonan vuole che i matrimoni si celebrino al tramonto, prima… prima che vengano consumati. Vis non è lontana, in un giorno di viaggio saremo lì, e poi…» Inspirò. «E poi agli dèi» aggiunse sottovoce.
«Tu non ci sarai» disse Mitsui, passandogli protettivamente un braccio intorno alle spalle. «Per allora saremo già lontani, Kiminobu…» Senza curarsi di Hiroaki, chinò il capo e lo baciò sulle labbra, per un istante.
«Rivestitevi» borbottò Hiroaki, guadagnando la porta. «Io resto qui davanti, casomai a qualcuno venisse voglia di curiosare.» Si richiuse la porta alle spalle prima di ricevere risposta.

Akira Sendo… Le notizie che il vento portava sul suo conto erano poco lusinghiere. Parlavano di un giovane privo di pudore e morale, avvezzo a prendersi ciò che gli piaceva, ignaro di rispetto e premura. Incapace di amare.
Hiroaki poteva sembrare scostante o freddo, a volte persino malvagio. Ma se c’era una persona per la quale era sempre stato disposto a dare la vita, la sua nuova vita, quella era Kiminobu. E non solo perché l’aveva salvato una volta… un capriccio da nobile, due giovani età che l’avevano mosso a compassione, niente di più.
Hiro gli doveva molto più di questo: gli doveva cinque anni di gesti affabili, sguardi gentili, sorrisi gratuiti. Gli doveva la dolcezza e la bontà che egli stesso non avrebbe saputo mai tirar fuori, perché non le possedeva.
Kiminobu era la persona migliore che avesse mai calpestato suolo umano, e non meritava altro che fiori lungo il suo cammino.
Koshino non sapeva se Mitsui avrebbe sparso fiori sempiterni o denti di leone che morivano al primo soffio di vento. Ma Akira Sendo e le sue erbe velenose dovevano stargli lontano.
Era disposto a lottare per questo. A rischiare. A mettere in gioco tutto ciò che aveva.
E l’avrebbe fatto.

«Ci sono.»
«Hai pensato a qualcosa?»
«Sì. Statemi a sentire.» Il campo d’addestramento era tutto un clangore di armi che cozzavano, ansimi, brevi grida e incitamenti. Il posto perfetto per chi volesse parlare a bassa voce senza timore di essere spiato.
Koshino alzò gli occhi su Mitsui, che si era soffermato a guardarli. Gli fece cenno di restare dov’era.
Il capitano doveva occuparsi delle sue reclute. Anche il vice-capitano doveva, in realtà, ma Hiroaki doveva esporre al principe la sua idea, e sarebbe passato maggiormente inosservato.
Per fortuna, era abitudine comune per il principe soffermarsi e assistere agli allenamenti.
Piantò la spada sul terreno e si accoccolò sui talloni. Kiminobu stava seduto su un grosso ceppo di legno, un libro tra le mani, ma solo perché non lo si era mai visto girare senza.
«L’idea è questa» spiegò, sbrigativo. «Avete detto che il re e la regina non presenzieranno, giusto?»
Kiminobu annuì. Solitamente, quando il re aveva necessità di lasciare lo Shohoku, era lui a sostituirlo. Ma in quel caso, non ci sarebbe stato nessuno in grado di prendere il suo posto, e lo Shohoku aveva troppi problemi per permettersi di perdere il suo regnante… sia pure per un giorno solo.
«E voi non siete mai stato in Ryonan. È corretto?»
«Corretto.»
«E neppure avete mai voluto che vi ritraessero, dunque non esistono vostre effigi in circolazione, è esatto?»
«Esatto, Hiroaki. Dove vuoi arrivare?»
«Ci sono, mio signore. Faremo uno scambio.»
«Uno… e con chi vuoi sostituirmi, Hiro?»
Il vice-capitano delle guardie si sollevò in piedi. «Alzatevi. L’altezza è la stessa, ed è la cosa più importante. I capelli e gli occhi sono diversi, ma non hanno grande importanza. La vostra coda… è uso reciderla prima del matrimonio, non è così?»
«Ma tu sei molto più muscoloso di me…»
«L’inganno deve durare soltanto poche ore, Altezza. Prima che si accorgano di essere stati giocati, sarò già fuggito via.» Si lasciò scappare un flebile sorriso. «O credete che voglia restare sposato ad Akira Sendo?»
Kiminobu scosse la testa, accigliato. «È un piano ingegnoso, ma ci sono troppi rischi… E poi dal matrimonio al talamo non ci sono tappe intermedie. Come farai a fuggire prima di… di…» Sbarrò gli occhi, notando la sua espressione. «Non dirmi che hai pensato anche a questo, Hiro, non dirmelo.»
Il sorriso di Hiroaki si deformò in una smorfia amara. «Sono un soldato, mio signore. Non mi farò mettere sotto tanto facilmente.»
«No.» Kiminobu scosse il capo, con decisione. «Questo no, Hiro. Non te lo concedo. No!»
«Mio signore, il piano non è perfetto, ma è il migliore che abbiamo, e se voi lo bocciate… l’alternativa è il matrimonio. Decidete.»
Gli parve che il campo fosse scomparso, risucchiato nell’incredibile tristezza degli occhi di Kiminobu.
Si stava chiedendo quanto male avrebbe dovuto procurare (a lui, ai suoi genitori, a chissà quanti altri) per avere un po’ di bene per sé. Kiminobu non era mai stato egoista, e desiderare per sé a scapito degli altri lo spaventava, enormemente.
«Non voglio che tu debba soffrire, Hiro…»
«Soffrirei di più sapendovi sposato a Sendo. Credetemi.» Inspirò. Estrasse la spada dal terreno, ne lucidò la punta con un fazzoletto che portava sempre infilato nella cintura, poi raggiunse Mitsui che si stava allenando con una recluta.
«Capitano, il principe chiede di voi.»
«Subito. Continuate.»
La recluta scrutò Koshino con aria timorosa. A occhio e croce non sembrava granché, ma l’apparenza poteva ingannare. In ogni caso, quella mattina Koshino non si sentiva propenso a fargli sconti. «Il tuo nome, cadetto» ordinò.
«Ya… Yasuda, signore.»
E se avessi davanti Akira Sendo?
«Bene, Yasuda. Io farò sul serio. Se non ti senti pronto, torna al fantoccio ed esercitati nell’attacco. Allora?»
«Ah… i-io… credo… che… vorrei esercitarmi ancora un po’… s-signore. Se non vi dispiace.»
Koshino scosse la testa. «Vai.»
Aveva un’aria così truce?

Avrebbero dovuto comportarsi normalmente, quel giorno, ma non ci riuscirono. Le mani di Kiminobu tremarono continuamente, mentre vergava righe d’inchiostro sbilenco, mentre rileggeva a vuoto la stessa riga, mentre portava cucchiaiate prive di sapore alle labbra.
Mitsui si chiuse in un silenzio ostinato. Fu possibile strappargli solo qualche grugnito di approvazione o disapprovazione, e scarsi monosillabi. Il che, per un individuo solitamente allegro come lui, era un cambiamento radicale.
Quanto a Koshino, il vice-capitano badò bene di sfiancarsi nella scherma per tutta la mattina. Batté tutte le reclute e gli effettivi che accettarono di sfidarlo, parecchi, e alla fine dovette constatare che la sua spada aveva bisogno di essere affilata di nuovo.
Si rilassò con un bagno caldo e passò il resto del tempo, dalla sesta alla nona circa, ciondolando nello studio con Kiminobu.
«Kiminobu» mormorò Mitsui, entrando nella stanza. «Devi prepararti. I servi… ti aspettano nella tua stanza.»
Il principe si alzò. «Va bene. Andate a prepararvi anche voi.» Raggiunse Mitsui, lo strinse in un bacio languido e poi scivolò fuori dalla stanza.
Il pallore sul viso di Mitsui non gli era abituale. «Andrà tutto bene» disse Koshino, elargendogli una pacca sulla spalla.
«E se non fosse così?»
«Andrà bene. Il piano è mio» disse Koshino. «Andiamo, capitano.»
Probabilmente i suoi amici non avrebbero avuto altrettanta fiducia in lui, se si fosse dimostrato nervoso, spaventato, inquieto. Come davvero si sentiva.
Il capitano e il vice-capitano indossarono l’alta uniforme e si presentarono nel cortile del castello, in attesa. Quanto a Kiminobu, quando Mitsui lo vide parve in procinto di svenire.
Non c’erano altre parole per definirlo. Era bellissimo.
Fasciato nell’abito bianco da cerimonia donatogli tre anni prima dal principe Maki di Kainan, un abito ampio e morbido che gli ricadeva sul corpo in larghe volute, a una prima occhiata sarebbe potuto sembrare un candido fagotto informe. Ma in realtà la stoffa aderiva al suo corpo più di quanto fosse possibile – era una magia? – accentuando l’offerta di tutto ciò che avrebbe dovuto dissimulare (la vita stretta, le gambe snelle, le natiche perfettamente modellate).
Non visto, Hiroaki piantò un gomito nelle costole del suo capitano e amico.
Mitsui si riscosse bruscamente, si fece avanti e strappò dalle mani del servo il mantello candido, bordato di pelliccia. Giungendo alle spalle di Kiminobu, glielo drappeggiò morbidamente addosso. «Copritevi, mio signore. Qui fuori è un gelo» disse a voce alta, e poi sottovoce: «Sei uno splendore, amore mio».
Solo allora, quando Kiminobu si mosse per lasciarsi sistemare sulle spalle il mantello, Hiroaki si rese conto che il principe stringeva nella mano il suo lunghissimo codino castano, ormai reciso, ma ancora trattenuto dai nastri.
Kiminobu superò tutti quanti e in silenzio raggiunse il piccolo altare di pietra posto di fronte ai cancelli. Il vento ululava. Posò la coda sul basamento, s’inginocchiò sul cuscino candido disposto ai suoi piedi. Raccolse la fiaccola sacra che ardeva lì accanto. Per un istante parve che il vento si ritirasse, per permettergli di portare a compimento il sacrificio. Kiminobu inclinò leggermente la fiaccola, e il fuoco divorò in un istante l’intera coda, spargendo nell’aria un odore intenso di bruciato.
Con devozione, Kiminobu mormorò la sua preghiera e si rialzò.
«Possiamo andare» disse, senza guardare nessuno.
Sembrava trasfigurato.

Il piano, nella sua semplicità, aveva tenuto conto di tutto ciò che era possibile prevedere. Tempi, luoghi e persone. Hiroaki vi aveva pensato per un’ora, meditando pro e contro.
Il loro arrivo in Ryonan avrebbe seguito un rituale preciso che non poteva essere cambiato, perché la tradizione è tradizione e nessuno teneva alle tradizioni più del Ryonan.
La portantina che recava il principe Kiminobu sarebbe stata depositata nell’anticamera della sala delle cerimonie del castello. I servi che l’avevano trasportata si sarebbero ritirati. Il principe Sendo, a quel punto, avrebbe dischiuso le tende che nascondevano il suo sposo alla vista e l’avrebbe condotto con sé nella sala, dove il re Jun avrebbe celebrato il matrimonio alla presenza dei dignitari di corte e dei rappresentanti dello Shohoku – Mitsui e Koshino, in questo caso.
Ma Mitsui e Koshino si sarebbero dileguati prima dell’inizio della cerimonia.
Per il viaggio, Hiroaki si era intabarrato in una pesante sciarpa di lana; inoltre, cosa insolita, aveva calcato sulla testa un cappello a tesa larga, molto elegante, con una lunga piuma nera cucita all’interno del nastro. La causa era stata un improvviso abbassamento di voce.
Mitsui, da bravo attore, aveva finto di prenderlo in giro, dicendogli che così combinato poteva passare per un bandito. Facendo esclusione per l’alta uniforme e la spada pregevolissima che portava al fianco, naturalmente.
I portantini si alternarono nel compito di sorreggere la lettiga del principe per tutto il viaggio. Era una costruzione molto pesante, di legno massiccio, ornata di sete preziose ricamate d’oro: un regalo personale del principe Kenji Fujima di Shoyo, il regno d’Oriente, rinomato per le stoffe e l’artigianato.
Al tramonto Mitsui diede l’ordine di preparare l’accampamento e l’intero gruppo si fermò. Fu l’unico momento in cui Kiminobu poté lasciare la sua bella lettiga, la sua prigione, e mangiare insieme agli altri.
Ma neppure le sciocchezze che Mitsui sfornava per farlo ridere riuscirono a smuoverlo dalla sua malinconia.
Al momento di coricarsi, Kiminobu disse, a voce alta: «Hisashi… seguimi un istante. Devo parlarti».
Il capitano lo seguì nella portantina, ma Hiroaki dubitava che avrebbero parlato molto. Mitsui ne uscì dopo poco tempo e si sedette con lui accanto al fuoco.
Quella notte, nessuno dei tre avrebbe dormito.
Il giorno seguente passò nell’inerzia: nessun fatto saliente turbò lo scorrere tranquillo del viaggio. Abbandonate le colline e le valli dello Shohoku, si aprivano dinanzi a loro le fertili pianure del Ryonan, mai sfiorate da un alito di neve e perciò nude, del loro colore naturale, il verde gioioso dell’erba.
Il giorno passò e venne il tramonto, e fu allora che Hiroaki si accostò al suo capitano.
«Mitsui, è il momento» sussurrò nella sciarpa. I tetti della capitale e le torri alte del castello erano ormai prossimi.
Il capitano annuì. Stringeva le redini così forte da far credere che volesse spezzarle. Alzò il braccio, comunicando al gruppo di fermarsi.
La mano bianca di Kiminobu fece capolino tra le tende bordate d’oro.
Hiroaki accostò il cavallo, fece finta di ascoltare e annuì. Poi fece cenno ai servi di mettere giù la portantina.
Entrò nella prigione di cuscini che aveva rinchiuso il principe per tutto il viaggio.
«Hiro… Hiro, non so se stiamo facendo la cosa giusta» sussurrò Kiminobu, torcendosi le mani.
Ma Hiroaki si era già tolto cappello e sciarpa, e aveva iniziato a slacciare il mantello. «Mio signore, questa è la cosa più giusta che potete fare. Sbrigatevi o si insospettiranno.»
«E se qualcosa va storto? Hiro, io… dèi, tu rischi la vita!»
«E sono pronto a perderla, se è il caso» ribatté Hiroaki, porgendogli il corsetto e la camicia che si era sfilati di dosso. Ma le mani di Kiminobu tremavano convulsamente. Senza chiedere il permesso, Hiroaki infilò le dita gelide nel colletto del suo abito e iniziò a slacciarlo. «Niente ripensamenti, mio signore. Non ve li permetto. Siate egoista, per una volta.»
«Non… non ci riesco!»
«È la cosa più facile del mondo. Pensate a quell’idiota di cui vi siete innamorato e sarà tutto facile. Pensate che l’avrete tutto per voi… Ma non fatemi dire altro, mi sento male già al pensiero, uh?»
Kiminobu ridacchiò, tra le lacrime. «Andrà tutto bene, Hiroaki? Me lo prometti?»
«Andrà tutto bene.» Si sfilò i calzoni e glieli porse, facendosi dare i suoi. «Ricordatevi che io raramente guardo in faccia, quando parlo. E che parlo poco. Anzi, non parlate proprio, ufficialmente il mal di gola mi ha tolto la voce.»
Lo scambio era completo, adesso. Hiroaki raccolse la sciarpa e gliela fece correre due volte intorno alla bocca, ficcandone i lembi all’interno del mantello. Poi gli calcò il cappello sulla testa.
«Andrà tutto bene» ripeté. «Andate.»
Kiminobu lo abbracciò. «Gli dèi ti ricompensino, amico mio… per questo sacrificio.»
«Sempre al vostro servizio» sussurrò Hiroaki, tergendosi una lacrima solitaria dall’orlo delle ciglia. «Andate, presto.»
Rimasto solo nella lettiga buia, contò i secondi. Kiminobu giù dalla portantina… raggiunge il cavallo… piede nella staffa… gamba al di là della sella… in sella… stringe le redini… dèi, siate clementi…
«Ripartiamo!» La voce di Mitsui suonò carica di nuova forza. La prima parte, almeno per il momento, sembrava conclusa con successo.
Ma niente era detto. Hiroaki si distese tra i cuscini della portantina leggermente instabile, strofinandosi forte la faccia con le mani. Niente era detto. «Andrà tutto bene» ripeté a se stesso.
Aveva indotto due persone a credere a quel mantra. Ma lui stesso… lui stesso, vi credeva?

Il Ryonan, il regno d’Occidente, era il più ricco e il più fertile dei Quattro. Lo Shohoku il più povero. Ciò nonostante, un’unione tra i due sarebbe risultata vantaggiosa per entrambi. Lo Shohoku ne avrebbe ricevuto maggiori capitali e modernizzazione. Il Ryonan avrebbe guadagnato i giacimenti di zolfo e rame dello Shohoku, poco sfruttati in mancanza di grandi mezzi d’estrazione, e uno sbocco sul mare, con il quale avrebbe potuto contendere allo Shoyo la supremazia sul golfo di Kanagawa.
Takenori Kogure aveva anelato a questa unione per anni, e adesso, con Kiminobu, era divenuta possibile. Il tradimento di Ayako gli si era marchiato a fuoco nel cuore. Ma Kiminobu non sarebbe stato così impudente. Aveva domandato soltanto che gli lasciassero proseguire i suoi studi di botanica.
Gli aveva risposto che nessuno avrebbe avuto interesse ad ostacolarlo, e aveva aggiunto che il Ryonan era ricco di varietà di piante che lo Shohoku non aveva mai visto.
Gli occhi di Kiminobu si erano leggermente illuminati, a questo pensiero.
Sì, pensò lord Takenori, rilassandosi sul suo alto scranno e ricreando nella mente l’immagine del figlio lontano, di certo ormai giunto a destinazione. Il suo sogno si era avverato.

Rinchiuso nella portantina dalla quale non poteva uscire, Hiroaki meditava come il cuore fosse la macchina più dolorosa e imperfetta di tutto il corpo umano.
Le aveva imposto di calmarsi, di tenere un ritmo lento e controllato: come al solito, insomma. E quella non aveva ascoltato, anzi. Aveva accelerato i suoi battiti sino a raggiungere una frequenza assordante. Il sangue gli rombava nel petto e nelle tempie, stordendolo. Se stringeva le mani insieme, lo sentiva persino sulle punte delle dita.
Chiuse gli occhi, imponendosi una calma artificiale ma credibile. Tra pochi istanti il principe Sendo sarebbe venuto a prenderlo, e poi… e poi agli dèi, come diceva sempre Kiminobu.
«Mio sposo? Vi siete addormentato?»
La voce maschile e beffarda lo colpì prima ancora della luce delle torce, finalmente penetrata nel cerchio di tende della portantina. Una mano grande, dalle dita affusolate, era tesa verso di lui.
Alzò gli occhi. Uno degli uomini più belli che avessero mai calcato suolo mortale lo guardava con un misto di arroganza e noia, il viso perfetto, chiaro, dall’ovale ben disegnato, leggermente inclinato nella sua direzione. Occhi neri, profondi e frivoli, lo studiavano con aria di divertimento. In fondo al pozzo delle pupille, però, baluginava una lieve apprensione, ben mascherata.
I capelli neri, corti come si usava in Ryonan, svettavano verso l’alto in piccole ciocche accuratamente modellate.
«No, vedo che siete ben sveglio» riprese Akira Sendo, lasciando che il suo sorriso si allargasse leggermente. «E siete bello come mi avevano detto, principe Kiminobu.»
Hiroaki avvampò, inaspettatamente, al primo complimento che avesse mai ricevuto sul proprio aspetto. Si impose di rimuovere, immediatamente, qualsiasi sensazione comunicatagli da quelle parole. Posò la mano sulla sua e si lasciò guidare fuori dalla portantina.
«Devono avervi informato male, allora» disse piano, «perché io non sono affatto bello.»
«E modesto. Mi avevano detto anche questo.» Passò una mano tra i capelli corvini di Hiro, accostandovi il viso. «Avete dei capelli meravigliosi, mio…»
Hiroaki gli afferrò la mano e la scostò, in preda a un brivido. «Non siamo ancora sposati» borbottò.
«A questo rimedieremo subito, piccolo ritroso. Volete seguirmi?»
No, pensò Hiroaki, facendo stridere i denti gli uni sugli altri. No! Ma chinò il capo con quanta più grazia riuscì a racimolare, e posando la mano sinistra sul dorso della destra di Sendo, fece con lui il suo ingresso nella sala delle cerimonie.

La sala straripava di astanti, e Hiroaki non odiava niente più delle folle. Quando, al loro passaggio, le due ali di spettatori presero ad inchinarsi, come due servili maree umane, gli parve che l’aria sollevata dallo svolazzare dei loro abiti congelasse il suo respiro.
«Non siate teso, sposo mio» sussurrò Akira contro il suo collo, il tono eternamente beffardo. «So che non vi piacciono le cerimonie, ma tutta questa gente è qui per voi. Non sorridete loro?»
«Vi siete informato bene. E quante altre cose sapete di me?» sibilò Hiroaki.
«Parecchie, mio splendido consorte. Ad esempio, che portate gli occhiali… ma sul vostro bel naso non ne vedo.»
Hiroaki si morse la lingua. «Non sono così cieco da non poterne fare a meno.»
«Non sarà forse che vi infastidisce vedere tutto questo?»
Inspirò. «Anche.»
«Peccato,» concluse Sendo, assestandogli un morsetto leggero dietro l’orecchio, che lo fece sussultare, «perché dovrete abituarvici. Io adoro le feste.»
La camminata interminabile era giunta alla fine, grazie agli dèi. In preda a un tremore leggero, Hiroaki fissò gli occhi in quelli castani di Jun Sendo di Ryonan.
L’uomo era un gigante, più alto anche del figlio, che pure superava Hiro di tutta la testa, ma non sembrava malvagio, né sadico come il suo erede. La regina, invece, seduta al suo fianco, aveva negli occhi e nella posa delle labbra la stessa espressione del giovane Sendo: fredda, ironica, sprezzante. Era una donna bellissima, dall’incarnato pallido e i capelli lunghi e corvini raccolti in uno stretto fermaglio alla sommità della testa. Ma sembrava più fredda della neve che ricopriva le loro colline.
Il re si alzò dallo scranno e si avvicinò loro. Guardò il principe con una luce di inconfondibile orgoglio negli occhi, poi spostò lo sguardo su di lui. E sorrise, leggermente.
«Siamo qui riuniti per testimoniare allo scambio delle promesse nuziali tra questi due giovani. Le loro promesse sono di amore, rispetto, fedeltà. Le loro promesse sono eterne e non potranno essere sciolte in alcun modo.»
Eterne… in alcun modo… A Hiroaki iniziò a girare leggermente la testa. Fuggire. Voleva soltanto fuggire via.
La regina scese con grazia dal suo scranno, recando un cuscino di velluto blu sul quale riposavano due anelli d’oro purissimo e bianco.
«Akira Sendo, figlio di Jun e Yuriko Sendo, sei consapevole di ciò che stai per promettere?»
La voce di Akira suonò ironica come sempre. «Naturalmente.»
«Kiminobu Kogure, figlio di Takenori e Haruko Kogure, sei consapevole di ciò che stai per promettere?»
Hiro si fece forza. Era solo un’insignificante parola. «Sì.»
«Da questo momento, tutto ciò che sarà detto avrà valore indissolubile per gli uomini, e solo gli dèi potranno porre veto. Se qualcuno è a conoscenza di qualche ragione per la quale questi due giovani non dovrebbero unirsi in matrimonio, parli ora o taccia per sempre.»
Hiroaki chiuse gli occhi, lentamente. Implorò gli dèi – tutti gli dèi, del cielo, della terra, degli inferi – che non si levasse alcuna voce… che nessuno osasse parlare per smascherarlo. Era la prima volta, da quando Kiminobu gli aveva ridato la vita, che provava veramente paura.
Il silenzio assoluto della sala gli restituì la facoltà di respirare.
«Mi dispiace per voi» sussurrò Sendo al suo orecchio. «Nessuno ha niente da ridire.»
Hiroaki costrinse le labbra a un sorriso parimenti beffardo. «È un sollievo, principe» sibilò.
«Akira, giuri di amare e rispettare il tuo sposo per tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?»
Sendo si voltò verso di lui, prendendo la prima fede dal cuscino. «Lo giuro.» Lasciò scivolare l’anello al dito di Hiroaki.
«Kiminobu, giuri di amare e rispettare il tuo sposo per tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?»
Fuggirò. Devo solo avere pazienza. Perché questa tortura finisca… finirà, oh sì, finirà, finirà presto…
«Kiminobu?»
Prese la fede rimasta e la mise al dito di Akira Sendo. «Lo giuro» disse, con decisione.
«Le promesse sono state pronunciate. Io vi dichiaro sposi, Akira Sendo e Kiminobu Kogure Sendo di Ryonan.» Il re sorrise al figlio. «Puoi baciare lo sposo.»
Non c’era un velo tra i capelli di Hiroaki che potesse essere spostato, ma non aveva importanza. Il momento parve dilatarsi all’infinito. Hiro vide il viso di Akira imporporarsi leggermente, e strano, pensò, non si sarebbe mai aspettato che fosse capace di arrossire.
Le dita della mano destra di Sendo si intrufolarono tra i suoi capelli, quelle della sinistra gli si posarono sulla nuca. Hiroaki chiuse gli occhi e, completamente immobile, le braccia rigide lungo i fianchi, si lasciò baciare.
All’inizio fu uno sfiorarsi tenue. Le labbra di Sendo, gentili come il loro padrone non era, gli domandavano delicatamente permesso. Hiroaki non voleva, davvero non voleva lasciar loro spazio, ma si trovò a dischiudere leggermente le sue. Non aveva voluto, e allora perché…?
La sinistra di Sendo scivolò lungo il suo corpo, procurandogli un brivido, e andò a catturare la sua mano destra, stretta a pugno. Ne dischiuse le dita, poi la prese e se la posò sulla spalla.
Le sue labbra si erano fatte più audaci… troppo. Hiroaki dischiuse loro le proprie e sentì un’umida intrusa sfiorargli la lingua, vezzeggiarla, giocarci in un intrico di spirali calde e continue. Si ritrovò a stringere con la mano la base del collo di Sendo. Osò portare le dita su, tra i suoi capelli corti, ad accarezzarli.
Doveva essere impazzito… ma già che c’era poteva continuare a fare il pazzo ancora per un po’… solo per un po’…
E poi Sendo rovinò tutto, lo strinse con una brutalità improvvisa che gli mozzò il fiato, e spinse la lingua della sua bocca in modo così violento che gli procurò un moto di soffocamento. Si ritrasse, piantandogli le mani nel petto e scostandolo di forza.
Il viso di Akira Sendo era rosso per l’eccitazione. Il principe ansimava leggermente. «Però,» sussurrò, sfoderando l’ennesimo sorriso, «forte… il nostro studioso di botanica.»
«Alcune piante uccidono, Akira Sendo» sibilò, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

Akira riprese la sua mano – l’afferrò, più che altro, perché Hiroaki non aveva intenzione di lasciarsi toccare ancora – e ripercorse con lui a ritroso la strada fino alle porte della sala.
Alle sue spalle Hiroaki avvertiva i passi del re e della regina. La tradizione voleva che gli sposi fossero accompagnati fino al talamo nuziale, ma di fronte alle porte spalancate Sendo si fermò. E alzò la mano destra, indice e medio uniti, in un gesto di cui Hiroaki non comprese il senso.
«Un po’ di intimità, vi prego» disse a voce alta. «Questa parte del rituale si può anche omettere.»
Sentì alle sue spalle un coro di mormorii concitati. La tradizione in Ryonan era sacra. Per quale ragione il principe voleva omettere una parte del rituale?
«Il mio sposo non condivide le nostre usanze. Non spaventiamolo» disse Sendo, affabile.
Dopo un istante, il re assentì. «È giusto. Che vadano soli. Ritiratevi.»
Mentre Sendo lo conduceva attraverso i corridoi pieni di luce rossa, la luce del tramonto, Hiroaki mormorò: «Non l’avete fatto certo per me».
«No» ammise Sendo, alzando le spalle. «Volevo un po’ più di intimità. Non siete contento?»
Hiroaki trattenne un sospiro tra i denti. «Lasciate la mia mano.»
«Per quale motivo?»
«Non mi piace che la stringiate.»
Akira Sendo si fermò, spingendolo con poca delicatezza contro la porta vicina. «Tra poco stringerò, bacerò e morderò tutto ciò che mi piacerà, piccolo sposo riluttante. Che vi piaccia o no, adesso voi siete mio, e mi dovete obbedire.»
«Io obbedisco solo a me stesso» ringhiò Hiroaki.
«Questa, Kiminobu Kogure, è la tua personalissima opinione.»
Abbassò con la mano la maniglia della porta, e Hiroaki barcollò, privo di appoggio, ma non perse l’equilibrio.
Akira Sendo richiuse la porta in tutta tranquillità, diede due scatti alla serratura e poi fece scivolare la chiave sotto la fessura della porta. «Non vorrei che la paura della prima notte potesse farti venire cattivi pensieri, sposo mio. Nessuno è mai fuggito da me, ma c’è sempre una prima volta.»
Hiroaki inspirò ed espirò, rapidamente. Non sapeva cosa fare. Era con le spalle al muro.
Si era detto pronto anche a questo, aveva pianificato tutto con cura, aveva accettato il probabilissimo rischio cui sarebbe andato incontro. Ma adesso aveva solo paura. Quell’essere ripugnante… non si sarebbe fatto scrupoli a prendersi il suo corpo. Non se ne sarebbe fatto alcuno.
«Ora, mio sposo, hai due possibilità» disse Akira, sfilandosi l’elegante giacca nera e gettandola sul divanetto vicino. «Io sono deciso a fare di questo matrimonio un matrimonio a tutti gli effetti, dunque o accetti il fatto che stanotte, e tutte le altre volte che vorrò, io ti farò mio, e di conseguenza collabori, oppure non risponderò della tua incolumità.» Aprì i polsini della camicia e i primi bottoni sul torace. «Decidi con calma. Non c’è fretta… ancora.»
Ciò detto, si avvicinò al letto dalla sua parte, e prese uno dei due calici posati sul comodino. Lo riempì con un liquido aranciato, contenuto di una bottiglia immersa in un secchiello di ghiaccio lì accanto.
Girando intorno al letto, posò il calice sull’altro comodino. «Nel caso decidessi di accettare, quello ti risolverà tanti problemi.»
«Cos’è?» chiese Hiroaki, incrociando le braccia al petto.
«Un piccolo aiuto per gli amanti ritrosi come te.»
«Mi vuoi drogare?»
«Che gusto ci sarebbe? No, serve solo per… riscaldarti un po’.»
Hiroaki si strinse nelle spalle, tremando per il nervosismo. Quell’uomo gli faceva schifo. Intensamente, profondamente schifo.
Eppure, prima…
Era stata una debolezza. Aveva ceduto al suo bell’aspetto e alle lusinghe delle sue labbra.
Ha delle labbra meravigliose…
Era una serpe. Una viscida serpe, voleva solo violentarlo e nient’altro.
Potrebbe essere un amante gentile…
Hiroaki non voleva scoprirlo. Non voleva dividere il letto con lui, voleva solo… fuggire. Subito.
Hai scelta?
Non ne aveva.
Hai avuto la tua scelta…
Era stato lui a pianificare tutto, lui a decidere, lui a stabilire come, quanto e cosa. Come agire, quanto perdere, cosa immolare. Era stata una sua scelta. Si era detto che, se non avesse avuto alternative, sarebbe stato disposto anche a perdere la dignità, per Kiminobu. Se l’era detto e giurato. E ora, ora che si era reso conto che alternative non ce n’erano…?
Raggiunse il bordo del letto, senza guardarlo. Prese il calice e lo vuotò con una sola sorsata. Il sapore era dolce, di fragola.
«Sei intelligente come mi avevano detto…» sussurrò Akira Sendo, baciandogli il collo.
«Che cos’ho bevuto?»
«Un leggero afrodisiaco… non tanto leggero, in verità. Ma non è una droga e ti farà solo bene… mmm?» Gli accarezzò i capelli corti sulla nuca con la punta del naso. La pelle di Hiroaki si sollevò in preda a un brivido.
«Rilassati, piccola belva… te ne do ancora un po’.»
«Non ne voglio.»
«Sì che ne vuoi.» Riempì il calice e tornò a porgerglielo, inginocchiandosi sulle coltri morbide del letto nuziale.
«Non sarebbe meglio se tu ti voltassi?» soffiò al suo orecchio.
Hiro si impose di controllarsi. Quel fiato caldo nel collo lo stava facendo impazzire. Riprese a sorseggiare, cautamente. «Tu non bevi?»
«Per riscaldarmi? Io sono già abbastanza caldo…»
«Allora devo credere che mi stai avvelenando?» ribatté Hiroaki, voltando il capo per guardarlo.
Akira Sendo rise dolcemente. «E sia… ma è l’ultimo capriccio in cui ti accontento, Kiminobu Kogure.» Riempì anche il proprio calice e si accostò a Hiroaki. «Adesso voltati. Non mi fare aspettare.»
Hiroaki si girò in modo da guardarlo in faccia. Quella roba doveva essere davvero potente… cominciava ad avvertire strani brividi sotto pelle, e i margini del suo campo visivo andavano sfocandosi.
«C’era alcool, vero?» mormorò, sbattendo le palpebre.
Akira Sendo vuotò il suo calice e se lo gettò alle spalle. Il vetro si schiantò contro il pavimento e andò in mille pezzi che nessuno dei due vide cadere. Senza una parola lo spinse contro i cuscini e lo baciò.
La sua bocca sapeva di fragola e di urgenza. Abbracciandolo, Hiro ricordò di avere ancora in mano il suo calice, pieno per metà. Scostò Akira, mandò giù il restante e gettò il bicchiere lontano. Un nuovo, fragile schianto li avvertì che anche quello era andato perduto.
«Hai le idee più chiare, adesso?» mugolò Sendo, mordicchiandogli un lobo arrossato dal suo infierire.
Hiroaki l’avrebbe strozzato, per il suo tono sprezzante, ma in quel momento aveva bisogno di lui. Quell’afrodisiaco forse non era una droga, ma le sensazioni… dèi, quello struggimento che sentiva era pari all’astinenza più feroce. Senza voler pensare, si avventò sul suo collo e prese a baciarne la pelle candida. Con una spinta del bacino – brutta, brutta scelta – lo rivoltò sulla schiena e trasformò i baci in morsi tutt’altro che amorevoli. Se Akira Sendo pensava di essersi portato a letto un dolce, timido studioso di piante…
Scostò la camicia per attaccare un piccolo capezzolo puntuto che implorava attenzioni tra la stoffa bianca. Le mani di Akira Sendo vagavano per la sua schiena, sotto il corsetto dell’abito da cerimonia. Una si intrufolò più giù. Hiroaki ebbe un sussulto.
«Non hai niente, sotto…» sussurrò Akira Sendo, meravigliato. «Chi l’avrebbe mai detto… sei un piccolo perverso…»
Hiroaki avvampò. D’accordo, aveva trascurato un dettaglio, ma non era colpa sua se i nobili e le altezze reali avevano la fissazione di coprirsi con cento veli! Non era certo un signore, lui!
«Che hai da ridire?» ribatté, colorandosi di rosso fino alle orecchie.
Akira lo rivoltò sul letto. «Assolutamente niente, mio caro… Non sono un tipo che si formalizza… anzi… visto che senti caldo…» Gli slacciò con impeto il corsetto candido dell’abito, quello stesso che Hiroaki aveva slacciato a Kiminobu per indossarlo al suo posto. Si torse per permettergli di sfilarglielo di dosso, una manica prima, poi l’altra, e rimase a torso nudo sotto di lui.
Le bocca di Akira Sendo era meravigliosa, sì. Quando non la impiegava per parlare, quando non la sporcava con il veleno delle sue parole, quella bocca era il paradiso. Come in quel momento.
Accettato che avrebbe fatto l’amore con lui, Hiroaki aveva sperato di riuscire a conservare almeno un briciolo di dignità… solo un briciolo, quel tanto che sarebbe potuto servirgli, dopo, per dire a se stesso che era stata tutta colpa di Sendo e del suo afrodisiaco maledetto.
Invece si ritrovò a pregarlo.
«Maledizione, Sendo… mi stai facendo morire…»
Akira si strusciava contro di lui da un’eternità, ma non accennava a voler finire di spogliarlo. «Qualcosa non va, caro?»
«Sendo…»
«Sì…?»
«Sbrigati, dannazione!»
«Ma come siamo volgari…» ridacchiò Akira Sendo, infilando le dita dentro i suoi calzoni.
«Sendo…» gemette Hiroaki.
«Sì, chiamami… fammi sentire come hai imparato il mio nome…» mugolò, riprendendo a mordere con violenza un punto particolare del suo collo, quello che gli strappava sempre i lamenti più forti.
«Akiraaahhh…» gridò il vice-capitano delle guardie, straziato dalla doppia carezza, subdola, con la quale l’altro lo stava costringendo a svendere il suo orgoglio. Portò una mano ai calzoni e li aprì, di forza, sentendo la stoffa lacerarsi sotto le dita. «Fai presto…»
«Presto?» ripeté il principe, leccando con voluttà il segno pronunciato che gli aveva lasciato sul collo. «Non ne ho alcuna intenzione…»
Hiroaki si disse che quell’uomo gli avrebbe fatto perdere la ragione.
La discesa della bocca di Akira lungo il suo corpo fu, per Hiroaki, l’agonia di una discesa agli inferi. Lì sotto non poteva esserci che l’inferno: infuocato, straziante e – gemette – governato da un terribile diavolo mascherato da angelo. Si inarcò e gridò come uno spudorato, e sapeva bene che dopo se ne sarebbe vergognato, ma non aveva tempo di pensarci.
«Adesso però facciamo sul serio…» disse Akira, infiniti secondi dopo. Aveva la voce ansante. Si sfilò la camicia, gettandola via, poi liberò entrambi dei vestiti in eccesso, finché non furono completamente nudi su quel letto di cui non avevano neppure scostato le coltri.
«Non ti muovere» ordinò Akira, comando peraltro superfluo, perché se Hiro avesse avuto la facoltà di muoversi, l’unica direzione in cui sarebbe andato sarebbe stata la sua, per avere da lui la soddisfazione che tardava ad arrivare.
Quando vide l’ampollina nelle mani del principe, gli si annebbiò la vista. Ma ormai non si poteva più tirare indietro.
Sentì le dita di Sendo, viscide e calde, raggiungerlo nell’intimità e violarlo senza troppi complimenti. Strinse le lenzuola nelle mani e il labbro inferiore tra i denti, tormentando le une e l’altro con violenza. Sendo non poteva più aspettare, ma il suo corpo non era fatto di pietra e per gli dèi, lo stava lacerando…
Gridò. Per un attimo nella sua mente non ci fu posto che per il dolore. Senza riguardo, senza avvertirlo, senza un minimo di attenzione, Akira Sendo l’aveva… preso.
Così.
Al dolore si mischiò la rabbia.
«Maledetto, non… ah… non potevi fare… più attenzione?» ringhiò.
«Sì, ma avevo fretta» ansimò Sendo al suo orecchio. «L’uomo non è di legno…»
«Questa me la paghi, bastardo!»
«Sta’ zitto.» Gli prese la bocca con la propria, costringendolo al silenzio, e iniziò a muoversi nel suo corpo. Hiroaki spalancò gli occhi. Era terribile. Come avere una lama conficcata nelle viscere. Chiuse le palpebre, serrandole con tutte le sue forze. Aveva ricevuto ferite peggiori. Come quella volta… non ricordava più dove… che quel bandito gli aveva conficcato il pugnale nel fianco, e poi… e poi… l’aveva rigirato due volte, prima di estrarlo… o quella volta, che… l’oste di quella bettola aveva tentato di farlo fuori per derubarlo, e ci aveva rimediato un’altra pugnalata… nella schiena, vicino al polmone…
Aveva la faccia umida, ma il dolore in basso era scemato in un lungo, velato piacere. Aprì gli occhi, sorpreso. Incontrò quelli di Sendo, appena divertiti al di là della maschera di piacere che era il suo viso.
Sendo gli prese la mano e la guidò dove doveva stare, poi gli ordinò, in un sussurro roco: «Toccati».
Hiroaki dischiuse le labbra e obbedì ed era tanto lo strazio del suo corpo, che dopo pochissimo si sentì al limite. Akira si inarcò. L’orgasmo li prese entrambi mentre erano stretti nel bacio più languido e intenso che si fossero mai scambiati.

Hiroaki guardò solo un momento l’amante che si lasciava cadere al suo fianco, spossato. Era così bello…! Solo per questo gli sarebbe dispiaciuto lasciarlo. Chiuse gli occhi, raggomitolandosi sul fianco. Aveva bisogno di dormire. Al resto avrebbe pensato l’indomani.
«Buonanotte… sposo» mormorò Akira Sendo, baciandogli la spalla.
Hiroaki non rispose, neanche lo sentì. Dormiva già.
 


Fiorediloto: Eh? Eh? Eh? ^____^
Hiro: ç_ç Lo sapevo...
Aki: ^_________________________________^
Fiorediloto: Hiruccio della mamma!!! Non sei contento???
Hiro: >.< NO!!! TI ODIO!!!
Fiorediloto: Ma... ma... Akira aveva detto...
Aki (con una faccia buffa): Shhh!!!
Hiro: Cosa aveva detto Akira?
Fiorediloto: Ehm...
Hiro: Parla o nel prossimo capitolo vado in sciopero!!!
Fiorediloto: Pietà!! Devo mangiare anch'io!! Confesso: Akira mi avevi detto che tu avevi tanta tanta voglia di una lemon... ehm... non troppo consenziente...
Hiro: Avevo voglia di COOSAAAAAAAAA????
Akira: No, Hiro... non è come pensi... p-posso... spiegarti tutto... Ahhhh!!! Hiro mi fai maleeeeeee!!!
Fiorediloto (andando a prendere i popcorn): Mi piace l'amore violento!! Gnam... mmmbuoni... Soffio ne vuoi?
Soffio (sistemando la poltrona): Grazie... gnam!
Fiorediloto: ^__^ Chissà che non mi facciano venire qualche idea per il prossimo capitolo... che per inciso si chiama "Akira"!!! Alla prossima gente!!!
Akira: Ahi... grazie per aver... pensato a me... Posso svenire, adesso? ç_ç

  
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