Un giorno qualsiasi
Sono seduta alla mia scrivania
cercando di compilare
un verbale.
Ci provo da dieci minuti in
realtà ma la mia mente non
ne vuole sapere proprio di concentrarsi.
Picchietto la penna contro la tazza
di ceramica
sfogando una piccola parte di ansia.
Un paio di agenti si voltano verso
di me infastiditi,
così mollo la penna e istintivamente la mia gamba comincia a
muoversi
frenetica, battendo il tacco per terra.
Si voltano di nuovo ma questa volta
li ignoro e basta.
Sono nervosa va bene?
Lancio uno sguardo alla mia agenda
chiusa e poi alla
sedia vuota accanto alla scrivania.
Stamattina aveva degli impegni alla
casa editrice
perciò per qualche ora posso essere nervosa e in ansia
quanto mi pare, senza il
bombardamento di domande che mi farebbe se solo mi guardasse in faccia
in
questo momento.
Fermo il piede e respiro a fondo.
Un’altra volta.
Va un po’ meglio.
È assurdo: sono contenta
che non ci sia perché non
voglio che mi veda in questo stato ma d’altro canto so
già che non appena lo
vedrò uscire da quell’ascensore mi
sentirò subito meglio.
Sono la contraddizione fatta
persona, mi prenderei a
pugni se potessi.
I ragazzi vengono verso di me con
un fax in mano. Mi
ricompongo veloce.
“Yo, Beckett, i tabulati
telefonici indicano che Max
Gordon ha chiamato la vittima almeno una ventina di volte ieri
sera!” mi
comunica Esposito.
Ryan annuisce e prosegue
“Quando l’ho interrogato però
ha affermato di conoscerla a malapena e di non avere il suo numero di
telefono”
Mi alzo decisa conoscendo
perfettamente la nostra
prossima mossa “Andiamo a prenderlo!” dico risoluta.
Apro il cassetto della mia
scrivania e afferro fondina
e pistola.
Un bell’arresto mi
aiuterà a tenere la mente occupata.
La mia arma però
è come se pesasse una tonnellata.
Abbasso il volto fissandola e mi
accorgo che mi trema
la mano, esattamente come mi successe mesi fa.
Non va bene, Kate.
Scuoto la testa e mi libero della
pistola, come se
scottasse, abbandonandola sulla scrivania.
I ragazzi tornano davanti a me
pronti per uscire.
Ma non posso. Non posso proprio
farlo.
Non voglio rischiare.
“Pronta Beckett? Direi di
indossare i giubbotti
antiproiettile, il nostro amico ha un’arma registrata e dato
che chiaramente ci
nasconde qualcosa potrebbe usarla..”
Giubbotto antiproiettile.
Antiproiettile.
Il mio pensiero si è
inchiodato lì. Il resto non l’ho
sentito.
“Beckett, che ti succede?
Sei sbiancata!” esclama
Esposito
“Io.. ragazzi, andreste
senza di me?” li vedo
perplessi, sanno che non è da me “non mi sento
troppo bene, non vorrei fare
casini..” cerco di fare la simpatica per rassicurarli
“...poi chi la sente la
Gates!”
Sorridono e accettano comprensivi.
Una volta da sola mi risiedo e
provo a impugnare la
pistola.
La mia mano trema
all’inverosimile.
Dannati attacchi di panico! Non li
avevo più avuti,
avevo superato quel mio blocco.
E ora sono di nuovo nella stessa
situazione.
Beh, non proprio la stessa. Ormai
è quasi passato un
anno e brandisco la mia arma come un tempo.
Stavolta è un altro il
freno che mi impedisce di
sparare.
Sono due giorni che evito qualunque
tipo di rischio e
non posso più rimandare oltre.
Devo essere sicura, devo aprire
quella scatoletta e
scoprire la verità.
L’ansia mi sta uccidendo
e lo percepiscono anche le
persone che mi stanno accanto.
Così non va proprio.
Agguanto la mia borsa e mi infilo
in bagno e, come con
Heat Wave, mi siedo a gambe incrociate sul water stringendo la borsa
come fosse
un cuscino.
Cerco di fare altri respiri
profondi ma è come se
l’agitazione prendesse il sopravvento su di me.
Ho la sensazione di sapere
già quale sarà il responso.
Me lo sento dentro.
Inspiro, scarto, faccio il mio
dovere e mi metto ad
aspettare i famigerati due minuti.
È il primo in assoluto
che faccio. Spero di avere
fatto tutto giusto.
In ogni caso ne ho altri due in
borsa, per sicurezza.
Mentre aspetto non posso non
pensare a quella sera.
Sei settimane fa è
cambiato tutto.
Doveva essere una normale cena tra
amici a casa di
Castle.
Ma poi verso mezzanotte tutti se ne
sono andati e mi
dispiaceva lasciarlo solo a ripulire.
E, lo ammetto, mi piaceva
l’idea di avere almeno un
paio di minuti solo per noi.
Anche solo per punzecchiarci un
po’.
E poi è successo. Una
chiacchiera, una risata, lui che
combina disastri con i bicchieri, io che gli prendo le mani per
controllare che
non si sia tagliato, lui che mi bacia, io che ricambio...
Ed è stato meraviglioso.
Sorprendente. Eccitante.
Delicato. Potente.
Un mix perfetto di noi due.
Ma io sono io, no? Sono la regina
della contraddizione
e non mi smentisco mai.
Tanto è stato bello,
tanto poi al mattino ero
terrorizzata.
Lo volevo da morire e allo stesso
tempo sapevo di non
essere ancora pronta a gestire una relazione così importante.
Ma lui era lì seduto su
letto con la colazione pronta
e già vestito. Mi guardava dolce.
Aveva già capito.
Lo
so..il
muro..
dice
sospirando, accennando però un piccolo
sorrisino.
Mi metto a sedere stringendo il
lenzuolo al petto Perdonami,
sono un disastro.. gli
dissi.
Ed era vero. Sono un completo disastro in ogni mia relazione, ma con te mi sembrava di dare il peggio di me stessa.
Eppure tu
continui a volermi con te.
Non me ne capaciterò
mai. Di tante donne assolutamente
meno complicate che potresti avere, tu vuoi me.
Capisco
il
tuo non volere una storia, ma che ne dici se uscissimo solo insieme?
Una sera
un cinema, un’altra volta una passeggiata... abbassasti
lo sguardo, un po’
imbarazzato ...solo per passare del tempo assieme...
Al sentire quelle parole mi si
sciolse il cuore.
Non volevi altro da me che la mia
compagnia.
Ti saresti accontentato di un film
e di una
passeggiata ogni tanto pur di non far finta di nulla.
Pur di avermi accanto.
Ovviamente accettai.
Usciamo insieme da sei settimane e
ogni sera mi
sorprendi con cose nuove e proposte assurde che però accetto
volentieri perché
non sono mai stata più felice in vita mia.
E comincio a credere che questo
muro in realtà non
esista affatto.
Avevo paura di essermi fatta tutto
un meraviglioso
film su di te per poi scoprire che in realtà eri
completamente diverso.
Non volevo illudermi. Non volevo
soffrire.
Che stupida.
Sei il mio sole, invece. Lo eri
prima e da quella
notte lo sei ancora di più.
Per questo so già quante
lineette ci saranno su questo
bastoncino.
Lo so perché
è il nostro destino. È l’universo che
ci
sta parlando.
Dio, prendo la pillola da quando
avevo sedici anni e
incappo nel famoso 1% di probabilità di concepimento
l’unica volta che faccio
l’amore con Rick?
L’universo non sta
parlando. Sta decisamente urlando!
Abbasso gli occhi sulla seconda
strisciolina blu e
sorrido come un ebete.
Getto tutto nel cestino e mi
sciacquo mani e volto.
Appurato che sono incinta e che
quindi il mio attacco
di panico verso pistole e giubbotti antiproiettili era più
che giustificato,
corro alla mia scrivania, prendo le chiavi dell’auto ed esco
dal palazzo.
Guido con cautela fino alla sede
della Black Pawn.
Accosto e decido di aspettarti appoggiata alla portiera
dell’auto.
Mi serve qualche attimo per
elaborare bene la cosa, in
fin dei conti cosa gli posso dire?
Ciao, sono incinta!
Poi mi toccherebbe rianimarlo.
L’ansia mi assale
nuovamente.
Usciamo insieme, voglio dire,
usciamo SOLO insieme.
Come posso di punto in bianco dirgli che aspetto un bambino?
E se fosse troppo per lui? E per me?
Mi porto le mani al ventre e il
sorriso nasce
spontaneo sul mio volto.
È il mio bambino.
È il nostro bambino.
E l’abbiamo fatto noi due
con il nostro amore. È vero,
non stiamo proprio insieme e siamo incasinati da morire. Ma ci amiamo.
Non ce
lo siamo mai detto. Ma lo sappiamo entrambi.
Lo sentiamo in ogni nostro gesto,
per piccolo che sia.
Rick Castle a bordo di un
caterpillar ha abbattuto da
solo gran parte del mio scudo, del mio dannatissimo muro. E tu
piccolino
spazzerai via ogni mattone rimasto.
Persa nei miei pensieri quasi non
mi accorgo che sei
appena uscito dall’edificio e con la mano ti faccio un segno.
Ti avvicini sorridendo e non riesco
a non pensare che
ora sei il padre di mio figlio.
Probabilmente ti sto fissando con
aria sognante perché
ridi e mi chiedi se sto bene.
Oddio, saranno già gli
ormoni? Vedo già tutto rose e
fiori con cuoricini ovunque? Io? Ma scherziamo?
“Scusa..”
sbotto a ridere per il nervosismo e mi
stropiccio gli occhi con una mano.
Allora mi abbracci cullandomi un
po’.
“Ehi, sei
tesissima!” mi sussurri all’orecchio senza
lasciarmi andare.
Eppure tra le tue braccia
già sto meglio. Come avevo
previsto.
Mi stacco di poco, solo per
riuscire a vederti in
volto.
“E’ successo
qualcosa?” mi chiedi appoggiando la tua
fronte alla mia.
Mi piace. Mi va bene
così. Da qui riesco a vedere
perfettamente quella che sarà la tua reazione.
Respiro profondo. E non apro bocca.
Beh, la apro ma
non esce nulla.
Ritento più decisa.
“Rick...aspetto una
bambino” dico lentamente, devo
assorbirlo anche io in fondo ed è pur sempre la prima volta
che lo dico ad alta
voce.
I tuoi occhi sono fissi nei miei ma
poi scendono sulla
mia bocca, come a voler essere sicuro che abbia parlato veramente.
“Ripetilo...ti prego
ripetilo..” sembri incantato e
comincio a preoccuparmi, ma immagino che sia abbastanza shockante come
rivelazione delle 10:30 di un mattino qualsiasi in un giorno qualsiasi.
“S-sono incinta,
aspettiamo un bambino” dico strozzata
dalla commozione questa volta.
Il tuo sorriso mi avvolge caloroso
e meraviglioso come
sempre.
Mi sollevi tra le braccia e
volteggiamo.
Scoppiamo a ridere e piangiamo.
Ci baciamo.
Ora non sono più le
10:30 di un mattino qualsiasi in
un giorno qualsiasi.
È il giorno che ha
segnato il più bel momento della
mia vita.
Fino ad ora, almeno.
FINE
Angolo
dell’autrice:
ed ecco un’altra shot,
che dire, non mi convince al
100% ma così è uscita e non saprei come cambiarla!
Datemi il vostro parere, mi
raccomando! ;D
Un grazie a Mari_Rina24 che mi fa
da beta e a Amy
Wendys che ha letto in anteprima!
E grazie a tutti voi che sopportate
le mie pazzie
letterarie!!
A
giovedì con “Never
wake up the dragon”!! :D
Baci,
Ivi87