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Autore: watereyes    23/10/2011    10 recensioni
In questa One-shot, Amu è una famosa giovane pianista, sui diciottanni, molto talentuosa ma che ha perso la passione perchè si sente sola. Per fortuna, qualcuno arriverà, anche se appena in tempo, a salvarla dal baratro in cui sta precipitando.
Come storia direi che è molto riflessiva.
A chi la leggerà auguro buona lettura, spero tanto che vi piaccia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Only the music can Ho scritto questa storia per voi di efp, Shugo Chara. Spero vi piaccia. Buona letture, ci vediamo giù :D


- Signorina Amu, guardi di qua!
- Una foto, per favore!
- Un bel sorriso!
Le luci dei flash dei fotografi mi abbagliano. Le prime volte mi sforzavo davvero di sorridere, cercavo di trasmettere i miei sentimenti anche attraverso immagini; ora invece mi rendo conto di assumere spesso l'espressione che hanno i conigli quando vengono abbagliati dai fari di un'automobile: Immobili, spaventati e, soprattutto, rassegnati alla fine. Si, anch'io mi sono rassegnata. Non riesco più a trovare quella scintilla, quel fuoco che mi illuminava gli occhi e mi faceva bramare un pianoforte per sentire quella sensazione di libertà, di gioia. Perchè erano queste le mie emozioni quando suonavo. Quando sentivo le dita correre sulla tastiera, ora lente ora veloci, ora sui tasti neri ora bianchi, ero consapevole di riuscire a trasmettere le mie sensazioni alle persone. Almeno così credevo. Pensavo che le persone percepissero, SENTISSERO i miei sentimenti arrivare ai loro cuori attraverso le note. Per questo mi premuravo di suonare in pubblico solo quando ero felice, precauzione inutile perchè, quando suonavo, io ERO felice. Solo adesso, invece, mi rendo conto di essermi sbagliata. Era tutto inutile, inutile; cercare di trasmettere sentimenti attraverso la musica: nessuno riusciva a percepirli, migliaia di persone mi avevano sentita suonare, senza però avermi ascoltata veramente. Era così frustrante, allora. Mi sentivo come in una piccola bolla di calma, vicina ma nettamente divisa da tutte quelle persone che, come piccole e laboriose formiche, passavano davanti alla mia bolla, gettando solo un'occhiata frettolosa alla me che, urlando e battendo i pugni, cercava solo di essere ascoltata. Quando quell'agenzia di apettacolo mi aveva contattato, ero al settimo cielo. Non perchè volessi diventare famosa - non mi era mai interessato essere popolare - ma perchè finalmente avrei potuto farmi ascoltare. Quanti sono veramente i ragazzi che ne hanno la possibilità? Così, certa di essere nel giusto, firmai un contratto con la prestigiosa agenzia NewTalent, beatamente inconsapevole di stare vendendo la mia libertà. Come mi sbagliavo! Anche se devo ammettere che, almeno inizialmente, tutto sembrò andare a meraviglia. Cominciai ad incidere il mio primo album, a fare i miei primi concerti e presto divenni una celebrità. Pensavo di scoppiare di gioia, credevo veramente di essere apprezzata per quello che ero. Ho girato mezzo mondo in compagnia della mia manager e di Ran, Miki, Suu e Dia, su una leggera quanto evanescente nuvola di felicità. Poi, piano piano, cominciarono a soffocare il fuoco che ardeva dentro me, gettandovi sopra amara cenere. Mi impedivano di suonare ciò che volevo, che sentivo, perchè, come dicevano loro, non era quello che il pubblico voleva. Mi imposero di suonare certe canzoni e di lasciar perdere delle altre, fregandosene di quello che io volevo. In questo modo, ho lasciato che mi costruissero un'immagine di facciata,una Amu che non era la vera Amu. E questa facciata è diventata anche la mia prigione, una barriera invalicabile e insormontabile che mi impedisce ogni via di fuga, ogni contatto con la vera me e il mondo esterno. Con il passare del tempo smisi di oppormi, smisi di lottare per i miei sogni perchè avevo ormai smesso di crederci. Decisi di rinchiudere la vera me stessa e serrai gli occhi e mi tappai le orecchie alle richieste e all'aiuto che i miei Shugo Chara cercavano di darmi. L'unica cosa che riuscivo veramente a sentire era l'assenza di emozioni. A quel punto anche Ran, Miki, Suu e Dia,nonostante i loro sforzi per restarmi accanto, scomparvero, lasciandomi solo come ultimo regalo l'amaro sapore del rimpianto. E adesso sono qui, sola, un'automa senza emozioni nè sentimenti che cerca di dare felicità alle persone attraverso la musica. Non riesco più a sopportarlo, ma non ho la forza di combattere. Prima ero forte, ambiziosa, sognatrice e coraggiosa. Mi sentivo come quegli uomini che, impavidi, scalavano le montagne o combattevano le correnti più impervide solo con fragili barchette. Si, mi sentivo proprio come se avessi deciso di partire dalla sponda di un fiume e avessi deciso che la mia meta era la sponda opposta. Avevo affondato con forza i remi e avevo remato con vigore contro le acque insidiose, con gli occhi fermi e decisi sulla mia meta. Ma, mentre lottavo con le unghie e con i denti per non essere vinta dalla forza dell'acqua, vidi altre persone che si lasciavano andare, senza remi, alla corrente. E mi chiamavano, allettanti, e mi dicevano: "Perchè continui ad opporti? Perchè continui a tentare? Non lo vedi che l'altra sponda è troppo lontana? Smettila di affaticarti inutilmente; vieni con noi, lasciati andare alla corrente". E le loro voci suonavano così invitanti e felici, e le mie braccia erano così stanche di remare, in più mi sembrava di non riuscire ad avanzare di un millimetro; così diedi loro ascolto, gettai lontano i miei consunti remi e mi sdraiai, esausta, per riposarmi. Almeno, così mi dicevo. In realtà, dentro di me sapevo di non voler vedere quella sponda, la mia meta, allontanarsi e rimpicciolire fino a scomparire. Così continuavo a farmi trascinare, un concerto dopo l'altro, come una conchiglia abbandonata sulla spiaggia. Bellissima, certo, ma sola e vuota.
Ogni giorno, quando ero libera dagli impegni, facevo lunghe passeggiate, in completa solitudine. Come sempre, in un modo o nell'altro, i miei piedi mi spingevano fino al vecchio teatro della mia scuola, ormai in disuso, ma con un pianoforte ancora perfettamente accordato. Solo lì, solo allora, protetta dal silenzio e dai pannelli scenografici del teatro, consentivo alla vera me stessa di liberarsi e di uscire da quella prigione che tenevo ben chiusa. Restavo lì e suonavo per ore ed ore, senza sosta, finchè non ero costretta a smettere per via della stanchezza. In quei momenti i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie emozioni fluivano liberi: parlavo e raccontavo me stessa attraverso la musica: aspettavo solo qualcuno in grado di capire la mia lingua. Qualcuno che venisse a salvarmi da quel baratro senza fine in cui stavo sprofondando. E finalmente, appena in tempo, quel qualcuno venne.
Era una fredda sera di dicembre e, nonostante la neve e il gelo, ero uscita ed ero andata al teatro, perchè era da un po' che non mi ci recavo per motivi di lavoro. Mentre suonavo, come sempre facevo  un monologo, chiedevo aiuto in attesa di quella che ormai mi sembrava un'innarivabile risposta. Una lacrima scese rotolando piano sulla mia guancia, e il freddo la fece sembrare un coltello che mi incideva la pelle. La lacrima rimase per un attimo in equilibrio sul mio mento, poi cadde leggera sul pianoforte. In quel momento, mi sembrò di sentire una melodia, delicata, come un mormorio, risuonare per l'auditorium. Mi fermai, confusa, certa di aver sentito male. Ricomiciai a suonare, ma la mia musica portava un punto interrogativo con sè; la risposta giunse, sempre più forte e chiara, da sopra di me. Mi fermai e guardai in alto, dove c'era un soppalco:
- Chi c'è? - chiesi,non spaventata ma curiosa.
- Sai, era da un po' che mi chiedevo chi fosse a suonare fino a tarda ora in questo teatro. La gente comincia a pensare che sia un fantasma - disse una voce dal timbro caldo e profondo. Poi, una figura piombò giù dal mezzanino con un salto aggraziato e atterrò accanto a me, facendo tremare il palco. Teneva la testa abbassata ma, mentre si raddrizzava, la alzò di colpo e mi sorrise. Era un ragazzo, appena più grande di me, sui vent'anni. Non appena lo vidi restai senza fiato. La pelle era di un candore assoluto, levigata e perfetta, i capelli morbidi e più blu del cielo di questa sera ma quello che mi colpì maggiormente furono gli occhi: erano di un viola stupefacente, ma non fu quello a darmi la sensazione di aver appena ricevuto un pugno nello stomaco: avevano qualcosa che un tempo avevo avuto anch'io, qualcosa che adesso avevo perso: sembravano brillare di luce propria, come se dentro di lui ci fosse un fuoco che lo illuminava e faceva sembrare i suoi occhi due ametiste.
- Chi sei? - chiesi, sorpresa. Notai che in mano stringeva un violino. Ormai non c'erano dubbi su chi fosse stato a suonare.
- Sono Ikuto. So già chi sei. Sei Amu Hinamori, ragazza prodigio della musica dei nostri tempi - mi anticipò, con un sorrisetto strafottente. - Non ho mai sentito il brano che stavi suonando poco fa - aggiunse, facendo un lieve cenno verso il pianoforte.
Automaticamente, mi girai a guardare affettuosamente il mio strumento e risposi, con l'amaro in bocca:
- Già. Beh, sarai l'unico a sentirla. Non la inciderò mai, non preoccuparti.
- Preoccuparmi?
Mi voltai a guardarlo, disorientata quanto lui:
- Sì. Come certamente avrai notato, questo pezzo non rispecchia per niente il mio "stile" - replicai, sottolineando volutamente la parola "stile".
- L'ho notato. E' per questo che lo trovo così bello. Questa musica è pura poesia. - disse Ikuto, sorridendo dolcemente. Le sue parole furono come balsamo su delle ferite.
- Davvero ti piace? - chiesi, la voce spezzata.
- Davvero. Assomiglia alle tue prime composizioni. Sembra che tu stia mandando un messaggio alla persona che ascolta.
Annuii. Altre lacrime mi scesero lungo le guance, rincorrendosi fino al mio mento. Ikuto si avvicinò e le raccolse con le dita affusolate:
- Per esempio... - mi bisbigliò all'orecchio - il messaggio che ho ricevuto in quella canzone era: Aiuto. Qualcuno mi salvi.
Annuii a fatica. Sentivo tutte le lacrime e il dolore che avevo represso per tutto quel tempo premere per uscire dalla scatola che tenevo chiusa. La vera Amu che scalciava e batteva i pugni stava per uscire. Sentii di essere al punto di rottura. Scoppiai in un pianto dirotto, le spalle scosse dai singhiozzi e mi aggrappai alla camicia di Ikuto, un ragazzo che conoscevo da appena dieci minuti ma che aveva già fatto così tanto per me. Mi attaccai a lui con tutte le mie forze e lui tenne stretta a sè, circondandomi con le sue forti braccia.
- Sfogati Amu, butta tutto fuori; hai tenuto dentro di te, per tutto quel tempo, lacrime e dolore, non è vero? Lo sentivo nelle tue canzoni. Ma ora va tutto bene Amu, tutto bene.. - mormorò, cullandomi.
Ikuto aveva tolto la cenere dal fuoco che ardeva dentro di me e avevo scoperto con gioia che il fuoco non era stato soffocato, era ancora lì, ed ora sarebbe tornato a risplendere.
Ikuto mi aveva salvato dall'acqua, mi aveva raggiunto con la sua barca e mi aveva detto, sorridendomi e tendendomi la mano: "Forse da soli non riusciremo a vincere la corrente, ma se siamo in due a combattere, fianco a fianco, possiamo raggiungere la riva".
E così, in una fredda notte di dicembre, trovai l'anima gemella, qualcuno che sapeva parlare la mia stessa lingua e che non mi avrebbe mai lasciata andare.

Ciao!
Oddio, non so nemmeno io cosa scrivere perchè non so cosa pensare. Volevo imparare a descrivere i sentimenti dei personaggi e infatti, come si nota, la storia è incentrata su quelli di Amu. Ho capovolto la situazione della storia.. qui è Ikuto a salvare Amu :) Forse avreste voluto un po' più di spazio per Ikuto, però quasi tutte le fanfiction di questa sezione sono su di lui ed Amu, quindi penso vada bene così. Non ho fatto tornare gli Shugo Chara perchè ormai Amu non ne aveva più bisogno, ora che ha Ikuto. Forse ad alcuni sembrerà un po' strano così tanto feeling in così poco tempo, ma vi posso assicurare che è possibile
Fatemi sapere cosa ne pensate, sinceramente. Accetto anche le critiche ovviamente, visto che non sono nemmeno alle prime armi. Però per favore, non significa stroncarmi di insulti D: sono delicata :)
baci
watereyes
   
 
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